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Roma, 4 gennaio 2001
Circolare n. 2/2001
Oggetto: Previdenza – Obbligatorieta’
del Fasc – Sentenza della Corte di Cassazione n.12913/2000.
Come è noto, un punto fermo sulla natura giuridica del FASC (Fondo
Nazionale di Previdenza per i Lavoratori delle Imprese di Spedizione Corrieri e
delle Agenzie Marittime) è stato messo dal D.lgvo n.509/94 che ha
privatizzato il Fondo confermando l’obbligatorietà di iscrizione e di contribuzione
da parte delle imprese e dei lavoratori del settore.
Pronunciandosi su un aspetto che in passato era stato oggetto di
contrastanti orientamenti giurisprudenziali, la Corte di Cassazione ha ora
ribadito la sussistenza di tali obblighi con specifico riferimento alla legge
n.297/82 sul trattamento di fine rapporto. Ad avviso della Corte, infatti, la
disciplina del Fondo è compatibile con quella legge che nel riformare la ex indennità
di anzianità aveva automaticamente dichiarato nulle tutte le precedenti
disposizioni collettive regolanti la stessa materia. In particolare la Corte di
Cassazione ha sottolineato come le prestazioni erogate dal FASC, pur avendo
natura di retribuzione differita, “non siano assimilabili a indennità di
anzianità, di fine lavoro o di buonuscita comunque denominate ricadenti nella
sanzione della nullità comminata dall’undicesimo comma dell’art.4 della legge
297, ma siano annoverabili tra quelle fatte salve dalla nullità ai sensi del
quinto comma”.
Si coglie
l’occasione per rammentare che, in base al nuovo CCNL trasporto merci, per i
lavoratori assunti dal 2001 le prestazioni del FASC assumeranno carattere di
vera e propria pensione complementare. A tal fine Fedespedi e Federcorrieri
hanno avviato un confronto con i sindacati per definire le necessarie modifiche
statutarie e regolamentari.
f.to dr. Piero
M. Luzzati |
Per riferimenti confronta circ.re
conf.le n.107/2000.
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Allegato uno |
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M/cp |
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SENTENZA CORTE DI CASSAZIONE (Sezione
Lavoro) N. 12913/00
(pronunciata il
28/03/2000 e depositata in Cancelleria il 28/09/2000)
Con sentenza in
data 29 giugno 1996 il Pretore di Milano rigettava l’opposizione al decreto
ingiuntivo intimato dal Fondo Nazionale di Previdenza per gli Impiegati delle
Imprese di Spedizione e delle Agenzie Marittime (FONPISAM) nei confronti della
s.r.l. Winkler Trasporti Internazionali, la quale nel proporre l’opposizione
aveva, altresì, dispiegato domanda riconvenzionale intesa ad ottenere la
restituzione dei contributi già versati.
Contro tale
sentenza pretorile, che aveva dichiarato la società opponente tenuta a
corrispondere i contributi di cui al decreto ingiuntivo, proponeva appello la
società Winkler.
Il Tribunale di
Milano con sentenza in data 11 febbraio 1997 rigettava l’appello e compensava
le spese del giudizio, osservando che i versamenti eseguiti dalla società,
sulla base del Fondo statutariamente previsto, si risolvevano – come aveva
chiarito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 427 del 24 settembre 1990-
in accantonamenti mensili di somme da parte del datore di lavoro, oltre che del
dipendente, versati nel corso del rapporto di lavoro con funzione di
corresponsione di retribuzione differita e che vengono rimborsati alla società
datrice di lavoro soltanto alla cessazione dell’attività professionale con il
solo aumento degli interessi maturati nelle more.
Tale versamento
con obbligo della società di iscrizione a tale Fondo non è, però, stato
soppresso, aggiungeva il Tribunale, dall’art. 4, 11° comma della legge n. 297
del 1982, poiché tale norma si è prefisso lo scopo di uniformare i trattamenti
di fine rapporto e di evitare, in più o in meno, scollamenti di tetto inderogabile
di cui all’art. 2110 primo comma C.C. novellato.
