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Roma, 21 dicembre 2001
Circolare n.186/2001
Oggetto: De iure condendo
– Disegno di legge di riforma del mercato del lavoro.
Come preannunciato, il Governo ha presentato il disegno di legge
delega per la riforma del mercato del lavoro (atto Senato n.848). Tale riforma,
come è noto, costituisce uno degli obiettivi fondamentali per l’attuale
legislatura assieme agli interventi in materia previdenziale e fiscale ancora
in corso di elaborazione.
Il provvedimento recepisce le linee strategiche indicate nel recente
Libro Bianco del Ministero del Lavoro, indicando per ciascuna materia i
principi e i criteri direttivi sulla base dei quali saranno emananti i
successivi decreti di attuazione. Gli argomenti toccati sono numerosi: per
alcuni si prevedono modifiche sostanziali (es. appalto di manodopera e
licenziamenti), per altri un adeguamento in chiave di maggiore flessibilità o
di razionalizzazione (part-time, ammortizzatori sociali, incentivi all’occupazione).
Si evidenziano di seguito gli aspetti più significativi del disegno di
legge.
Licenziamenti (artt.10 e 12) – Anche se in via sperimentale
per quattro anni e solo per alcune fattispecie, il provvedimento introduce
alcune deroghe all’art.18 dello Statuto dei lavoratori (legge n.300/70) che, come
è noto, dispone il reintegro dei lavoratori licenziati “senza giusta causa o
senza giustificato motivo” da imprese con oltre 15 dipendenti. Secondo le
disposizioni del disegno di legge il licenziamento ingiustificato sarà invece
punito con una sanzione risarcitoria, anziché con la reintegrazione del
lavoratore, allorché sia intimato da:
·
imprese che superino nell’arco del prossimo biennio la
soglia dei 15 dipendenti;
·
imprese di qualsiasi dimensione limitatamente ai rapporti
di lavoro a termine trasformati a tempo indeterminato;
·
imprese emerse da situazioni di irregolarità.
Sempre in tema di licenziamenti si prevede inoltre di favorire la
diffusione dell’arbitrato per la soluzione delle controversie di lavoro e di
attribuire ai collegi arbitrali la facoltà di decidere tra risarcimento e
reintegrazione; il lodo arbitrale sarà immediatamente esecutivo e potrà essere
impugnato solo per vizi procedimentali e non di merito.
Appalto di manodopera (art.1) – Il provvedimento tende a
modificare radicalmente il sistema del collocamento. In particolare dispone
l’abrogazione della legge n.1369/60 sul divieto di appalto di manodopera e
introduce una disciplina positiva che consentirà, in presenza di ragioni di
carattere tecnico, produttivo o organizzativo individuate dalla legge o dai
contratti collettivi, la fornitura di manodopera anche a tempo indeterminato (e
non solo a termine come nel lavoro interinale) da parte di agenzie private
appositamente autorizzate.
Ammortizzatori sociali (art.3) – La riforma degli ammortizzatori
sociali prevede l’estensione degli stessi a tutti i settori (da realizzarsi in
via non automatica ma in modo da tener conto delle specificità e delle
esigenze dei diversi contesti sulla base delle priorità individuate in sede
contrattuale o a seguito di specifiche intese tra le parti sociali interessate),
la semplificazione delle procedure nonché nuove misure di carattere formativo
da affiancare alle tradizionali indennità economiche.
Orario di lavoro (art.6) – Viene previsto il recepimento
della direttiva europea 93/104 sull’orario di lavoro del personale non
viaggiante;tale direttiva, come è noto, prevede 48 ore settimanali (compreso lo
straordinario) da calcolarsi come media nell’arco temporale di 4 mesi. Il
recepimento dovrà avvenire sulla base di criteri guida fissati dalle parti
sociali e con il riconoscimento degli effetti dei contratti collettivi vigenti.
Tipologie contrattuali (art. 8) – Nel quadro degli
interventi volti a rendere più flessibile l’impiego di manodopera, vengono
introdotte nuove tipologie contrattuali (es. il lavoro a chiamata)
e si amplia il campo di applicazione di quelle già esistenti (tra cui il lavoro
interinale e il lavoro a prestazioni ripartite). Per quanto riguarda
in particolare le collaborazioni coordinate e continuative, il provvedimento
introduce livelli minimi sia temporali (durata della prestazione) che economici
(ammontare del corrispettivo); da parte datoriale quest’ultima disposizione è
stata valutata negativamente, in quanto destinata a irrigidire anziché
migliorare un istituto attualmente molto diffuso.
f.to
dr. Piero M. Luzzati |
Per riferimenti confronta circ.re conf.le
n.149/2001
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Allegato uno |
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M/n |
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SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV
LEGISLATURA
DISEGNO
DI LEGGE N. 848
Onorevoli Senatori. – La presente relazione accompagna un
disegno di legge di delega proposto dal Governo al Parlamento al fine di essere
autorizzato ad emanare decreti legislativi contenenti misure di particolare
rilevanza e priorità per realizzare obiettivi di speciale importanza
nell’ambito del disegno riformatore del mercato del lavoro in Italia contenuto
nel «Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia. Proposte per una società
attiva e per un lavoro di qualità» (ottobre 2001).
Tali obiettivi riguardano:
a) la
realizzazione di un mercato del lavoro trasparente ed efficiente;
b) il
perseguimento di efficaci politiche della occupabilità prioritariamente rivolte
ai lavoratori beneficiari di forme di integrazione al reddito;
c) la
introduzione di tipologie contrattuali utili a realizzare l’adattabilità delle
imprese e dei lavoratori e ad allargare la partecipazione al mercato del lavoro
di soggetti a rischio di esclusione sociale;
d) la
affermazione di un maggiore ruolo delle organizzazioni di tutela e rappresentanza,
con particolare attenzione alle forme bilaterali, in funzione della gestione di
attività utili alle politiche di occupabilità.
Misure per l’occupabilità nel mercato del lavoro
Nel disegnare i diversi interventi di
politica del lavoro e più in generale di politica economica e finanziaria, è
intenzione del Governo fare costante riferimento ad un obiettivo complessivo di
crescita occupazionale – più precisamente di crescita del tasso d’occupazione –
verso i livelli concordati in sede europea. Intendimento del Governo è di
procedere al confronto con le parti sociali e con gli altri attori
istituzionali interessati avendo sempre questo obiettivo quantitativo di
crescita come misura del proprio operare.
Rispetto ai target europei (70 per cento
e 60 per cento rispettivamente per il tasso di occupazione totale e femminile
nel complesso delle classi d’età tra 15 e 64 anni, 50 per cento per quello dei
55-64enni) il divario che ancora caratterizza il nostro paese è particolarmente
ampio. Avendo a riferimento il tasso di occupazione complessivo, l’aumento
necessario per eliminarlo (nell’arco di un decennio) sarebbe pari all’incirca
al triplo di quanto ottenuto nel quinquennio 1995-2000 e richiederebbe di
replicare quanto, in ambito europeo, ottenuto nello stesso periodo solo da
Olanda o Irlanda (facendo quindi meglio di Spagna, Finlandia o Portogallo),
situazioni in cui la crescita occupazionale è stata innalzata da fattori
peculiari, quali il forte sviluppo del part time.
Nel delineare lo scenario macroeconomico della
legislatura da poco avviata, il Documento di programmazione
economico-finanziaria (DPEF) 2002-2006 ha fissato al 2006 un livello del tasso
d’occupazione complessivo del 58,5 per cento (cinque punti in più rispetto
all’anno 2000). Il raggiungimento di tale obiettivo richiede condizioni macroeconomiche
favorevoli e garantirebbe un significativo miglioramento rispetto al
quinquennio 1995-2000, soprattutto alla luce del fatto che, al contrario di
quanto avvenuto in quest’ultimo quinquennio, i fattori demografici non
giocheranno a favore della crescita dell’occupazione. L’obiettivo indicato è
anche quello che il Governo ha esplicitato, in sede europea, come contributo
italiano al raggiungimento dei target che l’Unione europea ha fissato, al 2005
ed al 2010, per l’insieme dei paesi membri.
Le caratteristiche del nostro mercato
del lavoro mostrano che abbiamo molta strada da percorrere prima di raggiungere
gli obiettivi che, con riferimento ai tassi di occupazione, l’Unione europea ha
indicato agli Stati membri. La disoccupazione giovanile, la disoccupazione di
lunga durata, la concentrazione della disoccupazione nel Mezzogiorno, il
modesto tasso di partecipazione delle donne e degli anziani, sono tutti fattori
di debolezza strutturale della nostra economia che ne limitano il grado di
competitività all’interno dell’Unione. L’elevata disoccupazione e il basso
tasso di occupazione trovano origini lontane nel tempo e devono essere curati
con interventi di carattere strutturale. Senza questi interventi vi è il
pericolo che la politica di sviluppo del Govemo vada incontro a strozzature che
ne possono limitare l’efficacia e le potenzialità.
Le politiche attive si basano anzitutto
sul miglioramento del sistema di diffusione delle informazioni nel mercato del
lavoro, in particolare quelle sui posti vacanti, sui fabbisogni di personale,
sulle possibilità di formazione rivolte ai giovani e ai lavoratori e, infine,
sulle caratteristiche dei lavoratori disoccupati. Su questo terreno il nostro
paese è strutturalmente arretrato e ciò pesa negativamente sul funzionamento di
tutto il mercato del lavoro. L’assorbimento di una quota della disoccupazione
strutturale e l’innalzamento del tasso di occupazione dipenderanno in misura
rilevante dal successo che avranno le politiche di diffusione e di scambio di
queste informazioni.
Il Governo ritiene che l’attuale
ordinamento giuridico del lavoro si limiti a realizzare la protezione del
lavoratore in quanto titolare di una posizione lavorativa, garantendo agli
insider una posizione di privilegio a scapito degli outsider, sostanzialmente
abbandonati a se stessi da strutture di collocamento pubblico del tutto inadeguate.
Se occorre da un lato rimodulare convenientemente la protezione accordata al
lavoratore occupato, dall’altro è necessario assicurare una più alta tutela sul
mercato. Sul piano del rapporto di lavoro si tratta quindi di stimolare
l’adattabilità dei dipendenti (vale a dire flessibilità e formazione); su
quello del mercato le autorità comunitarie richiedono agli Stati membri di
realizzare un sistema pubblico di servizi all’impiego che, integrando e
lasciando competere al tempo stesso operatori pubblici e privati, garantisca
l’occupabilità. È del tutto evidente che l’ordinamento italiano contrasta apertamente
con tali indicazioni comunitarie: alla iper-tutela degli occupati si contrappone,
infatti, la sotto-tutela dei disoccupati.
L’Italia non si è adeguata negli ultimi
anni alla richiesta fondamentale rivoltale dalle autorità comunitarie
nell’ambito della Strategia europea per l’occupazione, cioè di riorientare in
forma preventiva il proprio sistema di servizi pubblici all’impiego. Nel paese,
a livello di Governo ma anche di regioni e di enti locali, c’è stata una forte
sottovalutazione di questi impegni comunitari finalizzati a migliorare la
capacità di inserimento professionale del nostro sistema pubblico di
collocamento.
Il Governo intende raccogliere le
raccomandazioni rivolte dall’Unione europea nella logica della occupabilità,
proseguendo con determinazione nella modernizzazione dei servizi pubblici per
l’impiego e per questa ragione richiede al Parlamento la concessione di una
delega che lo autorizzi ad intervenire in questa materia con una serie di primi
provvedimenti.
Servizi pubblici all’impiego
Il Governo ritiene, infatti, urgente
avviare un processo riformatore delle regole sul mercato del lavoro, nel senso
della massima semplificazione delle procedure di collocamento, del più efficace
potenziamento delle azioni di prevenzione e della massima efficacia dei
servizi, attraverso un modello che contempli la cooperazione e la competizione
tra strutture pubbliche, convenzionate e private. Pertanto, devono essere individuate
e sistematizzate le attività riconducibili ad una residua funzione pubblica (anagrafe,
scheda professionale, controllo dello stato di disoccupazione involontaria e della
sua durata, azioni di sistema) da assicurare mediante i servizi pubblici
all’impiego e strutture convenzionate (pubbliche e private); mentre occorre
affidare al libero mercato le attività di servizio, in un regime di
competizione e concorrenza tra i servizi pubblici e gli operatori privati
autorizzati.
Un’importante direzione di intervento
concerne un regime di competizione e, al tempo stesso, di cooperazione fra
attori privati e servizio pubblico. La cooperazione non deve avvenire a
discapito del pieno dispiegarsi dei meccanismi concorrenziali tra i diversi
operatori, ma sarebbe improponibile per l’operatore pubblico fare a meno della
cooperazione con i privati, immaginando di poter gestire efficacemente in-house
l’intero spettro di servizi. Il ricorso a meccanismi di mercato in una logica
di outsourcing di servizi andrebbe perciò opportunamente valorizzato anche per
quanto concerne la fornitura di servizi il cui disegno generale rimanga nelle
mani dell’operatore pubblico.
Più in dettaglio, vale la pena ricordare
in tema di collocamento pubblico che il decreto legislativo 23 dicembre 1997,
n. 469, non ha introdotto modifiche alle procedure del collocamento,
inteso come «funzione pubblica» e «pubblico servizio», che restano tuttora
disciplinate dalla legge 29 aprile 1949, n. 264, e successive
modificazioni. All’atto del decentramento delle funzioni alle regioni ed alle
province, pertanto, le procedure di collocamento restavano caratterizzate da un
impianto normativo fondato sui seguenti elementi: obbligo di iscrizione dei
lavoratori nelle liste di collocamento; classificazione degli iscritti basata
su «classi di precedenza nell’avviamento al lavoro»; stato di disoccupazione
coincidente con la «iscrizione nella prima classe delle liste»; riconoscimento
dello stato di disoccupazione anche agli occupati a part-time per meno di 20
ore settimanali e a tempo determinato per meno di quattro mesi nell’anno solare
(cosiddetti disoccupati amministrativi); obbligo di conferma della permanenza
nello stato di disoccupazione mediante presentazione all’ufficio di
collocamento almeno una volta all’anno (cosiddetta revisione periodica), pena
la cancellazione; cancellazione in caso di rifiuto di occupazione a tempo
indeterminato corrispondente ai requisiti professionali del lavoratore;
presenza di discipline specifiche per settore, per status o per tipologia di
rapporto di lavoro (cosiddetti collocamenti speciali e liste speciali) ed in
particolare il collocamento dei lavoratori agricoli, della gente di mare, dei
lavoratori dello spettacolo, delle categorie protette, le liste regionali di
mobilità, le liste part-time, gli elenchi dei lavoranti a domicilio, la lista
dei lavoratori italiani disponibili a lavorare all’estero, la lista nazionale
dei lavoratori extra-comunitari ancora residenti all’estero.
