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Roma, 6 marzo 2012

 

Circolare n.64/2012

 

Oggetto: Lavoro – Contrattazione collettiva applicabile negli aeroporti – Sentenze del TAR Lazio nn.1295 del 9.2.2012 e 982 del 30.1.2012.

 

Confermando le precedenti pronunce del Consiglio di Stato (sentenza n.3489 dell’8.6.2009) e del TAR Lombardia (sentenza n.1329 del 7.5.2008), anche il TAR Lazio si è espresso a favore della libertà contrattuale negli aeroporti con due distinte sentenze emanate a poca distanza l’una dall’altra.

 

Entrambe le sentenze hanno disposto l’annullamento dell’art.15 del regolamento Enac del 23.3.2011 sulla “Certificazione dei prestatori di servizi aeroportuali di assistenza a terra” nella parte in cui impone l’applicazione del CCNL Assaeroporti ai fini del rilascio o del rinnovo della suddetta certificazione. Secondo il TAR Lazio l’imposizione dell’osservanza di uno specifico CCNL, oltre che costituzionalmente illegittima e contraria alla normativa europea (direttiva 96/97/CE), contrasta con l’art.13 del DLGVO n.18/1999. Tale decreto infatti ha indicato, tra i requisiti per lo svolgimento dell’attività di handling, l’applicazione di un contratto collettivo di lavoro senza peraltro specificare quale, posto che tutti i CCNL costituiscono alla stregua dell’art.3 della Costituzione un valido parametro di riferimento a garanzia di un adeguato livello di protezione sociale. Sempre secondo il TAR Lazio l’eventuale attribuzione al CCNL Assaeroporti di efficacia erga omnes determinerebbe inoltre effetti restrittivi della concorrenza nel mercato dei servizi di handling.

 

Si fa osservare infine che il TAR Lazio, oltre che sulla contrattazione collettiva applicabile negli aeroporti, è intervenuto anche su altri aspetti del citato regolamento Enac del 23.3.2011 disponendo l’annullamento dell’art. 1, commi 3 e 4, nella parte in cui esclude che i prestatori di servizi a terra possano svolgere un esercizio frazionato delle attività relative alle singole categorie di handling (sentenza n.1295), nonché dell’art.9, comma 1 lett.b, nella parte in cui vieta il ricorso al subappalto per l’assistenza merci e posta (sentenza 982).

 

Fabio Marrocco

Per riferimenti confronta circ.re conf.le n.98/2008

Responsabile di Area

Allegati due

 

M/n

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SENTENZA TAR LAZIO N. 1295 DEL 9.2.2012

 

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4779 del 2011, proposto da: Soc. Cismat Srl, in persona del legale rappresentante p. t., rappresentata e difesa dall'avv. Massimo Giordano, presso il cui studio è domiciliata elettivamente in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 187;

contro

l’Enac - Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante p. t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

nei confronti di

Soc. Sea Handling Spa, in persona del legale rappresentante p. t., Soc. Esercizi  Aeroportuali  Spa (Sea), in persona  del  legale  rappresentante

p. t., Fit - Cisl, Uiltrasporti, in persona del legale rappresentante p. t., Filt - Cgil, in persona del legale rappresentante p. t., rappresentata e difesa dagli avv. ti Sergio Vacirca, Massimo Nappi e Massimo Pallini, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Flaminia, 195;

per l'annullamento

del regolamento di “Certificazione dei prestatori di servizi aeroportuali di assistenza a terra” emanato dal Consiglio di amministrazione dell’Enac il 23/3/2011, mai comunicato;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Enac - Ente Nazionale Aviazione Civile e di Filt - Cgil;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2011 il Cons. Donatella Scala e uditi, altresì, l’avv. Giordano per la ricorrente, l’avv. Vacirca per la Filt-Cgil e l’avv. dello Stato Aiello per il resistente Enac;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO

La società CISMAT s.r.l., impresa di assistenza a terra certificata dall’Enac, riferisce di operare presso gli aeroporti di Malpensa e Fiumicino sulla base del Regolamento di settore approvato nel 2006.

Con il ricorso in epigrafe impugna, ora, il Regolamento approvato con delibera del Cda dell’Enac del 23/03/2011 nella parte in cui, nell’introdurre nuove disposizioni per la certificazione, stabilirebbe gravi limitazioni a danno dei medi e piccoli operatori certificati che, come la ricorrente, assicurano servizi di assistenza a terra ai vettori aerei.

Deduce, pertanto, con il primo motivo la violazione degli artt. 1, 2, lett. e), 4, 10. 12, 13 del d. lgs. 18/1999 e degli artt. 2, lett. e), 6, 9, 14, 16 della direttiva 96/97/CE; eccesso di potere, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta.

L’art. 1, commi 3 e 4 del Regolamento impugnato è illegittimo nella parte in cui esclude un esercizio frazionato delle attività relative alle singole categorie di handling, in quanto in contrasto con le norme di rango superiore che non prevedono limitazioni al numero minimo o massimo di servizi che si possono svolgere se in possesso dei necessari requisiti.

Con il secondo motivo deduce, altresì, la violazione dell’art. 2, del d. lgs. n. 250/1997 e degli artt. 10 e 13 del d. lgs. 18/1999 , dell’art. 705 del codice della navigazione; eccesso di potere, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta.

L’art. 2, comma 4, del regolamento Enac è illegittimo nella parte in cui prevede che il gestore aeroportuale fornisca ad Enac un parere motivato e vincolante di conformità delle procedure operative, standard di qualità e di tutela ambientale contenute nel Manuale delle Operazioni del prestatore che chiede la certificazione con quelle vigenti all’interno dell’aeroporto, in quanto si realizzerebbe un non previsto trasferimento di competenze proprie dell’Enac in capo ad un soggetto, tra l’altro, potenziale concorrente dell’impresa in fase di rinnovo o rilascio della certificazione.

Con il terzo motivo, denuncia la violazione dell’art. 14, della direttiva 96/97/CE, la violazione del principio di proporzionalità e l’eccesso di potere.

L’art. 7 del regolamento, che fissa quale requisito di capacità finanziaria il possesso di un capitale sociale pari ad un quarto del presumibile giro d’affari delle attività da svolgere, è illegittimo in quanto si pone in violazione del principio di libertà dell’iniziativa economica, stabilendo un vincolo sul capitale dell’impresa ingiustificato ed in contrasto con la stessa direttiva 96/97/CE.

Infine, censura la società ricorrente l’art. 15, comma 3, del Regolamento nella parte in cui vincola le imprese del settore ad adottare il CCNL del personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali, ossia, il CCNL di ASSAEROPORTI, per violazione dell’art. 2, d.lgs. 250/1997, incompetenza assoluta ed eccesso di potere, violazione dell’art. 39 della Costituzione, illogicità ed ingiustizia manifesta e per violazione della direttiva 96/97/CE, con particolare riguardo all’art. 18, e sotto il profilo dello sviamento.

Conclude la ricorrente chiedendo l’annullamento, in parte qua, del Regolamento impugnato.

Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato per resistere al ricorso di cui ha eccepito l’irricevibilità, e, nel merito, l’infondatezza.

Si è costituita, altresì, la FILT CGIL Federazione Italiana Lavoratori Trasporti che ha chiesto il rigetto del ricorso con specifico riferimento alla parte in cui è chiesto l’annullamento dell’art. 15, comma3, del regolamento.

In vista della discussione della causa nel merito le parti hanno depositato memorie e repliche.

Alla pubblica udienza del 1° dicembre 2011, uditi i difensori delle parti che hanno insistito nelle rispettive richieste e conclusioni la causa è stata trattenuta a sentenza.

DIRITTO

1. Oggetto di controversia é il Regolamento emanato dall’E.n.a.c. – Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, denominato “Certificazione dei prestatori di servizi aeroportuali di assistenza a terra” – Edizione n. 4, di cui la società ricorrente chiede l’annullamento limitatamente agli artt. 1, commi 3 e 4, 2, comma 4, 7, commi 3, 4, 5 e 6, e 15, comma 3.

1.1. Deve essere esaminata, in via pregiudiziale, l’eccezione di tardività del gravame sollevata dalla difesa erariale, essendo stato pubblicato il regolamento in impugnativa in data 25 marzo 2011, ai sensi dell’art. 32, d. lgs. n. 69/2009, mentre il ricorso è stato notificato in data 25 maggio 2011, oltre i sessanta giorni di legge.

Osserva il Collegio che, giusta quanto ora disciplinato dal combinato disposto degli artt. 29 e 41 del c.p.a., il ricorso avverso l’annullamento di atti amministrativi deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso l'atto impugnato e ad almeno uno dei controinteressati che sia individuato nell'atto stesso, entro il termine di giorni sessanta decorrente dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notifica individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge.

