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Roma, 11 febbraio 2003
Circolare n. 16/2003
Oggetto: Autotrasporto – Tariffe
obbligatorie – Sentenza della Corte Costituzionale n.26
del 4.2.2003.
La Corte
Costituzionale, con la sentenza indicata in oggetto, ha dichiarato costituzionalmente
legittima sotto il profilo dell’efficacia retroattiva la
norma d’interpretazione autentica di cui all’articolo 3 del D.L. 256/2001 convertito
nella legge 20.8.2001, n.334.
Com’è noto, quella
norma ha interpretato l’articolo 26 della legge n.298/74
nel senso che i contratti di trasporto conclusi verbalmente sono validi ed
efficaci, mentre sono nulli ed inefficaci, con l’effetto della
inapplicabilità delle tariffe obbligatorie, solo quelli conclusi in
forma scritta senza l’indicazione dei dati dell’iscrizione nell’albo e
dell’autorizzazione al trasporto per conto di terzi.
La Confetra ha
espresso insoddisfazione per la sentenza che non ha colto l’irrazionalità della
norma interpretativa, limitandosi a valutarne la legittimità costituzionale
esclusivamente sotto il profilo dell’efficacia retroattiva, e ha sollecitato il
Governo a presentare il disegno di legge per il superamento delle tariffe a
forcella, come da protocollo sottoscritto con le associazioni
dell’autotrasporto lo scorso 6 settembre.
f.to dr. Piero M. Luzzati |
Per riferimenti confronta circ.re conf.le n.112/2002 |
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Allegato uno |
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D/d |
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CORTE COSTITUZIONALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
SENTENZA N.26 ANNO 2003
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA “
- Carlo MEZZANOTTE “
- Fernanda CONTRI “
- Guido NEPPI MODONA “
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria
FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo
MADDALENA “
ha pronunciato la seguente
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 3 del
decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256 (Interventi urgenti nel settore dei trasporti),
convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001, n. 334, promossi con
ordinanze del 25 gennaio 2002 dal Tribunale di Vallo della Lucania
e del 9 aprile 2002 dal Tribunale di Genova iscritte ai nn.
229 e 290 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 21 e 25, prima
serie speciale, dell'anno 2002.
Visti gli atti di costituzione della Comerit
s.r.l. e della Spinelli s.r.l. nonché gli atti di
intervento di Piga Franca ed altri e della F.A.I. ed
altra;
udito nell'udienza pubblica del 5
novembre 2002 il Giudice relatore Romano Vaccarella;
uditi gli avvocati Antonio Spadetta per la Comerit s.r.l. e
Enrico Siboldi per la Spinelli s.r.l.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale di Vallo della Lucania
– adito dalla committente Comerit s.r.l. in sede di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dalla B.F.T. s.r.l., vettore utilizzato
per il trasporto di cose e ricorrente in via monitoria
per conseguire quanto dovuto a titolo di compenso per l'opera prestata - con
ordinanza emessa il 25 gennaio 2002, solleva questione di legittimità
costituzionale per asserito contrasto con gli articoli 3, 24, 102 e 104 della
Costituzione dell'art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256 (Interventi
urgenti nel settore dei trasporti), convertito, con modificazioni, dalla legge
20 agosto 2001, n. 334, secondo cui l'ultimo comma dell'art. 26 della legge 6
giugno 1974, n. 298 - come modificato dall'art. 1 del decreto-legge 29 marzo
1993, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1993, n. 162
- «si interpreta nel senso che la prevista annotazione sulla copia del
contratto di trasporto dei dati relativi agli estremi dell'iscrizione all'albo
e dell'autorizzazione al trasporto di cose per conto di terzi possedute dal
vettore, nonché la conseguente nullità del contratto privo di tali annotazioni,
non comportano l'obbligatorietà della forma scritta del contratto di trasporto
previsto dall'art. 1678 del codice civile, ma rilevano soltanto nel caso in cui
per la stipula di tale contratto le parti abbiano scelto la forma scritta».
1.1.- In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce che la Comerit
s.r.l. aveva instato per la declaratoria di nullità
del contratto di trasporto invocato dalla controparte a fondamento della pretesa
creditoria, perché stipulato in violazione della
disposizione di cui all'art. 26 della legge n. 162 del 1993 la
quale, prima della «modificazione» introdotta con l'art. 3 del d.l. 3 luglio 2001, n. 256, «prescriveva, a
pena di nullità, la forma scritta del contratto di trasporto, con l'obbligo di
specificare a cura del vettore, nello stesso contratto, il numero e la data sia
dell'iscrizione nell'albo dei trasportatori, sia delle autorizzazioni al
trasporto di cose per conto terzi».
