Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica
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Roma, 3 luglio 2002

 

Circolare n.90/2002

Oggetto: Attività confederale – 56a Assemblea annuale – Bilancio della manifestazione.

 

Dopo la relazione introduttiva del Presidente Confederale Aldo Gatti, i prestigiosi interventi del Presidente Confindustria Antonio D’Amato, del Presidente F.S. Giancarlo Cimoli, del Ministro per le Politiche Comunitarie Rocco Buttiglione, del Presidente della Commissione Trasporti del Senato Luigi Grillo, del professore della Bocconi Lanfranco Senn e le conclusioni del Ministro dei Trasporti Pietro Lunardi hanno segnato il successo della 56a Assemblea Confetra sul tema della Politica dei Valichi e delle Infrastrutture tenutasi a Roma il 27 giugno scorso nell’affollatissima sala convegni dell’Aldrovandi.

 

Il Presidente del Consiglio Berlusconi, impegnato in Canada per il G8, ha fatto pervenire un lungo messaggio non solo di saluti ma anche di merito sul tema oggetto dell’Assemblea. Il messaggio, letto dal Presidente Gatti, è stato accolto da un caloroso applauso della platea dei partecipanti.

 

I testi completi del messaggio del Presidente Berlusconi, nonché delle relazioni del Presidente Gatti, del prof.Senn e del Ministro Lunardi sono consultabili nel sito della confederazione (www.confetra.com).

 

f.to dr. Piero M. Luzzati

Allegati due

 

L/f

 

 

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Lettera del Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, al Presidente Confetra, Aldo Gatti, del 20.06.2002

 

Caro Presidente,

il mondo del trasporto e della logistica consente a questo Paese di essere competitivo; infatti sarebbe utile simulare per un attimo quale crisi irreversibile si instaurerebbe non solo nell'assetto economico delle singole Regioni, non solo nel sistema economico del Paese ma, addirittura, dell' intera Unione Europea se il tessuto connettivo rappresentato dalla CONFETRA decidesse per un attimo di non collaborare ogni giorno nel rendere efficiente l'offerta dei processi logistici.

Questo lavoro giornaliero, ripeto, ricco di elevata professionalità, purtroppo trova una rete infrastrutturale completamente lontana da quella che una civiltà industriale avanzata come la nostra richiederebbe.

Il tema chiave della Vostra Assemblea: i valichi e le grandi opere, d'altra parte testimonia ancora una volta non solo la serietà dell' approccio ma anche il Vostro allarme che non è rivolto, come in passato, solo a inutili protezionismi, a richieste di contenimento della fiscalità, bensì all'esigenza di risolvere a monte una problematica che in questi anni ha inciso in modo patologico sulla crescita economica del Paese e cioè: l'assenza di un sistema di transiti ai valichi efficiente.

Nella mia veste anche di Ministro degli Esteri, ho ribadito questa emergenza in più occasioni in sede comunitaria; in più occasioni con il Ministro Lunardi ed il Ministro Buttiglione ho, addirittura, prospettato il ricorso ad una vera risoluzione formale.

Il lavoro fatto in questo primo anno sull' avvio organico di nuovi strumenti quale la Legge Obiettivo o il Primo Programma delle opere strategiche approvato dal CIPE nel dicembre dello scorso anno, il lavoro effettuato nella definizione delle risorse inserite nella Finanziaria 2002, l'attenzione infine che sulla politica degli investimenti sarà riposta nel redigendo DPEF sono, senza dubbio, impegni che il Governo intende portare a compimento.

Devo riconoscere alla CONFETRA che, in tutti questi anni, ha cercato di costruire le condizioni non solo per aprire un ampio dibattito su tale difficile tematica ma, convinta che la dotazione infrastrutturale, la compagine imprenditoriale e l'assetto normativo costituiscano il vero teatro strategico del Paese, ha più volte ricordato, con precisi documenti, con ricerche mirate, quali erano i costi dell' inefficienza logistica, quali erano gli scostamenti tra il nostro Paese ed il sistema internazionale in termini di organizzazione dell' offerta di trasporto.