Ancora, giova rilevare che l’art. 32, del sopra richiamato decreto legislativo n. 69/2009 dispone, a far data dal 1° gennaio 2010, che gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati.

Ritiene il Collegio, che la pubblicazione sul sito informativo ai sensi dell’art. 32, l. 69.2009 può fondare la presunzione di piena conoscenza dell'atto da parte di tutti i cittadini, a condizione, però, che l’atto pubblicato sia soggetto al regime di pubblicità legale sulla base di specifiche disposizioni normative, essendosi limitata la norma in esame a modificare le modalità in cui tale pubblicità deve avvenire al dichiarato scopo di eliminazione degli sprechi relativi al mantenimento di documenti in forma cartacea, mentre, certamente, non ha effetti innovativi sui singoli regimi previsti per fondarne la presunzione di cui sopra.

Alla stregua dei rilievi di cui sopra, il Collegio ritiene che la parte resistente non abbia fornito la prova rigorosa della tardività del ricorso, che, come noto, è posta a carico della parte che solleva l'eccezione, non avendo indicato sulla base di quali norme sia prevista la forma di pubblicità legale invocata, essendosi, invece, limitata a riferire circa l’avvenuta pubblicazione del regolamento sul proprio sito informatico, circostanza, questa, di per sé del tutto irrilevante ai fini della irricevibilità del ricorso, in assenza di un evidenziato obbligo di legge in merito alla pubblicazione dei propri atti regolamentari.

Il Collegio, pertanto, non ritiene certo che, nel caso in esame, il termine per l'impugnazione abbia iniziato a decorrere dal giorno della pubblicazione del regolamento, di cui è peraltro solo riferita la data, senza che nemmeno di questo sia stata fornita alcuna prova, dovendosi dare prevalenza al principio, anche ribadito dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea, secondo cui il termine di impugnazione non può che decorrere dal giorno in cui il soggetto che si ritiene leso dal provvedimento sia venuto a piena conoscenza del contenuto del medesimo.

2. Quanto alla vicenda contenziosa, osserva il Collegio che il Regolamento impugnato si inserisce nell’ambito del processo di liberalizzazione del mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità, obiettivo prefissato dalla Comunità Europea con la direttiva 15.10.1996, n. 96/67/CE, con il dichiarato scopo di consentire una progressiva libera concorrenza nel settore al fine di contribuire alla riduzione dei costi di gestione delle compagnie aeree e al miglioramento della qualità offerta agli utenti (considerando n. 5).

La Comunità, peraltro, in ragione della peculiarità dell’ambito - quello aeroportuale – in cui viene a svolgersi l’attività oggetto di liberalizzazione, ha riconosciuto agli Stati membri: a) la possibilità di subordinare l'attività di un prestatore di servizi di assistenza a terra all'ottenimento di un riconoscimento d'idoneità sulla base di criteri per il rilascio di tale riconoscimento obiettivi, trasparenti e non discriminatori (considerando n. 22); b) la facoltà di emanare e far applicare le norme necessarie al buon funzionamento delle infrastrutture aeroportuali in coerenza con l'obiettivo perseguito e senza la riduzione di fatto dell'accesso al mercato ovvero dell'effettuazione dell'autoassistenza ad un livello inferiore a quello previsto dalla direttiva, nel rispetto dei principi di obiettività, di trasparenza e di non discriminazione (considerando n. 23).

In sede di applicazione, dunque, gli Stati membri, ferma rimanendo la necessità di prevedere a livello normativo il libero accesso al mercato dei servizi d'assistenza a terra, possono, in sede applicativa, tenere conto della specificità del settore, anche attraverso una serie di limitazioni all'accesso al mercato o all'effettuazione dell'autoassistenza, a condizione che tali limitazioni abbiano un carattere pertinente, obiettivo, trasparente e non discriminatorio.

La disciplina relativa al riconoscimento di idoneità, dunque, può costituire la fonte di talune limitazioni, purché queste siano rispettose dei principi guida dettati dalla direttiva in esame, che all’art. 14, prevede che, ove sia scelto di subordinare l’attività in questione al riconoscimento di idoneità, questo é rilasciato da un'autorità pubblica indipendente dall'ente di gestione di tale aeroporto, sulla base di criteri da riferirsi ad una situazione finanziaria sana e ad una copertura assicurativa sufficiente, alla sicurezza degli impianti, degli aeromobili, delle attrezzature e delle persone nonché alla tutela dell'ambiente e all'osservanza della legislazione sociale pertinente.

Viene, poi, precisato che l’applicazione dei sopra citati criteri deve avvenire a) in modo non discriminatorio ai diversi prestatori e utenti; b) essere in rapporto con l'obiettivo perseguito; c) non può comportare ad una riduzione di fatto dell'accesso al mercato o dell'effettuazione dell'autoassistenza sino ad un livello inferiore a quello previsto dalla direttiva (se il numero di prestatori è limitato, che almeno uno di essi sia a termine indipendente tanto dall'ente di gestione dell'aeroporto che dal vettore dominante); i criteri devono essere resi pubblici e il prestatore o l'utente che effettua l'autoassistenza deve essere previamente informato circa la procedura di rilascio.

Sul versante nazionale, con il d. lgs. 13.01.1999, n. 18, si è data attuazione della direttiva 96/67/CE, riconoscendo il libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra ai prestatori di servizi sulla base dei requisiti previsti dalla stessa normativa nazionale; l’art. 13, del d. lgs. n. 18, delinea i requisiti di idoneità dei prestatori di servizi di assistenza a terra che l’E.n.a.c. deve verificare, subordinatamente al rispetto del tipo di contratto che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende di gestione e dei servizi aeroportuali di assistenza a terra ed al possesso dei seguenti requisiti: a) capitale sociale almeno pari ad un quarto del presumibile giro di affari derivante dalle attività da svolgere; b) risorse strumentali e capacità organizzative idonee in relazione alle categorie di servizio richieste; c) attestato comprovante il rispetto degli obblighi derivanti dalla legislazione sociale e sulla sicurezza del lavoro; d) copertura assicurativa adeguata ai rischi connessi all'attività da svolgere.

2.1 Alla stregua del sopra delineato excursus normativo il Collegio può procedere all’esame delle censure afferenti una parte dell’articolato in cui è ripartito il Regolamento in impugnativa, attraverso le quali la società ricorrente lamenta, in sostanza, come attraverso una illegittima indicazione dei parametri di idoneità, venga di fatto, compromessa la liberalizzazione dei servizi di assistenza a terra, e, di conseguenza, compressa la libera concorrenza e generata disparità di trattamento tra i vari operatori.

Giova, peraltro, premettere, in via generale, che non appare condivisibile l’eccezione che la difesa erariale muove, in via pregiudiziale, sotto il profilo della inammissibilità delle censure volte a contestare parti del Regolamento analoghe a quelle contenute nella precedente edizione.

Ed invero, a prescindere dal rilievo che il regolamento ora impugnato ha abrogato e sostituito ogni precedente edizione, assurgendo a nuova fonte regolamentare in soggetta materia, deve essere pure considerato che le censure mosse dalla parte ricorrente contestano diverse disposizioni della nuova edizione, anche se solo talune dotate di natura innovativa rispetto al passato, ma che, considerate nel loro complesso, tradirebbero i criteri guida dettati dalla superiore normativa di riferimento, che ammettono, in via generale, la possibilità di introdurre limitazioni all’accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra, purché in coerenza con i principi di effettività della libera concorrenza e non discriminazione.

Ne deriva, pertanto, il permanere dell’interesse in capo agli operatori del settore alla disamina di ogni censura afferente il Regolamento come risultante dalla nuova edizione.

3. Con il primo motivo viene contestato l’art. 1, commi 3 e 4 del Regolamento impugnato, nella parte in cui esclude che il prestatore da certificare possa poi praticare un esercizio frazionato delle attività relative alle singole categorie di handling.

Infatti, la disposizione censurata prevede che l’Enac rilascia la certificazione di idoneità e consente l’accesso in aeroporto “alle sole imprese che garantiscono l’espletamento dei servizi per categoria intera, senza esercizio frazionato”; analogamente non è consentita la parcellizzazione delle categorie di servizi, salva la possibilità di procedere al subappalto, secondo le modalità di cui al successivo art. 9.

Il motivo è meritevole di accoglimento per le seguenti ragioni.

L’art. 2, del d. lgs. 18/1999, lett. e), definisce l’assistenza a terra “il servizio, tra quelli elencati nell'allegato A, reso in un aeroporto a un utente”; l’allegato A, a sua volta, elenca ben undici tipologie di servizi, a loro volta suddivisi in diverse sottocategorie.

Peraltro, un esame complessivo della Direttiva n. 96/97 e del d.lgs. n. 18/1999, ivi compreso l’elenco da ultimo richiamato, consente di individuare una netta suddivisione delle tipologie di servizi di assistenza a terra in due macro-categorie: i servizi in pista e quelli più propriamente a terra.