Soggiunge il giudice a quo che la società opposta, frattanto
costituitasi in giudizio, aveva dedotto di essere
regolarmente iscritta all'albo dei trasportatori, consultabile dal pubblico,
per cui la mancata indicazione dei relativi estremi in contratto non avrebbe
dovuto sortire alcun effetto.
Assunta la causa in decisione sulla questione pregiudiziale
della validità dell'accordo stipulato dalle contendenti, il Tribunale di Vallo
della Lucania solleva la questione di legittimità
costituzionale della norma interpretativa sopra richiamata, osservando, quanto
alla rilevanza della questione, come la difesa della Comerit
s.r.l. sia mirata ad evidenziare l'assenza, tra le parti, di qualsivoglia pattuizione
scritta in ordine ai trasporti di cose per conto terzi
effettuati dalla B.F.T. s.r.l. su
commissione dell'opponente, con la conseguenza immediata di paralizzare la
pretesa creditoria come prospettata dal vettore in
sede monitoria. Poiché secondo la uniforme
opinione della giurisprudenza di merito (formatasi sulla lettera della norma
introdotta nel 1993 al fine di potenziare la repressione dei trasporti abusivi)
sarebbe insanabilmente nulla la pattuizione conclusa
in forma orale, la questione di legittimità della norma di cui all'art. 3 del
decreto-legge 3 luglio 2001, n. 256
risulterebbe rilevante nel giudizio a quo, stante il carattere
retroattivo della disposizione dichiarata interpretativa, che la rende
applicabile alla fattispecie di causa.
1.1.2.– In ordine alla non manifesta
infondatezza della questione, il giudice rimettente preliminarmente richiama le
pronunce della Corte costituzionale che, di volta in volta, hanno individuato
l'ambito applicativo delle norme interpretative nella scelta di una delle
possibili varianti di senso del testo interpretato, vincolando un significato
ascrivibile alla norma anteriore (sentenze n. 39 del 1993, n. 311 del 1995 e n.
525 del 2000), col limite dei principi generali di ragionevolezza, di
uguaglianza, di tutela dell'affidamento legittimamente posto sulla certezza
dell'ordinamento giuridico e del rispetto delle funzioni costituzionalmente
riservate al potere giudiziario (sentenze n. 229 del 1999 e n. 397 del 1994);
osserva quindi come, nel caso di specie, non fosse riscontrabile uno stato di
obiettiva e non altrimenti superabile incertezza interpretativa dell'art. 26
della legge n. 298 del 1974, nella formulazione introdotta dalla legge n. 162
del 1993, tenuto conto che la giurisprudenza di merito aveva ritenuto che la
ratio e la lettera della norma interpretata imponessero la forma scritta ad substantiam del contratto di trasporto di cose per conto
terzi, allo scopo di consentire, in ogni caso, l'annotazione dei dati
(iscrizione nell'albo e autorizzazione al trasporto) richiesti dalla legge.
L'originaria finalità legislativa di contrasto dell'abusivismo
nel trasporto di cose per conto terzi, ad avviso del Giudice a quo, rende
tuttavia difficile negare il carattere innovativo - per assenza di una scelta
ermeneutica ragionevolmente ascrivibile all'art. 26 della legge n. 298 del 1974
- della norma denunciata che oggi discrimina l'applicazione della sanzione
della nullità in relazione non più alla mancanza di alcuni
requisiti in astratto considerati, ma alla loro omessa inclusione nel contratto
solo ove concretamente stipulato per iscritto. Il legislatore della norma interpretativa,
in violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione,
avrebbe dunque effettuato una lettura della
disposizione interpretata non desumibile da quel testo e mai accolta dalla giurisprudenza,
con pregiudizio dell'affidamento sulla certezza delle situazioni giuridiche. In
tali termini, notevole sarebbe stata, ad avviso del rimettente, la ricaduta su
numerose fattispecie sub judice, come ben noto ai conditores per quanto evincibile dal tenore dei lavori
parlamentari, con scadimento della funzione legislativa su un piano meramente provvedimentale e contestuale violazione
degli artt. 102 e 104 della Costituzione.