Tutta questa serie di contributi è stata di grande supporto e di grande aiuto in questo anno di intenso lavoro che il Governo, ed in particolare il Dicastero delle infrastrutture e dei trasporti, ha dedicato alla concreta risoluzione di questo complesso sistema di problematiche.

Mi dispiace tanto non essere presente alla Vostra Assemblea, Vi auguro buon lavoro e Vi ringrazio ancora una volta per il contributo determinante che fornite allo sviluppo del Paese.

Cordialmente

f.to Silvio Berlusconi

 

 

I VALICHI E LE GRANDI OPERE

RELAZIONE INTRODUTTIVA DEL PRESIDENTE ALDO GATTI

 

Signore e Signori,

 

l’attuale maggioranza parlamentare e governativa ha posto tra i primi punti qualificanti del proprio programma la realizzazione delle grandi opere infrastrutturali di cui il paese ha bisogno e che segnano un arretrato non più accettabile.

 

Devo dare atto con piacere al Governo Berlusconi che una delle prime azioni concrete dell’esecutivo, in carica da soli 6 mesi, è stata quella di far approvare la «Legge obiettivo» 443/2001 per l’avvio del programma decennale di infrastrutturazione che, per colmare un’arretratezza a mio avviso almeno ventennale, prevede investimenti (pubblici e privati) di ben 125 miliardi di euro!

 

Da cosa è dipesa quest’arretratezza infrastrutturale? Inizialmente dalla complessità e dalla lentezza di procedure sempre più garantistiche delle autonomie locali e della tutela ambientale; successivamente dall’accavallarsi, sulle suddette farraginosità, delle ristrettezze della finanza pubblica, vincolata al perseguimento degli obiettivi virtuosi concordati a Maastricht nel 1992.

 

Bene, con questa «Legge obiettivo» 443, si è voluto compiere una trasformazione profonda nell’approccio al tema delle infrastrutture. È stata approvata una normativa straordinaria per le grandi opere che ricorda i provvedimenti legislativi straordinari per il Mezzogiorno degli anni ’50/’60: non un intervento episodico ma sistematico su un quadro di opere extra ordinem. La scelta è stata quella di ricondurre in seno allo Stato attribuzioni e competenze decisionali e gestionali finora decentrate, secondo la filosofia per cui spetta agli organi centrali il compito di definire la politica nazionale delle infrastrutture, demandando al CIPE l’intero processo autorizzativo delle opere strategiche, e facendo leva, per la copertura finanziaria, sui capitali privati (attraverso il Project Financing) e sui Fondi Strutturali europei.

 

A noi questa impostazione piace, perché vi vediamo finalmente la possibilità di sbloccare lo stallo delle opere pubbliche, indispensabili per il sistema trasportistico nazionale, e utili per ridare un po’ di slancio alla asfittica congiuntura economica del paese.

 

Devo però constatare che mentre il nuovo Dicastero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha attivato rilevanti investimenti, delle opere previste nella Delibera del CIPE del 21.12.2001, supportate dalla Legge Obiettivo, solo pochi cantieri si sono ad oggi aperti.

 

Questo blocco noi pensiamo sia dovuto ad una forte dicotomia fra le due principali azioni del Governo:

æ        l’attuazione delle modifiche costituzionali che prevedono il decentramento alle Regioni dei poteri decisionali nelle opere pubbliche che si devono realizzare sul loro territorio ed anche e soprattutto nella viabilità

æ        la Legge 443 che intendeva in un certo qual modo bypassare queste possibili resistenze di ogni singolo governo regionale.

 

Ad oggi sono trascorsi altri 6 mesi e tutto è ancora sostanzialmente fermo!