Giova ricordare inoltre che nel sistema
attuale vige ancora l’obbligo per i datori di lavoro privati e per gli enti
pubblici economici di assumere i lavoratori iscritti nelle liste di
collocamento, tramite assunzione diretta e comunicazione successiva entro
cinque giorni (precetto sul quale si incardinava il divieto di mediazione così
come disciplinato dalla citata legge n. 264 del 1949), nonché l’obbligo
per le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici non economici di assumere
i lavoratori con mansioni esecutive ed ausiliarie mediante richiesta numerica
di «avviamento a selezione».
Collocamento pubblico
L’impianto procedurale sopra descritto
ha prodotto per anni fenomeni molto distorsivi vincolando gli uffici di
collocamento ad una gestione formalistica e burocratica delle «liste», in una
logica di mediazione formale e non di mediazione effettiva. Peraltro, se questo
impianto poteva avere un senso in presenza di un sistema di avviamento al lavoro
fondato sulla richiesta numerica e sulla preventiva autorizzazione dell’ufficio
di collocamento (cosiddetto nulla-osta numerico o nominativo), perde ogni
significato con la riforma delle procedure di assunzione introdotta dal
decreto-legge 1º ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla
legge 28 novembre 1996, n. 608, che ha introdotto la «assunzione diretta»,
pur se limitatamente nei confronti di lavoratori «iscritti nelle liste».
Nella consapevolezza che senza una
radicale revisione dell’impianto procedurale del collocamento qualsiasi riforma
dei servizi sarebbe stata preclusa, già nelle more dell’attuazione del
decentramento amministrativo il Ministero del lavoro e le regioni avevano
avviato nella scorsa legislatura un confronto per realizzare una riforma organica
del collocamento inteso «come funzione pubblica residua». La riforma è stata
attuata mediante due provvedimenti, il decreto legislativo 21 aprile 2000,
n. 181, e il decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000,
n. 442. Il quadro normativo è stato completato con due decreti
ministeriali attuativi del decreto del Presidente della Repubblica citato
(anagrafe e scheda professionale) entrati in vigore il 15 giugno 2001.
Tale intervento normativo appare del
tutto non convincente anche sotto un profilo eminentemente tecnico e sta
producendo effetti controproducenti sull’azione dei servizi. Val la pena
rilevare ad esempio che i due provvedimenti da ultimo citati, originariamente
concepiti come un corpo organico, in realtà sono stati emanati separatamente e
nell’ordine logico inverso (avrebbe dovuto prima disporsi l’abolizione delle
liste e successivamente introdursi il nuovo stato di disoccupazione). Non si è
provveduto poi all’abrogazione esplicita della aggrovigliata normativa
precedente, creandosi così sul piano normativo ed operativo una situazione
insostenibile a causa della sovrapposizione di norme che producono effetti
inversi a quelli voluti. Fra questi occorre ricordare la perdurante vigenza dei
collocamenti speciali e delle liste speciali, di nessuna utilità pratica e
gestionale, la duplice/parallela definizione giuridica dello stato di disoccupazione
(l’una ai fini delle azioni di prevenzione l’altra ai fini dell’accesso ai benefici
di legge), il duplice/parallelo sistema di controllo, conservazione e perdita
dello stato di disoccupazione, la mancata semplificazione delle procedure di
assunzione (le norme previste non sono state ammesse a registrazione e pertanto
sopravvive la vecchia farraginosa e punitiva disciplina solo nei confronti dei
datori di lavoro privati), l’impossibilità di stabilire nuove e più semplici
procedure per l’avviamento a selezione presso gli enti pubblici in quanto manca
l’atto di indirizzo del Ministro del lavoro.
Il Governo quindi chiede di poter
intervenire per snellire e semplificare questa congerie di normative
stratificatesi nel tempo che di fatto compromettono il funzionamento dei
servizi pubblici per l’impiego. Un intervento tanto più necessario in quanto si
è profondamente evoluto lo stesso quadro costituzionale a seguito dell’entrata
in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
Incontro domanda e offerta
L’articolo 1 contiene pertanto una
delega al Governo, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali da esercitare entro il termine di un anno dalla data di entrata in
vigore della legge, per la revisione della disciplina dei servizi pubblici e
privati per l’impiego, nonché in materia di intermediazione e interposizione
privata nella somministrazione di lavoro.
Allo scopo di realizzare un sistema efficace
e coerente di strumenti intesi a garantire trasparenza al mercato del lavoro e
a migliorare le capacità di inserimento professionale dei disoccupati e di
quanti sono in cerca di una prima occupazione, il Governo viene delegato a
realizzare una riforma organica delle regole sul mercato del lavoro, nel senso
della massima semplificazione delle procedure di collocamento. L’obiettivo è
quello di concorrere al potenziamento delle azioni di prevenzione della
disoccupazione, mediante una migliore efficacia dei servizi per l’impiego,
attraverso un modello che contempli la cooperazione e la competizione tra
strutture pubbliche, organismi convenzionati e agenzie private di collocamento.
In questa prospettiva, vengono sistematizzate le attività riconducibili a una
residua funzione pubblica (anagrafe, scheda professionale, controllo dello
stato di disoccupazione involontaria e della sua durata, azioni di sistema) da
assicurare mediante i servizi pubblici all’impiego e strutture convenzionate
(pubbliche e private), mentre vengono affidate al libero mercato le attività di
servizio, in un regime di competizione e concorrenza tra i servizi pubblici e
gli operatori privati autorizzati.
Il Governo viene dunque delegato a un
intervento di revisione e razionalizzazione delle procedure di collocamento al
fine di orientare i servizi dell’impiego all’attuazione di misure di promozione
all’inserimento del mercato del lavoro. Ciò dovrà avvenire in particolare
mediante:
a)
determinazione dei criteri per l’individuazione dei soggetti potenziali destinatari
delle misure di promozione, definendone le modalità per l’accertamento, la durata
e la perdita delle condizioni di disoccupazione. Si tratta, com’è evidente, di
un presupposto indispensabile per potere gestire il sistema degli
ammortizzatori e le agevolazioni per i disoccupati di lunga durata;
b) conferma del
principio della assunzione diretta generalizzata;
c) sostituzione
del sistema delle liste di collocamento con un’anagrafe dei lavoratori;
d) estensione
generalizzata a tutti i datori di lavoro e per ogni categoria di lavoratori
dell’obbligo di comunicazione (agli organi del collocamento) della assunzione,
trasformazione e cessazione del rapporto e delle esperienze lavorative poste in
essere. La generalizzazione dell’obbligo costituisce condizione necessaria per
una gestione in tempo reale dell’anagrafe dei lavoratori;
e)
semplificazione degli oneri amministrativi e burocratici in capo ai lavoratori
e alle imprese;
f) unificazione
delle procedure di collocamento attraverso la soppressione delle discipline
specifiche di settore ad eccezione del collocamento dei disabili, della gente
di mare e dello spettacolo, caratterizzate da innegabili peculiarità che
consigliano il mantenimento di un separato regime;
g) abrogazione
di tutte le norme incompatibili con la nuova concezione del collocamento, ivi
inclusa la citata legge n. 264 del 1949, essendo evidentemente più opportuno
normare funditus la materia senza dar luogo a discipline rese di difficile
applicazione da semplici interventi novellatori, nonché in virtù della diversa
ratio che, come già esposto, deve ispirare i nuovi interventi che avverranno
sulla base della presente legge di delegazione.
Il Governo ritiene che occorra agire
affinché si fondi stabilmente un sistema maggiormente concorrenziale fra
pubblico e privato, consentendo di gestire anche in forma imprenditoriale
l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Appare urgente, a tale fine,
innanzitutto superare il vincolo dell’«oggetto esclusivo» e consentire
l’attività di operatori privati polifunzionali, variamente capitalizzati in
relazione ai servizi autorizzati ed opportunamente vigilati.
L’attuale normativa sulle agenzie
private di collocamento, a causa degli eccessivi appesantimenti burocratici che
la caratterizzano, è stata la causa principale dell’evidente insuccesso che
finora ha contrassegnato il ruolo degli operatori privati, con l’eccezione
delle società di lavoro temporaneo.
Il Governo considera allo stesso modo
necessario rivedere pienamente la normativa introdotta per regolare il ruolo
degli operatori privati impegnati nel lavoro temporaneo, nella ricerca e
selezione del personale, nel supporto alla ricollocazione professionale e, più
in generale, che si occupano a vario titolo della mediazione tra domanda e
offerta di lavoro. Il regime farraginoso e inutilmente complesso varato nella
scorsa legislatura appare di impossibile gestione ed il Governo ritiene si
debba pervenire ad un unico regime autorizzatorio per tutte le organizzazioni
private impegnate nel servizio di collocamento nel mercato del lavoro. Una
regolazione più semplice ed efficace consentirà, peraltro, un più deciso
contrasto di tutte le forme di abusivismo. Ugualmente, il Governo auspica che
venga impressa una decisa accelerazione alle misure che possano favorire la
diffusione di operatori privati polifunzionali dedicati ad un efficiente ed
equo incontro tra domanda e offerta.
Intermediazione di manodopera e ...
Per quanto riguarda in particolare il
sistema del collocamento privato e della somministrazione di manodopera, il
Parlamento, sul presupposto che appesantimenti burocratici e incertezza del
quadro normativo di riferimento sono due delle principali cause che hanno, da un
lato, impedito il decollo delle agenzie private di collocamento di cui
all’articolo 10 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e,
dall’altro lato, limitato le enormi potenzialità delle agenzie di lavoro
temporaneo nella prospettiva di una riattivazione del mercato del lavoro in
Italia, delega il Governo a dare corso a una semplificazione del regime
autorizzatorio e dei relativi oneri amministrativi e finanziari mediante:
a) la previsione
di un unico regime autorizzatorio per tutte le organizzazioni private impegnate
nel servizio del collocamento del mercato del lavoro, graduato in funzione del
tipo di attività o servizio svolto e comprensivo delle ipotesi di trasferimento
della autorizzazione. Una regolazione più semplice ed efficace consentirà, tra
l’altro, un più deciso contrasto di tutte le forme di abusivismo:
b) il
superamento dell’attuale regime di esclusività dell’oggetto sociale rispetto
sia alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo e sia alla
intermediazione tra domanda e offerta di lavoro;
c) la
ridefinizione dell’attuale regime del trattamento dei dati relativi
all’incontro domanda e offerta di lavoro che oggi è sottoposto a sistemi
autorizzativi e vincoli che vanno ben oltre la necessità di validare economicamente
le agenzie di intermediazione e somministrazione di manodopera;
d) una
semplificazione delle procedure di autorizzazione al lavoro dei cittadini non
comunitari da compiere attraverso un potenziamento del coordinamento tra
disposizioni in materia di lavoro degli extracomunitari e disposizioni in
materia di incontro e domanda e offerta di lavoro.
In questa prospettiva, al fine di
assicurare una ottimizzazione del ruolo degli intermediari privati, il Governo
è altresì delegato al riordino di tutta la disciplina dell’incontro tra domanda
e offerta di lavoro in un colpo normativo unitario, con contestuale abrogazione
della normativa previgente anche al fine di superare le numerose antinomie
normative.
... relativo regime autorizzatorio
Al fine di favorire l’incontro di
domanda e offerta di lavoro nonché di aprire il mercato della mediazione
privata alle imprese di fornitura di lavoro temporaneo, occorre superare
l’attuale divieto posto dalla norma citata, prevedendo espressamente che esse
possano, in presenza dei requisiti stabiliti dall’articolo 10 del decreto
legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, modificato dall’articolo 117
della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il
2001), svolgere anche le attività di mediazione nonché di ricerca, selezione e
di supporto alla ricollocazione professionale. Poiché l’articolo 10 appena
citato prevede tuttavia l’esclusività dell’oggetto sociale anche per le imprese
che attualmente svolgono mediazione, ricerca e selezione o supporto alla
ricollocazione professionale, anche tale disposizione deve essere rivista
nell’ambito di un disegno riformatore che riconduca ad un unico sistema
autorizzatorio l’intervento dei privati nella mediazione tra domanda e offerta
di lavoro. Una riforma in tal senso equiparerà la disciplina italiana a quella
già vigente in Germania, nel Regno Unito e nei Paesi Bassi.
Le rigidità nell’utilizzo della
forza-lavoro introdotte dalla legge 23 ottobre 1960, n. 1369, del
resto, non trovano pari nella legislazione degli altri paesi e penalizzano la
posizione delle aziende italiane nel confronto globalizzato. Pratiche di
outsourcing, ampiamente diffuse in altri contesti (ad esempio negli Stati Uniti
e in Gran Bretagna), sono in Italia tuttora vietate. Il riferimento è, in
particolare, all’istituto del cosiddetto leasing di manodopera: una tecnica
innovativa di gestione del personale imperniata su rapporti con agenzie
specializzate nella fornitura «a carattere continuativo e a tempo
indeterminato» (e non a termine, come nel lavoro interinale) di parte della forza-lavoro
di cui l’azienda ha bisogno per alimentare il processo produttivo. Agenzie, è
bene precisare, che opererebbero in forme sicuramente più trasparenti e con
maggiori tutele, di legge e di contratto collettivo, di quanto non accada oggi
per effetto di vincoli soffocanti.
Anche rispetto ai processi di
esternalizzazione del lavoro il Governo reputa dunque necessario avviare un
percorso di riforma complessiva della materia, di modo che le istanze di tutela
del lavoro, che devono essere mantenute rispetto a forme di speculazione
parassitaria sul lavoro altrui, non pregiudichino la modernizzazione dei
meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro.
