Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica
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Roma, 29 gennaio 2007

 

Circolare n. 10/2007

 

Oggetto: Attività confederale – 60a Assemblea Annuale – Bilancio della manifestazione.

 

Alla presenza del Presidente del Consiglio Romano Prodi, il 24 gennaio si è svolta a Roma con successo la 60a Assemblea Annuale della Confetra dedicata al tema “Lo sviluppo asiatico e il business logistico”.

 

Nell’affollata platea erano presenti, tra gli altri, il Ministro per l’Attuazione del Programma di Governo Giulio Santagata, il Presidente della Commissione Trasporti del Senato Anna Donati, il Vice Ministro ai Trasporti Cesare De Piccoli, il Sottosegretario ai Trasporti Andrea Annunziata, il Sottosegretario al Lavoro Rosa Rinaldi e l’ex Ministro Rocco Buttiglione, oltre a numerosi esponenti del mondo politico, economico e sindacale.

 

Dopo Piero Ostellino del Corriere della Sera, che ha moderato i lavori, ha preso la parola il Ministro per il Commercio Internazionale Emma Bonino che ha sottolineato il ruolo strategico della logistica per la crescita dell’Italia, assicurando l’impegno del suo Dicastero per favorire il processo di internazionalizzazione delle imprese del settore.

 

Il Presidente della Confetra Pietro Vavassori, nella sua relazione introduttiva, ha quindi analizzato le criticità da risolvere affinché l’Italia, pur godendo di una posizione geografica favorevole ad intercettare i flussi di traffico proveniente dai mercati asiatici, non sprechi un’occasione irripetibile di produzione di ricchezza. In particolare il Presidente Vavassori ha sottolineato le necessità sia di riorganizzare il sistema portuale puntando alla specializzazione e individuando i porti su cui concentrare le risorse, sia di migliorare il grado di efficienza complessivo del sistema economico, sia infine di attuare forme di partenariato pubblico privato per sostenere gli investimenti nella infrastrutturazione logistica.

 

Sono quindi intervenuti l’Amministratore Delegato di Banca Intesa Infrastrutture Mario Ciaccia, che ha parlato del ruolo delle banche e del rinnovamento dei modelli finanziari a sostegno degli investimenti infrastrutturali, la dr.ssa Anna Maria Artoni di Confindustria, che ha ribadito come per vincere la sfida cinese non siano sufficienti iniziative isolate ma sia necessario fare sistema e il Ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, che ha fatto il punto sulle risorse stanziate nella finanziaria per migliorare il grado di competitività del sistema infrastrutturale.

 

A conclusione dei lavori il Presidente Prodi, riconoscendo alla Confetra il ruolo di soggetto catalizzatore dei vari interessi che ruotano intorno al grande tema della logistica, ha confermato l’impegno del Governo affinché l’Italia non rimanga emarginata dalla rivoluzione trasportistica in atto ma sappia cambiare marcia riconquistando quote di mercato. In particolare il Presidente Prodi ha condiviso la necessità di modernizzare il sistema portuale, attualmente frammentato da un numero eccessivo di Autorità portuali, e ha invitato anche gli operatori a partecipare con capitale privato agli investimenti pubblici che saranno realizzati.

 

La chiusura dell’Assemblea è stata accompagnata da un lungo e caloroso applauso da parte della qualificata e affollata platea.

 

Gli interventi dei relatori sono disponibili nel sito www.confetra.com.

 

f.to dr. Piero M. Luzzati

Per riferimenti confronta circ.re conf.le n. 2/2007

 

Allegati tre

 

M/n

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RELAZIONE DEL PRESIDENTE CONFETRA PIETRO VAVASSORI

LO SVILUPPO ASIATICO E IL BUSINESS LOGISTICO

 

Roma, 24 gennaio 2007

 

Abstract

Nel 2000 la Confetra stimava in 170 miliardi di euro la complessiva fattura logistica italiana, composta per poco più del 50% da servizi vettoriali in senso stretto (in gran parte terziarizzati), e per la differenza da servizi logistici, perlopiù ancora svolti in conto proprio dalle imprese industriali e commerciali come funzione interna aziendale. L’obiettivo, soprattutto in termini di efficientamento del sistema produttivo, era e continua a essere la progressiva esternalizzazione della funzione logistica presso aziende terze specializzate, secondo esperienze già collaudate da oltre un decennio in Inghilterra, USA, Giappone.

Oggi la fattura logistica italiana è vicina ai 200 miliardi di euro, ma è ormai chiaro a tutti che quello della logistica è un mercato globale, come quello dei beni di consumo o dei servizi finanziari, mercato che si misura non in decine di miliardi, ma in migliaia di miliardi di euro. Il nostro obiettivo strategico, dunque, non può più essere tanto la terziarizzazione logistica delle imprese italiane, ma la conquista di uno spicchio di mercato nel grande business della logistica mondiale.

In questa competizione planetaria, la conforma­zione degli oceani e dei continenti e l’esplosione economica asiatica stanno offrendo al Mediterraneo e in particolare all’Italia un’opportunità irripetibile di produzione di ricchezza, di investimenti, di occu­pazione, di incremento stabile del PIL nazionale.

Questa opportunità era stata anticipata da tempo dagli osservatori più attenti ed è stata ora rilanciata con forza dal Governo Prodi in occasione della missione in Cina dell’autunno scorso e della imminente parallela missione in India.

A questa grande irripetibile occasione per l’Italia la Confetra dedica oggi la sua 60a Assemblea.

 

La posta in gioco

La merce viaggia su strada, su ferro, in aereo, via mare; viaggia in cisterne, in cassoni, alla rinfusa, pallettizzata, in condotte. Il sistema più diffuso di standardizzazione dei carichi, che facilita lo stoccaggio, la conservazione, la manipolazione, l’inter­modalità, è il container. Nel 1970 ne circolavano nel mondo circa 10 milioni; oggi siamo oltre i 400 milioni di TEU. Il volume di TEU movimentati, a torto o a ragione, oggi è considerato la misura dell’andamento del traffico merci di un territorio o di una realtà geo-economica. Mentre fino agli anni ’80 il traffico container si presentava dominato dagli Stati Uniti, oggi il primo porto americano (Los Angeles) è solo decimo in una classifica che vede ai primi posti sei porti asiatici (Singapore, Hong Kong, Shangai, Shenzen, Kaohsiung, Busan), seguiti da due porti europei (Rotterdam e Amburgo) e un porto mediorentale (Dubai).