1.2.– Si è costituita con una memoria la Comerit
s.r.l. la quale ha innanzitutto ribadito la rilevanza nel giudizio a quo della questione di
legittimità posto che, ove la forma scritta del contratto di trasporto di cose
per conto terzi non fosse imposta ad substantiam, la
domanda del vettore B.F.T. s.r.l.,
avanzata per il pagamento delle differenze derivanti dall'applicazione delle
tariffe obbligatorie, sarebbe da scrutinarsi nel merito, superando l'eccezione
di nullità dei contratti intercorsi inter partes formulata dalla deducente
ai sensi della norma interpretata.
La parte privata ha, quindi, concluso
per la fondatezza nel merito della questione. Ha, infatti, rilevato come
l'interpretazione effettuata dai giudici di merito dell'art. 26 della legge n. 298 del 1974, come novellato dall'art. 1 del
d.l. n. 82 del 1993, sia stata univoca nel senso di prevedere la forma scritta ad substantiam del contratto di
trasporto di cose per conto terzi. Ciò in aderenza allo scopo
della normativa in esame, volta alla repressione del trasporto abusivo in armonia
col sistema di sanzioni amministrative previsto dalle altre disposizioni
del medesimo testo di legge. Il fine di tutela dell'ordine pubblico, tipizzante
l'intera disciplina della materia, si completerebbe con l'obbligo della forma
scritta del contratto, «imposto a tutela del principio di buona fede e di
correttezza e di quello del diritto alla difesa, considerate le gravi sanzioni
comminate a carico del committente, che può essere ragionevolmente punito soltanto
quando, posto in condizione di non concorrere alla violazione della norma imperativa,
la voglia ugualmente violare – art. 3, della legge n. 689 del 1981». La norma interpretativa
si pone, tuttavia, in netta antitesi con le finalità di quella
interpretata, prevedendo la nullità del contratto «nella sola ipotesi in
cui le parti abbiano scelto la forma scritta», con la conseguenza di rendere la
norma irrilevante per la tutela dell'ordine pubblico (nella misura in cui
elimina ogni interesse delle parti per la stipula in forma scritta) e di
indebolire l'intero sistema sanzionatorio istituito
con la novella del 1993. Ad avviso del deducente,
evidente è, sotto tale profilo, la violazione dell'art. 24, secondo comma,
Cost. laddove il committente, o primo vettore, corresponsabili agli effetti sanzionatori previsti dall'art. 26 della legge n. 298 del
1974 sono ora privati della tutela assicurata
dall'obbligo, senza esclusione per nessuno, della forma scritta del contratto e
dell'annotazione dei dati dell'albo e dell'autorizzazione.
Va, inoltre, censurata la norma interpretativa anche alla stregua
dell'art. 3 Cost. per la sua manifesta irrazionalità, in
quanto restringe l'ipotesi di nullità del contratto ad un caso non
giustificato dalla tutela dell'interesse pubblico generale né da quella degli interessi coinvolti nella particolare
operazione economica da compiere.
La norma impugnata si configura poi come estranea ai parametri
che ne dovrebbero connotare la natura interpretativa, non sussistendo alcuna incertezza interpretativa né una possibile
alternativa semantica rispetto ad una lettera e ad una ratio chiarissime ed
univoche; essa costituirebbe invece un tentativo di influire sui decisa ancora
non stabilizzati con ulteriore violazione degli articoli 101, secondo comma,
102, primo comma e 104, primo comma, della Costituzione, nella misura in cui lede
l'autonomia del giudice e gli impone di subire l'arbitrio di una
interpretazione di segno esattamente opposto rispetto a quella da lui
univocamente fornita nelle cause finora decise.
Non sussisterebbero inoltre i requisiti di straordinaria
urgenza e necessità previsti dall'art. 77 Cost. per approvare con decreto-legge
la norma interpretativa suddetta, tenuto anche conto del notevole lasso di tempo (circa otto anni) intercorso tra l'entrata in
vigore della norma interpretata e di quella interpretativa.
Sussisterebbe poi la violazione dell'art. 41 della
Costituzione nei termini per cui la norma in questione
«vincola la libertà d'iniziativa economica, dando alle parti il mezzo di
rendere inapplicabili le tariffe obbligatorie soltanto per alcuni, ma non per
tutti, consentendo soltanto a questi di essere concorrenziali».
Il deducente, infine, analiticamente
esaminati i lavori parlamentari che hanno preceduto l'approvazione della norma
impugnata, pone in evidenza le perplessità avanzate in
ordine alla legittimità formale e sostanziale della stessa e conclude per la
dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata.