Nella consapevolezza che una abrogazione
pura e semplice delle leggi n. 264 del 1949 e n. 1369 del
1960 è una strada non praticabile in quanto ciò renderebbe superfluo il regime
autorizzatorio per gli intermediari privati, con pregiudizio sia delle esigenze
di tutela del lavoro sia dell’interesse pubblico a che le agenzie private
operino in forma genuinamente imprenditoriale e senza scopo di speculazione del
lavoro altrui, la delega di cui al presente disegno di legge è finalizzata a
realizzare una riconsiderazione sostanziale ed evolutiva dei divieti di speculazione
sul lavoro altrui volta ad affermare e/o precisare:
a) in materia di
collocamento: il divieto generale di mediazione privata in assenza di apposita
autorizzazione/accreditamento;
b) in materia di
ruolo dei privati nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro: superamento
dell’oggetto sociale esclusivo sia delle imprese di fornitura di prestazioni di
lavoro temporaneo di cui alla legge 24 giugno 1997, n. 196, articolo
2, sia delle agenzie private di collocamento previste dall’articolo 10, comma
2, del decreto legislativo n. 469 del 1997, garantendo il necessario
periodo transitorio di graduale adeguamento per le società già costituite, al
fine di non accollare loro oneri che potrebbero comprometterne la stessa
sopravvivenza sul mercato;
c) in materia di
regime autorizzatorio degli intermediari privati: valutazione della natura
giuridica dei soggetti richiedenti l’autorizzazione a svolgere
l’intermediazione tra domanda e offerta, con particolare riferimento a quelli
non svolgenti attività a fine di lucro, per cui la totalità degli intermediari
dovrà essere ricompresa nel nuovo regime, ancorchè si debba tener conto del
caso particolare in cui siano associazioni non riconosciute (rappresentative
dei datori o prestatori di lavoro, anche nell’ipotesi in cui sia stato
costituito un ente bilaterale) a svolgere per i propri iscritti tale genere di
attività;
d) in materia di
lavoro temporaneo: questa tipologia sarà utilizzata per promuovere
l’integrazione occupazionale di soggetti a rischio di esclusione sociale e
verrà altresì previsto il divieto di somministrazione di manodopera in assenza
di apposita autorizzazione/accreditamento, ma con contestuale allargamento
della fattispecie da utilizzare non solo in presenza di ragioni di carattere
temporaneo tipizzate dal legislatore o dalla contrattazione collettiva, ma
anche per situazioni strutturali, purché giustificate da ragioni tecniche,
organizzative e produttive (allargando così le ipotesi di ricorso alla
fattispecie fino a ricomprendere lo staff leasing, e cioè la somministrazione
di manodopera a tempo indeterminato in presenza di ragioni di carattere
tecnico, produttivo od organizzativo);
e) in materia di
somministrazione di lavoro altrui: i criteri di distinzione tra appalto e
interposizione, ridefinendo contestualmente i casi di interposizione illeciti
(non più in termini meramente regolatori, ma in assenza di ragioni tecniche,
organizzative o produttive ovvero in relazione alla lesione di diritti
inderogabili di legge o di contratto collettivo del prestatore di lavoro);
f) il regime
della solidarietà tra fornitore e utilizzatore in caso di somministrazione di
lavoro altrui;
g) in
particolare, con riferimento alla somministrazione di manodopera la delega
prevede:
– la
definizione di un corpo normativo inderogabile minimo, applicabile a tutti i
rapporti di lavoro, al di là della qualificazione del contratto e delle
modalità concrete di esecuzione del lavoro (ivi comprese le tipologie di somministrazione
di lavoro, di staff leasing e i contratti di appalto);
– conferma
di un regime sanzionatorio civilistico e penalistico per le forme di
speculazione parassitaria sul lavoro altrui;
– aggiornamento
degli indici legali di distinzione tra interposizione illecita e appalto di
manodopera;
– il
rinvio a un meccanismo certificatorio ai fini della distinzione pratica tra
interposizione illecita e appalto genuino, sulla base di una griglia di indici
e codici di comportamento elaborati in sede di enti bilaterali ovvero
amministrativa, secondo il modello certificatorio previsto al comma 10.
La delega prevede infine una revisione
dell’articolo 2112 del codice civile, così come modificato dal decreto
legislativo n. 18 del 2001, in tema di trasferimento di azienda,
affinchè anche questo profilo dei processi di esternalizzazione venga disciplinato
conformemente alla ratio complessiva del presente provvedimento, con
particolare riguardo all’eterogenesi dei fini stessi dell’articolo 2112 del
codice civile e l’irrilevanza del consenso del lavoratore ceduto ed alla
penalizzazione discendente dal requisito della «autonomia funzionale
preesistente». In particolare essa deve essere basata sui seguenti criteri
direttivi: 1) eliminazione del requisito dell’autonomia funzionale del ramo di
azienda preesistente al trasferimento; 2) previsione di un regime particolare
per le ipotesi in cui il contratto di appalto sia connesso ad una cessione di
ramo di azienda, stabilendo in tale caso una solidarietà tra appaltante e
appaltatore.
Appare consigliabile riordinare la
complessa normativa che risulterà dal successivo intervento di normazione
secondaria all’interno di un testo unico dedicato complessivamente all’incontro
fra domanda e offerta di lavoro.
Incentivi finanziari all’occupazione
L’articolo 2 contiene la delega al
Governo, da esercitare entro il termine di un anno dalla data di entrata in
vigore della legge, per ridefinire, nel rispetto degli orientamenti annuali
della Unione europea in materia di occupazione e nel quadro dei provvedimenti
attuativi della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, il
sistema degli incentivi finanziari alla occupazione, ivi compresi quelli
relativi alla autoimprenditorialità e all’autoimpiego, in funzione della
realizzazione di un sistema organico di misure volte a favorire le capacità di
inserimento professionale dei soggetti privi di occupazione, dei disoccupati di
lungo periodo ovvero a rischio di esclusione sociale o comunque aventi una occupazione
di carattere precario e a bassa qualità, includendo in tale ambito anche i
soggetti a basso reddito.
La delega contempla, tra i criteri
direttivi:
a) la
razionalizzazione del sistema degli incentivi all’occupazione, di tipo finanziario
ma anche di altra natura così da ridisegnare l’attuale assetto collegato a sua
volta ad un contesto giuslavoristico caratterizzato da forti elementi di
rigidità, anche al fine di evitare sovrapposizioni e spreco di risorse
pubbliche, mediante la realizzazione di un regime generale avente al suo
interno articolazioni e graduazioni in connessione con le caratteristiche degli
interessati e con il grado di svantaggio occupazionale delle diverse aree
territoriali;
b)
l’articolazione delle misure di incentivazione finanziaria, anche in relazione
alla natura a tempo determinato o indeterminato del rapporto di lavoro,
agevolando la stabilizzazione attraverso la trasformazione di assunzioni a
termine in occupazioni stabili. Tali misure naturalmente possono comprendere
l’incentivazione anche delle forme di esperienze di lavoro come i tirocinii di
cui all’articolo 5, comma 1, lettera c) del presente disegno di legge;
c) la revisione
del sistema degli incentivi al ricorso a prestazioni di lavoro a tempo parziale
su base volontaria, anche attraverso la sperimentazione di forme di incentivazione
economica erogate direttamente al prestatore di lavoro, in modo da contribuire
a una maggiore diffusione della fattispecie e contribuire in questo modo
all’innalzamento del tasso di occupazione regolare nel nostro paese;
d) previsione di
un sistema di incentivi collegati alla corresponsione di emolumenti in
occasione di vertenze individuali di lavoro definite in sede arbitrale;
e) collegamento
delle misure d’incentivazione finanziaria con le politiche di sviluppo
territoriale e coordinamento tra la disciplina sulla verifica dello stato di
disoccupazione e delle relative sanzioni, quella sugli ammortizzatori sociali e
le azioni di inserimento. Le finalità perseguite concernono l’esigenza di
«attivare» i percettori di ammortizzatori sociali, di legare politiche attive e
politiche passive, di coniugare politiche del lavoro e politiche di sviluppo,
entrambe essenziali al fine di un rafforzamento delle prospettive di crescita
delle regioni svantaggiate, in primo luogo del Mezzogiorno;
f)
l’introduzione di meccanismi automatici di incentivazione a favore delle imprese
e dei lavoratori che investano in attività di formazione continua. Il ricorso a
meccanismi automatici in una logica di mercato dovrebbe, nello stimolare la
domanda, favorire un graduale adeguamento della struttura dell’offerta
formativa, troppo spesso ancora autoreferenziale e scollegata dalle esigenze
della domanda. Si prevede anche la possibilità di stabilire forme di sgravio
parziale dal contributo integrativo stabilito dall’articolo 25, quarto comma,
della legge 21 dicembre 1978, n. 845, rivedendone il finanziamento con
risorse disponibili e rivedendone le modalità di utilizzazione in funzione
delle finalità formative.
La delega introduce per la prima volta
in questo comma una nuova espressione («contratti collettivi stipulati da
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente
rappresentative» sul piano locale/territoriale e nazionale) che si distingue da
quella preventivamente utilizzata («contratti collettivi stipulati dalle
associazioni...» e consimili) dove si faceva riferimento ad una pluralità di
parti sociali. Poiché tale locuzione innovativa è utilizzata anche in altri
punti della presente delega, appare opportuno precisare che il riferimento è ad
intese che possano eventualmente essere sottoscritte non da tutte le
associazioni, dell’una e dell’altra parte, definibili come «comparativamente
rappresentative» (utilizzando una formula già da tempo introdotta
nell’ordinamento per evitare accordi o contratti stipulati da organizzazioni
sindacali non genuine o comunque di incerta rappresentatività), ma soltanto da
alcune di esse.
Tale previsione è finalizzata a garantire
certezza interpretativa al fenomeno degli «accordi separati», rafforzandone la
validità sulla base del principio del «reciproco riconoscimento», del tutto
fondamentale nel diritto delle obbligazioni e comunque affermato recentemente
anche in sede comunitaria. È appena il caso di sottolineare che la nuova
formula legislativa introdotta non pregiudica accordi raggiunti tra tutte le
organizzazioni definibili come «comparativamente rappresentative», evitando
soltanto il più possibile controversie interpretative con riferimento ai
risultati dell’attività negoziale così conclusa.
Il riferimento al livello nazionale ed a
quello territoriale della contrattazione collettiva altro non costituisce se
non il riconoscimento legislativo di una tendenza da tempo affermata dalle
parti sociali di decentrare, almeno in parte, la loro attività negoziale,
ancorandola più direttamente al territorio.
Ammortizzatori sociali
L’articolo 3 contiene la delega al
Governo, da esercitare entro il termine di un anno dalla data di entrata in
vigore della legge, per ridefinire la disciplina vigente in materia di
ammortizzatori sociali e strumenti a sostegno del reddito a base assicurativa o
a totale carico delle imprese, senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello
Stato. L’obiettivo è quello di realizzare l’integrazione tra ammortizzatori
sociali e interventi formativi, prevedendo forme di formazione/orientamento per
i beneficiari degli ammortizzatori sociali. Peraltro, deve essere salvaguardato
tanto il principio di omogeneità nelle regole dei diversi trattamenti, quanto
il principio di differenziazioni tra comparti e settori in corrispondenza di
schemi addizionali totalmente autofinanziati. Il riferimento ad un primo
riordino chiarisce come, alla luce dell’obiettivo di assicurare un graduale
calo della pressione fiscale e contributiva sul lavoro, il passaggio dal
tradizionale sistema di ammortizzatori sociali ad un sistema più esteso dovrà
essere predisposto gradualmente in relazione non solo ai maggiori oneri a
carico del bilancio dello Stato ma anche alla rivisitazione degli attuali
ammortizzatori sociali e schemi di integrazione al reddito, anche esaminando i
risultati di esperimenti quali il reddito minimo di inserimento, che inducono a
doverosa cautela.
La delega fa riferimento ai seguenti
princìpi:
a) revisione del
sistema delle tutele in caso di disoccupazione e in costanza di rapporto di
lavoro, avuto riguardo alle tipologie di trattamento su base assicurativa e a
quelle su base solidaristica, alle condizioni di ammissibilità al trattamento,
alla intensità, durata e al profilo temporale dei trattamenti. In tale quadro
ridefinizione delle soglie di lavoro che danno diritto alle indennità di
disoccupazione con requisiti ridotti;
b) assetto
proattivo delle tutele in modo da non disincentivare il lavoro e ridurre per
quanto possibile la permanenza nella condizione di disoccupato ed il lavoro non
dichiarato. In questo quadro definizione delle condizioni soggettive per la
continuità nel godimento delle prestazioni erogate dagli ammortizzatori
sociali, legandole alla condizione di ricerca attiva del lavoro da parte del
disoccupato, alla sua disponibilità ad accettare offerte di lavoro o a
partecipare ad interventi formativi o a progetti proposti dalle strutture pubbliche
per l’impiego nell’esercizio delle funzioni loro assegnate, nel senso della
Strategia europea per l’occupazione;
c)
razionalizzazione del sistema delle aliquote preordinate al finanziamento del
sistema degli ammortizzatori sociali, avendo presente gli obiettivi di
trasparenza, semplificazione, omogeneizzazione dei criteri di inquadramento
delle aziende e di ripartizione del carico contributivo tra datori di lavoro,
lavoratori e Stato; possibilità di scegliere differenti basi imponibili per il
calcolo dei contributi e di introdurre disincentivi e penalizzazioni;
d) estensione
delle tutele a settori e situazioni attualmente non coperti, in modo da tener
conto delle specificità e delle esigenze dei diversi contesti sulla base delle
priorità individuate in sede contrattuale o a seguito di specifiche intese tra
le parti sociali interessate;
e) ridefinizione
dei criteri per l’attribuzione della contribuzione figurativa per le diverse
tipologie di soggetti e situazioni;
f) semplificazione
dei procedimenti autorizzatori, anche mediante interventi di delegificazione,
garantendo flessibilità nella gestione delle crisi e assicurando una gestione
quanto più possibile anticipatrice;
g) adozione, in
favore dei lavoratori interessati da processi di riorganizzazione e/o
ristrutturazione aziendale, di interventi formativi nell’ambito di piani di reinserimento,
definiti in sede aziendale o territoriale da associazioni rappresentative dei
datori e prestatori di lavoro comparativamente rappresentative, anche
utilizzando i fondi di cui all’articolo 118 della legge 23 dicembre 2000,
n. 388;
h) monitoraggio
dell’offerta formativa delle regioni rivolta ai soggetti in condizione di
temporanea disoccupazione, al fine di garantire agli stessi prestazioni corrispondenti
agli impegni assunti in sede di Unione europea per la definizione dei Piani
nazionali per l’occupazione.