Nella classifica europea, i primi porti italiani sono Gioia Tauro, al sesto posto con 1/3 dei TEU movimentati rispetto a Rotterdam, e Genova all’undi­cesimo posto con 1/6 dei TEU di Rotterdam.

Oggi la metà dei container che girano nel mondo è di provenienza o destinazione cinese. Nel prossimo decennio la Cina si appresta a superare come quantità di ricchezza prodotta tanto l’Europa, quanto gli USA; sorpasso già avvenuto se si sommano i dati della Cina con quelli dell’India. Così come si appresta a diventare il primo partner commerciale di tutti i principali Paesi del mondo.

In questo scenario mondiale da capogiro, la Germania, attraverso i porti del Nord, gestisce un traffico di container quattro volte superiore a quello che sarebbe giustificato dal volume delle merci importate o esportate dal Paese: in realtà la Germania svolge un ruolo di piattaforma logistica al servizio di altri Paesi, tra cui sicuramente l’Italia. Secondo l’Istituto di Ricerca Fraunhofer, la logistica costituisce in Germania il terzo datore di lavoro, dopo l’industria dell’auto e quella chimica, con 2,6 milioni di occupati. In Italia sono 500 mila gli addetti, dipendenti e autonomi, dell’intero settore trasporto merci e logistica.

Non siamo ancora all’anno zero, ma quasi.

Secondo la pregevole ricerca del CNEL dell’autunno scorso, la portualità italiana gestisce realmente solo quello che è il consumo del sistema economico e demografico del Paese, cioè un volume complessivo import-export stimato attorno ai 4 – 5 milioni di TEU. Tutto il resto, cioè circa altrettanto, transita senza nemmeno uscire dalla cinta doganale, cioè senza effettuare stoccaggi o lavorazioni della merce.

Come è ormai noto a tutti, la differenza di ricadute è abissale: l’apertura del container innesca una catena virtuosa di servizi logistici (che oltre allo sdoganamento, alla disinfestazione, al controllo qualità, al confezionamento, all’assemblaggio, al deposito, al trasporto, alla distribuzione nei vari mercati, può estendersi all’assistenza tecnica, alla garanzia clienti, all’e.commerce, al marketing, fino alla progettazione, all’insediamento europeo dell’azienda, e infine alla stessa fabbricazione), catena virtuosa il cui valore può essere incommensurabilmente superiore a quello del semplice transhipment. Parlando di milioni di container, l’ordine di grandezza del potenziale valore aggiunto indotto è di decine di miliardi di euro, cioè di punti percentuali aggiuntivi di PIL, con conseguente creazione di varie centinaia di migliaia di nuovi, veri e qualificati posti di lavoro, il tutto stabile e duraturo nel tempo.

Bisogna convincersi che intorno a questo business la partita in Europa è ancora apertissima: non solo i flussi di merce sono sempre meno atlantici e sempre più asiatici attraverso Suez, ma il Northen Range arriverà presto ad una saturazione, perlomeno temporanea; non solo le maggiori potenzialità di crescita sono nell’Europa dell’Est – Sud Est e nel Nord Africa, ma proprio per questo la tendenza al bilanciamento dei traffici e alla riduzione dell’operation period renderà il transit-time degli scali mediterranei ulteriormente vantaggioso rispetto ai porti del Nord.

L’Italia non può perdere questa occasione che, tra l’altro, le viene riconosciuta da quanto definito da 45 Paesi del sistema euromediterraneo attraverso il Documento “Wider Europe” prodotto dal Gruppo ad Alto Livello presieduto dalla compianta Loyola De Palacio. In tale Documento emerge il ruolo chiave che l’Italia dovrebbe svolgere proprio in questi prossimi cinque anni all’interno del Mediterraneo.

 

Le criticità infrastrutturali

Non dobbiamo a questo punto sottovalutare le criticità delle nostre dotazioni infrastrutturali: dalla scarsa profondità dei fondali, alla limitatezza di banchine e piattaforme adatte alla movimentazione dei container, dalla inadeguatezza di aree retroportuali attrezzate per lo stoccaggio e la manipolazione delle merci, alla insufficienza dei collegamenti ferroviari e viari con le grandi reti nazionali e sovranazionali.

Pensando al gigantismo delle navi portacontainer commissionate alla cantieristica mondiale (dagli 8000 ai 12000 TEU, o addirittura alle futuristiche MalaccaMax di 18000 TEU), pensando alla colloca­zione centro-cittadina dei nostri porti storici, peraltro meravigliosi, pensando alla inadeguatezza del nostro sistema viario e ferroviario, pensando alle strozzature dei valichi alpini, pensando infine ai nostri vincoli di bilancio, la strada diventa oggettivamente in salita.

Ma cerchiamo di fare ordine.

Certamente dovremo tener conto dell’evoluzione dimensionale del Canale di Suez che arriverà presto ai 20 metri di profondità. Il problema degli éscavi dovrà dunque essere affrontato e risolto, naturalmente nel rispetto delle norme ambientali come avviene in tutto il mondo civile.

Ma seguendo il ragionamento della citata ricerca del CNEL, le mega carrier, con capacità superiore agli 8000 TEU, saranno meno del 10% della flotta mondiale e saranno in gran parte adibite sulle rotte transpacifiche: la stragrande maggioranza della flotta sarà costituita da navi inferiori ai 6000 TEU, con pescaggio massimo di 14 metri, mentre il 50% della flotta continuerà ad essere costituita da navi fino a 4000 TEU.

Non sarà dunque il gigantismo l’aspetto più complesso da indagare, ma piuttosto i nuovi modelli organizzativi dello shipping mondiale indotti dall’introduzione di tanta nuova capacità di stiva. Come verranno impiegate le unità oggi di grandi dimensioni (4000 – 6000 TEU) quando entreranno in servizio le nuove navi? Quelle che prima venivano impiegate come navi madri saranno ridotte al rango di feederaggio? Oppure vedremo, come è probabile, un incremento dei servizi diretti? Alla fine il gigantismo e le risorse abbondanti di capacità potrebbero risolversi in un vantaggio competitivo proprio per la nostra portualità diffusa.

E qui passiamo al secondo vincolo: la inadegua­tezza delle aree retroportuali e delle connessioni con le reti viarie e ferroviarie. Qui il problema di­venta squisitamente politico.

In Italia abbiamo censito 150 scali. Abbiamo 24 Autorità Portuali. Con l’ultima legge finanziaria abbiamo dotato ciascuna Autorità di autonomia finanziaria, che di fatto equivale ad una autonomia gestionale.