I primi sono i servizi “vicini” all’aeromobile, la cui liberalizzazione è considerata come suscettibile di maggiori restrizioni rispetto ai servizi “vicini” ai passeggeri, per i quali, invece, la tendenza è verso un'effettiva apertura del mercato, salve peraltro la possibilità anche in tali ipotesi di prevedere deroghe in presenza di determinati presupposti.

La normativa recante la apertura dei servizi aeroportuali alla concorrenza, invero, è permeata dalla considerazione delle oggettive difficoltà nel configurare assetti concorrenziali all'interno di "mercati" spazialmente chiusi come un aeroporto, soprattutto per taluni servizi rispetto ai quali è necessario garantire il rispetto di esigenze di sicurezza, la presenza di economie di scala che determina evidenti vantaggi nell'erogazione del servizio, e la limitazione del numero degli operatori che consente l'effettuazione dei servizi in condizioni ottimali sia dal punto di vista organizzativo che di efficienza dell'aeroporto: basti pensare a servizi quali lo smistamento dei bagagli o della posta, e a quelli di assistenza in pista, ove la pluralità di operatori può in effetti intralciare la stessa movimentazione degli aeromobili a terra, o, addirittura, determinare problemi per la sicurezza.

Non a caso la liberalizzazione dei servizi di assistenza a terra è stata prevista a livello comunitario negli aeroporti di maggiori dimensioni, ove è riconosciuto il libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra ai prestatori di servizi in possesso dei requisiti previsti dalla legge (cfr. art. 4, comma 1, d. lgs. 18/1999); peraltro, una tale liberà di accesso sconta una serie di prescrizioni e limitazioni, peraltro, adeguatamente delineata dalla stessa normativa di riferimento.

Il comma 2 dell’art. 4, infatti, ribadisce tale esigenza, prevedendo il potere di Enac, al ricorrere di motivate ragioni inerenti alla sicurezza, alla capacità o allo spazio disponibile nell'aeroporto, di limitazione del numero dei prestatori per le categorie di servizi di assistenza bagagli, assistenza operazioni in pista, assistenza carburante e olio, assistenza merci e posta per quanto riguarda il trattamento fisico delle merci e della posta in arrivo, in partenza e in transito, tra l'aerostazione e l'aeromobile, ferma rimanendo l’esigenza che, comunque, sia assicurata la sussistenza, quantomeno, di un duopolio, in luogo dello storico monopolio, per ciascuna delle categorie di servizi “vicini” all’aeromobile sottoposte a limitazione, dovendosi, pure, garantire a tutti gli utenti (ossia, i vettori), indipendentemente dalle parti di aeroporto a loro assegnate, l'effettiva scelta tra almeno due prestatori di servizi di assistenza a terra.

La valutazione della ricorrenza dei presupposti per una limitazione ad un duopolio nella erogazione di tali specifici servizi dovrà, dunque, riguardare il singolo aeroporto e dovrà essere svolta alla stregua di specifiche esigenze di cui l’Ente preposto darà specifico conto, di volta in volta, avuto riguardo allo specifico spazio dove i servizi stessi devono essere svolti.

Ancora, l’art. 12, dedicato specificamente alle limitazioni all'accesso, dispone che l’E.n.a.c., in presenza di vincoli specifici di spazio o di capacità disponibile, specialmente in funzione della congestione e del coefficiente di utilizzazione delle superfici, previa segnalazione dell'ente di gestione che presenta un piano di intervento per la rimozione o per la riduzione dei vincoli, autorizza l'ente di gestione alle limitazioni ivi enumerate, tra cui quella all’accesso dei prestatori di determinate categorie di servizi non elencate nell'articolo 4, comma 2, garantendo comunque le condizioni di cui all'articolo 4, commi 2 e 3.

Tali limitazioni, peraltro, complete dei relativi piani di intervento, sono comunicate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti almeno sei mesi prima della loro entrata in vigore, dovendo l’organo ministeriale provvedere, a sua volta, alla notificazione delle limitazioni medesime alla Commissione europea almeno tre mesi prima della loro entrata in vigore, per l'approvazione e per la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee.

Ritiene il Collegio che le disposizioni relative alla subordinazione dello svolgimento delle attività in questione al riconoscimento di una specifica idoneità, si pongono su un parallelo, ma diverso, versante, dovendo questa essere riconosciuta, in astratto, in capo al singolo operatore, purché in possesso dei requisiti di idoneità tecnica ed economica, alla stregua dei criteri indicati nell’art. 14, della direttiva 97/96 CE da riferirsi ad una situazione finanziaria sana e ad una copertura assicurativa sufficiente, alla sicurezza degli impianti, degli aeromobili, delle attrezzature e delle persone nonché alla tutela dell'ambiente e all'osservanza della legislazione sociale pertinente.

La previsione di ulteriori limitazioni, quale quella di cui si controverte, determina, di fatto, una inevitabile contrazione degli operatori certificati, e, di conseguenza, di quelli che possono operare negli aeroporti, senza che però una tale limitazione sia supportata da alcuna specifica valutazione dello spazio aeroportuale ove le attività devono essere rese, ovvero, in assenza di alcun piano di gestione che, solo ove approvato dalla Comunità Europea, può legittimare le limitazioni agli accessi negli ambiti aeroportuali.

Il generico richiamo a supporto del divieto di parcellizzazione di tutte indistintamente le categorie dei servizi aeroportuali alla esigenza di ridurre la “proliferazione di uomini per ragioni legate alla esigenza di assicurare maggiore safety ed alle difficoltà di trovare spazi idonei per gli operatori”, come sostiene la difesa erariale, non è idoneo a giustificare il restringimento dell’accesso al mercato dell’handling che, invece, la normativa assoggetta a possibili eccezioni, per ragioni di sicurezza, capacità o carenza di spazi disponibili, sulla base di quanto prevede l’art. 4, d. lgs. 18/99 con riferimento ai servizi in pista, e per tutti gli altri, sulla base di uno specifico piano di gestione, come richiesto dall’art. 12, stesso testo normativo, da sottoporre a preventiva autorizzazione degli organi comunitari.

Le considerazioni svolte inducono a ritenere, pertanto, fondato il motivo, con conseguente illegittimità della norma con lo stesso censurata, in parte qua.

4. Con il secondo motivo la ricorrente si duole della formulazione dell’art. 2, comma 4, che prevede che il gestore aeroportuale fornisca ad Enac un parere motivato e vincolante di conformità delle procedure operative, standard di qualità e di tutela ambientale contenute nel Manuale delle Operazioni del prestatore che chiede la certificazione con quelle vigenti all’interno dell’aeroporto.

Il motivo non può essere accolto, in quanto l’assunto di parte ricorrente muove da un erroneo presupposto, e, cioè, che attraverso la disposizione in esame si dia luogo ad una consultazione vincolante per l’Ente certificatore, con un improprio trasferimento dei compiti istituzionali ad un soggetto, potenziale concorrente nella erogazione dei servizi in parola.

La piana lettura della norma dà conto di una prevista acquisizione preliminare di un parere motivato, ma in nessuna parte è previsto che tale parere sia anche vincolante, rimanendo, pertanto, in capo all’Ente certificatore il potere di valutare la conformità del MO con le norme vigenti all’interno dell’aeroporto ove il prestatore intende operare, attraverso, magari, una interlocuzione sul punto con il prestatore medesimo, in modo che sia assicurato l’espletamento delle attività di cui si tratta in piena sicurezza.

Del resto, come anche sottolineato dalla Avvocatura Generale, è ragionevole che il parere venga richiesto al gestore aeroportuale che, a mente dell’art. 705, del codice della navigazione, è il soggetto responsabile del controllo e coordinamento delle attività dei vari operatori privati presenti nell’aeroporto o nel sistema aeroportuale.

5. Con il terzo motivo la società ricorrente contesta, l’art. 7, commi 3, 4, 5 e 6 del regolamento impugnato che prescrive il possesso in capo all’impresa di un capitale sociale almeno pari ad un quarto del presumibile giro d’affari delle attività da svolgere.

Il motivo non ha pregio.

Il controllo preliminare al rilascio della certificazione è finalizzato all’accertamento di una serie di requisiti soggettivi e di carattere economico-finanziario che devono tutti sussistere in capo all’impresa che intende svolgere attività di assistenza a terra; ciò si spiega agevolmente, solo che si consideri la natura della tipologia delle attività riconducibili a tali servizi, non tanto e non solo, complementari, ma, addirittura indispensabili per un efficace ed efficiente svolgimento della attività di trasporto aereo commerciale.

Queste considerazioni, infatti, hanno indotto la CE a prevedere che gli Stati membri possono predeterminare dei criteri di idoneità, con il solo vincolo della pertinenza ad un tale obiettivo, e che non siano orientati, di fatto, a determinare solo discriminazioni tra operatori.