1.3.- Sono intervenuti, fuori termine, i signori Franca Piga, Salvatore Fronteddu e
Francesca Sestu, qualificandosi interessati al
giudizio costituzionale, in quanto altrettante
ordinanze del Tribunale del lavoro di Nuoro avevano ritenuto sussistere una
pregiudizialità tra il giudizio in r.o. n. 98 del
2002 (introdotto con ordinanza del Tribunale di Torino e deciso da questa Corte
con ordinanza n. 409 del 2002) e quelli, pendenti innanzi al detto Tribunale
del lavoro, nei quali gli interventori erano parti,
ed avevano sospeso quei giudizi «in attesa della
pronuncia della Corte costituzionale sulla legittimità della normativa
applicabile al rapporto dedotto in causa».
Gli interventori hanno concluso per la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale, movendo essenzialmente dalla considerazione che, in
realtà, sotto la vigenza della norma interpretata esisteva un contrasto
interpretativo in seno alla giurisprudenza di merito, rappresentato con
evidenza da una serie di pronunce di segno contrario rispetto a quelle
genericamente richiamate dal giudice rimettente. Gli stessi hanno poi fatto
espresso riferimento alla recente pronuncia della Corte di cassazione, sez.
lavoro (sentenza n. 8256 del 6 giugno del 2002) che ha riconosciuto la natura interpretativa
e la correlata portata retroattiva della norma censurata, escludendo in punto
di manifesta infondatezza la sussistenza di un contrasto tra questa e i principi
costituzionali di cui agli artt. 24,
41, 101, 102 e 104 della Costituzione.
1.4.– Con memoria 16 settembre 2002 sono, altresì, intervenuti
nel giudizio la F.A.I. – Federazione degli Autotrasporti Italiani – e la Confartigianato Trasporti, sostenendo – “quali portavoci degli interessi delle imprese che esercitano
professionalmente l'attività di autotrasporti di merce per conto terzi” –
l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale.
1.5.- La Comerit s.r.l. ha
depositato, rispettivamente in data 25 settembre e 23 ottobre 2002, memorie con
le quali ha richiamato la giurisprudenza della Corte
costituzionale in tema di norme interpretative per dedurne la illegittimità
della disposizione denunciata la quale interviene, con pretesa efficacia
retroattiva, per attribuire alla norma interpretata una portata contraria alla
sua ratio genetica ancorata, invece, alla necessità della forma scritta ad substantiam del contratto di autotrasporto.
Osserva che sarebbe profondamente contraddittorio un tessuto
normativo il quale preveda che “per tutti i contratti di trasporto, di
qualsivoglia genere, anche internazionali, sia richiesta
obbligatoriamente la forma scritta del contratto, nel mentre l'unica eccezione
sarebbe costituita per i contratti
concernenti il trasporto per conto terzi”. Peraltro,
disattesa la prospettazione di una nullità relativa
(stante l'interesse generale alla repressione del trasporto abusivo sotteso
alla norma), all'intervento legislativo in esame dovrebbe essere attribuita
portata sostanzialmente innovativa, con la conseguenza che il voluto effetto
retroattivo della disposizione finisce per incidere, compromettendolo,
sull'affidamento del cittadino nella certezza del diritto e per creare i presupposti
per infliggere sanzioni ai committenti non in grado di provare documentalmente la
propria buona fede nell'affidamento di un trasporto ad esercenti abusivi di quell'attività. Evidente sarebbe, inoltre, l'indebita
ingerenza sulle sorti dei giudizi in corso, con la relativa violazione degli
articoli 102 e 104 della Costituzione.
Da ultimo, la deducente critica,
perché confliggenti con la ratio della norma, le
motivazioni contenute nella sentenza n. 8256 del 2002 della Corte di
cassazione, in particolare laddove il Supremo Collegio opina nel senso che la
nullità discenderebbe da un elemento che è estrinseco al suo contenuto
sostanziale e che consiste in un adempimento che è richiesto ad una sola delle
parti e che non è perfettamente definito con riferimento a tutte le possibili modalità di conclusione di un contratto per iscritto. Ribadisce, quindi, la deducente la
violazione del principio di uguaglianza in quanto la norma denunciata ingenera
disparità “tra coloro che avevano, all'epoca, infondatamente dato corso a
controversie giudiziarie, e coloro che si erano astenuti in funzione della chiarezza
della norma sulla quale il legislatore malamente è intervenuto, con ciò intravedendosi
anche la violazione dell'art. 41 della Costituzione”.
Richiama, infine, la Comerit s.r.l. l'ulteriore ordinanza di rimessione
del Tribunale di Prato del 25 settembre 2002 che pure svolge rilievi critici
avverso la trama motivazionale di Cass. n. 8256 del 2002 ritenuta in contrasto
con Cass. n. 59 del 2002, la quale aveva diversamente risolto
analoga questione nell'interpretazione dell'art. 40 della legge 28
febbraio 1985, n. 47.