Ma è pensabile che ciascun porto possa decidere liberamente in concorrenza con tutti gli altri porti di investire proprie risorse per fare qualsiasi cosa? Dal traffico turistico al transhipment, dal Ro-Ro alla piattaforma logistica?

Se il male dei porti italiani è l’eccessiva frammen­tazione delle strutture che non hanno singolar­mente la forza di competere con i principali porti stranieri, bisogna puntare alla specializzazione e individuare i porti su cui concentrare le risorse e gli investimenti necessari. E’ fondamentale riorganiz­zare il sistema portuale nazionale affinché ciascun porto possa avere un ruolo e una funzione ben de­finiti all’interno di un chiaro disegno strategico che favorisca vocazioni e specializzazioni.

Si deve stabilire quali siano per posizione geografica, per strategia di mercato, per connes­sioni con le reti interportuali e intermodali, i porti capaci di intercettare le nuove quote di traffico mondiale che sorgono a Est, come il sole.

Una volta tanto, un po’ di sano dirigismo non guasta: del resto la funzione regolatrice dello Stato è tipica dei più efficienti Paesi liberisti.

 

Vocazioni e specializzazioni

Così impostato, anche il problema delle criticità infrastrutturali e delle risorse necessarie per superarle può trovare la sua corretta soluzione. Esaltiamo la vocazione di transhipment di Gioia Tauro, di Taranto, di Cagliari, aiutandoli nella competizione in questo ruolo con i porti spagnoli, nord africani e greci.

Però non pensiamo che quei porti possano anche svolgere una funzione di piattaforma logistica in competizione con i porti del Nord Europa. Il nostro sistema vettoriale, già vicino al collasso nella gestione del traffico ordinario, non potrebbe sopportare il consistente carico aggiuntivo di merci che, approdate a Gioia Tauro o a Taranto, dovessero risalire la penisola fino al difficoltoso attraversamento dei valichi alpini. Ogni giorno circolano sulle nostre strade circa 200 mila veicoli pesanti e con il progetto delle autostrade del mare contiamo di trasferirne sull’acqua 2 o 3 mila al giorno: istradare su camion o per ferrovia qualche milione di container significherebbe aumentare il traffico autostradale del 10% oppure moltiplicare per due o per tre l’attuale traffico ferroviario!

E’ evidente che la soluzione va trovata altrove, cercando di valorizzare ubicazioni territoriali vincenti perchè portatrici di singolarità imbattibili: se si vuole puntare a servire i territori logisticamente vergini dei Paesi dell’Est Europa in fase di forte sviluppo economico bisogna puntare sul sistema portuale dell’Alto Adriatico, da Ravenna a Trieste.

Soffermiamoci per esempio sulle peculiarità del porto di Trieste:

·          è l’unico hub portuale del Corridoio 5 nel Mediterraneo;

·          è l’unico porto franco del Mediterraneo e lo è da 300 anni in base al diritto internazio­nale;

·          è raccordato ferroviariamente alla rete nazionale e comunque dista pochi chilometri dalla rete slovena;

·          ha i fondali naturali tra i più profondi del Mediterraneo e quindi non teme il gigantismo;

·          oltre al molo settimo, con una capacità di movimentare 5-600 mila TEU, è già stata progettata e approvata la costruzione di una piattaforma logistica di 247 mila metri quadrati con 1300 metri di nuove banchine e con 24 mila metri quadrati di magazzini;

·          può contare sulle aree retroportuali di Fernetti e di Cervignano;

·          è la ubicazione geografica che consente sia una riduzione di 6 giorni per l’accesso al sistema Europa rispetto all’itinerario che utilizza gli hub del Nord, sia la immediata interazione con l’Europa Centrale e con quella Orientale;

·          è un hub che genera rete, che genera sistema.

In questa logica, se c’è la volontà politica, i problemi infrastrutturali e organizzativi che pur esistono potrebbero essere tutti sollecitamente avviati a soluzione nell’interesse dell’intero sistema economico nazionale.

 

Liberalizzazioni e semplificazioni

Eletti gli hub portuali funzionali agli obiettivi che ci siamo dati, e avviate a soluzione le criticità infrastrutturali, individueremo le tipologie di merci che verranno scambiate con la Cina e, da esperti di logistica, studieremo i possibili itinerari delle macro filiere merceologiche con le relative supply chain.

Ma l’appeal della nostra offerta di servizi logistici dipende in gran parte dal grado di efficienza che saprà offrire il sistema-Paese.

E qui di strada da fare ce n’è ancora molta!

Le riforme ordinamentali, sociali, professionali, amministrative, sono il passaggio obbligato per garantire un significativo sviluppo del nostro sistema economico. Sono le riforme che costano di più, non in termini finanziari, ma in termini politici, poiché vanno a incidere su interessi consolidati, procedure stratificate, rendite di posizione a vantaggio di pochi, ma ben organizzati, e a danno della collettività, spesso ignara.

Di chi è la colpa se il Parlamento stanzia nel 2002 cento milioni di euro per favorire lo sviluppo del trasporto combinato, il Governo emana il Regolamento nel 2003, il Ministro dei Trasporti approva le procedure nel 2004, le aziende fanno gli investimenti nel 2005 e oggi non è stato ancora erogato un euro? Di tutti e di nessuno. Una medi­cina, prescritta per curare una malattia, potrebbe addirittura rivelarsi nefasta se somministrata con cinque anni di ritardo.

In linea di massima, la parola d’ordine, cara al Ministro Bersani, è “liberalizzazione”, e noi la facciamo nostra.

Per non parlare dei massimi sistemi e rimanere nel nostro settore, segnaliamo al Governo la necessità di intervenire in tema di:

-          sistema ferroviario, per affrancare dal monopolista pubblico tutte quelle attività che possono proficuamente essere svolte da ope­ratori privati in regime di concorrenza (non solo la trazione, ma la manovra, la gestione dei terminali, la manutenzione, la pulizia, ecc.);

-          imprese di spedizione, per liberarle dal regime di controllo introdotto dal testo unico di P.S. del 1931 per finalità non certo di promozione imprenditoriale;

-          magazzini generali, per disporre una profonda rivisitazione della legge professionale del 1926;

-          orario di lavoro del personale viaggiante, per attenuare la rigidità della direttiva 15/2002, secondo i princípi contenuti nell’Avviso Comune sottoscritto da tempo da tutte le parti sociali;

-          dogane, per semplificare le procedure allinean­dole ai migliori standard europei;

-          trasporto aereo, per accorpare i documenti di viaggio con quelli doganali e per introdurre slot cargo distinti da quelli passeggeri;

-          guardia di finanza, per evitare duplicazioni di controlli con gli uffici doganali;

-          sportello unico ai fini doganali, veterinari, sanitari, ecc., già previsto per legge e mai attuato;

-          P.R.A., che duplica gli adempimenti e i costi a carico degli utenti;

-          disciplina fito-sanitaria, per affiancare l’attività privata all’attuale sistema di controlli da parte di pubblici ufficiali, come avviene negli altri Paesi europei;

-          security nei porti, che deve essere disciplinata secondo standard internazionali e non in maniera difforme a seconda dei porti;

-          lotta alla criminalità, che nei porti trova un terreno particolarmente fertile.