Agenzie tecniche strumentali
L’articolo 4 contiene la delega al
Governo per procedere, con norme anche di natura interpretativa, entro un anno
dall’entrata in vigore della legge, al riordino complessivo degli organi e
strumenti di analisi e monitoraggio dei fenomeni di esclusione sociale e di
funzionamento del mercato del lavoro. In quest’ambito si prevede il riordino e
la ridefinizione delle funzioni dell’Istituto per lo sviluppo della formazione
professionale dei lavoratori (ISFOL) e Italia Lavoro spa in quanto sono agenzie
tecnico-strumentali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di cui
il Governo, le regioni e gli enti locali possono avvalersi per il perseguimento
delle finalità proprie delle politiche attive del lavoro.
L’adattabilità: flessibilità e formazione nel rapporto di lavoro
Il Governo italiano condivide pienamente
la affermazione della Commissione europea secondo cui è necessario procedere
organicamente ad una modernizzazione dell’organizzazione e dei rapporti di
lavoro, così come espressa nel Libro Verde Partnership for a new organisation
of work (COM/97/128) e quindi nella Comunicazione Modernising the organisation
of work – a positive approach to change (COM/98/592). Tale posizione si è poi
consolidata all’interno delle «linee guida sull’occupazione» nel quadro del
processo di Lussemburgo, dove è stato individuato un pilastro apposito, quello
della «adattabilità» che impone agli Stati membri obblighi molto precisi.
Giova ricordare in proposito che la
“linea guida“ 14 dell’allegato alla proposta di decisione del Consiglio
relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore
dell’occupazione per il 2002 (CNS 2001/208) prevede che «gli Stati membri, se
del caso insieme con le parti sociali o sulla scorta di accordi negoziati da
queste ultime:
– esamineranno
il quadro normativo esistente e vaglieranno proposte relative a nuovi
provvedimenti e incentivi per assicurarsi che essi contribuiscano a ridurre gli
ostacoli all’occupazione, ad agevolare l’introduzione di un’organizzazione del
lavoro moderna e ad aiutare il mercato del lavoro ad adeguarsi ai mutamenti strutturali
in campo economico;
– al tempo
stesso, tenendo in considerazione la crescente diversificazione delle forme di
lavoro, esamineranno la possibilità di contemplare nella normativa nazionale
tipologie contrattuali più flessibili e faranno in modo che coloro che lavorano
con nuovi contratti di tipo flessibile godano di una sicurezza adeguata e di
una posizione occupazionale più elevata, compatibili con le esigenze delle
aziende e le aspirazioni dei lavoratori (...)».
È bene tenere presente inoltre che la
“linea guida“ 15 del citato allegato tratta della necessità di sostenere
l’adattabilità nelle aziende nell’ambito dell’apprendimento lungo tutto l’arco
della vita. A tal proposito si prevede che:
– «le parti
sociali, a tutti i livelli appropriati, sono invitate, se del caso, a
concludere accordi sull’apprendimento lungo tutto l’arco della vita al fine di
agevolare l’adattabilità e l’innovazione, in particolare nel campo delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione. In tale contesto dovrebbero
essere poste le condizioni per offrire entro il 2003 a ogni lavoratore
un’opportunità di apprendere le tecniche della società dell’informazione».
Per quanto attiene alla sua diretta
responsabilità il Governo dichiara di considerare urgente predisporre misure di
modernizzazione, auspicabilmente concordate con le parti sociali, anche al fine
di facilitare la transizione verso un’economia fondata sulla conoscenza, così
come sottolineato dalle conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona. Del
resto, la stessa «Agenda di Politica Sociale», concordata al Consiglio europeo
di Nizza, insiste sull’importanza di adattare la regolazione dei rapporti e dei
mercati del lavoro al fine di creare un opportuno equilibrio tra flessibilità e
sicurezza, invitando apertamente le parti sociali a continuare nel loro dialogo
sull’organizzazione del lavoro ed in particolare sulle nuove forme di
occupazione.
Non è certo revocabile il dubbio che il
progresso tecnologico così come i mutamenti nelle condizioni di mercato
abbiano, negli ultimi decenni, modificato profondamente l’ambiente nel quale le
imprese si trovano ad operare. Si è così determinata una crescente necessità di
reagire con maggiore flessibilità ai cambiamenti sul fronte dell’offerta e
della domanda, mentre gli sviluppi tecnologici hanno consentito alle imprese di
introdurre modalità nuove e più flessibili nell’organizzazione dei processi
produttivi. Al fine di trarre pieno vantaggio da questo potenziale evolutivo,
appare evidente – nella valutazione delle autorità comunitarie, del tutto
condivisa dal Governo italiano – la necessità di adattare il presente quadro
regolatorio, legislativo e contrattuale, a queste nuove circostanze. L’attuale
quadro regolatorio riflette, infatti, un’organizzazione del lavoro oggi
completamente superata.
Part-time
Per quanto riguarda in particolare il
contesto italiano, la modernizzazione dell’ordinamento giuridico e contrattuale
del lavoro è inoltre da considerarsi componente essenziale di una politica che
intende contrastare il preoccupante fenomeno del lavoro non dichiarato e
clandestino. Nella passata legislatura sono stati realizzati interventi
importanti (ad esempio la legge 24 giugno 1997, n. 196, il cosidetto
«Pacchetto Treu») ma ancora del tutto insufficienti. Si è proceduto tuttavia
troppo lentamente, scontando pregiudiziali ideologiche incompatibili con gli
orientamenti comunitari richiamati. Il Governo è determinato a realizzare le
riforme concordate a livello comunitario, nella convinzione che la necessità di
rivedere l’assetto istituzionale preposto alla regolazione dei rapporti e dei
mercati del lavoro non possa ulteriormente essere rinviata.
Per quanto riguarda il part-time, è bene
ricordare come questa tipologia contrattuale, largamente valorizzata negli
orientamenti comunitari, pure conoscendo negli ultimi tempi un netto
incremento, venga ancora utilizzata in una misura ridotta rispetto agli altri
paesi comunitari. In Europa usano il part-time meno di noi solo Spagna e
Grecia, paesi ai quali ci accomuna anche una quota ridottissima (meno dell’8
per cento) di lavoratori anziani (fra i 55 e i 64 anni) occupati con questa
forma contrattuale, così da poter favorire l’ingresso di giovani nel mercato
del lavoro, uscendone loro stessi con gradualità.
L’esperienza comparata è assai
significativa quanto soprattutto alle tecniche incentivanti utilizzate per
incoraggiare la stipulazione di contratti a tempo parziale. La Francia, al pari
dell’Italia, rappresenta un caso dove gli incentivi di natura contributiva sono
vanificati nella loro finalità promozionale a causa di una disciplina legislativa
e regolamentare del tutto disincentivante. Invece in Germania tra gli incentivi
di natura normativa è bene ricordare che fin dal 1985 le imprese con meno di 5
dipendenti sono esentate dall’applicazione della normativa sui licenziamenti
illegittimi e nel computo di questo campo di applicazione rientrano soltanto i
prestatori che lavorano un minimo di 10 ore settimanali o di 45 ore mensili.
Sulla falsariga dell’esperienza olandese, è ora riconosciuto al lavoratore
tedesco con anzianità di servizio di almeno sei mesi il diritto di ridurre
l’orario di lavoro settimanale, salvo motivate ragioni aziendali. Ancor più
significativo è il fatto che in Germania il datore ed il prestatore di lavoro
possono concordare che quest’ultimo esegua la propria prestazione di lavoro a seconda
delle necessità (cosiddetto lavoro a chiamata o a richiesta). Nei Paesi Bassi
non esistono limiti al ricorso al lavoro a chiamata, anche perché questo non
viene considerato dall’ordinamento alla stregua di un vero e proprio contratto
di lavoro subordinato.
Anche in Spagna ci si è resi conto
dell’insufficienza di incentivi economici non collegati a quelli di natura
normativa e con la riforma del 2001 sono stati significativamente ampliati gli
spazi di ricorso al lavoro supplementare, flessibilizzando anche la
distribuzione dell’orario concordato. Vale la pena ricordare infine che nel
Regno Unito non esistono limiti di sorta né al lavoro a chiamata, né al lavoro
supplementare.
In Italia l’attuazione della direttiva
97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, sul lavoro a tempo parziale, ad
opera del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, e del decreto
legislativo 26 febbraio 2001, n. 100, costituisce, ad avviso del Governo,
un esempio di trasposizione non rispettosa della volontà delle parti sociali a
livello comunitario, confermata dalla suddetta direttiva. Mentre, infatti, la
direttiva stessa invita gli Stati membri a rimuovere gli ostacoli che si
frappongono alla piena utilizzazione di questa tipologia contrattuale in una
logica di promozione dell’occupazione, i decreti emanati nel corso della
passata legislatura introducono nuovi vincoli e pertanto tradiscono l’intento
promozionale del legislatore comunitario.
Da questo punto di vista, il decreto
legislativo n. 100 del 2001 rappresenta senza dubbio un’ulteriore
occasione mancata per rimuovere le incongruenze del quadro legale scaturito dal
decreto legislativo n. 61 del 2000. Inutili appesantimenti burocratici
mortificano l’autonomia individuale delle parti. Soprattutto i vincoli
legislativamente imposti a quelle che il legislatore chiama impropriamente
«clausole elastiche» (mentre in realtà si tratta di «clausole flessibili»,
relative cioè alla collocazione temporale della prestazione lavorativa ad
orario ridotto e non alla sua estensione) costituiscono un vulnus all’autonomia
delle parti sociali ed a quella dei soggetti titolari dei rapporti di lavoro,
trattati con ingiustificata subalternità dal legislatore. Occorre rivedere
prontamente tale disciplina, restituendo alla contrattazione collettiva ed alle
pattuizioni individuali piena operatività.
Con particolare riferimento al tema
delle «clausole elastiche», il decreto legislativo n. 100 del 2001 ha
mantenuto sostanzialmente inalterata la struttura di base del decreto
legislativo n. 61 del 2000, che pure dichiarava di voler modificare. In
particolare sopravvivono sostanzialmente due vincoli che rendono questo
strumento ben poco utilizzabile in pratica. Anzitutto la contrattazione
collettiva può prevedere clausole elastiche «in ordine alla sola collocazione
temporale della prestazione lavorativa», introducendo quindi un elemento di
rigidità in un istituto che invece potrebbe, se inteso con la necessaria
flessibilità, contribuire a regolarizzare numerose forme di lavoro prestato con
intermittenza e non suscettibile di esatta predeterminazione dalle parti. Il legislatore
rivela in proposito un’ispirazione vincolistica davvero non condivisibile e non
si vede perché le parti, a livello individuale, non possano accordarsi anche
sulla elasticità della durata della prestazione dedotta in contratto e non già
soltanto sulla flessibilità della collocazione temporale, peraltro penalizzata
da vincoli di preavviso assai rigorosi. Il Governo ritiene che possa essere
richiesto al datore di lavoro di specificare nel contratto le ragioni di natura
tecnica, organizzativa o produttiva che rendono necessaria la natura elastica
della prestazione, senza dar luogo ad ulteriori limiti o impedimenti ad opera
della legge, così da non comprimere inutilmente l’autonomia contrattuale delle
parti. Appare coerente in proposito confermare l’obbligo del prestatore di
lavoro di onorare il patto volontariamente stipulato per una prestazione di
lavoro ad orario parziale secondo la formula delle clausole elastiche.
Altri ancora sono gli aspetti in
relazione ai quali il legislatore nazionale ha disatteso alcune prescrizioni
della direttiva comunitaria. È sufficiente in questa sede ricordare la mancata
esclusione dei lavoratori occasionali, nonché la disciplina del diritto di
precedenza dei lavoratori che hanno trasformato il rapporto da full-time a
part-time in caso di nuove assunzioni a tempo pieno da parte del datore di lavoro,
ben più temperata nella direttiva («per quanto possibile, i datori di lavoro
dovrebbero prendere in considerazione...») che nel testo legislativo italiano,
la cui assolutezza rischia peraltro di innescare ampi spazi di contenzioso.
Occorre anche ricordare che il testo della direttiva scoraggia il ricorso al
lavoro supplementare, vanificato dalla previsione del diritto di rifiuto, dal
diritto al consolidamento e dalle maggiorazioni previste per legge.
Da ultimo è bene ricordare che le misure
legislative, finora emanate con lo scopo di incentivare il ricorso al lavoro a
tempo parziale, sotto l’aspetto previdenziale si sono dimostrate assolutamente
inefficaci. In particolare, l’elemento che ha inciso negativamente sulle
finalità incentivanti è l’aver collegato i benefici contributivi – come ha
fatto il decreto ministeriale 12 aprile 2000, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 128 del 3 giugno 2000, in attuazione del disposto del decreto
legislativo n. 61 del 2000 – solo alla stipula di part-time ad incremento
della base occupazionale. Una conferma della inadeguatezza della scelta
legislativa è data dallo scarsissimo impiego delle risorse finanziarie,
stanziate dalla legge e già esigue di per sè stesse.
Un reale ed efficace impulso
all’attivazione di contratti di tale tipologia può, invece, derivare da
soluzioni più flessibili, tali da valorizzare convenientemente i benefici
contributivi accordati, con particolare riferimento anche alla stipula di
contratti a tempo parziale in favore di particolari categorie di lavoratori,
considerate svantaggiate ai fini dell’inserimento o reinserimento nel mercato
del lavoro (giovani disoccupati, pensionati, lavoratori nel ciclo conclusivo
della propria vita lavorativa, che riprendono il lavoro dopo un periodo di inattività).
Tipologie contrattuali innovative
Il Governo ritiene utile introdurre nel
nostro ordinamento una nuova tipologia contrattuale definibile come «lavoro
intermittente» (altrimenti detto «a chiamata»), al fine di contrastare tecniche
fraudolente o addirittura apertamente contra legem, spesso gestite con il
concorso di intermediari e caporali. Forme di lavoro intermittente o a
chiamata, consistenti cioè in prestazioni svolte con discontinuità pur
nell’ambito dell’aspettativa datoriale di poter contare sulla disponibilità del
prestatore, quindi nell’ambito dello schema nagoziale del lavoro subordinato,
sono assai diffuse naturalmente nel mercato del lavoro nero, ma anche molti
lavoratori titolari di partita IVA ovvero inquadrati come parasubordinati
costituiscono di fatto altrettante fattispecie di job on call (stand-by
workers) di cui brulica soprattutto il terziario. Si tratta di elementi
distorsivi della stessa competizione corretta tra imprese che contrastano con
un’impostazione volta a modernizzare le regole del nostro mercato del lavoro.
Appare opportuno un intervento
legislativo che consenta di inquadrare questo fenomeno non tanto come
sottospecie del part-time, bensì come ideale sviluppo del lavoro temporaneo
tramite agenzia, da inquadrarsi non necessariamente nello schema del lavoro subordinato.