 

Spero quindi che non si siano fatti i conti senza l’oste. Non siamo i primi a notare come questa impostazione «centralistica» appaia in contrasto con l’altrettanto importante opzione «federalista» che caratterizza la stessa maggioranza. Del resto, già il nuovo Titolo V della Costituzione approvato nella scorsa legislatura ha spostato a favore delle Regioni competenze esclusive o concorrenti in una serie di materie in qualche modo interferenti con l’attività di individuazione e di realizzazione sul loro territorio di opere pubbliche strategiche.

 

Devo quindi dire ai rappresentanti del Governo ed ai Parlamentari che oggi sono qui con noi, che Confetra è fortemente preoccupata per questa situazione di stallo.

 

Anche per queste ragioni abbiamo voluto dare alla nostra Assemblea odierna il tema dei valichi e delle grandi opere.

 

La Confetra lanciò sei mesi fa al Governo la proposta di organizzare una grande Conferenza dei Valichi, cui invitare i nostri partner europei e le forze economiche del paese, per fare chiarezza su questo tema strategico per la nostra economia e mettere un punto fermo sulla nostra politica estera in Europa, invito che purtroppo a tutt’oggi è rimasto disatteso come Conferenza multinazionale fra Italia, Francia, Svizzera ed Austria.

 

Oggi ne parliamo per cercare di capire perché i valichi alpini (e le grandi opere di infrastrutturazione a valle: tunnel, strade, autostrade, potenziamenti ferroviari, ponti, porti, interporti) siano attualmente il problema numero uno dell’Italia.

 

Parliamo quindi delle Alpi. Esse hanno sempre costituito un formidabile baluardo naturale, tuttavia attraverso di loro si è svolto fin dall’antichità un ininterrotto migrare di genti (spinte dalla ricerca di nuovi spazi vitali, dalla guerra, dalla religione, dal commercio) ed il passaggio di eserciti (basti ricordare Annibale con i suoi elefanti! oppure le Legioni romane che attraversavano le Alpi da sud verso nord).

 

Per migliaia di anni è stato comunque conveniente e più agevole «aggirare» la catena alpina: a ovest per via marittima, anche circumnavigando la penisola iberica per chi proveniva dal nord Europa, o per via fluviale, sull’asse del Rodano, e a est lungo un’ampia fascia che conduceva al Mediterraneo attraverso il Mar Nero. Tutti e tre gli assi di aggiramento facevano concorrenza al transito nelle Alpi, i cui volumi variavano a seconda delle congiunture economiche e dei grandi avvenimenti storici.

 

I dati sui volumi di traffico prima dell’avvento della strada ferrata sono soltanto stime grossolane. Si tenga presente che quando nasceva Gesù Cristo in tutto l’Impero Romano viveva una decina di milioni di persone. Intorno all’anno 1000 attraverso le Alpi si trasportavano cavalli, lana, lino, spade. Nel 1300 si calcola che transitassero sui valichi alpini meno di 10.000 tonnellate di merci, di cui la maggioranza attraverso il Brennero (tessuti, spezie, sale, animali vivi, riso). Ancora 150 anni fa le tonnellate trasportate attraverso le Alpi erano meno di 100.000. Poi arrivarono le ferrovie ed il traffico esplose: nel 1870 il traffico raggiunse le 500.000 tonnellate e alla fin de siècle superò il milione di tonnellate.

 

In tutta la catena alpina, il varco a quota più bassa (1.375 metri), è il passo del Brennero. Là gli antichi sentieri dei Reti e dei Goti erano stati trasformati dai Romani nella Via Claudia che univa Trento ad Augusta, l’odierna Augsburg in Germania.

 

Fino al 1870 si transitava a piedi il Moncenisio, con giorni di viaggio fra Italia e Francia. Anche dopo l’apertura del primo tunnel alpino della storia (la galleria di Exilles lunga 300 metri, progettata dagli ingegneri di Napoleone “pour faire passer le canon”) il postale da Torino a Chambéry impiegava circa 40 ore di viaggio.