Non è un cahier des doleances, e non è neanche completo, ma è un elenco essenziale di cose da fare nell’interesse generale. La logistica è trasversale e pervasiva: il suo efficientamento ha un effetto moltiplicatore sulla competitività di tutto il sistema produttivo nazionale.

 

I vincoli finanziari

Il Ministro Santagata, nel corso di uno dei diversi incontri su questo tema, ci ha indicato l’obiettivo di far convogliare sul nostro Paese per lo meno una parte delle centinaia di miliardi di dollari che i cinesi sono pronti ad investire all’estero a sostegno del loro commercio internazionale. I cinesi stanno dismettendo il ruolo di lavoratori per conto terzi; oggi hanno la forza per arrivare direttamente con i loro prodotti sui nostri mercati: è controproducente contrastarli. E’ preferibile trovare forme di collaborazione e fare business insieme. La logistica può essere un primo livello di incontro; poi sarà compito della politica attrarre i loro investimenti specie nel nostro mezzogiorno per completare il ciclo di loro produzioni tecnologicamente avanzate o addirittura per istallare loro fabbriche da noi.

Se saremo bravi abbasseremo sulle nostre latitu­dini il baricentro delle attività di magazzinamento internazionale per la distribuzione delle merci nel Sud Europa e nel Mediterraneo. E ciò, oltre a co­stituire ulteriore fonte di ricchezza e di occupazione diretta nel settore della logistica, favorirà di conseguenza le funzioni produttive e commerciali nazionali legate a quelle filiere merceologiche.

Invero, nella infrastrutturazione logistica sarebbe preferibile che gli investimenti fossero italiani. Vendere i nostri porti ai cinesi significherebbe cedere a loro un business logistico che è naturalmente nostro. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra i nostri interessi e la loro esigenza di gestire al meglio i traffici asiatici con questa parte del mondo.

Piuttosto non facciamone nulla: non avremo guadagnato niente, ma almeno non avremo perso la disponibilità delle nostre risorse naturali e non sopporteremo gratis le esternalità negative di un traffico altrui.

Viceversa dovremo trovare all’interno del nostro sistema le risorse necessarie alla grande sfida che ci attende. Non potendo contare che parzialmente sulle finanze pubbliche (e non sarebbe neanche corretto pretenderlo) occorrerà pensare a forme di Partenariato Pubblico Privato, al Project Financing, dove il sistema creditizio, valutando la bontà dell’iniziativa, fornisce alle imprese promotrici i capitali necessari, che saranno poi restituiti con i frutti dell’esercizio dell’opera.

Tra l’altro, la mobilitazione di capitale privato induce a migliorare e accelerare le fasi della pro­gettazione e della esecuzione delle infrastrutture, con benefici per tutti. E’ la regola della finanza di progetto, utilizzata in tutti i Paesi economicamente avanzati, a differenza della finanza di soggetto che, indipendentemente dalle finalità, finanzia i soggetti sulla base delle garanzie che questi possono fornire.

La presenza in questa Assemblea del più importante istituto bancario italiano servirà a meglio illuminarci su questo aspetto fondamentale.

 

Il Partenariato Pubblico Privato

Cosa intendiamo per Partenariato Pubblico Privato in una operazione così complessa e difficile come quella che intende canalizzare il flusso di determinate quantità e tipologie di merci lungo un itinerario logistico e commerciale definito?

Per far capire ai non addetti ai lavori cosa significa costruire itinerari e cosa significa identificare vere supply chain, riteniamo opportuno precisare che alla Confetra interessa l’intero ciclo evolutivo delle merci in ingresso ed in uscita dal Paese, interessa il loro stazionamento nelle piastre logistiche, interessa la loro manipolazione, la loro trasforma­zione e i corridoi plurimodali utilizzati.

Interessa in realtà la intera evoluzione logistica.

Solo in tal modo la crescita per il nostro Paese, stimata intorno ad una soglia aggiuntiva, nel prossimo quinquennio, di oltre 8 milioni di TEU produrrà una crescita del PIL di circa 1 punto percentuale.

Un gruppo di imprenditori e soggetti impegnati nelle varie fasi della logistica italiana potrebbero quindi concordare con corrispondenti realtà imprenditoriali cinesi forme di partenariato che prevedano azioni sia di tipo infrastrutturale, sia di tipo gestionale e organizzativo, sulla base di protocolli sottoscritti dai rispettivi Governi.

I capitoli di tali strumenti contrattuali di Partenariato Pubblico Privato possono essere così individuati:

·          le filiere merceologiche

·          gli impianti logistici già disponibili, in corso di realizzazione o da realizzare

·          le reti infrastrutturali già disponibili, in corso di realizzazione o da realizzare

·          gli impegni finanziari

·          la governance

La Confetra è disponibile a diventare il soggetto catalizzatore delle azioni e delle strategie necessarie per rendere possibile un simile progetto ambizioso.


FINE TESTO

 

  

INTERVENTO DEL MINISTRO PER IL COMMERCIO INTERNAZIONALE E PER LE POLITICHE EUROPEE EMMA BONINO (SPEAKING NOTES)
Roma, 24 gennaio 2007

Signor Presidente del Consiglio,

Presidente Vavassori,

Signore e Signori,

 

Rivolgo anzitutto il mio più vivo ringraziamento alla Confetra per avermi invitato a questo appuntamento, il 60° per la vostra organizzazione. Una età importante, che dimostra quanto –anche a questa età considerata da pensionamento- si sia ancora pienamente in possesso delle migliori energie. E per questo vi auguro di celebrare ancora tanti di questi anniversari !

Il Governo ha più volte ribadito che il settore della logistica è strategico per la crescita dell’Italia.

La collaborazione fra il Ministero, ICE e gli imprenditori del settore –che speriamo di consolidare e di rafforzare nei prossimi mesi- è volta a sostenere questa scelta, favorendo il processo di internazionalizzazione del settore della logistica e rimuovendo le strozzature che impediscono alle PMI di cogliere le opportunità offerte dai mercato mondiali.