La società
Winkler propone ricorso per cassazione con unico articolato motivo.
Resiste il Fondo
con controricorso illustrato da memoria.
Con l’unico articolato motivo la società
ricorrente si duole che il Tribunale di Milano, in violazione e falsa applicazione
dell’art. 4 comma undicesimo della legge n. 297 del 1982 in relazione all’art.
2120 c.c., nonché con omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul
punto, pur riconoscendo la natura retributiva e non previdenziale del
trattamento erogato dal Fondo, in quanto – come precisato dalla Corte
Costituzionale con la sentenza n. 427 del 24 settembre 1990 – esso non ha
funzione complementare dei trattamenti pensionistici erogati dalla Previdenza
Pubblica, non ne avrebbe tratto la conseguenza che la clausola contrattuale
collettiva istitutiva di tale Fondo sarebbe stata sostituita dalla legge n. 297
del 1982 in base all’art. 4 undicesimo comma.
Il ricorso è
infondato.
La nuova
disciplina del trattamento di fine rapporto dettata dalla legge n. 297 del 1982
si applica, a norma dell’art. 4, a tutti i rapporti di lavoro subordinato privato
per i quali siano previste forme di indennità di anzianità, di fine lavoro, di
buonuscita comunque denominata e dispone, altresì, la nullità (comma 11) di
tutte le clausole dei contratti collettivi regolanti la materia e stipulati
anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina che viene, di
diritto, a sostituire la previgente disciplina dichiarata nulla.
La legge n. 297
del 1982 persegue un obiettivo perequativo e livellatore di tutti i trattamenti
di fine rapporto allo scopo di ricondurre a unità e razionalità l’eterogenea
disciplina legale e contrattuale previgente e di imporre un rigido sistema di
calcolo del T.F.R., sostitutivo dei previgenti istituti, anche allo scopo di
approntare in favore delle imprese un sistema di accantonamento certo e, in
quanto tale, idoneo a contenere il costo del
lavoro.
L’obiettivo
prefissosi dalla legge giustifica, perciò, il divieto imposto dall’autonomia
collettiva di mantenere la disciplina pattuita in epoca antecedente al 1°
giugno 1982, a prescindere dalle peculiarità e dalle denominazioni attribuite
ad essa dalle parti sociali e ciò al fine di evitare una facile elusione della
disciplina imperativa della norma.
Nella specie al
fine di stabilire la fondatezza del proposto ricorso, perciò, occorre accertare
se i contributi richiesti dal Fondo, dopo la citata legge n. 297 del 1982,
possono essere ancora rivendicati in quanto non trovino giustificazione nella
erogazione di un trattamento di fine rapporto, di fine lavoro o di buonuscita
comunque denominata di fonte contrattuale antecedente alla citata legge del
1982 e in quanto tale da dichiarare nullo ai sensi dell’art. 4 undicesimo
comma.
In altri termini
occorre stabilire se il trattamento di fonte contrattuale erogato dal Fondo
abbia o no natura diversa dall’indennità di anzianità, di fine lavoro, di
buonuscita comunque denominata, e, se in quanto “diversa”, sia esclusa dalla nullità
come previsto dal quinto comma del cit. art. 4, che ha fatto salvi i
trattamenti diversi del T.F.R.
Al fine di
attribuire natura di indennità di fine lavoro o di buonuscita, ora sostituita
dal T.F.R., la società ricorrente ha invocato la sentenza n. 497 del 24.9.1990
della Corte Costituzionale.
Questa,
tuttavia, con la ricordata pronunzia, ha dichiarato non fondata la questione di
legittimità costituzionale sollevata da questa Corte e dal Tribunale di Novara
in riferimento alla mancata esclusione, dalla base imponibile, del prelievo
fiscale sui contributi versati in forza di regimi di previdenza complementare,
posto che tale esclusione per il combinato disposto di cui all’art. 12 della
legge 30 aprile 1969 n. 153 e dell’art. 1 quarto comma del decreto legge 1
marzo 1985 n. 44, convertito in legge 26 aprile 1985 n. 155, era stata, invece,
prevista sui contributi versati dal datore di lavoro al FONPISAM.