La versione più persuasiva è senz’altro quella olandese che imposta appunto il
lavoro intermittente o a chiamata come una forma contrattuale che a fronte
della disponibilità del prestatore a rendersi disponibile alla prestazione,
prevede la corresponsione a carico del datore di lavoro di una «indennità di
disponibilità», similmente a quanto accade nell’ipotesi di lavoro interinale.
Le proposte discusse nel corso della
passata legislatura con riferimento alle collaborazioni coordinate e
continuative suscitano, ad avviso del Governo, profonde perplessità di metodo e
di merito. È bene, infatti, non dimenticare che la cosiddetta parasubordinazione
appartiene pur sempre all’area del lavoro autonomo e, almeno in certi casi,
della auto-imprenditorialità (non si tratta quindi di un tertium genus,
ibridamente collocato in una grigia zona di frontiera, intermedia fra lavoro
autonomo e subordinato) e come tale deve essere trattata. Del resto le parti
sociali si stanno esercitando in una prima fase negoziale che occorre seguire
con interesse nel suo sviluppo, senza quindi precostituire in sede legislativa
soluzioni che finirebbero per mortificare l’autonomia contrattuale.
Sembra invece utile coltivare un’iniziativa legislativa
limitatamente alla identificazione e regolazione di fattispecie particolarmente
diffuse, specialmente ma non esclusivamente nel terziario, comunque
riconducibile all’area dell’articolo 409, primo comma, n. 3, del codice di
procedura civile. Il Governo ritiene infatti che sia necessario evitare
l’utilizzazione delle «collaborazioni coordinate e continuative» in funzione
elusiva o frodatoria della legislazione posta a tutela del lavoro subordinato,
ricorrendo a questa tipologia contrattuale al fine di realizzare spazi anomali
nella gestione flessibile delle risorse umane. Dovranno essere ricondotti a
questa tipologia i rapporti in base ai quali il lavoratore assume stabilmente,
senza vincolo di subordinazione, l’incarico di eseguire, con lavoro
prevalentemente od esclusivamente proprio, un progetto o un programma di
lavoro, o una fase di esso, concordando direttamente con il committente le
modalità di esecuzione, la durata, i criteri ed i tempi di corresponsione del
compenso.
In sintesi, si tratta di conferire
riconoscimento giuridico ad una tendenza che si è rivelata visibile con il
passare degli anni, soprattutto in ragione della terziarizzazione
dell’economia, quella appunto di lavorare a progetto. Si rintracciano sovente caratteristiche
di coordinamento e continuità nella prestazione, ma pur sempre in un ambiente
di autonomia organizzativa, circostanze che reclamano un’apposita
configurazione. Il che non significa affatto propendere per un intervento
legislativo «pesante»: al contrario, la tipizzazione di questa forma
contrattuale è finalizzata ad assicurare il conveniente esercizio
dell’autonomia contrattuale delle parti. Ancorché si richieda la forma scritta,
il compenso corrisposto dovrà essere proporzionato alla quantità e qualità del
lavoro eseguito, tenendo conto dei compensi normalmente corrisposti per
prestazioni analoghe nel luogo di esecuzione del rapporto, salva la previsione
di accordi economici collettivi.
La legge dovrebbe chiarire alcuni
diritti fondamentali. Ad esempio, qualora il progetto o programma consista in
un impegno orario personale superiore alle 24 ore settimanali, calcolate su una
media annuale, il collaboratore dovrebbe aver diritto in ogni caso ad una pausa
settimanale, di durata inferiore ad un giorno, nonché ad una pausa annuale,
comunque di durata non inferiore a due settimane, secondo modalità concordate
fra le parti. Tali pause non dovrebbero comportare alcuna corresponsione di
compensi aggiuntivi. Analoghe garanzie dovrebbero essere previste in caso di
malattia, gravidanza ed infortunio.
Sarà sufficiente in questa sede
precisare ancora che, in omaggio alle caratteristiche fattuali connaturate a
questi rapporti, la cessazione non potrà che avvenire al momento della
realizzazione del programma o del progetto o della fase di esso che ne costituisce
l’oggetto, salva diversa volontà espressa dalle parti nel contratto scritto.
Contratti di lavoro a finalità formativa
L’articolo 5 contiene la delega al
Governo, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da
esercitare entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della
legge, per la revisione e razionalizzazione dei rapporti di lavoro con
contenuto formativo, nel rispetto dei princìpi e delle regole della Unione europea
in materia di aiuti di Stato alla occupazione. Sul presupposto che gli
obiettivi di cui all’articolo 16 della citata legge n. 196 del 1997 – che
prevedeva l’emanazione di norme regolamentari per disciplinare organicamente la
materia della formazione dei lavoratori – non sono ancora stati attuati, il
Parlamento autorizza il Governo al riordino dei contratti con finalità
formative sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) con riferimento ai
cosiddetti contratti a causa mista viene in particolare proposta una più
accentuata distinzione delle funzioni alle quali tali tipologie contrattuali
possono assolvere. In quest’ottica si prospetta una distinzione orientata, da
un lato, a valorizzare il ruolo dell’apprendistato come strumento formativo per
il mercato del lavoro nella prospettiva di una formazione superiore in
alternanza tale da garantire il raccordo tra i sistemi della istruzione, della
formazione e dell’orientamento, mentre il contratto di formazione e lavoro
viene concepito come strumento per realizzare un inserimento o un reinserimento
mirato del lavoratore in azienda, diretto cioè a realizzare un adeguamento
della professionalità posseduta dal lavoratore alle concrete esigenze
dell’impresa che lo assume;
b) per quanto
attiene al lavoro autonomo con caratteristiche di autoimprenditorialità, in
omaggio al secondo pilastro della strategia europea per l’occupazione (imprenditorialità)
si prevede una nuova ed originale forma di apprendistato e di tirocinio di
impresa al fine di consentire il subentro nell’attività stessa di impresa;
c) sul
presupposto della comprovata utilità di esperienze lavorative, quali i tirocini
con finalità formative e/o di orientamento, che non costituiscono per espressa
previsione di legge un rapporto di lavoro, e al fine di consolidare un
collegamento fra scuola/università e mondo dell’impresa, si procederà ad una
revisione delle misure di inserimento al lavoro mediante questo tipo di
esperienze da attuarsi attraverso una valorizzazione dello strumento
convenzionale tra le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2,
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sistema informativo e le
imprese. Per un utilizzo più mirato si propone altresì l’individuazione di una
durata variabile di tali rapporti, sulla base del livello di istruzione, delle
caratteristiche dell’attività lavorativa e del territorio di appartenenza;
d) orientamento
degli strumenti di formazione in alternanza, e dei relativi incentivi
economici, più sopra ricordati, nel senso di valorizzare l’inserimento o il
reinserimento al lavoro delle lavoratrici, al fine di superare il differenziale
occupazionale di genere.
Ai fini di questa delega, il Governo è
autorizzato a sperimentare:
a) forme di
incentivazione economica erogate direttamente ai prestatori di lavoro;
b) orientamenti,
linee-guida e codici di comportamento, al fine di determinare i contenuti
dell’attività formativa, concordati da associazioni dei datori e prestatori di
lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e territoriale,
anche all’interno di enti bilaterali, ovvero, in difetto di accordo,
determinati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Occorre sottolineare ancora che sarà la
contrattazione collettiva a determinare le modalità di attuazione dell’attività
formativa in azienda, contemperando le potenzialità di questa tecnica con
quella off the job. Verranno pertanto rimossi i limiti di legge a riguardo
lasciando le parti sociali del tutto libere di concordare le predette modalità,
anche all’interno degli enti bilaterali.
Per quanto
riguarda gli enti bilaterali, richiamati più volte nell’ambito della presente
delega, il Governo ritiene vadano adeguatamente sostenute forme che contribuiscono
a modernizzare, stabilizzandolo, il sistema di relazioni industriali,
espletando funzioni di mutualizzazione rispetto ad obblighi del datore di
lavoro (compiti tradizionali) ovvero anche di tipo autorizzativo e
certificatorio (compiti innovativi), a beneficio di una complessiva
regolarizzazione del mercato del lavoro.
Orario di lavoro
In seguito al ricorso proposto alla
Corte di giustizia delle Comunità europee l’Italia è stata condannata (assieme
alla Francia) per insufficiente adozione delle disposizioni di applicazione
della direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, concernente
taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (Causa C-386/98,
Commissione contro Repubblica dell’Italia, sentenza del 9 marzo 2000). La Commissione
europea ha avvertito che, non avendo ricevuto alcuna comunicazione delle misure
adottate in esecuzione della sentenza della Corte, queste procedure di
infrazione continuano in base all’articolo 228 del trattato CE. Il Governo
intende prontamente porre rimedio a questa persistente inottemperanza degli
obblighi comunitari, soprattutto in considerazione del fatto che già il 12
novembre 1997 le parti sociali avevano raggiunto un’intesa che avrebbe dovuto
favorire una tempestiva e completa trasposizione.
La mancata trasposizione di questa
direttiva europea sta, infatti, dando luogo a non pochi problemi interpretativi
(si pensi alla questione della esistenza o meno nel nostro ordinamento di un
unico limite settimanale alla durata normale dell’orario di lavoro ovvero di
due limiti concorrenti, uno giornaliero e l’altro settimanale).
L’implementazione della direttiva consentirebbe in particolare di superare
definitivamente alcune interpretazioni, tese a sminuire la riforma dell’orario
di lavoro delineata nell’articolo 13 della legge n. 196 del 1997, che
ancora oggi vorrebbero subordinare la possibilità di modulare l’orario di
lavoro su base settimanale, mensile o annuale al vincolo delle otto ore di
lavoro giornaliere come orario di lavoro normale. Occorrerà pertanto procedere
rapidamente a completare la trasposizione con riferimento alle disposizioni
riguardanti il riposo giornaliero, la pausa giornaliera e le ferie annuali.
L’articolo 6 contiene la delega al
Governo, da esercitare entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in
vigore della legge, per la trasposizione della citata direttiva comunitaria n.
93/104/CE, nel rispetto delle intese raggiunte dalle parti sociali nell’avviso
comune del 12 novembre 1997 e fermi restando gli effetti dei contratti
collettivi vigenti alla data di entrata in vigore della legge delegata.
Al fine di garantire una corretta e
integrale trasposizione della direttiva n. 93/104/CE il Governo, sentite le
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più
rappresentative, potrà apportare modifiche e integrazioni al decreto legislativo
26 novembre 1999, n. 532, in materia di lavoro notturno, e alla legge 27 novembre
1998, n. 409, di conversione del decreto-legge 29 settembre 1998, n. 335,
in materia di lavoro straordinario, nonché alle discipline vigenti per i
singoli settori interessati dalla normativa da attuare, con particolare
riferimento al commercio, turismo, pubblici esercizi e agricoltura. Poiché
infatti il precitato avviso comune non è stato firmato da organizzazioni
datoriali rappresentative di questi comparti, appare consigliabile approfondire
le loro specificità, verificando nel contempo, con particolare ma non esclusivo
riferimento a tali comparti, la congruità della normativa anticipatoria della
trasposizione intervenuta in materia di lavoro notturno e straordinario.
Contratti di lavoro a orario ridotto
L’articolo 7 contiene la delega al
Governo, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali da
esercitare entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della
legge, a riformare la disciplina del part-time al fine di promuoverne
l’utilizzo, quale tipologia contrattuale idonea a incrementare il tasso di
occupazione, soprattutto di particolari soggetti quali le donne e i giovani.
Sul presupposto che l’attuale disciplina
contiene rigidità non rispondenti alla logica promozionale indotta dalla
disciplina comunitaria, comprese le linee-guida della strategia europea per
l’occupazione, il Governo viene delegato dal Parlamento ad introdurre i
seguenti correttivi alla disciplina vigente:
a) agevolazione
del ricorso a prestazioni di lavoro supplementare nelle ipotesi di lavoro a
tempo parziale cosiddetto orizzontale, nei casi e secondo le modalità previste
da contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di
lavoro comparativamente rappresentative su scala nazionale e/o territoriale,
anche sulla base del consenso del lavoratore interessato in carenza dei
predetti contratti collettivi;
b) introduzione
della possibilità per il datore di lavoro, nelle ipotesi di lavoro a tempo
parziale cosiddetto verticale e misto, di variare, anche sulla base del
semplice consenso del lavoratore ove la contrattazione collettiva non disponga
a riguardo, nonchè a fronte di una maggiorazione retributiva, la durata della
prestazione lavorativa. Secondo l’attuale disciplina, infatti, il datore di
lavoro, soltanto sulla base di esplicita previsione del contratto collettivo di
riferimento, può solamente modificare la collocazione temporale della
prestazione di lavoro;
c) estensione
delle forme flessibili ed elastiche anche ai contratti a tempo parziale a tempo
indeterminato. L’attuale disciplina infatti nei confronti dei contratti a
termine prevede la possibilità di prevedere forme flessibili di part-time
esclusivamente nei casi di assunzioni per ragioni sostitutive, ciò che pare
contrastare ancora una volta con una elementare logica promozionale
dell’istituto in parola;
d) abrogazione
di ogni disposizione in contrasto con la logica di piena utilizzazione del
part-time, ancora presente nella normativa in parola, come il cosiddetto diritto
di ripensamento del prestatore di lavoro di accettare il regime ad orario
ridotto elastico, peraltro liberamente convenuto, in modo da pretendere di
ritornare all’orario predeterminato;
e)
generalizzazione del principio di computo pro rata temporis del lavoratore ad
orario ridotto, con riferimento al campo di applicazione del Titolo III della
legge 20 maggio 1970, n. 300;
f) integrale
estensione al settore agricolo del lavoro a tempo parziale, al fine di
promuovere l’utilizzazione di uno strumento utile per far riemergere quote di
lavoro non dichiarato altrimenti destinate a restare sommerse.