2.– Il Tribunale di Genova, nel corso di un processo civile
promosso dalla Spinelli s.r.l.,
esercente attività di trasporto e spedizione terrestre con autoarticolati e containers, nei confronti dei vettori Ratti Mario, titolare
della omonima ditta individuale, e Ratti Fausto, solleva, con ordinanza emessa
il 9 aprile 2002, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del d.l.
3 luglio 2001, n. 256 (convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto
2001, n. 334) contenente norma di interpretazione autentica dell'ultimo comma
dell'art. 26 della legge 6 giugno 1974, n. 298 - come modificato dall'art. 1
del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla
legge 27 maggio 1993, n. 162 - «nella parte in cui inserisce norma modificativa
della precedente attribuendo alla stessa valore retroattivo».
2.1.– In punto di fatto, il Giudice a quo premette che la Spinelli s.r.l., «assumendo di
aver intrattenuto con il convenuto, dal 1990 al 1996, rapporti negoziali inerenti
il trasporto di contenitori del gruppo B, ha chiesto (…) dichiarare nulli ai
sensi delle disposizioni di cui all'art. 1, n. 2 della legge n. 162 del 1993, i
contratti intervenuti tra le parti in quanto privi di forma scritta».
Soggiunge che la parte convenuta ha opposto la discutibilità
della prevalente interpretazione giurisprudenziale della norma di cui alla
legge n. 162 del 1993, la quale avrebbe introdotto una figura di contratto con
forma scritta richiesta ad substantiam
in contrasto con i principi di cui all'art. 1325 cod. civ. (peraltro, in ogni
caso sarebbero spettati i conguagli richiesti a titolo di illecito
arricchimento).
Su istanza della parte attrice, il
Tribunale rimette la questione alla Corte costituzionale nei termini sopra
indicati, affermandone la rilevanza, in quanto riguarda direttamente una
pregiudiziale della causa.
2.2.– Con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione,
il rimettente ha diffusamente richiamato numerosi precedenti della Corte
costituzionale sulla portata ed i limiti dell'attività legislativa di interpretazione autentica (sentenze n. 118 del 1957, n.
123 del 1987, n. 91 del 1988, n. 155 del 1990, n. 311 del 1995, n. 397 e n. 6
del 1994, n. 424 e n. 283 del 1993, n. 440 del 1992, n. 429 del 1993, n. 822
del 1998, n. 525 del 2000), ritenendo sinteticamente e per relationem
sussistenti «tutti i dubbi di legittimità inerenti la retroattività della norma
sollevati da parte attrice».
2.3.– Si è costituita la Spinelli
s.r.l. la quale ha sottolineato, citando numerose pronunce, la (pretesa)
univocità della interpretazione di merito, consolidatasi prima dell'entrata in
vigore della norma interpretativa, in ordine alla necessità, postulata dal
tenore e dalla ratio dell'art. 26, ultimo comma, della legge 6 giugno 1974, n.
298 - come modificato dall'art. 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82, - che
i contratti di trasporto di cose per conto terzi dovessero assumere forma
scritta ad substantiam.
Richiamando la ratio della norma, la parte privata sostiene,
in primo luogo, che la norma interpretativa introdurrebbe una
irragionevole disparità di trattamento tra coloro che scelgono la forma
scritta contrattuale - e che, pertanto, si espongono al rischio di vedersene
dichiarare la nullità per il caso di mancata menzione delle annotazioni
previste dalla legge – e coloro che, invece, avendo stipulato il contratto
verbalmente, non subiranno alcuna conseguenza. La evidente
omogeneità delle situazioni sottostanti non giustificherebbe, dunque, a detta
del deducente, il differente trattamento normativo, e
sanzionatorio in particolare; ciò tenuto anche conto
delle gravi ricadute, conseguenti alla declaratoria di nullità del contratto,
in termini di inapplicabilità delle c.d. tariffe di trasporto a forcella e di
possibile attivazione, a cura del committente, della procedura di ripetizione
dell'indebito ex art. 2033 cod. civ. per il recupero
di quanto già corrisposto. Vero è, infine, secondo il deducente,
che l'esperimento da parte del vettore dell'azione sussidiaria di arricchimento senza causa, anche ove fosse possibile
superare i limiti di ammissibilità riscontrabili nell'interpretazione della
giurisprudenza di legittimità, non determinerebbe l'applicazione diretta della
disciplina tariffaria, così come la nullità del contratto, in caso di avaria o
perdita delle merci, escluderebbe l'azione risarcitoria
contrattuale (in uno all'intera normativa in tema di responsabilità ex recepto) in favore di quella aquiliana.
