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Roma, 9 maggio 2001
CIRCOLARE N. 67/2001
Oggetto: Porti – Assetto contrattuale – Ricorso al TAR
contro il Ministero dei Trasporti.
Il Comitato Nazionale dell’Utenza
Portuale ha impugnato al TAR del Lazio la nota del 17.2.2001 con la quale il
Ministero dei Trasporti ha invitato le Autorità portuali a fare riferimento al
recente CCNL porti (sottoscritto tra Assoporti, Fise, Assologistica e i
sindacati) ai fini del rilascio delle autorizzazioni per l’esercizio di
attività imprenditoriale.
Il ricorso, predisposto dal prof.
Mattia Persiani, uno dei maggiori esperti in materia lavoristica, evidenzia
l’incompatibilità del suddetto provvedimento con il principio di libertà
sindacale sancito dall’ordinamento italiano. In particolare la contestazione
riguarda la pretesa ministeriale di attribuire efficacia generale a
un contratto collettivo stipulato con modalità e finalità diverse da quelle previste
dall’art.17 della riforma portuale
(legge 84/94 così come modificata dalla legge 186/2000).La finalità di tale
disposizione, infatti, era semplicemente quella di tutelare i lavoratori temporanei (cioè i dipendenti o soci delle ex
compagnie affittati per lo svolgimento
delle operazioni portuali), attraverso la stipula di un CCNL unico di riferimento che
garantisse trattamenti omogenei a questi lavoratori occupati sempre presso
imprese diverse.
Il ricorso sottolinea come il nuovo
CCNL, anziché regolamentare il lavoro temporaneo, intende disciplinare i
rapporti di lavoro intercorrenti tra le imprese che operano nei porti a
qualsiasi titolo e i propri dipendenti. La stessa procedura seguita per
arrivare alla stipula del contratto non ha rispettato i criteri previsti dalla
legge 84/94; la trattativa infatti non è stata coordinata dal Ministero dei
Trasporti, che si è limitato a prendere atto delle intese raggiunte, e si è
svolta con la partecipazione solo di alcune delle rappresentanze datoriali
interessate alla regolamentazione del lavoro temporaneo.
Si fa riserva di tornare
sull’argomento per comunicare gli ulteriori sviluppi.
f.to
dr. Piero M. Luzzati |
Per riferimenti confronta circ.re conf.le n.25/2001
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Allegato
uno |
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M/g |
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TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
la MARITTIMA SPEDIZIONI S.r.l., in persona del Presidente e
Amministratore Delegato, legale rappresentante pro tempore, signor Tito Carminati;
la ASCHERI & C. S.r.l., in persona dell’Amministratore Unico e legale
rappresentante pro tempore, signor Leonardo Ascheri; il COMITATO NAZIONALE DI
COORDINAMENTO DEGLI UTENTI E DEGLI OPERATORI PORTUALI, in persona del
Presidente e legale rappresentante pro tempore, dott. Giorgio Fanfani, tutti
rapp.ti e difesi in virtù di deleghe a margine dagli avv.ti proff. Mattia Persiani
e Filippo Satta, el.te dom.ti presso lo
studio di quest’ultimo in Roma, via Pierluigi da Palestrina n. 47,
contro
il MINISTERO DEI
TRASPORTI E DELLA NAVIGAZIONE in persona del Ministro pro tempore;
il MINISTERO DEL LAVORO
E DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore
l’Unità Gestione Infrastrutture per la Navigazione ed il Demanio
Marittimo del Ministero dei Trasporti e della Navigazione, in persona del
Direttore p.t.
e nei confronti
di ASSOPORTI, in persona del suo legale rappresentante pt., con
sede in Roma, Corso Rinascimento n. 24;
FILT-CGIL, in persona del suo legale rappresentante pt., con
sede in Roma, Via G.B. Morgagni n. 27;
per l’annullamento e frattanto la
sospensione
del provvedimento 7 febbraio 2001, prot. n. DEM3/382, del Direttore
dell’Unità di Gestione Infrastrutture per la Navigazione ed il Demanio Marittimo
del Ministero dei Trasporti e della Navigazione, nonché di tutti gli atti
presupposti, connessi, conseguenziali ed applicativi.