Se in passato la competitività si giocava singolarmente fra le aziende, quasi indipendentemente dalla dimensione delle stesse, oggi, invece, questa è un fattore importante per la competizione globale.

Per questo motivo, una struttura produttiva quale quella italiana, fondata sulle piccole e medie imprese, deve trovare gli strumenti e le modalità per aggregarsi e deve contare su una maggiore forza ed efficienza dei sistemi logistici per approvvigionarsi e distribuire nel mercato globale.

L’Italia confida molto nelle potenzialità che il settore della logistica presenta al fine di sviluppare il nostro paese. Questo può avvenire in due modi: da un lato, facilitando lo svilupparsi di più intensi flussi commerciali di merci e persone; dall’altro, divenendo un fattore importante per l’attrazione di investimenti asiatici, sviluppando le infrastrutture ferroviarie, portuali, stradali, intermodali in Italia.

Considerato che il commercio mondiale si fonda anche sullo scambio via mare di enormi container, la posizione geografica privilegiata dell’Italia -al centro del Mediterraneo- le può consentire di essere la porta naturale per l’Europa e per il Nord Africa rispetto a tutte le merci che affluiscono dal canale di Suez.

Ciò significa servire i tradizionali mercati dei paesi asiatici, quali quelli dell’Europa centro-orientale, e i nuovi mercati come il nord Africa ed il Medio oriente, verso i quali c’è una forte proiezione della Cina e dell’India –i due protagonisti politici e commerciali dell’Asia-, intenti a perseguire una politica di approvvigionamento delle materie prime e di strategia geopolitica verso il Terzo mondo. A questi paesi, peraltro, non possono sfuggire i vantaggi dell’area di libero scambio nel Mediterraneo che dovrebbe crearsi a partire dal 2010.

Ricordo che oggi, la grande parte dei flussi commerciali asiatici verso l’Europa passa dai grandi porti del nord (Amburgo, Rotterdam, Le Havre). La rotta alternativa che prevede l’utilizzo dell’Italia quale base logistica consente di guadagnare circa 5 giorni rispetto alle rotte del nord. L’Italia ha quindi un potenziale di sviluppo enorme.

Tuttavia, questa potenzialità presenta alcune criticità, la più importante delle quali è costituita dallo stato delle infrastrutture interne, ossia dai collegamenti intermodali dal porto d’arrivo fino alle destinazioni finali, siano esse in Italia o in altri paesi del continente europeo.

Ed anche dai processi decisionali per la loro realizzazione che si configurano come estremamente lunghi e burocratici (e intanto spagnoli, greci e egiziani si candidano loro ad essere la piattaforma logistica degli asiatici) !!

Su questi aspetti il Governo sta intervenendo sia sotto l’aspetto finanziario (finanziamento di opere infrastrutturali utili allo sviluppo) sia per quanto attiene ai processi decisionali per accelerare la realizzazione delle opere pubbliche, come dirà il Ministro Bianchi con più dettaglio di me nel suo intervento.

In questo quadro, la missione economica dello scorso settembre in Cina ha individuato il settore della logistica come area di cooperazione speciale tra Cina e Italia. Il nostro progetto più importante in Cina è la costituzione di una piattaforma logistica pilota a Tianjin, città destinata a diventare, nelle intenzioni del Governo cinese, il terzo centro propulsore dell’economia del Paese.

L’obiettivo è duplice: 1. costituire un polo logistico italo-cinese, attraverso cui preparare e poi facilitare, la collaborazione industriale e distributiva sui mercati mondiali per sistemi di imprese cinesi ed italiane, che si integrano lungo filiere produttive; 2. promuovere una porta italiana per l’accesso all’Europa dei flussi merceologici in provenienza dalla Cina.

Vorrei sottolineare che l’Italia soffre di un significativo disavanzo della nostra bilancia commerciale verso la Cina. Al momento, i costi di spedizione delle merci dall’Italia superano quelli dalla Cina verso il nostro paese, dato che le navi non viaggiano a pieno carico verso l’Asia. Questo problema è risolvibile sia attraverso un aumento delle nostre esportazioni sia mediante un nostro sviluppo dei servizi del settore in chiave europea, vendendo cioè servizi logistici ad altri, in modo che questi utilizzino i nostri porti per far partire le loro merci.

Questa iniziativa dovrà essere replicata in altri paesi asiatici, penso all’India dove andremo con una forte missione economica il prossimo febbraio, oppure anche in paesi che si stanno ora sviluppando –quali il Vietnam-, e la stessa area dei paesi del Golfo, che offre opportunità in questa direzione.

In sostanza, si tratta di passare da sistemi locali, relativamente chiusi, a sistemi aperti al mercato mondiale, facendo leva sull’aggregazione di aziende per realizzare economie di scala.

Alla mancanza di “giganti” industriali si deve supplire con la capillarità e l’articolazione della rete, intesa come insieme di servizi e tecniche capaci di migliorare la competitività delle aziende sui mercati esteri, sviluppandone l’efficienza negli approvvigionamenti e nella distribuzione dei prodotti.

Il Ministero del Commercio Internazionale è impegnato pienamente a sostenere il processo di internazionalizzazione e la promozione all’estero del Sistema Italia. Il settore della logistica non può sfuggire a questa grande opportunità. Esempi di eccellenza esistono anche da noi.

Per questo auspico che sia sempre più folta la presenza di imprenditori del settore nelle nostre missioni commerciali e che la partnership tra pubblico e privato possa trovare nuovi strumenti per potere crescere e contribuire al rafforzamento dell’Italia nel mercato globale.


FINE TESTO

  

 

INTERVENTO DELL’AMMINISTRATORE DELEGATO DI BANCA INTESA INFRASTRUTTURE E SVILUPPO MARIOCIACCIA
IL RUOLO DELLE GRANDI BANCHE NELLA CREAZIONE DI UN SISTEMA INFRASTRUTTURALE E LOGISTICO ITALIANO IN GRADO DI ATTRARRE I NUOVI VOLUMI DI TRAFFICO.