 

Nel 1857 il re Vittorio Emanuele II aveva innescato a Modane (che faceva parte del regno di Sardegna insieme alla Savoia) la prima mina per la costruzione del traforo ferroviario del Fréjus. La Torino-Chambéry entrò in funzione 10 anni dopo l’unità d’Italia: da quel momento la traversata delle Alpi si poté compiere a prezzi economici con grande velocità e sicurezza.

 

Le tappe delle fondamentali infrastrutture ferroviarie alpine sono state:

æ        1867 Brennero

æ        1870 Fréjus

æ        1882 S.Gottardo

æ        1906 Sempione

 

I moderni passi e trafori autostradali arrivano un secolo dopo:

æ        1964 Gran San Bernardo

æ        1965 Monte Bianco, inaugurato da Saragat e De Gaulle

æ        1974 Autostrada del Brennero

æ        1980 Fréjus (13 km) e S.Gottardo (17 km) realizzato dagli Svizzeri

 

Nel 1965 il volume del traffico merci attraverso le Alpi è stato di 40 milioni di tonnellate. Nel 1990 si sono raggiunti gli 80 milioni di tonnellate. Nel 2001 hanno attraversato le Alpi 150 milioni di tonnellate di merci (100 milioni su strada e 50 su rotaia): in dieci anni l’83% in più, quantità destinate a raddoppiare nel volgere di pochi anni.

 

Impressiona l’evoluzione esponenziale di questo traffico, che se da un lato deve vederci compiaciuti per lo sviluppo dell’economia e del commercio estero italiano, dall’altro lato preoccupa per le evidenti difficoltà di far transitare attraverso le attuali insufficienti infrastrutture ulteriori aumenti della domanda.

 

Non si possono non amare le Alpi, territorio unico al mondo per la bellezza del paesaggio, per la maestosità delle montagne, per la varietà della flora e della fauna. Per fortuna hanno un’estensione vastissima con intere regioni ancora intatte e impenetrabili. Le vie di comunicazione che le attraversano producono inevitabilmente effetti negativi sull’ambiente, ma in assoluto di entità trascurabile, data la vastità del territorio, e percentualmente irrilevante rispetto alle emissioni comunque derivanti da tutte le altre attività civili, industriali e commerciali intensamente e proficuamente svolte dalle popolazioni alpine.

 

D’altro canto, l’invidiabile benessere delle popolazioni delle zone alpine, come Savoia, Ticino e Tirolo, non è solo frutto della loro laboriosità, ma anche di quella degli abitanti della pianura, che vivono in territori sicuramente meno protetti dal punto di vista ambientale.

 

Non si può oggi chiedere all’Italia di comprimere il proprio commercio estero in nome di un mal riposto ambientalismo. Le merci italiane debbono poter fluire, con il minor impatto ambientale possibile, questo sì, ma liberamente attraverso i territori alpini italiani, francesi, svizzeri e austriaci, senza contingentamenti, senza intralci burocratici, senza dosaggi, senza sovrapedaggi, senza soste forzate, senza dirottamenti, senza ecopunti.

 

L’Italia, oltre a essere periferica rispetto al baricentro economico dell’Europa, è anche da questo separata dalle Alpi. Solo tra pedaggi e chilometri in più, senza oneri di altro tipo, un camion di merce italiana per giungere nei maggiori mercati europei di consumo deve subire un maggior costo logistico di almeno 500 euro, che possono già fare la differenza sul piano competitivo. Se a ciò aggiungiamo i dirottamenti per centinaia di chilometri causati dalla ritardata riapertura del Bianco e il suo attuale funzionamento a sensi unici alternati, se aggiungiamo la chiusura notturna dei transiti svizzeri con la politica del «dosaggio» e dei sensi unici, se aggiungiamo il costo per i ripetuti rinnovi del parco veicolare italiano necessari per sopperire alla continua rarefazione degli ecopunti austriaci, il quadro diventa desolante.