1. L’art. 3, primo comma, della l. 30
giugno 2000, n. 186 detta la nuova disciplina della “fornitura del lavoro
portuale temporaneo”, vale a dire dell’“affitto”, da parte di imprese
abilitate, di mere prestazioni di lavoro dei propri dipendenti o soci (se trattasi
di cooperative), in favore delle imprese che operano nei porti. Tale
disposizione sostituisce il precedente testo dell’art. 17 della l. 28 gennaio
1994, n. 84, e lo adegua alla decisione 21 ottobre 1997 della Commissione delle
Comunità Europee ed alla sentenza
12 febbraio 1998, n. C-163/96, della Corte di Giustizia.
Ed infatti, le autorità europee
avevano ritenuto che il testo originario dell’art. 17 della legge n. 84/1994 (in
quanto riservava la fornitura di lavoro portuale temporaneo alle società
risultanti dalla trasformazione delle “compagnie portuali”) fosse incompatibile
con gli artt. 86 e 90 del Trattato, i quali “ostano ad una disposizione
nazionale che riservi ad una compagnia portuale il diritto di fornire lavoro
temporaneo alle altre imprese operanti nel porto in cui essa è stabilita, qualora
essa stessa sia autorizzata all’espletamento di operazioni portuali” (sent. 12
febbraio 1998 della Corte di Giustizia).
Il legislatore del 2000 ha eliminato
questa incompatibilità. Da un lato, ha abolito il monopolio della fornitura di
lavoro temporaneo (originariamente previsto a favore compagnie portuali ex art.
21 della legge n. 84 del 1994), consentendo che quella fornitura fosse eseguita
anche dalle società e agenzie previste dal nuovo testo dell’art. 17, diverse
dalle società ex art 21 (v. 2° e 5° comma dell’art. 17).
D’altro lato, quel legislatore,
recependo i moniti comunitari, ha
scongiurato il pericolo di distorsioni del mercato stabilendo che i
soggetti abilitati alla fornitura di lavoro temporaneo devono “osservare
l’obbligo di parità di trattamento nei confronti delle imprese di cui agli
artt. 16, 18 e 21, comma 1, lettera a)” e, cioè, non possono applicare tariffe
differenziate nei confronti delle diverse imprese che utilizzano il lavoro
portuale temporaneo (decimo comma dell’art. 17 della legge n. 84 del 1994).
2. Tali ultime imprese – cosiddette “utilizzatrici” del lavoro
portuale temporaneo – sono quelle previste dagli artt. 16 e 18 l. n. 84/ 1994
e, cioè, sono le imprese che svolgono le operazioni portuali (carico, scarico,
trasbordo, deposito ecc.) “senza” o “con terra”. La differenza tra le due
categorie di imprese è in ciò che le imprese “senza terra” svolgono le operazioni
portuali su aree pubbliche e sono titolari di una “autorizzazione”
all’esercizio della loro attività all’interno del porto, rilasciata
dall’Autorità Portuale (cfr. art. 16, terzo comma, l. cit.). Le imprese “con
terra”, invece, svolgono le operazioni portuali su aree demaniali e banchine,
date in concessione dall’Autorità Portuale (v. art. 18, primo comma).
3. Sia per le imprese “senza
terra” che per quelle “con terra” è previsto che le operazioni portuali “non
possono svolgersi in deroga alla legge 23 ottobre 1960, n. 1369, salvo quanto
previsto dall’art. 17”.