Dubita la parte privata della razionalità della norma, così
autenticamente interpretata, sotto altro profilo, in quanto
la previsione di nullità non sarebbe più a presidio di un interesse pubblico riconoscibile,
stante il mancato carattere imperativo della disposizione in conseguenza della
sua inapplicabilità a tutti indistintamente i soggetti interessati. D'altra
parte, opina il deducente, la disposizione
denunciata, per la stridente contraddizione con la originaria
finalità di repressione del trasporto abusivo, rivelerebbe la precisa volontà
legislativa di incidere sui tanti processi in corso, intrapresi dai vettori per
ottenere il pagamento delle differenze di tariffe di trasporto rispetto ai
compensi percepiti, altrimenti destinati a chiudersi con la declaratoria di
nullità del contratto.
La Spinelli s.r.l. prospetta,
inoltre, la violazione di ulteriori parametri costituzionali tra i quali l'art.
41 Cost., quale ricaduta, sul piano economico dei rapporti
tra le parti, della violazione dell'art. 3 Cost.,
sostanzialmente favorendo quelle imprese le quali deliberatamente optino per la
conclusione di contratti nulli per difetto di forma allo scopo di non osservare
la disciplina tariffaria. Tutto ciò con evidenti ricadute anche sull'equilibrio
del sistema di concorrenza, nella prassi inquinato dai subvettori
che eludono, al ribasso, le tariffe obbligatorie con lo scopo immediato di
accaparrare clientela e con la riserva mentale di chiedere le differenze tariffarie
al termine del rapporto contrattuale.
Richiama, infine, la parte privata anche la violazione
dell'art. 104 (oltre i già richiamati artt. 101 e 102
Cost.) in quanto il legislatore con la norma
denunziata avrebbe inteso ledere la funzione giurisdizionale imponendo al
giudice l'interpretazione dal giudice stesso sistematicamente respinta.
Non ritiene invece rilevante, nel processo da cui promana la
questione di legittimità costituzionale, la violazione dell'art. 24, secondo
comma, Cost. «perché al mittente, che in questo caso è un vettore che ha concluso un contratto di subtrasporto,
non è stata contestata la violazione del penultimo comma dell'art. 26 della
legge 298/74, che prevede la sanzione amministrativa del pagamento della somma
da tre milioni di lire e 18 milioni, il sequestro e la possibile confisca della
merce trasportata, a carico di chi affidi l'esecuzione del trasporto ad un
vettore abusivo».
2.4.- La Spinelli s.r.l. ha
depositato, rispettivamente in data 19 settembre e 18 ottobre 2002, memorie
nelle quali ha svolto rilievi critici riguardo alla sentenza n. 8256/02 della
Cassazione, in particolare laddove questa esclude che la norma interpretata
imponesse la forma scritta ad substantiam ed esclude
che la norma interpretativa presti il fianco a dubbi di costituzionalità.
La Spinelli richiama inoltre altri
precedenti specifici della Corte costituzionale in tema di norme interpretative
(sentenza n. 525 del 2000), sottolineando ancora una volta l'irrazionalità della
norma denunciata per contrasto con la finalità di repressione del trasporto
abusivo e con quella di evitare la mancata applicazione delle c.d. tariffe a
forcella in conseguenza della dichiarazione di nullità del contratto. La disposizione
oggi impugnata si è infatti risolta in danno dei
trasportatori contro i quali sono state avviate azioni ex art. 2033 cod. civ. ad evitare le quali sarebbe invece bastata la previsione di una norma che avesse
imposto, anche per i contratti nulli, l'applicazione delle menzionate tariffe.
Richiama, quindi, le motivazioni di precedenti ordinanze di rimessione sulla stessa questione ovvero su quella avente
ad oggetto la legge n. 298 del 1974 (decise con ordinanza n. 409 del 2002 e
ordinanza n. 386 del 1996).
La Spinelli, infine, richiama
l'ulteriore ordinanza di rimessione pronunziata dal
Tribunale di Prato il 25 settembre 2002, ed evidenzia le analogie esistenti tra
la questione odierna e quella relativa all'art. 40 della legge n. 47 del 1985.