Orario di lavoro e nuovi contratti
L’articolo 8 contiene la delega al
Governo, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali da
esercitare entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della
legge, per l’introduzione e la razionalizzazione di particolari e specifiche
tipologie di lavoro a chiamata, temporaneo, coordinato e continuativo, occasionale,
accessorio e a prestazioni ripartite, volte a garantire l’adattabilità delle
imprese e dei loro lavoratori, secondo le indicazioni della strategia europea
per l’occupazione che (vedi orientamento 14 per il 2002) raccomanda «di
contemplare nella normativa nazionale tipologie contrattuali più flessibili»,
così che «coloro che lavorano con nuovi contratti di lavoro flessibili godano di
una sicurezza adeguata e di una posizione occupazionale più elevate,
compatibili con le esigenze delle aziende e le aspirazioni dei lavoratori»:
a) l’introduzione di una
tipologia contrattuale particolare denominata contratto di lavoro a chiamata,
rispetto al quale il prestatore si pone a disposizione di un datore di lavoro,
pubblico o privato, che ne può utilizzare la prestazione lavorativa, per il
soddisfacimento di esigenze di carattere occasionale, transitorio,
intermittente o discontinuo. Tale contratto può essere stipulato nelle ipotesi
previste dai contratti collettivi stipulati da associazioni sindacali
comparativamente più rappresentative su scala nazionale o, in via
provvisoriamente sostitutiva, nei casi indicati con decreto dal Ministero del
lavoro e delle politiche sociali. Anche in assenza di previsioni di contratto
collettivo o del Ministero del lavoro e delle politiche sociali si potrà ricorrere
alla suddetta tipologia (in via sperimentale) nei confronti di persone inoccupate
o disoccupate con meno di 25 anni di età ovvero da lavoratori con più di 45
anni di età che siano stati espulsi dal mercato del lavoro in funzione di
processi di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro e iscritti alle
liste di mobilità e di collocamento. In conformità con quanto disposto dalla
Corte costituzionale con sentenza n. 210 del 1992 in tema di lavoro a
chiamata, il lavoratore intermittente ha diritto a una cosiddetta indennità di
indisponibilità soltanto se è obbligato a rispondere alla chiamata, altrimenti
ha diritto a una retribuzione proporzionale al lavoro svolto: la delega
richiesta dal Governo al Parlamento comprende entrambe queste ipotesi,
ricorrenti rispettivamente nei Paesi Bassi ed in Spagna;
b) ricorso al
lavoro a tempo determinato e temporaneo tramite agenzia anche per soddisfare le
quote obbligatorie di assunzione di lavoratori disabili e appartenenti a
categorie assimilate, incentivandosi in tal modo il datore di lavoro con forme
meno onerose e vincolanti. Si prevede altresì la completa estensione al settore
agricolo del lavoro temporaneo tramite agenzia, con conseguente applicabilità
degli oneri contributivi di questo settore;
c)
individuazione, con riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative,
di criteri temporali di durata della prestazione e/o economici ai fini della
distinzione di detta fattispecie con forme di collaborazioni meramente
occasionali. Si vuole cioè ricondurre nell’alveo delle collaborazioni
coordinate e continuative tutte quelle forme di collaborazione che sono
caratterizzate da una lunga durata e/o da compensi di un certo rilievo. Si
propone altresì una speciale regolamentazione delle collaborazioni coordinate e
continuative: a) collegando il ricorso a tale tipologia a specifici progetti o
programmi concordati tra le parti, e b) prevedendo, anche nel quadro di intese
collettive, una serie di tutele a garanzia della dignità e sicurezza dei
collaboratori, nonchè c) disponendo un adeguato meccanismo di certificazione
dei contratti di lavoro, al fine di ridurre il contenzioso in materia di
qualificazione dei rapporti di lavoro in questione, ai sensi della procedura di
cui all’articolo 9;
d) ammissibilità
di prestazioni di lavoro occasionale e accessorio, in generale e con
particolare riferimento a opportunità di assistenza sociale, rese a favore di famiglie
e di enti con e senza fine di lucro, da disoccupati di lungo periodo, altri soggetti
a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro,
ovvero in procinto di uscirne. Tali prestazioni potranno essere regolarizzate attraverso
la tecnica di voucher o buoni corrispondenti a un certo ammontare di attività
lavorativa, ricorrendo ad adeguati meccanismi di certificazione dei rapporti de
quibus. È del tutto verosimile che anche con questa tecnica si potrà
incoraggiare l’occupazione sia di giovani studenti o casalinghe interessate ad
occupazioni del tutto saltuarie e di breve durata, sia soggetti vicini all’età
del pensionamento, ovvero già titolari del trattamento pensionistico, così da
introdurre una misura favorevole all’invecchiamento attivo della popolazione;
e) ammissibilità
di prestazioni ripartite fra due o più lavoratori (cosiddetto job sharing),
obbligati in solido nei confronti di un datore di lavoro, per l’esecuzione di
un’unica prestazione lavorativa, confermando un orientamento già espresso in
sede amministrativa dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali che è
stato poi sviluppato da numerosi contratti collettivi.
Procedure di certificazione
L’articolo 9 contiene la delega al
Governo, da esercitare entro il termine di un anno dalla data di entrata in
vigore della legge, per disciplinare una procedura di certificazione dei
rapporti di lavoro.
Tale sistema, del tutto innovativo per
l’esperienza italiana, prevede su base volontaria un meccanismo di
certificazione dei rapporti di lavoro e si basa su analoghe esperienze presenti
in altri paesi europei. Esso è volto a ridurre il contenzioso in materia di
qualificazione dei rapporti di lavoro garantendo maggiore certezza alle
qualificazioni convenzionali, purchè avvenute nell’ambito di enti bilaterali
costituiti a iniziativa di associazioni dei datori e prestatori di lavoro dei
lavoratori comparativamente rappresentative, ovvero ad opera della Direzione
provinciale del lavoro.
Il meccanismo di certificazione non
potrà certamente impedire al prestatore di ricorrere al giudice per contestare
la qualificazione del rapporto in relazione a modalità esecutive della
prestazione che eventualmente si discostino rispetto allo schema contrattuale
convenuto. Ed è addirittura superfluo ricordare l’insegnamento della Corte costituzionale
e della Corte di cassazione circa la non disponibilità ad opera delle parti del
tipo negoziale. Tuttavia, in caso di controversia sulla esatta qualificazione
del rapporto di lavoro posto in essere, l’autorità giudiziaria competente dovrà
tener conto anche del comportamento tenuto dalle parti in sede di
certificazione.
Si tratta dunque di un meccanismo finalizzato
a dare alle parti ausilio nella più precisa definizione del testo contrattuale,
potendo contare sul supporto fornito dall’ente bilaterale o dalla stessa
Direzione provinciale del lavoro anche a mezzo di codici di comportamento,
linee-guida, realizzate all’uopo in una logica di assistenza per favorire la
regolarizzazione dei rapporti.
Misure sperimentali per l’occupazione
Legislazione e contrattazione mantengono
come obiettivo centrale la conservazione del posto di lavoro piuttosto che la
mobilità del singolo nelle transizioni tra scuola e lavoro, tra non lavoro e
lavoro, tra lavoro e formazione, determinando in questo modo anche una
crescente divaricazione rispetto alle necessità delle imprese di forme flessibili
di adeguamento della manodopera. Peraltro il permanere di situazioni
occupazionali caratterizzate da un alto livello di tutela accanto a quelle, in
rapida diffusione anche grazie a recenti riforme (lavoro temporaneo, assunzioni
a termine), caratterizzate da rapporti di lavoro altamente flessibili, genera
nuove forme di segmentazione del mercato, contrastando gli effetti benefici
della liberalizzazione dei meccanismi di ingresso nel mondo del lavoro. Una
delle soluzioni potrebbe essere quella di una riforma «simmetrica» della
regolamentazione che si traduce in un duplice e contemporaneo intervento sulla
normativa relativa sia al contratto a tempo determinato, sia a quello a tempo indeterminato.
Ciò che rileva è rendere, tra l’altro, meno difficoltoso il passaggio a
condizioni di lavoro stabile per i lavoratori che iniziano il proprio percorso
con occupazioni temporanee ed eviterebbe possibili fenomeni di riduzione degli
investimenti in capitale umano.
Il Governo ritiene che alla nozione di
sicurezza data dall’inamovibilità del singolo rispetto al proprio posto di
lavoro occorra sostituire un concetto di sicurezza conferito dalla possibilità
di scelta effettiva nel mercato del lavoro. Non solo ma è davvero urgente
creare le condizioni perché si elevi la qualità della nostra occupazione, stimolando
maggiori investimenti in risorse umane assunte in forma stabile, a tutto
vantaggio di una crescente fidelizzazione, produttività, creatività e, quindi,
qualità, della stessa forza lavoro. Occorre dunque incentivare convenientemente
il ricorso al contratto di lavoro a tempo indeterminato, così da incrementarne
l’uso, evitando, nel contempo, che si diffondano forme di flessibilità in
entrata per aggirare i vincoli o comunque le tutele predisposte per la
flessibilità in uscita.
Il Governo dichiara a tale proposito di
riconoscersi pienamente nel principio del «licenziamento giustificato»,
peraltro ora solennemente proclamato nella Carta di Nizza dell’Unione europea.
Il modello sociale europeo deve certamente essere modernizzato ma non è
assolutamente revocabile in dubbio la regola fondamentale per cui atti
estintivi del rapporto di lavoro devono essere giustificati e motivati dal
datore di lavoro, nonché sottoposti eventualmente al vaglio di un’autorità
indipendente. Fin dal 1966 questa fondamentale acquisizione fa parte
dell’ordinamento giuridico italiano ed il Governo dichiara di ritenerla
definitivamente acquisita. Del pari deve ritenersi consolidato il regime
attuale in connessione con i divieti del licenziamento discriminatorio, del licenziamento
della lavoratrice in concomitanza con il suo matrimonio e del licenziamento in
caso di malattia o maternità, tutte ipotesi che restano completamente estranee
ad interventi di riforma.
È bene aver presente in proposito ancora
una volta l’esperienza comparata. In primo luogo, esistono Stati membri
dell’Unione in cui, in caso di licenziamento riconosciuto illegittimo il
lavoratore può pretendere unicamente il risarcimento del danno. Si tratta del
Belgio, della Danimarca, del Regno Unito, della Finlandia (dove il lavoratore
può tuttavia pretendere interventi di formazione, a carico del datore, che
conservino o migliorino la sua professionalità). Negli altri ordinamenti è
sempre prevista la possibilità di corrispondere un’indennità compensativa in
alternativa alla reintegrazione nel posto di lavoro. Così in Francia dove il
datore non è tenuto a dar corso all’ordine di reintegrazione del conseil des
prud’hommes, potendo liberarsi corrispondendo un’indennità sostitutiva fino ad
un massimo di 39 settimane di retribuzione. Stesso regime vige in Germania
(dove tuttavia il datore di lavoro ha l’onere di motivare le ragioni che
rendono impraticabile la reintegrazione), in Grecia, in Spagna (occorre un rifiuto
motivato del datore a reintegrare e viene in tal caso comminata una indennità
fino ad un massimo di 15 giorni di retribuzione per anno di lavoro, senza
superare le 12 mensilità), in Svezia (l’indennità sostitutiva è compresa tra le
16 e 48 mensilità, a seconda dell’età e della anzianità di servizio del
prestatore).
L’articolo 10 contiene la delega al
Governo per introdurre in via sperimentale, entro il termine di un anno dalla
data di entrata in vigore della presente legge, misure volte a sostenere e incentivare
l’occupazione regolare a tempo indeterminato, prevedendo in particolare, in
caso di cessazione del rapporto di lavoro, quale alternativa alla
reintegrazione nel posto di lavoro il risarcimento.
Si tratta di una sperimentazione che
potrà prolungarsi non oltre quattro anni dalla emanazione dei decreti legislativi
di applicazione della presente legge, così da verificare l’opportunità o meno
di ulteriori e più durature modifiche dell’articolo 18 della legge 20 maggio
1970, n. 300, sostituendo al regime di stabilità reale del posto di lavoro
quello della tutela obbligatoria di cui alla legge 15 luglio 1966, n. 604,
e successive modificazioni.
La possibilità del risarcimento in luogo
della reintegrazione è tuttavia ammessa soltanto in relazione a misure di
riemersione, stabilizzazione dei rapporti di lavoro sulla base di
trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato, politiche di
incoraggiamento della crescita dimensionale delle imprese minori, non
computandosi nel numero dei dipendenti occupati le unità lavorative assunte per
il primo biennio.
È appena il caso di affermare che il
Governo riconferma i divieti attualmente vigenti in materia di licenziamento
discriminatorio a norma dell’articolo 15 della legge 20 maggio 1970,
n. 300, nonché in relazione al licenziamento della lavoratrice in concomitanza
con il suo matrimonio a norma degli articoli 1 e 2 della legge 9 gennaio 1963,
n. 7, oltre alle ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro di cui
all’articolo 2110 codice civile.
Art. 1.
(Delega al Governo per la revisione della
disciplina dei servizi pubblici e privati per l’impiego, nonché in materia di
intermediazione e interposizione privata nella somministrazione di lavoro)
1. Allo scopo di realizzare un sistema
efficace e coerente di strumenti intesi a garantire trasparenza al mercato del
lavoro e a migliorare le capacità di inserimento professionale dei disoccupati
e di quanti sono in cerca di una prima occupazione, il Governo è delegato a
emanare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ed entro
il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno
o più decreti legislativi diretti a stabilire, nel rispetto delle competenze
affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro dalla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e degli obiettivi indicati
dagli orientamenti annuali dell’Unione europea in materia di occupabilità, i
princìpi fondamentali in materia di disciplina dei servizi per l’impiego, con
particolare riferimento al sistema del collocamento, pubblico e privato, e di
somministrazione di manodopera.