 

Roma, 24 gennaio 2007

 

Premessa
Come Amministratore Delegato di Banca Intesa Infrastrutture e Sviluppo e, da pochi giorni, come Presidente di Banca OPI non posso che esprimere apprezzamento per chi ha promosso questo incontro che mi consente alcune riflessioni.I
l tema è:
- il mondo dei trasporti commerciali si muove con la velocità della luce ed è prevedibile che il movimento di crescita economica
a tassi esponenziali, alimentato dal motore principale “Cina” e in prospettiva in modo rilevante anche dall’India, proietti enormi volumi di traffico verso i Paesi dell’Est Europa;
- l’obiettivo è per il nostro Paese, che si trova in una situazione geografica estremamente favorevole, non mancare un’occasione irripetibile per intercettare i nuovi, grandi volumi di traffico;
- per conseguire tale obiettivo è indispensabile adeguare il sistema portuale italiano ai nuovi flussi previsti attraverso massicci investimenti che rendono evidente la necessità di far ricorso a forme di partenariato pubblico-privato.

Le condizioni per il partenariato

Per affrontare correttamente il tema, valuterei attentamente alcuni profili. Il primo è di ordine squisitamente economico: la sceltadelle rotte commerciali non avverrà automaticamente sulla sola scorta della più breve distanza geografica, ma partirà dalla rigida regola che le merci tendono a seguire gli itinerari economicamente più efficienti.

Al riguardo, è da tenere presente che la competizione tra sistemi in termini di servizi portuali, interportuali, ferroviari e stradali diverrà sempre più viva ed accesa, anche in relazione al processo di liberalizzazione ed integrazione delle reti di trasporto all’interno dell’Unione europea.
Non si tratta, quindi, solo di potenziare il sistema portuale dell’Adriatico, ma di realizzare una forte infrastrutturazione

logistica, con un complesso organico di strutture e servizi integrati, completando e migliorando le interconnessioni tra porti, interporti, grande viabilità e rete ferroviaria a supporto alla rete logistica nazionale.
Se ho centrato il tema, un secondo profilo fondamentale di questa tematica riguarda allora nell’immediato la scelta delle priorità alte per intercettare i nuovi volumi di traffico marittimo, senza peraltro perdere di vista l’obiettivo di medio-lungo termine, che deve portare il livello del Paese per infrastrutture e servizi vicino a quello dei Paesi più avanzati dell’Unione europea.

Scelta di priorità immediate che ovviamente è squisitamente politica. Senza pretendere di dettare l’agenda alla politica, mi sentirei di condividere la proposta del Presidente di Confetra, secondo la quale, se s’intende servire i territori logisticamente vergini dei Paesi dell’Est Europa, occorre puntare sul sistema portuale dell’alto Adriatico, da Ravenna a Trieste.

A questo fine, è condizione imprescindibile che da parte di tutti i soggetti coinvolti (Stato, Regioni, Province e Comuni) vi sia estrema coerenza e  condivisione nelle scelte delle priorità e nella messa a disposizione delle limitate risorse disponibili.

Occorrono, comunque, certezze delle regole specie in ordine ai programmi, alle competenze ed alle modalità di azione delle Amministrazioni nazionali (centrali e periferiche), regionali e locali.

Quel che si aspettano gli operatori economici per contribuire alla realizzazione delle infrastrutture necessarie al rilancio dell’economia è la costruzione di un ordine istituzionale che, attraverso una sufficientemente chiara ripartizione delle funzioni tra Stato ed Autonomie ed una effettiva semplificazione delle procedure, fornisca un quadro di certezze indispensabile, tra l’altro e per quel che qui interessa, per bene operare ed utilizzare, senza irragionevoli rischi e con adeguate garanzie, strumenti innovativi, quali, nell’ambito del partenariato pubblico-privato, la finanza di progetto.

Per quel che concerne poi i servizi, avverto, insieme a CONFETRA, l’esigenza di procedere rapidamente ad una modernizzazione dell’organizzazione delle filiere logistiche del nostro paese. Compito questo che, evidentemente, non passa solo per i grandi interventi infrastrutturali ma che deve necessariamente svilupparsi anche sulla base delle esigenze individuate dalle amministrazioni locali e dalle forze imprenditoriali del settore. Una particolare attenzione va posta per quelle opere di taglia medio-piccola che risultano indispensabili per saldare funzionalmente le grandi reti di connessione con i bisogni del territorio.

Dei servizi, invece, che dovrebbero costituire la piattaforma di lancio per molti settori, manca una visione strategica del loro apporto all’economia. Infatti i servizi costituiscono ancora un sistema troppo frammentato, dove gli amministratori di organismi ed aziende pubbliche spesso non riescono a trovare un progetto industriale comune; si rilevano anzi a volte progetti palesemente contrastanti nell’ambito dello stesso territorio, come per l’energia e le reti stradali e ferroviarie. Gli operatori finanziari sono chiamati ad assistere i diversi soggetti, rischiando però la paralisi progettuale o l’inefficienza del sistema. 

E’ in tale quadro che vanno affrontate le problematiche della finanza di progetto in Italia, le cui possibilità di stabile decollo sono condizionate da troppe variabili, endogene ed esogene, tra loro legate in un circolo vizioso.

E’ noto infatti, che uno dei talloni di Achille del nostro Paese per la esecuzione di grandi opere è costituito dalla debolezza della progettazione, spesso troppo generica per garantirne la seria fattibilità. Al fattore endogeno della qualità dei progetti, si aggiungono poi altri fattori esogeni che incidono sull’attendibilità delle previsioni progettuali e che spesso dipendono dalla scarsa capacità programmatoria dell’amministrazione, a sua volta dovuta all’incertezza del quadro giuridico-amministrativo ed alla difficoltà di coordinare la realizzazione delle opere sul territorio.

Mancano così le più importanti pre-condizioni per attirare il capitale privato e per abbassare il costo del finanziamento. Tanto che spesso gli istituti finanziatori si tirano indietro, non avendo certezze sull’an, sulla localizzazione e sui tempi di avvio e di conclusione dell’opera (è appena il caso di accennare a recenti esempi emblematici, come Brebemi e i rigassificatori). E tutto ciò senza parlare del noto effetto nimby, la sindrome del “non nel mio giardino”.

 

3. Il ruolo delle grandi banche

In un’economia mondiale globalizzata che viaggia a velocità impressionante, quasi azzerando i confini geografici, non è pensabile che il nostro Paese possa restare tanto all’indietro nel campo delle infrastrutture e della logistica rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea. Non abbiamo infatti nulla da invidiare quanto a capacità professionali ed imprenditoriali.

Tutti però debbono fare la loro parte: la pubblica amministrazione si deve rapidamente trasformare da proprietario/gestore in acquirente di servizi, recuperando prioritariamente il ruolo, che le è proprio, di indirizzo strategico, di programmazione e di controllo, lasciando ai privati i compiti realizzativi e gestionali.