Considerato in diritto
1.– La questione di legittimità costituzionale, sollevata dal
Tribunale di Vallo della Lucania con ordinanza 25
gennaio 2002 e dal Tribunale di Genova con ordinanza 9 aprile 2002, concerne
l'art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001 n. 256 (Interventi urgenti nel settore
dei trasporti), convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001 n.
334, secondo il quale l'ultimo comma dell'art. 26 della legge 6 giugno 1974 n.
298 (Istituzione dell'albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto
di terzi, disciplina degli autotrasporti di cose e istituzione di un sistema di
tariffe a forcella per i trasporti di merci su strada) – come modificato
dall'art. 1 del decreto-legge 29 marzo 1993, n. 82 (Misure urgenti per il
settore dell'autotrasporto di cose per conto di terzi), convertito, con
modificazioni, dalla legge 27 maggio 1993 n. 162 - «si interpreta
nel senso che la prevista annotazione sulla copia del contratto di trasporto
dei dati relativi agli estremi dell'iscrizione all'albo e dell'autorizzazione
al trasporto di cose per conto di terzi possedute dal vettore, nonché la
conseguente nullità del contratto privo di tali annotazioni, non comportano l'obbligatorietà
della forma scritta del contratto di trasporto previsto dall'art. 1678 del
codice civile, ma rilevano soltanto nel caso in cui per la stipula di tale
contratto le parti abbiano scelto la forma scritta».
Il Tribunale di Vallo della Lucania
dubita della legittimità costituzionale della norma denunciata
con riferimento agli artt. 3, 24, 102 e 104 Cost., laddove il Tribunale di
Genova – facendo proprie talune indicazioni dell'attrice Spinelli s.r.l. –
individua implicitamente negli artt. 3, 101 e 102
Cost. le norme costituzionali la cui violazione ritiene non manifestamente
infondata.
La sostanziale identità delle questioni sollevate dalle due ordinanze
impone la riunione dei relativi giudizi.
2.– Sia il Tribunale di Vallo della Lucania
che il Tribunale di Genova muovono dalla premessa che
la norma interpretata (art. 26, ultimo comma, della legge n. 298 del 1974, come
modificato dall'art. 1 del decreto-legge n. 82 del 1993) fosse assolutamente
univoca nel suo significato, e fosse, inoltre, assolutamente univoca la
giurisprudenza nel ritenere – sulla base della sua lettera e ratio – che il
contratto di autotrasporto di cose per conto di terzi esigesse, a pena di nullità,
la forma scritta ad substantiam.
Da tale premessa entrambi i
rimettenti deducono che, non sussistendo alcuna incertezza interpretativa, il
legislatore del 2001 avrebbe, in realtà, imposto alla norma interpretata non
già un significato in essa comunque rinvenibile, bensì un significato ad essa
totalmente estraneo; sicché la retroattività attribuita alla (innovativa) interpretazione
così imposta minerebbe la certezza dei rapporti giuridici sulla quale i cittadini
debbono poter contare e si risolverebbe in una indebita interferenza,
imponendone una definizione in senso opposto a quello consentito dalla norma
interpretata, nelle numerose controversie delle quali è già investita
l'autorità giudiziaria.
Peraltro, la norma autenticamente interpretata sarebbe
irragionevole e contraddittoria, in quanto essa impone
di giungere – osserva il Tribunale di Vallo della Lucania
– «alla paradossale conclusione che la normativa diretta alla repressione
dell'abusivismo nell'ambito del trasporto di cose per conto terzi prevede la
necessità dell'indicazione dei requisiti idonei a scoraggiare l'abusivismo solo
quando le parti abbiano adottato la forma scritta, di per sé già maggiormente
idonea a tutelare gli interessi delle parti, mentre, nella diversa ipotesi in
cui il contratto sia stato concluso solo oralmente, nessun requisito e nessuna
forma devono considerarsi previsti a pena di nullità del contratto».
3.– Preliminarmente, deve dichiararsi l'inammissibilità degli
interventi spiegati dai sigg. Franca Piga, Salvatore Fronteddu e Francesca Sestu, nonché dalla F.A.I. – Federazione degli Autotrasportatori
Italiani – e dalla Confartigianato trasporti, in quanto non erano parti in
alcuno dei giudizi a quibus (da ultimo, sentenza n.
470 del 2002).
4.– Occorre rilevare, sempre in via preliminare, che entrambe
le ordinanze prospettano la questione di legittimità costituzionale
esclusivamente sotto il profilo della portata retroattiva della norma; in
particolare, il Tribunale di Vallo della Lucania –
nonostante lamenti l'irrazionalità della norma nel passo sopra trascritto –
precisa espressamente che «la questione posta non investe l'efficacia futura
della normativa in esame (perché) il dubbio di legittimità costituzionale nasce
in relazione alla efficacia retroattiva di essa».