Tanto chiarito, non sussiste il denunciato contrasto tra la norma regolamentare e l’art. 14 della direttiva 96/67/CE, che indica, tra i criteri per il rilascio del riconoscimento di idoneità, il riferimento ad una situazione finanziaria sana, e l’art. 13, del d. lgs. n. 18/1999, che, ai predetti fini, indica tra i requisiti di idoneità dei prestatori, il possesso di un capitale sociale almeno pari ad un quarto del presumibile giro di affari derivante dalle attività da svolgere.

Il requisito previsto dal regolamento, pertanto, collima esattamente con quanto la stessa normativa nazionale ha indicato a tali fini.

Aggiungasi, poi, che, l’elemento economico di cui sopra, è stato riferito al patrimonio netto dell’impresa, che ha certamente una portata più ampia rispetto a quella di capitale sociale, dovendosi in essa comprendere, oltre al capitale in senso stretto, inteso quale sottoscrizione di quote sociali, anche le riserve e le voci attive (utili) e passive (perdite), determinandosi, in pratica, un allargamento della base del calcolo per valutare il rapporto richiesto dalla legge con il volume di affari nello specifico settore, e, dunque, ammorbidisce il requisito di legge, consentendo più agevolmente alle imprese di raggiungerlo, che, diversamente, dovrebbero procedere ad onerosi aumenti di capitale sociale al fine di soddisfarlo.

Ma, in disparte tali considerazioni, osserva il Collegio che una lettura complessiva della disposizione censurata induce ad escludere un irrigidimento del requisito di legge ad opera del regolamento.

Il successivo comma 4, della disposizione in esame, prevede che, in mancanza del requisito di cui sopra, l’impresa deve dimostrare comunque di possedere una sana situazione finanziaria, e, in definitiva, di essere in grado di garantire standards di sicurezza, regolarità e qualità nell’espletamento dei servizi di cui si tratta, in coerenza, dunque, con i criteri indicati con la direttiva 96/67/CE, essendo consentito, comunque, di dimostrare la sussistenza della affidabilità finanziaria anche attraverso il ricorso ad altri elementi di carattere economico.

6. Con il quarto ed ultimo motivo di ricorso la società ricorrente censura l’art. 15 del regolamento, nella parte in cui (comma 3) ammette in ambito aeroportuale solo prestatori certificati di servizi che rispettano il tipo di CCNL del personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali.

Le tesi contrapposte si sostanziano, da un lato, nella ritenuta illegittima compressione della libertà sindacale e di iniziativa economica, tutelate nel nostro ordinamento dai principi di matrice costituzionale, e nella pure ritenuta violazione della stessa normativa comunitaria di cui il Regolamento dovrebbe costituire una mera articolazione di natura tecnica, che finirebbe per determinare, invece, un ostacolo alla finalità di apertura del mercato dell’assistenza a terra; dall’altro, nella perfetta aderenza della norma censurata con il quadro normativo di riferimento, cui l’Enac sarebbe tenuta in modo vincolato.

6.1. La Comunità Europea, come sopra già ricordato, ha disposto la liberalizzazione del mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità, le cui coordinate direttrici, contenute nella direttiva 96/67/CE del Consiglio del 15.10.1996, sono finalizzate ad assicurare il giusto contemperamento tra l’esigenza di favorire l’accesso di nuovi operatori al mercato stesso, in un quadro di promozione della concorrenza, ed il potere degli Stati membri cui, per i fini di interesse, è riconosciuta la possibilità di adottare, al contempo, le misure necessarie a garantire la tutela dei diritti dei lavoratori.

In coerenza con tale finalità, l’art. 13, del d.lgs. n. 18/1999, pure sopra richiamato, prevede che Enac, nel verificare l’idoneità dei prestatori di servizi di assistenza a terra, la subordina all’osservanza di una serie di requisiti, oltre che al rispetto “del tipo di contratto che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende di gestione e dei servizi aeroportuali di assistenza a terra”.

In buona sostanza, la finalità garantistica del riconoscimento di un adeguato livello di protezione sociale, di cui alle premesse della Direttiva 96/67 CE, si concretizza con la pretesa dello Stato italiano al rispetto di un tipo di contratto che disciplina il rapporto dei dipendenti delle aziende operanti in detto settore (giusta l’art. 13, sopra virgolettato), senza specificare a quale, tra questi, debba necessariamente farsi ricorso, essendo notoria l’esistenza nel nostro ordinamento di molteplici CCNL, approvati dalla rispettive associazioni di categoria (dei datori di lavoro e dei lavoratori) al fine di disciplinare nel corso degli anni il rapporto dei dipendenti dalle aziende di prestatori di servizi aeroportuali a terra.

Secondo la norma regolamentare censurata, invece, l’Enac, al momento dell’accesso in ambito aeroportuale, ammette solo i prestatori certificati di servizi che rispettano il tipo di CCNL del personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali determinando, di fatto, l’obbligo per tutte le imprese di applicazione del medesimo contratto collettivo, che, a prescindere da chi sia stato sottoscritto, ovvero, dalla appartenenza o meno all'associazione di categoria firmataria del contratto in questione, nella sostanza assurge a contratto collettivo nazionale di lavoro con efficacia per tutti gli operatori del settore.

Così, ad esempio, la società ricorrente, che riferisce, senza che su ciò vi si smentita di sorta, di avere concluso un proprio contratto collettivo con le organizzazioni cui partecipano i lavoratori dalla medesima impiegati, dovrebbe, a decorrere dal 1° gennaio 2012, porre nel nulla il Contratto collettivo di lavoro per il proprio personale, come concordato con le sigle sindacali cui i medesimi appartengono, ancorché nessuno possa dubitare che anche attraverso tale regolamentazione del rapporto di lavoro siano pienamente rispettate le garanzie di protezione sociale cui i lavoratori hanno diritto.

Ed invero, il sistema delineato dalla normativa vigente prevede che la composizione tra le diverse esigenze del datore di lavoro e del lavoratore avvenga nell’ambito del libero svolgersi delle relazioni sindacali, che assume concretezza in sede di contrattazione collettiva, ove viene stabilito il trattamento economico e giuridico che spetta al lavoratore nell’ambito del singolo rapporto di lavoro cui può farsi riferimento in ragione della aderenza alle organizzazioni che siglano gli accordi.

L’Enac è, invece, estraneo ad una tale composizione di interessi, dovendo limitarsi a verificare, secondo quanto previsto dalle norme di superiore rango sopra esaminate, che i dipendenti del prestatore da certificare siano tutelati da un contratto collettivo di lavoro di riferimento, posto che tutti i CCL costituiscono alla stregua dell’art. 39 della Cost. un valido parametro di riferimento a garanzia di un adeguato livello di protezione sociale.

Alla stregua di tali considerazioni, il Collegio ritiene che l’imposizione dell’osservanza di uno specifico CCNL è in contrasto con la finalità delle norme cui occorre fare riferimento.

L’impugnata previsione regolamentare, peraltro, è anche illogica, in quanto determina una distorsione del sistema, certamente non voluta dalla Comunità europea, che si è, invero, preoccupata di ribadire come la tutela sociale possa e debba costituire un limite al dispiegarsi della libera concorrenza, che in tanto è benefica se determina, in definitiva, una positiva ricaduta nei costi di gestione delle compagnie aeree e nella qualità del servizio offerto ai clienti, purché tali effetti non costituiscano la diretta conseguenza del sacrificio dell’anello più debole della catena produttiva, attraverso la compressione se non addirittura negazione dei diritti del lavoratore.

L’imposizione, allora, di un solo tipo di contratto collettivo di lavoro esorbita, all’evidenza, dalle finalità garantiste che la normativa si propone, e non sembra corrispondere esattamente a quanto la legge nazionale attuativa della normativa comunitaria ha richiesto, ai fini dell’accertamento dell’idoneità dei prestatori, facendo riferimento al rispetto del tipo di contratto che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende di gestione e dei servizi aeroportuali di assistenza a terra.

6.2. In tali termini, del resto, si è già espresso il giudice di appello con la sentenza n. 3498 del 2009, peraltro richiamata da tutte le parti, che ha ritenuto una tale imposizione in contrasto con la normativa sopra richiamata, giacché l’art. 13 del d.lgs. n. 18/1999 si è limitato a conferire all'Enac la sola capacità di verifica della idoneità dei prestatori di servizi a terra, senza aggiungere null'altro; né altre disposizioni hanno attribuito all'ente predetto un potere normativo in materia di rapporti di lavoro e tutela sociale, mentre, ove fosse ritenuta necessaria l'integrazione o modificazione della disposizione in esame, occorrerebbe fare ricorso ad un atto di pari rango nella gerarchia delle fonti normative, ossia, con efficacia di legge che solo il legislatore nazionale può approvare, (che non risulta sia stato adottato), mentre una tale vis innovativa non può essere ottenuta attraverso la normativa di attuazione regolamentare.