La Corte, al
fine di giustificare la dichiarata
infondatezza della sollevata questione di costituzionalità, aveva posto
in luce le analogie esistenti tra le somme accantonate da tale Fondo a seguito
dei versati contributi, e il T.F.R.
Soltanto
l’analogia di disciplina, ad avviso della Corte, ragionevolmente aveva indotto
il legislatore a concedere a tale regime di previdenza complementare un
trattamento fiscale più favorevole, poiché l’assimilabilità delle prestazioni
del Fondo a retribuzioni differite rendevano questo diversificato dagli altri
regimi di previdenza complementare.
In relazione
alla questione di legittimità costituzionale, così risolta, l’invocata sentenza
della Corte Costituzionale non appare decisiva ai fini della fondatezza del
ricorso.
I Giudici della
Consulta, infatti, si erano limitati a confermare che l’esclusione del prelievo
fiscale sui contributi versati al Fondo appariva in un parere del Ministero del
Lavoro, dallo stretto legame esistente tra l’indennità di anzianità e le prestazioni
del Fondo.
E’
esclusa, quindi, la possibilità che la questione possa trovare la soluzione obbligata
nella ricordata declaratoria di legittimità costituzionale, la quale solo
incidentalmente si è soffermata sulla natura delle prestazioni rese dal Fondo,
senza tuttavia trarne elementi decisivi per farla rientrare tra le indennità colpite
dalla nullità di cui all’undicesimo comma, del citato art. 4 della legge n. 297
del 1982.
Ne consegue che
lo stabilire se il trattamento di fonte contrattuale erogato dal Fondo abbia o
meno natura e funzione diverse da quelle dell’indennità di anzianità, o di fine
lavoro o di buonuscita si risolve in un accertamento avente ad oggetto
l’interpretazione della disciplina contrattuale; accertamento riservato al
giudice di merito e, perciò, non sindacabile in sede di legittimità, se
motivato in modo adeguato, immune da vizi logici e senza violazione dei criteri
legali di ermeneutica contrattuale previsti dagli artt. 1362 e sgg.C.C. (v.
Cass. 29 novembre 1996 n. 10681).
Nella specie il
Tribunale di Milano interpretando una clausola del contratto collettivo
nazionale di lavoro del settore applicato dalla società ricorrente, ha individuato
la natura del trattamento erogato dal Fondo in una retribuzione differita
avente funzione di previdenza volontaria, complementare rispetto all’indennità
di anzianità, ma con connotati da essa diversi sia nei confronti del datore di
lavoro (per la possibilità di restituzione degli accantonamenti soltanto dopo la cessazione dell’attività
professionale) e sia nei confronti del lavoratore (a causa dell’obbligo
previsto a carico di quest’ultimo di collaborare con proprie quote mensili
all’accantonamento dei contributi dovuti al Fondo).
L’interpretazione
offerta appare congruamente motivata ed è idonea a giustificare l’opinione del
Tribunale secondo cui le prestazioni rese dal Fondo non sono assimilabili a
indennità di anzianità, di fine lavoro o di buonuscita, comunque denominate, ricadenti
nella sanzione della nullità comminata dall’undicesimo comma del citato art. 4,
ma sono annoverabili tra quelle fatte salve dalla nullità ai sensi del quinto
comma.
Né
l’interpretazione offerta à stata impugnata dalla società ricorrente per essere
stata eseguita dal Tribunale in violazione dei criteri legali di ermeneutica
contrattuale di cui agli artt. 1362 e sgg. C.C..
Ne consegue la
legittimità dei contributi oggetto dell’intimato decreto ingiuntivo impugnato
dalla società ricorrente.
Pertanto il
proposto ricorso va rigettato.
Ricorrono giusti
motivi ex art. 92 c.p.c. per compensare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta
il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.