Di conseguenza, le imprese di cui trattasi, quando non appaltano
ad imprese terze lo svolgimento delle operazioni o dei servizi portuali per i
quali sono state autorizzate, possono utilizzare, oltre alla forza lavoro alle
loro dipendenze, esclusivamente le prestazioni di lavoro dei lavoratori portuali
temporanei e, cioè, dei lavoratori o soci delle imprese previste dal nuovo testo
dell’art. 17 l. n. 84/1994.
4. Anche al fine di eliminare forme (illecite) di concorrenza
basate sullo sfruttamento dei lavoratori portuali temporanei, il tredicesimo
comma dell’art. 17 l. n. 84/1984, come modificato dall’art. 3, 1° co., l. n.
186/2000, stabilisce che “le autorità portuali o, laddove non istituite, le
autorità marittime inseriscono negli atti di autorizzazione di cui al presente
articolo, nonché in quelli previsti dall’art. 16 e negli atti di concessione di
cui all’articolo 18, disposizioni volte a garantire ai lavoratori e soci
lavoratori di cooperative un trattamento normativo e retributivo minimo
inderogabile. Per i predetti fini il Ministero dei trasporti e della
navigazione, di concerto con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale,
promuove specifici incontri fra le organizzazioni sindacali dei lavoratori
maggiormente rappresentative a livello nazionale, le rappresentanze delle imprese,
dell’utenza portuale e delle imprese di cui all’articolo 21, comma 1, e
l’associazione fra le autorità portuali, volti a determinare la stipula di un
contratto collettivo di lavoro unico nazionale di riferimento. Fino alla
stipula di tale contratto le predette parti determinano a livello locale i
trattamenti normativi e retributivi di riferimento per l’individuazione del
minimo inderogabile”.
Il legislatore del 2000, quindi, ripetendo il modello adottato
dall’art. 36 della legge n. 300 del 1970, da un lato, ha inteso tutelare i
lavoratori portuali temporanei prevedendo che le Autorità portuali inseriscono
negli atti di autorizzazione e di concessione previsti dagli artt. 16 e 18
della legge disposizioni volte a garantire loro un trattamento minimo inderogabile.
D’altro lato, ha abilitato una apposita disciplina sindacale ad
individuare quel trattamento minimo inderogabile, con la funzione di fornire il
“riferimento” per valutare se i diversi trattamenti eventualmente erogati dalle
imprese “utilizzatrici” siano, o no, inferiori al minimo inderogabile.
Il legislatore del 2000 ha, però, anche individuato
esplicitamente i soggetti sindacali abilitati a porre in essere quella
disciplina sindacale di “riferimento” e, cioè:
a) le organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello
nazionale;
b) le rappresentanze delle imprese ex artt. 16 e 18 della legge;
c) le rappresentanze dell’utenza portuale (imprese armatoriali,
società petrolifere, società che gestiscono depositi e magazzini, agenti
marittimi ecc.);
d) le rappresentanze delle società ex art. 21 (le ex compagnie
portuali);
e) nonché l’associazione fra le autorità portuali.
5. Il 27 luglio 2000, la ASSOLOGISTICA, la ASSOPORTI e la
FISE/UNIPORT, da un lato, e la FILT-CGIL, la FIT-CISL e la UILTRASPORTI,
dall’altro, sottoscrivevano un “protocollo di intesa” nel quale si impegnavano
a stipulare “il nuovo c.c.n.l. unico di riferimento dei porti” (doc. n. 1). In
tale protocollo, le parti stipulanti dichiaravano, al punto n. 1, che “il
c.c.n.l. di cui al presente protocollo di intesa regola i rapporti di lavoro
tra le imprese di cui agli articoli 16 e 18 della legge n. 84 del 1994 e
successive modificazioni, le Autorità Portuali di cui all’articolo 6, i
soggetti di cui all’articolo 17, comma secondo (imprese), comma 5 (agenzie)
della predetta legge ed il personale da esse dipendente, ivi compresi i lavoratori
delle imprese di cui all’articolo 21 della richiamata legge” (doc. n. 1).