Il Collegio condivide una tale impostazione perfettamente estensibile anche al caso che ne occupa, al contrario di quanto sostenuto dalle parti resistenti, atteso che il CCNL stipulato nel 2010 tra le associazioni Assaeroporti, Assohandlers e Assocatering-FIPE e le sigle sindacali del settore è circostanza, di per sé, inidonea a mutare i termini giuridici della questione.

Rimangono validi, con riferimento al caso che ne occupa, anche i principi ribaditi dal giudice di appello a proposito della impossibilità, alla stregua della libertà sindacale riconosciuta dall'art. 39 Cost. nell’ambito della contrattazione collettiva di diritto comune, più volte sottolineata anche dalla Corte di Cassazione, di riconoscere, diversamente da quanto ritenuto dall'Enac, che la funzione del CCNL sia nel nostro ordinamento quella di indicare i minimi economici e normativi validi per i lavoratori appartenenti ad un certo settore di attività. Una normativa di tale tipo non è stata, infatti, mai dettata nel nostro ordinamento, anche se l'art. 39 Cost. dispone chiaramente che i sindacati, previa registrazione, possono stipulare "contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce", essendo tale norma costituzionale rimasta priva di attuazione; dal che la conseguenza che l'unico CCNL che le parti collettive sono ad oggi in grado di concludere, non è altro che un contratto atipico disciplinato in via generale dagli artt. 1321 e1322 cod. civ., con applicazione quindi nei confronti dei soli iscritti alle associazioni sindacali che abbiano stipulato il contratto (di diritto comune quindi e non erga omnes); le stesse norme del contratto collettivo possono trovare applicazione anche per i non iscritti alla singola associazione, ove recepite per adesione o per relationem. (cfr. Cons. di Stato. Sez. VI, 8 giugno 2009, n. 3489)

Non è pertanto, ammissibile, che una tale estensione venga operata, di fatto, da Enac nei confronti di quei prestatori che invece rispettano il CCL di riferimento, in quanto tale obbligo si pone in violazione, oltre che con la libertà sindacale, anche, in definitiva, con quanto prevede la normativa di riferimento, che si limita a richiedere un mero controllo circa il rispetto da parte dei fornitori di servizi di assistenza a terra di adeguati livelli di protezione sociale, alla stregua, oltre che delle norme civilistiche, anche, per l’appunto dei contratti collettivi di lavoro di riferimento.

6.3. Anche a volere fare il ragionamento inverso, e cioè, che la possibilità di fare riferimento diversi contratti collettivi di lavoro determinerebbe una distorsione della concorrenza, in ragione del diversificato trattamento economico attribuito ai lavoratori di un medesimo settore, induce a ritenere la illegittimità della norma impugnata.

A prescindere dalla considerazione che il settore in argomento è di per sé assai variegato, essendovi ricomprese a mente dell’elenco di cui all’Allegato A, al d. lgs. 18/1999 molteplici attività affatto omogenee tra loro, occorre invece considerare che l’introduzione di un elemento di rigidità, al di fuori dei vincoli come predeterminati dalla normativa, è in grado di determinare effetti restrittivi della concorrenza, laddove vengono messi sullo stesso piano soggetti che, invece, pure tutti tecnicamente ed economicamente validi, costituiscono realtà aziendali assai differenti tra loro, proprio in ragione del diverso ambito in cui operano.

Pertanto, le conseguenze che vorrebbero fare discendere le parti resistenti da una lettura forzata dell’art. 13, d. lgs. n. 18 del 1999, porterebbero ad una applicazione della stessa norma, oltre che non costituzionalmente orientata, anche in contrasto con la normativa in tema di concorrenza.

Sul punto non può non essere considerato che la più recente normativa in tema di liberalizzazioni prevede espressamente che le disposizioni relative all'introduzione di restrizioni all'accesso e all'esercizio delle attività economiche devono essere oggetto di interpretazione restrittiva, posto che l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; di contrasto con i principi fondamentali della Costituzione; dal danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l'utilità sociale; dalle disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, ecc. (cfr. art. 1, commi 1 e 7, d. l. n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011).

Ancorché successiva ai fatti di causa, la normativa da ultimo esaminata conferma, ulteriormente, l’orientamento, non più timido, ma fortemente liberista del legislatore nazionale, in perfetta sintonia, del resto con quanto predica da tempo quello comunitario proprio con riferimento allo specifico settore dell’handling.

7. Conclusivamente, il ricorso è meritevole di accoglimento nei limiti sopra indicati, con riveniente annullamento, in parte qua del regolamento impugnato, ed, in specie, per l’effetto, dell’art. 1, commi 3 e 4, e dell’art. 15, comma 3.

La complessità delle questioni trattate, oltre che la reciproca soccombenza, induce il Collegio a disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei limiti precisati in parte motiva, e, per l’effetto, annulla il Regolamento, emanato dall’E.n.a.c. – Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, denominato “Certificazione dei prestatori di servizi aeroportuali di assistenza a terra” – Edizione n. 4, in parte qua.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Daniele, Presidente

Giampiero Lo Presti, Consigliere

Donatella Scala, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

SENTENZA TAR LAZIO N. 982 DEL 30.1.2012

 

 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4559 del 2011, proposto da: Soc. Alitalia - Compagnia Aerea Italiana S.p.a., in persona del legale rappresentante p. t., rappresentata e difesa dagli avv. ti Angelo Clarizia e Paolo Ziotti, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

contro

l’Enac - Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante p. t.,

il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro p. t.,

rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui sono domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

e con l'intervento di

ad opponendum:

Soc. Globeground Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante p. t., rappresentata e difesa dall'avv. Alessio Costantini, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Ruggero Fauro, 102;

per l'annullamento

del Regolamento Enac del 23.03.11 concernente “Certificazione dei prestatori di servizi aeroportuali di assistenza a terra”;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Enac - Ente Nazionale per l’Aviazione Civile e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

Visto l’atto di intervento ad opponendum di Globeground Italia S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2011 il Cons. Donatella Scala e uditi, altresì, gli avv. ti Clarizia e Ziotti, per la società ricorrente, l’avv. Costantini per l’interveniente ad opponendum e l’avv. dello Stato Aiello per le resistenti Amministrazioni:

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO

Premette la società Alitalia – Compagnia Aerea Italiana S.p.a. di operare in autoproduzione i servizi di handling in base ad autorizzazione rilasciata da Enac ai sensi della circolare APT 02 del 13 gennaio 2009, mentre, con riguardo all’aeroporto di Roma Fiumicino ha affidato alla società Alha Airport S.p.a, mediante contratto di subappalto, lo svolgimento dei servizi di assistenza a terra merci e posta di cui al punto 4, Allegato A, d. lgs. n. 18/1999.

Con il ricorso in epigrafe impugna, pertanto, il Regolamento Enac, approvato con deliberazione del Consiglio di Amministrazione dell’Ente il 23 marzo 2011, concernente “Certificazione dei prestatori di servizi aeroportuali di assistenza a terra”, nella parte in cui non prevede il ricorso al subappalto dal parte del prestatore certificato di servizi aeroportuali di assistenza a terra per le categorie di servizi n. 4, dell’All. A al d. lgs. n. 18/1999 (art. 9, n. 1, lett. b), e nella parte in cui ammette in ambito aeroportuale solo prestatori certificati di servizi che rispettano il tipo di CCNL del personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali (art. 15, n. 3).

Questi i motivi in diritto.

1) Violazione e falsa applicazione di legge; violazione della Direttiva n, 96/67/CE; eccesso di potere sotto il profilo sintomatico della irragionevolezza, illogicità e contraddittorietà manifeste; difetto di motivazione.

L’art. 9 del Regolamento impugnato risulta viziato sotto due diversi profili, essendo stato emanato in violazione della normativa comunitaria e di quella attuativa nazionale, e sotto diversi profili sintomatici dell’eccesso di potere, non rientrando nel potere regolatorio anche quello di introdurre divieti, quale il divieto di ricorrere al subappalto per alcune categorie di servizi a terra, che, di fatto, si traducono in una limitazione della libertà di iniziativa economica, dovendosi l’Enac limitare a verificare l’idoneità dei prestatori di servizi di assistenza a terra.

2) Carenza di potere e violazione dell’art. 13 del d. lgs. n. 18/1999; violazione degli artt. 39 e 41 della Costituzione; violazione della Direttiva 96/67/CE; eccesso di potere per travisamento dei fatti

L’art. 15, comma 3, del Regolamento Enac, nella parte in cui subordina l’accesso in ambito aeroportuale dei prestatori certificati di servizi, ivi compresi i vettori che effettuano autoassistenza, al rispetto del tipo di CCNL del personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali, ossia del contratto stipulato in data 8 luglio 2010 con Assaeroporti, Assohandlers e Assocatering-FIPE, è illegittimo per difetto di attribuzione, esulando dai poteri di Enac quello di obbligare tutte le imprese del settore ad applicare un determinato contratto collettivo di lavoro, in luogo degli altri conclusi o applicati dagli operatori interessati.