2. La delega è esercitata nel rispetto
dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) snellimento e
semplificazione delle procedure di incontro tra domanda e offerta di lavoro;
b)
modernizzazione e razionalizzazione del sistema del collocamento pubblico secondo
una disciplina incentrata su:
1)
rispetto delle competenze previste dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3;
2)
ridefinizione dello stato giuridico di disoccupazione;
3)
introduzione di una classificazione basata sulla condizione del lavoratore
rispetto al mercato del lavoro;
4)
monitoraggio qualitativo e quantitativo dei flussi del mercato del lavoro ai
fini della realizzazione e manutenzione di un sistema informativo lavoro e
della valutazione degli effetti delle diverse politiche intraprese;
5)
certificazione della disoccupazione e della sua durata ai fini delle misure di
prevenzione e di contrasto, alle agevolazioni contributive e fiscali, ai trattamenti
previdenziali;
6)
semplificazione degli oneri amministrativi e burocratici in capo ai lavoratori
e alle imprese;
7)
abrogazione delle discipline speciali, ad eccezione del collocamento delle categorie
protette, della gente di mare e dello spettacolo;
8)
conferma del principio della assunzione diretta generalizzata, salvo
l’avviamento a selezione nella pubblica amministrazione;
9)
obbligo di comunicazione della assunzione, trasformazione e cessazione del
rapporto di lavoro esteso a tutti i datori di lavoro per tutte le categorie di
lavoratori, nonché dell’avvio delle esperienze lavorative poste in essere;
10)
disciplina quadro delle attività di prevenzione della disoccupazione di lunga
durata;
11)
abrogazione di tutte le norme incompatibili con la nuova regolamentazione del
collocamento, ivi inclusa la legge 29 aprile 1949, n. 264, fermo restando il regime
di autorizzazione o accreditamento per gli operatori privati ai sensi di quanto
disposto dalla lettera g);
12)
piena attuazione e potenziamento di un sistema informativo del lavoro
policentrico e integrato pubblico-privato, nella forma della rete di reti
regionali, anche in raccordo con le reti informative degli istituti
previdenziali, che unisca capillarità di raccolta delle informazioni alla
disponibilità delle medesime, dando vita ad una borsa continua del lavoro;
c)
incentivazione delle forme di coordinamento e raccordo tra operatori privati e
operatori pubblici, ai fini di un migliore funzionamento del mercato del
lavoro;
d) ridefinizione
del regime del trattamento dei dati relativi all’incontro tra domanda e offerta
di lavoro, nel rispetto della legge 31 dicembre 1996, n. 675, al
fine di evitare oneri aggiuntivi e ingiustificati rispetto alle esigenze di
monitoraggio statistico, prevenzione delle forme di esclusione sociale e
vigilanza sugli operatori;
e)
coordinamento, di concerto con il Ministro dell’interno, delle disposizioni
sull’incontro tra domanda e offerta di lavoro con la disciplina in materia di
lavoro dei cittadini non comunitari, nel rispetto della normativa vigente e al
fine di semplificare le procedure di rilascio delle autorizzazioni al lavoro;
f) eliminazione
del vincolo dell’oggetto sociale esclusivo per le imprese di fornitura di
prestazioni di lavoro temporaneo di cui all’articolo 2 della legge 24 giugno
1997, n. 196, e per i soggetti di cui all’articolo 10, comma 2, del decreto
legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e successive modificazioni, garantendo un
periodo transitorio di graduale adeguamento per le società già autorizzate;
g)
identificazione di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli
intermediari privati, differenziato in funzione del tipo di attività svolta, comprensivo
delle ipotesi di trasferimento della autorizzazione e modulato in relazione
alla natura giuridica dell’intermediario, con particolare riferimento alle
associazioni non riconosciute ovvero a enti o organismi bilaterali costituiti
da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro
comparativamente rappresentative a livello nazionale o territoriale;
h) abrogazione della legge 23
ottobre 1960, n. 1369, e sua sostituzione con una nuova disciplina basata sui
seguenti criteri direttivi:
1)
autorizzazione della somministrazione di manodopera, solo da parte dei soggetti
identificati ai sensi della lettera g);
2)
ammissibilità della somministrazione di manodopera, anche a tempo indeterminato,
in presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo od organizzativo, individuate
dalla legge o dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente rappresentative;
3)
chiarificazione dei criteri di distinzione tra appalto e interposizione,
ridefinendo contestualmente i casi di interposizione illeciti laddove manchi
una ragione tecnica, organizzativa o produttiva ovvero si verifichi o possa
verificarsi la lesione di diritti inderogabili di legge o di contratto
collettivo del prestatore di lavoro;
4)
garanzia del regime della solidarietà tra fornitore e utilizzatore in caso di
somministrazione di lavoro altrui;
5)
identificazione di un corpo normativo inderogabile minimo, applicabile a tutti
i rapporti di lavoro, al di là della qualificazione del contratto come appalto
o somministrazione di manodopera e delle modalità concrete di esecuzione del
lavoro;
6)
conferma di un regime sanzionatorio civilistico e penalistico per le forme di
speculazione fraudolenta sul lavoro altrui;
7)
aggiornamento degli indici legali di distinzione tra interposizione illecita e
appalto di manodopera;
8)
utilizzazione del meccanismo certificatorio di cui all’articolo 9 ai fini della
distinzione concreta tra interposizione illecita e appalto genuino, sulla base
di indici e codici di comportamento elaborati in sede amministrativa;
i) abrogazione espressa
di tutte le normative, anche se non espressamente indicate nelle lettere da a)
ad h), che sono direttamente o indirettamente incompatibili con i decreti
legislativi emanati ai sensi del presente articolo;
l) revisione del
decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 18, che ha modificato l’articolo
2112 del codice civile in tema di trasferimento d’azienda, al fine di armonizzarlo
con la disciplina contenuta nella presente delega basata sui seguenti criteri
direttivi:
1)
eliminazione del requisito dell’autonomia funzionale del ramo di azienda
preesistente al trasferimento;
2)
previsione di un regime particolare per le ipotesi in cui il contratto di
appalto sia connesso ad una cessione di ramo di azienda, stabilendo in tale caso
una solidarietà tra appaltante e appaltatore;
m) redazione,
entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge,
di uno o più testi unici delle normative e delle disposizioni in materia di
mercato del lavoro e incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Art. 2.
(Delega al governo in materia di incentivi
alla occupazione)
1. Allo scopo di realizzare un sistema
organico di misure volte a favorire le capacità di inserimento professionale
dei soggetti privi di occupazione, dei disoccupati di lungo periodo ovvero a
rischio di esclusione sociale o comunque aventi una occupazione di carattere
precario e a bassa qualità, il Governo è delegato a emanare, entro un anno
dalla data di entrata in vigore della presente legge e nel quadro dei
provvedimenti attuativi della legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3, uno o più decreti legislativi diretti a stabilire, nel
rispetto delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza
del lavoro dalla citata legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3,
e degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell’Unione europea in
materia di occupabilità, i princìpi fondamentali in materia di incentivi
finanziari alla occupazione, ivi compresi quelli relativi alla autoimprenditorialità
e all’autoimpiego, senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato e nel
rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a)
razionalizzazione degli schemi di incentivazione finanziaria o di altra natura
in caso di nuova assunzione, con previsione di un regime generale avente al suo
interno articolazioni e graduazioni in connessione con le caratteristiche
soggettive degli interessati, con particolare riferimento a categorie a rischio
di esclusione sociale e a prestatori coinvolti in processi di riemersione,
nonché con il grado di svantaggio occupazionale delle diverse aree
territoriali;
b) articolazione
delle misure di incentivazione finanziaria, anche in relazione alla natura a
tempo determinato o indeterminato del rapporto di lavoro e alla eventuale
trasformazione a tempo indeterminato del contratto inizialmente posto in essere
a tempo determinato, ovvero in relazione alla trasformazione di un tirocinio di
cui all’articolo 5, comma 1, lettera c), in un rapporto di lavoro subordinato,
al fine di favorire la stabilizzazione delle prestazioni di lavoro;
c) previsione di
un sistema di incentivi al ricorso a prestazioni di lavoro a tempo parziale su
base volontaria, con particolare riferimento alle ipotesi di espansione della
base occupazionale dell’impresa o di impiego di giovani impegnati in percorsi
di istruzione e formazione, genitori con figli minori di sei anni conviventi,
lavoratori con età superiore ai 55 anni, nonché per la trasformazione a tempo
parziale di contratti a tempo pieno che intervenga in alternativa all’avvio di
procedure di riduzione di personale. A questo fine, e nella prospettiva di
incentivazione di forme di lavoro a tempo parziale volontario, il Governo potrà
sperimentare forme di incentivazione economica erogate direttamente al
prestatore di lavoro;
d) previsione di
un sistema di incentivi collegati alla corresponsione di emolumenti in
occasione di vertenze individuali di lavoro definite in sede arbitrale ai sensi
dell’articolo 12;
e) collegamento delle misure di
incentivazione finanziaria con le politiche di sviluppo territoriale;
f) coordinamento
con la disciplina sulla verifica dello stato di disoccupazione e delle relative
sanzioni, nonché con quella sugli ammortizzatori sociali, al fine di favorire
l’inserimento dei beneficiari di questi ultimi nel mondo del lavoro;
g) introduzione
di meccanismi automatici di incentivazione a favore delle imprese e dei
lavoratori che investano in attività di formazione continua, anche prevedendo
forme di sgravio parziale dal contributo integrativo stabilito dall’articolo
25, quarto comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 845, rivedendone le
modalità di utilizzazione in funzione delle finalità formative.
Art. 3.
(Delega al Governo in materiadi
ammortizzatori sociali)
1. Il Governo è delegato a emanare,
entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più
decreti legislativi al fine di realizzare un primo riordino della disciplina
vigente in materia di ammortizzatori sociali e strumenti di sostegno al reddito
a base assicurativa e a totale carico delle imprese secondo criteri di
autogestione, senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato e nel rispetto
dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) revisione del
sistema delle tutele in caso di disoccupazione e in costanza di rapporto di
lavoro, avuto riguardo alle tipologie di trattamento su base assicurativa e a
quelle su base solidaristica, alle condizioni di ammissibilità al trattamento,
alla intensità, alla durata e al profilo temporale dei trattamenti; in tale
quadro, ridefinizione delle soglie di lavoro che danno diritto alle indennità
di disoccupazione con requisiti ridotti;
b) assetto
proattivo delle tutele in modo da non disincentivare il lavoro e ridurre per
quanto possibile la permanenza nella condizione di disoccupato ed il lavoro non
dichiarato; in questo quadro, definizione delle condizioni soggettive per la
continuità nel godimento delle prestazioni erogate dagli ammortizzatori
sociali, legandole alla condizione di ricerca attiva del lavoro da parte del
disoccupato, alla sua disponibilità ad accettare offerte di lavoro o a
partecipare ad interventi formativi o a progetti proposti dalle strutture
pubbliche per l’impiego nell’esercizio delle funzioni loro assegnate, nel senso
della strategia europea per l’occupazione;
c) razionalizzazione
del sistema delle aliquote preordinate al finanziamento del sistema degli
ammortizzatori sociali, avendo presenti gli obiettivi di trasparenza, semplificazione,
omogeneizzazione dei criteri di inquadramento delle aziende e di ripartizione
del carico contributivo tra datori di lavoro, lavoratori e Stato; possibilità
di scegliere differenti basi imponibili per il calcolo dei contributi e di
introdurre disincentivi e penalizzazioni;
d) estensione
delle tutele a settori e situazioni attualmente non coperti, in modo da tener
conto delle specificità e delle esigenze dei diversi contesti sulla base delle
priorità individuate in sede contrattuale o a seguito di specifiche intese tra
le parti sociali interessate;
e) ridefinizione
dei criteri per l’attribuzione della contribuzione figurativa per le diverse
tipologie di soggetti e situazioni;
f)
semplificazione dei procedimenti autorizzatori, anche mediante interventi di delegificazione,
garantendo flessibilità nella gestione delle crisi e assicurando una gestione
quanto più possibile anticipatrice;
g) adozione, in
favore dei lavoratori interessati da processi di riorganizzazione o
ristrutturazione aziendale, di interventi formativi nell’ambito di piani di
reinserimento, definiti in sede aziendale o territoriale da associazioni
rappresentative dei datori e prestatori di lavoro comparativamente
rappresentative, anche utilizzando i fondi di cui all’articolo 118 della legge
23 dicembre 2000, n. 388;
h) monitoraggio
dell’offerta formativa delle regioni rivolta ai soggetti in condizione di
temporanea disoccupazione, al fine di garantire agli stessi prestazioni corrispondenti
agli impegni assunti in sede di Unione europea per la definizione dei piani di
azione nazionale per l’occupazione.
Art. 4.
(Delega al Governo in materia di agenzie
tecniche strumentali per l’occupazione)
1. Il Governo è delegato, entro un anno
dalla data di entrata in vigore della presente legge:
a) al riordino
complessivo dei soggetti e degli strumenti:
1)
di analisi e monitoraggio dei fenomeni di esclusione sociale e di funzionamento
del mercato del lavoro;
2)
di verifica della efficacia delle politiche di protezione e inclusione sociale,
comprese quelle a carattere sperimentale;
3)
di produzione di rapporti periodici nelle suddette materie;
b) al riordino e
alla ridefinizione delle funzioni dell’Istituto per lo sviluppo della
formazione professionale dei lavoratori (ISFOL) e Italia Lavoro spa in quanto agenzie
tecniche strumentali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di cui
il Governo, le regioni e gli enti locali possono avvalersi per il perseguimento
delle finalità proprie delle politiche attive del lavoro.
Art. 5.
(Delega al Governo in materia di riordino dei
contratti a contenuto formativo)
1. Il Governo è delegato a emanare, su
proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il
Ministro per la funzione pubblica, con il Ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca e con il Ministro per gli affari regionali,
entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente
legge, uno o più decreti legislativi diretti a stabilire, nel rispetto delle
competenze affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro
dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e degli obiettivi indicati
dagli orientamenti annuali dell’Unione europea in materia di occupazione, la
revisione e la razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo,
nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) conformità
agli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato alla occupazione;
b) attuazione
degli obiettivi e rispetto dei criteri di cui all’articolo 16, comma 5, della
legge 24 giugno 1997, n. 196, al fine di riordinare gli speciali rapporti
di lavoro con contenuti formativi, così da valorizzare pienamente l’attività
formativa svolta in azienda, confermando l’apprendistato come strumento
formativo anche nella prospettiva di una formazione superiore in alternanza
tale da garantire il raccordo tra i sistemi della istruzione e della formazione,
nonché il passaggio da un sistema all’altro e, riconoscendo nel contempo agli
enti bilaterali competenze autorizzatorie in materia, specializzando il
contratto di formazione e lavoro al fine di realizzare l’inserimento e il
reinserimento mirato del lavoratore in azienda;
c)
individuazione di misure idonee a favorire forme di apprendistato e di tirocinio
di impresa al fine del subentro nella attività di impresa;
d) revisione
delle misure di inserimento al lavoro, non costituenti rapporto di lavoro,
mirate alla conoscenza diretta del mondo del lavoro con valorizzazione dello
strumento convenzionale fra le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il sistema
formativo e le imprese, secondo modalità coerenti con quanto previsto dagli
articoli 17 e 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, prevedendo una durata
variabile fra uno e dodici mesi, in relazione al livello di istruzione, alle
caratteristiche della attività lavorativa e al territorio di appartenenza,
prevedendo altresì la eventuale corresponsione di un sussidio;
e) orientamento
degli strumenti definiti ai sensi dei princìpi e dei criteri direttivi di cui
alle lettere b), c) e d), nel senso di valorizzare l’inserimento o il
reinserimento al lavoro delle lavoratrici, al fine di superare il differenziale
occupazionale di genere;
f)
sperimentazione di forme di incentivazione economica erogate direttamente al
prestatore di lavoro;
g)
semplificazione e snellimento delle procedure di riconoscimento e di attribuzione
degli incentivi connessi ai contratti a contenuto formativo, tenendo conto del
tasso di occupazione femminile e privilegiando in ogni caso criteri di
automaticità;
h) rafforzamento
dei meccanismi e degli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei risultati
conseguiti, anche in relazione all’impatto sui livelli di occupazione femminile
e sul tasso di occupazione in generale, per effetto della ridefinizione degli
interventi di cui al presente articolo da parte delle amministrazioni
competenti e tenuto conto dei criteri che saranno determinati dai provvedimenti
attuativi, in materia di mercato del lavoro, della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3;
i)
sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento, al fine
di determinare i contenuti dell’attività formativa, concordati da associazioni
dei datori e prestatori di lavoro comparativamente rappresentative sul piano
nazionale e territoriale, anche all’interno di enti bilaterali, ovvero, in
difetto di accordo, determinati con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali;
l) rinvio ai
contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di
lavoro comparativamente rappresentative, a livello nazionale, territoriale e aziendale,
per la determinazione delle modalità di attuazione dell’attività formativa in
azienda.