 

Il Trattato di Roma e gli accordi sul trasporto terrestre con la Svizzera del 1992 implicano una perdita di sovranità dei singoli paesi in materia di circolazione, la cui disciplina è demandata a organismi sovranazionali e può essere solo eccezionalmente e temporaneamente derogata a livello locale per ben provati motivi particolari, altrimenti che senso ha parlare di libera circolazione delle merci ovvero di “libera scelta del modo di trasporto sull’itinerario tecnicamente, geograficamente ed economicamente più adatto” (articolo 1 dell’accordo UE/CH)?

 

A seconda dei diversi calcoli fatti da varie società di ricerca (di Parigi, Vienna e Basilea), e a seconda del tasso di sviluppo economico dei prossimi anni, l’incremento del traffico merci saturerà gli attuali valichi alpini nell’arco di 6-10 anni. Quali scelte sarà chiamato ad operare il nostro paese a quel momento, se strade alternative non saranno state aperte nel frattempo?

 

Qui è in ballo la nostra collocazione in Europa e nel mondo occidentale tra i grandi paesi ad economia liberista.

 

l’Europa ci deve aprire le porte!

 

Dobbiamo essere consapevoli della penalizzazione che comporta la nostra collocazione geografico-economica nel contesto europeo; questa consapevolezza deve assurgere a faro guida in tutte le occasioni in cui ci sia da operare una scelta anche su materie che sembrano lontane dal problema di cui trattasi. La disciplina europea sui tempi di guida e di riposo degli autisti, così come quella sull’orario di lavoro del personale viaggiante approvata dal Consiglio UE l’11 marzo 2002, sono sicuramente ispirate a motivazioni sociali di tutela dei lavoratori e di sicurezza della circolazione, ma sono anche funzionali alle distanze operative fra gli Stati centrali, mentre risultano penalizzanti per gli Stati periferici come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia.

 

A questo Governo va sicuramente riconosciuta una maggiore sensibilità nel farsi carico di questi problemi nell’interesse dell’economia nazionale, ma ancora nel dicembre 2001 a Laeken abbiamo concesso una proroga per noi svantaggiosissima del sistema degli ecopunti per il transito attraverso l’Austria, così come abbiamo sottoscritto il 30 novembre 2001 con Svizzera, Austria, Germania e Francia l’impegno a ratificare nel più breve tempo possibile il protocollo Trasporti della Convenzione delle Alpi. Protocollo che, come è ormai tristemente noto a tutti, impone agli Stati firmatari di “astenersi dalla costruzione di nuove strade di grande comunicazione per il trasporto transalpino”. Se ci illudiamo che sia possibile assorbire la domanda di crescita del trasporto merci sulle infrastrutture ferroviarie (non in grado di sopportare a breve un raddoppio e poi una quadruplicazione del traffico) vuol dire che siamo tutti degli struzzi. Quale sistema ferroviario europeo liberalizzato? Quali imprese e quali operatori ferroviari? Quale servizio? Quali rese? Quali costi?

 

Per un effettivo rilancio del sistema ferroviario non occorrono solo infrastrutture, ma anche un quadro normativo di riferimento favorevole allo sviluppo di una compagine imprenditoriale ferroviaria oggi assente: occorre cioè uscire dall’equivoco per cui la società che gestisce il traffico e la società che gestisce la rete appartengono alla stessa holding; bisogna riconoscere il ruolo degli operatori ferroviari diversi dall’impresa ferroviaria; vanno garantite le tracce orarie a chi detiene il traffico e non a chi lo esegue; è necessario mettere a disposizione delle nuove imprese le risorse materiali pubbliche esistenti (come per la telefonìa).

 

L’economia italiana ed europea attende su questi temi risposte non demagogiche.

 

Per quanto ci riguarda, il libero passaggio delle merci attraverso le Alpi e la realizzazione delle grandi opere infrastrutturali di cui il paese ha bisogno saranno la misura dell’efficacia dell’azione di Governo di questa maggioranza.

 

Grazie per l’attenzione

 

FINE TESTO RELAZIONE