Conclude la parte ricorrente chiedendo, in accoglimento degli esposti mezzi di censura, l’annullamento, in parte qua, del regolamento Enac, Ed. n. 4/2011.

Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato in difesa dell’Enac – Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, chiedendo il rigetto del ricorso avversario di cui ha predicato l’infondatezza.

Ha spiegato, poi, atto di intervento ad opponendum la società Globeground Italia S.r.l, che, in qualità di operatore certificato Enac che applica il CCNL, e autorizzato, ai sensi dell’art. 13, d. lgs. n. 18/1999, a svolgere sull’aeroporto di Roma – Fiumicino i servizi aeroportuali di assistenza a terra di cui all’Allegato A allo stesso decreto legislativo del 1999, ha manifestato l’interesse ad intervenire con riferimento al capo di impugnativa avente ad oggetto le previsioni di cui all’art. 15 del regolamento impugnato, ritenendolo infondato e chiedendone, pertanto, il rigetto.

In vista della discussione della causa nel merito le parti hanno depositato memorie e repliche.

Alla pubblica udienza del 1° dicembre 2011, uditi i difensori delle parti che hanno insistito nelle rispettive richieste e conclusioni la causa è stata trattenuta a sentenza

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, oggetto dell’impugnativa in esame è il Regolamento, emanato dall’E.n.a.c. – Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, denominato “Certificazione dei prestatori di servizi aeroportuali di assistenza a terra” – Edizione n. 4.

2. Osserva, preliminarmente, il Collegio che il Regolamento impugnato si inserisce nell’ambito del processo di liberalizzazione del mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità, obiettivo prefissato dalla Comunità Europea con la direttiva 15.10.1996, n. 96/67/CE, con il dichiarato scopo di consentire una progressiva libera concorrenza nel settore al fine di contribuire alla riduzione dei costi di gestione delle compagnie aeree e al miglioramento della qualità offerta agli utenti (considerando n. 5). La Comunità, peraltro, in ragione della peculiarità dell’ambito - quello aeroportuale – in cui viene a svolgersi l’attività oggetto di liberalizzazione, ha riconosciuto agli Stati membri: a) la possibilità di subordinare l'attività di un prestatore di servizi di assistenza a terra all'ottenimento di un riconoscimento d'idoneità sulla base di criteri per il rilascio di tale riconoscimento obiettivi, trasparenti e non discriminatori (considerando n. 22); b) la facoltà di emanare e far applicare le norme necessarie al buon funzionamento delle infrastrutture aeroportuali in coerenza con l'obiettivo perseguito e senza la riduzione di fatto dell'accesso al mercato ovvero dell'effettuazione dell'autoassistenza ad un livello inferiore a quello previsto dalla direttiva, nel rispetto dei principi di obiettività, di trasparenza e di non discriminazione (considerando n. 23); c) la conservazione del potere di garantire un adeguato livello di protezione sociale al personale delle imprese che forniscono servizi di assistenza a terra (considerando n. 24).

In sede di applicazione, dunque, gli Stati membri, ferma rimanendo la necessità di prevedere a livello normativo il libero accesso al mercato dei servizi d'assistenza a terra, possono tenere conto della specificità del settore, anche attraverso una serie di limitazioni all'accesso al mercato o all'effettuazione dell'autoassistenza, a condizione che tali limitazioni abbiano un carattere pertinente, obiettivo, trasparente e non discriminatorio.

La disciplina relativa al riconoscimento di idoneità, dunque, può costituire la fonte di talune limitazioni, purché queste siano rispettose dei principi guida dettati dalla direttiva in esame, che all’art. 14, prevede che, ove sia scelto di subordinare l’attività in questione al riconoscimento di idoneità, questo é rilasciato da un'autorità pubblica indipendente dall'ente di gestione di tale aeroporto, sulla base di criteri da riferirsi ad una situazione finanziaria sana e ad una copertura assicurativa sufficiente, alla sicurezza degli impianti, degli aeromobili, delle attrezzature e delle persone nonché alla tutela dell'ambiente e all'osservanza della legislazione sociale pertinente.

Viene, poi, precisato che l’applicazione dei sopra citati criteri deve avvenire a) in modo non discriminatorio ai diversi prestatori e utenti; b) essere in rapporto con l'obiettivo perseguito; c) non può comportare ad una riduzione di fatto dell'accesso al mercato o dell'effettuazione dell'autoassistenza sino ad un livello inferiore a quello previsto dalla direttiva (se il numero di prestatori è limitato, che almeno uno di essi sia a termine indipendente tanto dall'ente di gestione dell'aeroporto che dal vettore dominante); i criteri devono essere resi pubblici e il prestatore o l'utente che effettua l'autoassistenza deve essere previamente informato circa la procedura di rilascio.

Sul versante nazionale, con il d. lgs. 13.01.1999, n. 18, si è data attuazione della direttiva 96/67/CE, riconoscendo il libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra ai prestatori di servizi sulla base dei requisiti previsti dalla stessa normativa nazionale; l’art. 13, del d. lgs. n. 18, delinea i requisiti di idoneità dei prestatori di servizi di assistenza a terra che l’E.n.a.c. deve verificare, subordinatamente al rispetto del tipo di contratto che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende di gestione e dei servizi aeroportuali di assistenza a terra ed al possesso dei seguenti requisiti: a) capitale sociale almeno pari ad un quarto del presumibile giro di affari derivante dalle attività da svolgere; b) risorse strumentali e capacità organizzative idonee in relazione alle categorie di servizio richieste; c) attestato comprovante il rispetto degli obblighi derivanti dalla legislazione sociale e sulla sicurezza del lavoro; d) copertura assicurativa adeguata ai rischi connessi all'attività da svolgere.

3. Alla stregua di tale excursus normativo, la parte ricorrente, censura, con il primo motivo di ricorso, l’art. 9, nella parte in cui (comma 1, lett. b) individua quali, tra le attività riconducibili ai servizi di assistenza a terra, puntualmente indicate nell’allegato A) al d. lgs. 18/1999, può essere subappaltata dal prestatore certificato, ma non prevede il ricorso al subappalto dal parte del prestatore certificato di servizi aeroportuali di assistenza a terra per le categorie di servizi indicati al n. 4 nello stesso Allegato.

Sul punto ritiene il Collegio di sgombrare immediatamente il campo da una sorta di equivoco generatosi vicendevolmente nelle rispettive tesi difensive in ordine ad un improprio richiamo alla normativa nazionale dettata in tema di procedure di aggiudicazione delle pubbliche amministrazioni di cui al d. lgs. n. 163/2006 (c. d. codice dei contratti pubblici), essendo indubitabile che costituisce una operazione illogica, per gli effetti che ne scaturiscono a cascata, la sovrapposizione al settore che ne occupa, concernente il più limitato e peculiare ambito dell’accertamento dei requisiti di idoneità soggettivi ed economici dei soggetti che intendono effettuare l’attività di assistenza a terra negli aeroporti civili, delle norme che sono dettate per regolamentare il diverso e più ampio ambito dei contratti pubblici.

Come già sopra ampiamente evidenziato, i principi cui occorre fare riferimento al fine di giustificare le limitazioni allo svolgimento libero delle attività di cui si tratta non possono che essere quelli indicati in via principale nella direttiva 96/67/CE e, in via attuativa a livello nazionale, nel d. lgs. 18/1999, mentre non è corretto invocare a supporto di una ritenuta illegittimità nella restrizione delle modalità di accesso al peculiare mercato dell’handling la normativa che disciplina l’acquisizione da parte delle pubbliche amministrazioni e soggetti a queste equiparati di servizi, prodotti, lavori e opere.

In specie, seppure è indubitabile che la limitazione al ricorso al subappalto di alcune delle attività di cui il servizio di handling si compone può costituire di fatto una restrizione del mercato di settore, impedendo una libera scelta dell’operatore circa il ricorso ad una ricorrente e consueta pratica di natura commerciale, non è corretto invocare i principi che sono dettati a proposito dell’utilizzo del medesimo strumento in occasione di vicende radicalmente differenti soggettivamente ed oggettivamente.

Ricondotta, pertanto, la disamina della doglianza alla stregua della pertinente normativa di settore, deve essere pure chiarito che la scelta di quali limitazioni siano necessarie nell’espletamento dei servizi di handling a presidio della sicurezza aeroportuale costituisce senz’altro espressione di attività ampiamente discrezionale, che tuttavia non si sottrae al sindacato giurisdizionale, quanto meno sotto il profilo della congruità della motivazione e dell'accertamento del nesso logico di consequenzialità tra presupposti e conclusioni.