Art. 6.
(Delega al Governo in materia di attuazione della direttiva
93/104/CE del Consiglio, in materia di orario di lavoro)
1. Il Governo è delegato ad emanare, su
proposta del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali, entro il termine di un anno dalla data di entrata in
vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti le norme per
l’attuazione della direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993.
L’attuazione della citata direttiva sarà informata ai seguenti princìpi e
criteri direttivi:
a) recezione dei
criteri di attuazione di cui all’avviso comune sottoscritto dalle parti sociali
il 12 novembre 1997;
b)
riconoscimento degli effetti dei contratti collettivi vigenti alla data di
entrata in vigore del provvedimento di attuazione della direttiva.
2. Ai sensi della delega di cui al comma
1 e al fine di garantire una corretta e integrale trasposizione della direttiva
93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, il Governo, sentite le
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente rappresentative,
potrà apportare modifiche e integrazioni al decreto legislativo 26 novembre
1999, n. 532, in materia di lavoro notturno, e al decreto-legge 29 settembre
1998, n. 335, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 1998,
n. 409, in materia di lavoro straordinario, nonché alle discipline vigenti
per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, con particolare
riferimento al commercio, turismo, pubblici esercizi e agricoltura.
Art. 7.
(Delega al Governo in materia di riforma
della disciplina del lavoro a tempo parziale)
1. Il Governo è delegato ad emanare, su
proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro il termine di
un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti
legislativi, con esclusione dei rapporti di lavoro alle dipendenze di
amministrazioni pubbliche, recanti norme per promuovere il ricorso a prestazioni
di lavoro a tempo parziale, quale tipologia contrattuale idonea a favorire
l’incremento del tasso di occupazione e, in particolare, il tasso di
partecipazione delle donne, dei giovani e dei lavoratori con età superiore ai
55 anni, al mercato del lavoro, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri
direttivi:
a) agevolazione
del ricorso a prestazioni di lavoro supplementare nelle ipotesi di lavoro a
tempo parziale cosiddetto orizzontale, nei casi e secondo le modalità previsti
da contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di
lavoro comparativamente rappresentative su scala nazionale o territoriale,
anche sulla base del consenso del lavoratore interessato in carenza dei predetti
contratti collettivi;
b) agevolazione
del ricorso a forme flessibili ed elastiche di lavoro a tempo parziale nelle
ipotesi di lavoro a tempo parziale cosiddetto verticale e misto, anche sulla
base del consenso del lavoratore interessato in carenza dei contratti
collettivi di cui alla lettera a), e comunque a fronte di una maggiorazione
retributiva da riconoscere al lavoratore;
c) estensione
delle forme flessibili ed elastiche anche ai contratti a tempo parziale a tempo
determinato;
d) abrogazione o
integrazione di ogni disposizione in contrasto con l’obiettivo della
incentivazione del lavoro a tempo parziale, fermo restando il rispetto dei
princìpi e delle regole contenute nella direttiva 97/81/CE del Consiglio, del
15 dicembre 1997;
e) affermazione della
computabilità pro rata temporis in proporzione dell’orario svolto dal
lavoratore a tempo parziale, in relazione all’applicazione di tutte le norme
legislative e clausole contrattuali a loro volta collegate alla dimensione
aziendale intesa come numero dei dipendenti occupati in ogni unità produttiva;
f) integrale
estensione al settore agricolo del lavoro a tempo parziale.
Art. 8.
(Delega al Governo in materia di disciplina delle tipologie di
lavoro a chiamata, temporaneo, coordinato e continuativo, occasionale,
accessorio e a prestazioni ripartite)
1. Il Governo è delegato ad emanare, su
proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro il termine di
un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti
legislativi recanti disposizioni volte alla disciplina o alla razionalizzazione
delle tipologie di lavoro a chiamata, temporaneo, coordinato e continuativo,
occasionale, accessorio e a prestazioni ripartite, nel rispetto dei seguenti
princìpi e criteri direttivi:
a)
riconoscimento di una indennità cosiddetta di disponibilità a favore del lavoratore
che garantisca nei confronti del datore di lavoro la propria disponibilità allo
svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, così come
individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e
prestatori di lavoro comparativamente rappresentative su scala nazionale o
territoriale o, in via provvisoriamente sostitutiva, per decreto del Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, ed in ogni caso prevedendosi la
possibilità di sperimentazione di detta tipologia contrattuale anche per
prestazioni rese da persone inoccupate o disoccupate con meno di 25 anni di età
ovvero da lavoratori con più di 45 anni di età che siano stati espulsi dal
ciclo produttivo in funzione di processi di riduzione o trasformazione di
attività o di lavoro e iscritti alle liste di mobilità e di collocamento;
eventuale non obbligatorietà del prestatore di rispondere alla chiamata del
datore di lavoro, non avendo quindi titolo a percepire la predetta indennità ma
con diritto di godere di una retribuzione proporzionale al lavoro effettivamente
svolto;
b) con
riferimento alle prestazioni di lavoro temporaneo:
1)
ricorso alla forma del lavoro a tempo determinato di cui all’articolo 1 del
decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, ovvero alla forma
della fornitura di lavoro temporaneo di cui alla legge 24 giugno 1997,
n. 196, anche per soddisfare le quote obbligatorie di assunzione di
lavoratori disabili e appartenenti a categorie assimilate;
2)
completa estensione al settore agricolo del lavoro temporaneo tramite agenzia,
con conseguente applicabilità degli oneri contributivi di questo settore;
c) con
riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative:
1)
identificazione dei criteri temporali di durata della prestazione o economici
di ammontare del corrispettivo rilevanti ai fini della differenziazione di
detta fattispecie contrattuale rispetto alle collaborazioni di natura meramente
occasionale;
2)
riconduzione della fattispecie a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi
di esso;
3)
previsione di tutele fondamentali a presidio della dignità e della sicurezza
dei collaboratori, anche nel quadro di intese collettive;
4)
ricorso, ai sensi dell’articolo 9, ad adeguati meccanismi di certificazione;
d) ammissibilità di prestazioni
di lavoro occasionale e accessorio, in generale e con particolare riferimento a
opportunità di assistenza sociale, rese a favore di famiglie e di enti con e
senza fine di lucro, da disoccupati di lungo periodo, altri soggetti a rischio
di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro,
ovvero in procinto di uscirne, regolarizzabili attraverso la tecnica di buoni
corrispondenti a un certo ammontare di attività lavorativa, ricorrendo, ai
sensi dell’articolo 9, ad adeguati meccanismi di certificazione;
e) ammissibilità
di prestazioni ripartite fra due o più lavoratori, obbligati in solido nei
confronti di un datore di lavoro, per l’esecuzione di un’unica prestazione
lavorativa.
Art. 9.
(Delega al Governo in materia
dicertificazione dei rapporti di lavoro)
1. Al fine di ridurre il contenzioso in
materia di qualificazione dei rapporti di lavoro, con esclusione dei rapporti
di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, il Governo è delegato
ad emanare, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della
presente legge, disposizioni in materia di certificazione del relativo
contratto stipulato tra le parti, ispirate ai seguenti princìpi e criteri
direttivi:
a) carattere
volontario e sperimentale della procedura di certificazione;
b)
individuazione dell’organo preposto alla certificazione del rapporto di lavoro
in enti bilaterali costituiti a iniziativa di associazioni dei datori e dei
prestatori di lavoro comparativamente rappresentative, ovvero presso strutture
pubbliche aventi competenze in materia;
c) definizione
delle modalità di organizzazione delle sedi di certificazione e di tenuta della
relativa documentazione;
d) indicazione
del contenuto e della procedura di certificazione;
e) in caso di
controversia sulla esatta qualificazione del rapporto di lavoro posto in
essere, valutazione da parte della autorità giudiziaria competente anche del
comportamento tenuto dalle parti in sede di certificazione.
Art. 10.
(Delega al Governo in materia di altre misure temporanee e
sperimentali a sostegno della occupazione regolare, nonchè incentivi alle
assunzioni a tempo indeterminato)
1. Ai fini di sostegno e incentivazione
della occupazione regolare e delle assunzioni a tempo indeterminato, il Governo
è delegato ad emanare uno o più decreti legislativi per introdurre in via
sperimentale, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della
presente legge, disposizioni relative alle conseguenze sanzionatorie a carico
del datore di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato ai sensi della
legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, in deroga
all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, prevedendo in
alternativa il risarcimento alla reintegrazione, nel rispetto dei seguenti
princìpi e criteri direttivi:
a) conferma dei
divieti attualmente vigenti in materia di licenziamento discriminatorio a norma
dell’articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni,
licenziamento della lavoratrice in concomitanza con il suo matrimonio a norma
degli articoli 1 e 2 della legge 9 gennaio 1963, n. 7, e
licenziamento in caso di malattia o maternità a norma dell’articolo 2110 del
codice civile;
b) applicazione
in via sperimentale della disciplina per la durata di quattro anni dalla data
di entrata in vigore dei decreti legislativi, fatta salva la possibilità di
proroghe in relazione agli effetti registrati sul piano occupazionale;
c)
identificazione delle ragioni oggettive connesse a misure di riemersione, stabilizzazione
dei rapporti di lavoro sulla base di trasformazioni da tempo determinato a
tempo indeterminato, politiche di incoraggiamento della crescita dimensionale
delle imprese minori, non computandosi nel numero dei dipendenti occupati le
unità lavorative assunte per il primo biennio, che giustifichino la deroga
all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
Art. 11.
(Esclusione)
1.
Le disposizioni degli articoli da 1 a 10 non
si applicano al personale delle pubbliche amministrazioni ove non siano
espressamente richiamate.
Art. 12.
(Delega al Governo in materia di arbitrato nelle controversie
individuali di lavoro)
1. Al fine di ridurre il contenzioso in
materia di controversie individuali di lavoro, il Governo è delegato a emanare,
su proposta del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro del lavoro
e delle politiche sociali e con il Ministro per la funzione pubblica, entro il
termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o
più decreti legislativi in materia di arbitrato nelle controversie individuali
di lavoro, abrogando l’articolo 412-ter del codice di procedura civile e modificando
parzialmente l’articolo 412-quater del medesimo codice ed ogni altra norma in
contrasto con la presente delega, sostituendoli con disposizioni ispirate ai
seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) natura
volontaria della compromissione in arbitri delle controversie individuali di
lavoro, direttamente ovvero ad opera delle associazioni rappresentative dei datori
e prestatori di lavoro cui essi aderiscano o conferiscano mandato;
b) forma scritta
della clausola compromissoria contenente, a pena di nullità, il termine per
l’emanazione del lodo, nonché i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti
agli arbitri;
c) possibilità
delle parti, in qualunque fase del tentativo di conciliazione, od al suo
termine in caso di mancata riuscita, di affidare allo stesso conciliatore il mandato
a risolvere in via arbitrale le controversie;
d) superamento
del divieto di compromettibilità in arbitri delle controversie individuali
aventi ad oggetto diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili
di legge o di contratti collettivi, affermandosi conseguentemente il lodo
secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento;
e) decadenza del
collegio arbitrale allo spirare del termine di incarico senza emissione del
lodo;
f) alternatività
fra risarcimento del danno con quantificazione interamente rimessa al collegio
arbitrale e reintegrazione nel posto di lavoro, a discrezione del collegio arbitrale,
in deroga a quanto previsto dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970,
n. 300;
g) impugnabilità,
in un unico grado e davanti alla Corte di appello, del lodo arbitrale, soltanto
per vizi procedimentali;
h) immediata
esecutività del lodo, nonostante l’impugnazione proposta ai sensi della lettera
g), a seguito del deposito presso la cancelleria del giudice;
i) istituzione
di collegi o camere arbitrali stabili, distribuiti su tutto il territorio nazionale.
Art. 13.
(Disposizioni finali)
1. Gli schemi dei decreti legislativi di
cui alla presente legge, deliberati dal Consiglio dei ministri e corredati da
una apposita relazione cui è allegato il parere della Conferenza unificata di
cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
sentite le associazioni sindacali rappresentative dei datori e prestatori di lavoro,
sono trasmessi alle Camere per l’espressione del parere da parte delle competenti
Commissioni parlamentari permanenti entro il sessantesimo giorno antecedente la
scadenza del temmine previsto per l’esercizio della relativa delega.
2. In caso di mancato rispetto del
termine per la trasmissione, il Governo decade dall’esercizio della delega. Le
competenti Commissioni parlamentari esprimono il parere entro trenta giorni
dalla data di trasmissione. Qualora il termine per l’espressione del parere
decorra inutilmente, i decreti legislativi possono essere comunque emanati.
3. Entro ventiquattro mesi dalla data di
entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può
emanare eventuali disposizioni modificative e correttive con le medesime
modalità e nel rispetto dei medesimi criteri e princìpi direttivi.
4. Dall’attuazione della presente legge
non derivano oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato.
FINE TESTO DISEGNO DI LEGGE