Il sistema aziende, per competere pariteticamente con le grandi imprese europee, deve intraprendere vie sicuramente più complesse rispetto al passato, assumere rischi imprenditoriali maggiori e proporre innovazioni continue e servizi di elevata qualità per rispondere prontamente alle esigenze del mercato. Credo sia indispensabile per far crescere le aziende, potenziare la professionalità degli operatori.

Il sistema bancario, che non è restato indifferente di fronte a questa prospettiva, deve calarsi sempre di più nella nuova realtà operativa, avviando con professionalità il rinnovamento dei modelli finanziari a sostegno degli investimenti.

Non sono le risorse che mancano: il settore bancario sta dando la massima disponibilità. In particolare, lo hanno dimostrato Banca Intesa ed il Gruppo San Paolo e lo dimostreranno ancor di più ed a maggior ragione, insieme.

Ritengo, poi, che un’istituzione bancaria come BIIS che ha nello sviluppo del Paese un preciso obiettivo statutario, abbia agito con sensibilità e tempestività a fianco delle istituzioni e delle imprese per alimentare costantemente il processo di ideazione e realizzazione di sistemi territoriali efficienti. E’ questa una realtà che è stata creata con l’intento di servire in modo integrato tutti gli attori della spesa pubblica e di favorire il partenariato tra pubblico e privato. E’ un sentiero di crescita destinato ad implementarsi con la prossima integrazione con le attività che fanno attualmente capo alla Banca del gruppo San Paolo rivolta al settore pubblico allargato. Avremo dunque ben presto un grande – lasciatemi dire di gran lunga il più grande - Istituto di credito italiano con un'offerta specificamente dedicata ai servizi dell’area della finanza pubblica.

I frutti di questo impegno non si sono fatti attendere: nel campo delle grandi infrastrutture di trasporto BIIS è attualmente impegnata nella realizzazione dei principali interventi che interessano l’Italia: lungo l’asse del Corridoio 5, oltre al finanziamento del Passante di Mestre, BIIS è coinvolta nelle attività di consulenza e di strutturazione dei finanziamenti per il collegamento autostradale della Pedemontana Lombarda, per la direttissima Milano-Brescia (BrebeMi) e per il progetto di Tangenziale Esterna Est di Milano; lungo il corridoio dei 2 mari Genova-Rotterdam, B.I.I.S. ha recentemente contribuito a sviluppare una proposta volta alla realizzazione della tratta ferroviaria Alta Velocità - Alta Capacità del Terzo Valico dei Giovi che, se accettata dall’amministrazione aggiudicatrice, potrebbe fornire una soluzione ai vincoli finanziari che caratterizzano il Progetto e che ne hanno impedito finora la realizzazione; lungo l’asse Berlino-Palermo, una proposta analoga alla precedente è stata presentata, con il supporto di BIIS, dai general contractors assegnatari dei lavori dei 2 maxi-lotti della Salerno-Reggio Calabria, che intendono in questo modo candidarsi anche alla realizzazione del terzo maxi-lotto nonchè alla gestione dell’intera opera.

Il nostro impegno non si limita alle reti, ma si estende anche ai nodi del sistema di trasporto: l’Interporto di Fiumicino, ormai giunto alla fase realizzativa, si è avvalso della consulenza prestata dal nostro Istituto, che ha successivamente fornito una quota rilevante delle risorse concesse dal pool di banche finanziatrici. BIIS, inoltre, ha recentemente acquisito i mandati per fornire i servizi di consulenza finanziaria richiesti dai soggetti imprenditoriali attivi nella realizzazione dell’Inteporto di Tivoli e del polo logistico di Ghedi.

           La Banca sta inoltre collaborando con imprenditori e amministrazioni pubbliche per mettere a punto delle soluzioni finanziarie innovative relative alla realizzazione di altri importanti poli logistici attrezzati in Emilia Romagna  e in Lombardia.

Ma stiamo facendo anche di più: nell’ottica di sostenere gli imprenditori che intendono investire capitali privati nella realizzazione di progetti infrastrutturali, BIIS proprio ieri ha definito insieme ai principali soggetti finanziari pubblici e privati attivi nel settore, l’avvio di un fondo chiuso di private equity finalizzato ad acquisire quote del capitale di rischio delle società impegnate nella realizzazione e/o nella gestione delle infrastrutture. E’ il fondo F21 il nuovo fondo per le infrastrutture italiane che avrà una consistenza di 1,5/2 mldi di euro al quale parteciperà con una quota di 150 milioni di euro.

Le grandi infrastrutture di trasporto che BIIS sta finanziando ammontano a circa 25 miliardi di euro. Siamo tuttavia convinti che questo non sia che un piccolo passo per rispondere alle esigenze di un settore che, oltre a rappresentare di per sé una quota pari al 6%-7% del PIL, si trova al centro di fenomeni cruciali per l’evoluzione dei nostri cicli di produzione e consumo.

In tema di sviluppo della portualità, siamo pronti a fare la nostra parte per verificare le possibilità di strutturare i finanziamenti necessari per ampliare la dotazione di terminal ferroviari a servizio dei porti, senza i quali questi ultimi sono destinati a subire un progressivo deficit di competitività rispetto all’offerta degli altri paesi.

Avverto, infatti, una forte preoccupazione per l’indebolimento del sistema portuale italiano proprio nel segmento dei traffici containerizzati, ossia in quel ramo del trasporto che è chiamato a sostenere le opportunità di sviluppo dei traffici con il continente asiatico. La preoccupazione non nasce solo dall’esame del magro tasso di crescita fatto registrare dai volumi di traffico dei porti italiani confrontati con quelli dei porti concorrenti (1,3% per l’Italia, 8,8% per la Spagna, 11,6% per il Nord Europa, 11,9% per la Cina), ma soprattutto dall’analisi sulle cause che li hanno determinati.

Ciò che emerge dai dati è che il volume complessivo di traffici con l’estero che transita attraverso i nostri porti è pari, né più né meno, al fabbisogno di interscambio commerciale italiano: non siamo affatto la piattaforma logistica del Mediterraneo, non attraiamo merci in sovrappiù sfruttando il posizionamento del nostro Paese lungo le rotte con il continente asiatico, non le manipoliamo per creare valore attraverso le attività di smistamento, confezionamento finale, controllo qualità, tracking and tracing, fornitura di servizi assicurativi , non facciamo nulla di tutto questo.