Con particolare riguardo al profilo della congruità motivazionale delle scelte operate, è noto che l'iter motivazionale costituisce l'unico momento che consente al destinatario dell'atto di saggiare la estrinseca ragionevolezza e logicità di scelte amministrative effettuate sulla base di norme tecniche non giuridiche, tanto più in ragione della peculiarità del settore in cui si inseriscono le valutazioni operate.

Tanto premesso, il Collegio ritiene che é inspiegabile il motivo per cui, una volta operata la scelta di consentire il ricorso al subappalto, da intendersi, come sopra chiarito, quale istituto di natura commerciale con cui il prestatore certificato può decidere di regolare in concreto lo svolgimento della attività per cui ha ottenuto la certificazione, lo stesso poi sia limitato solo per talune categorie in cui è scorporabile l’attività di handling, secondo l’indicazione fornita in proposito nel sopra richiamato Allegato A) al d. lgs. 18/1999.

Ed invero, a prescindere dalla considerazione che non può costituire una valida motivazione la giustificazione fornita ex post dalla difesa dell’E.n.a.c., secondo cui la ragionevolezza della disposizione censurata andrebbe ricondotta al superiore interesse pubblico di garanzia dell’incolumità e sicurezza pubblica nel settore del trasporto aereo, un tale supporto motivazionale non solo manca del tutto, ma si pone addirittura in inspiegabile contraddizione con altra disposizione del regolamento, ed in particolare l’art. 3, che invece, nel disciplinare la specifica di certificazione, (relativamente agli aeroporti ed attività di cui all’Allegato A), d. lgs. 18/1999) presuppone che la dimostrazione del possesso dei requisiti relativi alle idonee risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative per lo svolgimento dei servizi di assistenza a terra sia stato dimostrato dal prestatore in proprio o tramite subappaltatore.

L’applicazione in concreto delle due disposizioni in esame porta alla paradossale conseguenza che al prestatore certificato sulla base della dimostrazione dei requisiti sopra indicati anche attraverso un subappaltatore per tutte le categorie di attività in cui è scorporabile il servizio di handling, di fatto, poi non può dare corso ai rapporti commerciali intrapresi con il subappaltatore, essendo inibito allo stesso prestatore il subappalto ove le attività che intende effettuare, e per cui, si ribadisce ha ottenuto la certificazione con le modalità di cui sopra, coincidano con il tassativo elenco di cui all’art. 9, n. 1, lett. b).

Ma anche a volere prescindere da tali rilievi che appaiono già di per sé sufficienti a rilevare la fondatezza del motivo di ricorso, e volendo seguire la tesi difensiva dell’E.n.a.c. secondo cui, in virtù di un forzoso rinvio ai criteri che devono suffragare l’attività di certificazione come indicati nella direttiva 96/67/CE e nel d. lgs. 18/1999, sarebbero evincibili le ragioni della scelta operata, ritiene il Collegio che la norma in esame, per come è stata formulata, non resista, comunque, alla censura per carenza di motivazione.

Ed invero, come sopra ricordato, la possibilità di porre limitazioni al libero accesso al mercato che ne occupa è già stata accordata a livello normativo proprio in virtù delle stesse ragioni, che ora invoca genericamente E.n.a.c. a giustificazione della disciplina concreta come risultante dal Regolamento in esame, mentre, invece, manca del tutto ogni esplicitazione circa le ragioni della scelta in concreto operata.

Non si evince, ad esempio, il motivo per cui la tutela della sicurezza e salute umana potrebbe essere messa a repentaglio dal subappalto, ad esempio, dell’assistenza merci e posta (categoria per cui è espressamente escluso ad opera dell’elenco di cui al n. 1, lett. b), dell’art. 9) e non anche in occasione dell’assistenza passeggeri, categoria per cui è invece consentito il subappalto.

In definitiva, posto che la previsione di una apposita certificazione dei prestatori dei servizi di handling discende proprio dal superiore interesse pubblico ad un utilizzo, non solo efficiente, ma anche sicuro delle infrastrutture connesse al trasporto aereo, si rende necessario che l’autorità a ciò preposta dia conto perspicuamente, in presenza di diverse possibilità, delle scelte operate, in modo che sia possibile verificarne la logicità in corrispondenza con gli obiettivi prefissati dalla normativa, e tenendo presente che le limitazioni al libero esercizio devono essere, come già sopra indicato, pertinenti, obiettive, trasparenti e non discriminatorie (cfr. direttiva 96/67/CE).

Per le ragioni sin qui esposte, la norma impugnata deve essere, in parte qua - (n. 1, lett. b) - annullata, rimanendo, peraltro, riservata all’E.n.a.c. la successiva attività provvedimentale emendata dai rilevati vizi motivazionali, ove l’Ente medesimo ritenga opportuno di confermare la necessità di escludere il ricorso al subappalto per alcune tipologie di attività di handling.

4. Con il secondo ed ultimo motivo di ricorso la società ricorrente censura l’art. 15 del regolamento, nella parte in cui (comma 3) ammette in ambito aeroportuale solo prestatori certificati di servizi che rispettano il tipo di CCNL del personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali.

Le tesi contrapposte si sostanziano, da un lato, nella ritenuta illegittima compressione della libertà sindacale e di iniziativa economica, tutelate nel nostro ordinamento dai principi di matrice costituzionale, e nella pure ritenuta violazione della stessa normativa comunitaria di cui il Regolamento dovrebbe costituire una mera articolazione di natura tecnica, che finirebbe per determinare, invece, un ostacolo alla finalità di apertura del mercato dell’assistenza a terra; dall’altro, nella perfetta aderenza della norma censurata con il quadro normativo di riferimento, cui l’Enac sarebbe tenuta in modo vincolato, e nella impossibilità per il vettore aereo, quando presta a terzi i servizi di assistenza a terra, di applicare anche in tal caso lo stesso contratto di lavoro stipulato per i propri dipendenti, onde scongiurare pratiche concorrenziali sleali, atteso che il contratto siglato per i lavoratori del settore è più favorevole per il personale (e dunque più oneroso per il prestatore certificato) rispetto al CCL Alitalia.

4.1. La Comunità Europea, come sopra già ricordato, ha disposto la liberalizzazione del mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità, le cui coordinate direttrici, contenute nella direttiva 96/67/CE del Consiglio del 15.10.1996, sono finalizzate ad assicurare il giusto contemperamento tra l’esigenza di favorire l’accesso di nuovi operatori al mercato stesso, in un quadro di promozione della concorrenza, ed il potere degli Stati membri cui, per i fini di interesse, è riconosciuta la possibilità di adottare, al contempo, le misure necessarie a garantire la tutela dei diritti dei lavoratori.

In coerenza con tale finalità, l’art. 13, del d.lgs. n. 18/1999, pure sopra richiamato, prevede che Enac, nel verificare l’idoneità dei prestatori di servizi di assistenza a terra, la subordina all’osservanza di una serie di requisiti, oltre che al rispetto “del tipo di contratto che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende di gestione e dei servizi aeroportuali di assistenza a terra”.

In buona sostanza, la finalità garantistica del riconoscimento di un adeguato livello di protezione sociale, di cui alle premesse della Direttiva 96/67 CE, si concretizza con la pretesa dello Stato italiano al rispetto di un tipo di contratto che disciplina il rapporto dei dipendenti delle aziende operanti in detto settore (giusta l’art. 13, sopra virgolettato), senza specificare a quale, tra questi, debba necessariamente farsi ricorso, essendo notoria l’esistenza nel nostro ordinamento di molteplici CCNL, approvati dalla rispettive associazioni di categoria (dei datori di lavoro e dei lavoratori) al fine di disciplinare nel corso degli anni il rapporto dei dipendenti dalle aziende di prestatori di servizi aeroportuali a terra, senza, poi, considerare, la peculiarità dei contratti collettivi relativi al personale dipendente dei vettori aerei, quale è la società ricorrente, che comunque impiega anche personale di terra, cui è riservata una specifica disciplina del rapporto di lavoro (cfr. CCL per il personale dipendente della CAI).

Secondo la norma regolamentare censurata, invece, l’Enac, al momento dell’accesso in ambito aeroportuale, ammette solo i prestatori certificati di servizi che rispettano il tipo di CCNL del personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali determinando, di fatto, l’obbligo per tutte le imprese di applicazione del medesimo contratto collettivo, che, a prescindere da chi sia stato sottoscritto, ovvero, dalla appartenenza o meno all'associazione di categoria firmataria del contratto in questione, nella sostanza assurge a contratto collettivo nazionale di lavoro con efficacia per tutti gli operatori del settore.