Il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunciato impone, pertanto, di valutare la legittimità costituzionale della
norma denunciata esclusivamente sotto il profilo della sua efficacia
retroattiva.
5.- La questione non è
fondata.
La premessa, da cui muovono entrambi i rimettenti, della assoluta univocità dell'interpretazione consentita
dalla lettera e dalla ratio dell'art. 26, ultimo comma, legge n. 298 del 1974
(come modificato dall'art. 1 del d.l. n. 82 del 1993) non è
condivisibile: non lo è in fatto, dal momento che la tesi della necessità, a
pena di nullità, della forma scritta del contratto de quo è certamente
prevalente nella giurisprudenza di merito, ma, altrettanto certamente, numerose
sono le pronunce (anche del giudice di legittimità: cfr.
Cass. 6 giugno 2002 n. 8256) che quella tesi prevalente contrastano; né lo è
ove si consideri la ratio, dal momento che la sanzione della nullità avrebbe abnormemente
colpito il contratto, anche se stipulato con vettore iscritto all'albo, per un
vizio di forma non correlato ad una reale esigenza di tutela (neanche) della
controparte contrattuale.
In altre parole, la ratio (repressione dell'abusivismo) che si
afferma sottesa alla norma interpretata implica un
eccesso del mezzo (nullità per difetto di forma e di indicazione di taluni dati)
rispetto al fine perseguito; del che offre conferma, sul piano normativo, il
medesimo art. 26, comma secondo, della legge n. 298 del 1974 (introdotto, si
noti, dal medesimo art. 1 del d.l. n. 82 del 1993) che prevede, a carico del
committente, una sanzione pecuniaria correlata all'effettivo affidamento del
trasporto ad un vettore “abusivo” ed offrono conferma, sul piano fattuale, le vicende da cui scaturisce il presente giudizio
che vedono incontestata l'iscrizione al relativo albo degli autotrasportatori
alle cui pretese è stata opposta la nullità del contratto.
Ne discende l'infondatezza delle censure – aventi come parametro gli artt. 101, 102 e 104
Cost. – volte a contestare il ricorso del legislatore ad una legge di interpretazione autentica ed a dedurne una illegittima
interferenza nei giudizi pendenti con compressione del potere decisorio del giudice: questa Corte ha più volte statuito
che il legislatore ha il potere di precisare il significato di norme al fine di
vincolare – purché la portata retroattiva non violi altri principi costituzionali
– il significato loro ascrivibile ad una tra le possibili varianti di senso del
testo originario. Essendo certo che, nel caso di specie, ad un indirizzo
prevalente se ne contrapponeva un altro, consistente anche se minoritario,
fondato proprio sull'eccesso rappresentato dallo strumento della nullità del
contratto rispetto al fine perseguito e quindi, in ultima analisi, fondato
sulla ratio della norma, deve escludersi l'illegittimità costituzionale di una
norma di interpretazione autentica volta ad imporre,
tra le opzioni possibili, anche nei giudizi pendenti la non essenzialità della
forma scritta ai fini della validità del contratto di autotrasporto di cose per
conto di terzi.
Altrettanto
infondata è la questione sotto il profilo – riconducibile alla pretesa
violazione degli artt. 3 e 24 Cost. – che la norma
interpretativa inciderebbe sulla certezza dei rapporti giuridici danneggiando
chi aveva fatto legittimo affidamento sulla nullità del contratto concluso oralmente;
non può non rilevarsi – in primo luogo e decisivamente - che quello denunciato
è un effetto insito nel fenomeno dell'interpretazione autentica, ma deve anche
aggiungersi, con riguardo al caso di specie, che appare improponibile un tale
argomento a tutela di chi, pur avendo concluso il contratto
con vettore iscritto all'albo, pretende di sottrarsi alle conseguenti
obbligazioni assumendo di aver fatto affidamento (e cioè, scientemente) su un
difetto di forma del contratto stesso.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale, dell'art. 3 del decreto-legge 3 luglio 2001 n. 256 (Interventi
urgenti nel settore dei trasporti), convertito, con modificazioni, dalla legge
20 agosto 2001 n. 334, sollevata, in riferimento agli artt.
3, 24, 101, 102, 104 Cost.,
dai Tribunali di Vallo della Lucania e di Genova con
le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 16 gennaio 2003.
F.to:
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 4 febbraio 2003.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI
PAOLA