Ma il quadro diviene ancora più preoccupante se lo esaminiamo in prospettiva, considerato che buona parte della delocalizzazione industriale italiana si indirizza verso i paesi dell’Est europeo, con i quali l’interscambio via mare è solo marginale: perdonatemi l’allarmismo ma rischiamo oggi il paradosso di voler parlare delle prospettive di sviluppo del settore logistico italiano mancando di considerare le minacce che potrebbero determinarne domani la crisi terminale.

Perdere ulteriormente quote dell’industria logistica significa perdere il controllo sulla catena di creazione di servizi a valore aggiunto della merce che è la parte più ricca del pianeta, proprio in virtù della “intelligenza” logistica che è in grado di esprimere.

Come rispondere a queste minacce dunque? Le previsioni di un prestigioso istituto come Ocean Shipping Consultants  indicano che, per far fronte alla crescita dei flussi commerciali l’Italia dovrebbe poter disporre nell’arco dei prossimi dieci anni di una capacità portuale circa doppia rispetto a quella odierna.

Una prima risposta è già data: sono necessarie più infrastrutture, dunque, e velocemente!  E, tenuto conto che la richiesta di servizi logistici efficienti aumenterà più che proporzionalmente rispetto all’aumento dei volumi, col termine infrastrutture bisogna intendere tutte quelle  infrastrutture che ne determinano l’efficienza nei cicli di inoltro terrestre: aree retroportuali, accessibilità stradale e ferroviaria, inland terminal, in una logica che sappia trovare la coerenza tra i diversi livelli del territorio locale, regionale ed internazionale.

La questione che si pone a questo punto è: come reperire le risorse necessarie per finanziare lo sviluppo infrastrutturale? La soluzione potrebbe discendere dalla risposta ad una seconda domanda: quale potrebbe essere il costo per la collettività derivante dalla mancata realizzazione delle infrastrutture del settore?

Il problema, in altri termini riguarda, come è stato detto,  “i costi del non fare”. Applicando l’analisi costi-benefici al previsto incremento del numero dei container (in termini di milioni) il costo per la mancata realizzazione delle infrastrutture di settore, secondo le valutazioni di CONFETRA,  presenta un ordine di grandezza, in termini di potenziale valore aggiunto, di diverse decine di miliardi. Un valore, cioè, in grado di coprire il fabbisogno necessario per un primo miglioramento, secondo la scala di priorità che sarà prescelta, del nostro sistema portuale.

Ciò che più rileva ai nostri fini è analizzare gli elementi che compongono questo ordine di grandezza: si potrebbe scoprire così che una buona parte del valore del beneficio stimato è rappresentato dalla disponibilità a pagare da parte dei potenziali utenti delle infrastrutture.

In altre parole, si tratta di risorse che sono smobilizzabili dal settore privato dell’economia e che potrebbero essere messe a disposizione dei progetti se solo questi si realizzassero. Questo perchè i possibili utenti di queste infrastrutture valutano che i benefici che potrebbero derivare loro dall’utilizzo di queste infrastrutture sono superiori.

Le risorse per realizzare i progetti possono dunque spesso essere generate dal progetto stesso, una volta che esso è costruito ed entra nella fase di esercizio: si tratta allora di saper adottare strutture finanziarie che riescano ad anticipare le risorse necessarie per gli investimenti e che sfruttino le possibilità di rimborso dei debiti attraverso la captazione, diluita nel tempo, di una parte (spesso una piccola parte) dei flussi di reddito e di tributi che, in vario modo,  il progetto produce.

Questo principio, che è alla base delle tecniche del project financing non è certo nuovo: si tratta però di estenderne la portata sviluppando cornici giuridico-amministrative consone e schemi contrattuali innovativi, capaci di sfruttare la generazione di valore che si crea col “fare”, ricordandosi, che, al contrario, non fare, significa perdere questo valore.

 

4.  Conclusioni

La moneta e soprattutto le idee sono pronte a correre: le punte più avanzate del sistema bancario sono già in grado di concorrere allo sviluppo dei fattori innovativi, quali le infrastrutture, grandi, medie e piccole, la logistica, la ricerca, la formazione.

Si assiste così ad un paradosso: il sistema finanziario è pronto, mentre il mondo politico non è ancora in grado di assumere le decisioni necessarie per non perdere questa irripetibile occasione per il Paese. 

          Il partenariato pubblico-privato non ha ancora trovato i ritmi adeguati per la crescita della nostra economia. Perché, invece, in altri Paesi la finanza di progetto ha dato buoni risultati? Perché l’adozione di questo strumento, utilizzato per la realizzazione delle infrastrutture, ha investito a cascata intere aree del globo, dal Regno Unito al resto di Europa, dall’Australia al Sudafrica e dal 2002 i Paesi Latino – Americani, con un trend che porta il valore dei contratti ad un importo nel 2006 non inferiore a 80 - 100 miliardi di euro, con punte avanzatissime specialmente per il Regno Unito ed il Portogallo?

         E’ forse colpa del sistema finanziario, che risulterebbe in qualche modo latitante? I risultati conseguiti dai grandi Istituti finanziari nell’ambito della collaborazione con il pubblico provano ampiamente il contrario.

         Anzi, per quel che riguarda le esperienze maturate in BIIS, il fatto che essa sia dedicata alle esigenze del Paese ha spesso indotto la Banca ad assumere rischi non strettamente dovuti, pur di consentire la realizzazione delle opere necessarie allo sviluppo dell’economia.

 

          La realtà è che il sistema bancario è costretto ad operare in un ambito in cui la parte ordinamentale, per le ragioni che ho esposto, presenta vistose lacune, contraddizioni e certo non favorisce la predisposizione di un valido supporto amministrativo, che risulta alquanto sfilacciato.

E’ così che la Banca che rappresento, pur essendo dedicata al Paese, dal Paese attende ancora una risposta per meglio operare e sviluppare con la dovuta “tranquillità organizzativa” la propria azione su tutto il territorio. I nodi da sciogliere per le opere strategiche sono rimasti sostanzialmente gli stessi: il consenso sul territorio, l’impatto ambientale, la complessità e la lungaggine delle procedure, le garanzie e la debolezza della progettazione.

Se non si riesce presto a sciogliere almeno parte di tali nodi, vi è il rischio che le banche  fortemente strutturate all’estero potrebbero trovare più conveniente destinare i propri interventi al finanziamento delle imprese dell’Estremo Oriente.

           Mi auguro, comunque, che la sensibilità dimostrata dai politici sulle opportunità che può offrire al nostro Paese l’esplosione dell’economia asiatica possa portare coerentemente all’adozione dei provvedimenti governativi che si ritengono prioritari perché non sfugga all’Italia questa irripetibile occasione.


FINE TESTO