Così, ad esempio, la società ricorrente, in quanto vettore aereo che opera in autoproduzione i servizi di handling, non potendo, all’evidenza, rispettare contemporaneamente due diversi contratti collettivi di lavoro, dovrebbe, a decorrere dal 1° gennaio 2012, porre nel nulla il Contratto collettivo di lavoro per il proprio personale, come concordato con le sigle sindacali cui il medesimo appartiene, ancorché nessuno possa dubitare che anche attraverso tale regolamentazione del rapporto di lavoro siano pienamente rispettate le garanzie di protezione sociale cui i lavoratori hanno diritto.

Ed invero, il sistema delineato dalla normativa vigente prevede che la composizione tra le diverse esigenze del datore di lavoro e del lavoratore avvenga nell’ambito del libero svolgersi delle relazioni sindacali, che assume concretezza in sede di contrattazione collettiva, ove viene stabilito il trattamento economico e giuridico che spetta al lavoratore nell’ambito del singolo rapporto di lavoro cui può farsi riferimento in ragione della aderenza alle organizzazioni che siglano gli accordi.

L’Enac è, invece, estraneo ad una tale composizione di interessi, dovendo limitarsi a verificare, secondo quanto previsto dalle norme di superiore rango sopra esaminate, che i dipendenti del prestatore da certificare siano tutelati da un contratto collettivo di lavoro di riferimento, posto che tutti i CCL costituiscono alla stregua dell’art. 39 della Cost. un valido parametro di riferimento a garanzia di un adeguato livello di protezione sociale.

Alla stregua di tali considerazioni, il Collegio ritiene che l’imposizione dell’osservanza di uno specifico CCNL è in contrasto con la finalità delle norme cui occorre fare riferimento.

L’impugnata previsione regolamentare, peraltro, è anche illogica, in quanto determina una distorsione del sistema, certamente non voluta dalla Comunità europea, che si è, invero, preoccupata di ribadire come la tutela sociale possa e debba costituire un limite al dispiegarsi della libera concorrenza, che in tanto è benefica se determina, in definitiva, una positiva ricaduta nei costi di gestione delle compagnie aeree e nella qualità del servizio offerto ai clienti, purché tali effetti non costituiscano la diretta conseguenza del sacrificio dell’anello più debole della catena produttiva, attraverso la compressione se non addirittura negazione dei diritti del lavoratore.

L’imposizione, allora, di un solo tipo di contratto collettivo di lavoro esorbita, all’evidenza, dalle finalità garantiste che la normativa si propone, e non sembra corrispondere esattamente a quanto la legge nazionale attuativa della normativa comunitaria ha richiesto, ai fini dell’accertamento dell’idoneità dei prestatori, facendo riferimento al rispetto del tipo di contratto che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende di gestione e dei servizi aeroportuali di assistenza a terra.

4.2. In tali termini, del resto, si è già espresso il giudice di appello con la sentenza n. 3498 del 2009, peraltro richiamata da tutte le parti, che ha ritenuto una tale imposizione in contrasto con la normativa sopra richiamata, giacché l’art. 13 del d.lgs. n. 18/1999 si è limitato a conferire all'Enac la sola capacità di verifica della idoneità dei prestatori di servizi a terra, senza aggiungere null'altro; né altre disposizioni hanno attribuito all'ente predetto un potere normativo in materia di rapporti di lavoro e tutela sociale, mentre, ove fosse ritenuta necessaria l'integrazione o modificazione della disposizione in esame, occorrerebbe fare ricorso ad un atto di pari rango nella gerarchia delle fonti normative, ossia, con efficacia di legge che solo il legislatore nazionale può approvare, (che non risulta sia stato adottato), mentre una tale vis innovativa non può essere ottenuta attraverso la normativa di attuazione regolamentare.

Il Collegio condivide una tale impostazione perfettamente estensibile anche al caso che ne occupa, al contrario di quanto sostenuto dalle parti resistenti, atteso che il CCNL stipulato nel 2010 tra le associazioni Assaeroporti, Assohandlers e Assocatering-FIPE e le sigle sindacali del settore è circostanza, di per sé, inidonea a mutare i termini giuridici della questione.

Rimangono validi, con riferimento al caso che ne occupa, anche i principi ribaditi dal giudice di appello a proposito della impossibilità, alla stregua della libertà sindacale riconosciuta dall'art. 39 Cost. nell’ambito della contrattazione collettiva di diritto comune, più volte sottolineata anche dalla Corte di Cassazione, di riconoscere, diversamente da quanto ritenuto dall'Enac, che la funzione del CCNL sia nel nostro ordinamento quella di indicare i minimi economici e normativi validi per i lavoratori appartenenti ad un certo settore di attività. Una normativa di tale tipo non è stata, infatti, mai dettata nel nostro ordinamento, anche se l'art. 39 Cost. dispone chiaramente che i sindacati, previa registrazione, possono stipulare "contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce", essendo tale norma costituzionale rimasta priva di attuazione; dal che la conseguenza che l'unico CCNL che le parti collettive sono ad oggi in grado di concludere, non è altro che un contratto atipico disciplinato in via generale dagli artt. 1321 e1322 cod. civ., con applicazione quindi nei confronti dei soli iscritti alle associazioni sindacali che abbiano stipulato il contratto (di diritto comune quindi e non erga omnes); le stesse norme del contratto collettivo possono trovare applicazione anche per i non iscritti alla singola associazione, ove recepite per adesione o per relationem. (cfr. Cons. di Stato. Sez. VI, 8 giugno 2009, n. 3489)

Non è pertanto, ammissibile, che una tale estensione venga operata, di fatto, da Enac nei confronti di quei prestatori che invece rispettano il CCL di riferimento, in quanto tale obbligo si pone in violazione, oltre che con la libertà sindacale, anche, in definitiva, con quanto prevede la normativa di riferimento, che si limita a richiedere un mero controllo circa il rispetto da parte dei fornitori di servizi di assistenza a terra di adeguati livelli di protezione sociale, alla stregua, oltre che delle norme civilistiche, anche, per l’appunto dei contratti collettivi di lavoro di riferimento.

4.3. Non convince il Collegio nemmeno la considerazione che la possibilità di fare riferimento diversi contratti collettivi di lavoro determinerebbe una distorsione della concorrenza, in ragione del diversificato trattamento economico attribuito ai lavoratori di un medesimo settore

A prescindere dalla considerazione che il settore in argomento è di per sé assai variegato, essendovi ricomprese a mente dell’elenco di cui all’Allegato A, al d. lgs. 18/1999 molteplici attività affatto omogenee tra loro, occorre invece considerare che l’introduzione di un elemento di rigidità, al di fuori dei vincoli come predeterminati dalla normativa, è in grado di determinare effetti restrittivi della concorrenza, laddove vengono messi sullo stesso piano soggetti che, invece, pure tutti tecnicamente ed economicamente validi, costituiscono realtà aziendali assai differenti tra loro, proprio in ragione del diverso ambito in cui operano.

Pertanto, le conseguenze che vorrebbe fare discendere controparte da una lettura forzata dell’art. 13, d. lgs. n. 18 del 1999, porterebbero ad una applicazione della stessa norma, oltre che non costituzionalmente orientata, anche in contrasto con la normativa in tema di concorrenza.

Sul punto non può non essere considerato che la più recente normativa in tema di liberalizzazioni prevede espressamente che le disposizioni relative all'introduzione di restrizioni all'accesso e all'esercizio delle attività economiche devono essere oggetto di interpretazione restrittiva, posto che l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; di contrasto con i principi fondamentali della Costituzione; dal danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l'utilità sociale; dalle disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, ecc. (cfr. art. 1, commi 1 e 7, d. l. n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011)

Ancorché successiva ai fatti di causa, la normativa da ultimo esaminata conferma, ulteriormente, l’orientamento, non più timido, ma fortemente liberista del legislatore nazionale, in perfetta sintonia, del resto con le quanto predica da tempo quello comunitario proprio con riferimento allo specifico settore dell’handling.

5. Conclusivamente, il ricorso è meritevole di accoglimento nei sensi sopra indicati, con riveniente annullamento, in parte qua del regolamento impugnato, ed, in specie, per l’effetto, dell’art. 9, n. 1, lett. b), fatta salva, peraltro, la successiva attività provvedimentale, ove ritenuta necessaria da E.n.a.c. e dell’art. 15, comma 3.

La complessità delle questioni trattate induce il Collegio a disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei limiti precisati in parte motiva, e, per l’effetto, annulla il Regolamento, emanato dall’E.n.a.c. – Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, denominato “Certificazione dei prestatori di servizi aeroportuali di assistenza a terra” – Edizione n. 4, in parte qua, con salvezza della successiva attività provvedimentale emendata dei vizi rilevati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Daniele, Presidente

Giampiero Lo Presti, Consigliere

Donatella Scala, Consigliere, Estensore