Al punto 8 di quel protocollo di intesa, le parti stipulanti si
impegnavano a sottoporre “al Governo il presente protocollo nonché il c.c.n.l.
nella futura stesura definitiva, affinchè lo stesso Governo prenda atto
dell’avvenuta sottoscrizione del “contratto unico nazionale di riferimento” per
i lavoratori dei porti (art. 17 della legge 28 gennaio 1994, n. 84) e che a
detto contratto si farà riferimento per le normative afferenti i rapporti di
lavoro di cui al campo di applicazione indicato nel presente protocollo” (doc.
n. 1).
6. Nonostante le
dichiarazioni delle parti stipulanti, il protocollo di intesa del 27 luglio
2000 è privo dei requisiti sia formali sia sostanziali richiesti dall’art. 17,
comma 13.
Da un lato, infatti, il protocollo è stato stipulato in una sede
diversa da quella prevista dalla legge e, soltanto da alcune delle
rappresentanze dei datori di lavoro espressamente nominate dall’art. 17, 13°
comma.
In particolare, per quel che in questa sede interessa, non sono
state convocate e non hanno partecipato alle trattative la FEDESPEDI (alla
quale sono iscritte le imprese ricorrenti, entrambe titolari di autorizzazioni
ex art. 16 della legge) (docc. nn. da 2 a 5) e tutte le rappresentanze
dell’utenza portuale (la CONFITARMA e la FEDERALINEA per le società
armatoriali; l’UNIONE PETROLIFERA per le società petrolifere, e la FEDERAGENTI
per gli agenti marittimi).
D’altro lato, le parti stipulanti quel protocollo d’intesa hanno
condotto trattative private e non anche - come invece stabilisce la
disposizione di cui trattasi - trattative promosse dal Ministero dei trasporti
e della navigazione e aperte alla partecipazione di tutte le rappresentanze dei
datori di lavoro previste dal tredicesimo comma dell’art. 17, in quanto
potenzialmente interessati ad utilizzare lavoratori portuali temporanei.
Tutte le rappresentanze dei datori di lavoro escluse da quelle
trattative sono aderenti al Comitato ricorrente, il quale, per statuto, tutela
gli interessi delle organizzazioni sindacali iscritte (cfr. docc. nn. 6 e 7).
7. Si aggiunga che il protocollo di intesa del 27 luglio 2000
non assolve alla funzione prevista dal comma 13 dell’art. 17, in quanto, detta
la disciplina di tutti i rapporti di lavoro considerati dalle parti stipulanti
e, cioè, di tutti i rapporti di lavoro intercorrenti con le imprese che operano
nei porti a qualsiasi titolo nonché dei dipendenti delle Autorità portuali. Non
contiene, per contro, alcuna disposizione per il lavoro portuale temporaneo.
8. Le parti stipulanti il protocollo di intesa 27 luglio 2000,
in data 1° febbraio 2000 hanno siglato il testo definitivo di quello che,
secondo loro, sarebbe il nuovo “c.c.n.l. unico dei porti”.
Quel testo, infatti, è preceduto da una dichiarazione a verbale
del seguente tenore: “In attuazione di quanto previsto nel protocollo del
27.7.00 le parti siglano gli allegati testi degli articoli del CCNL unico di
riferimento dei porti, così come prescritto dall’art. 17,comma 13, l. 84/94 e
successive modificazioni” (doc. n. 8).
9. Con il provvedimento impugnato, il Direttore dell’Unità di
Gestione Infrastrutture per la Navigazione ed il Demanio Marittimo ha recepito
il protocollo di intesa del 27 luglio 2000 e ad esso ha preteso di attribuire
gli effetti previsti dal nuovo testo dall’art. 17, tredicesimo comma, della legge
n. 84 del 1994 (doc. n. 9).
Ed infatti, in tale
provvedimento, viene affermato che:
“Il giorno 21
dicembre 2000, presso gli Uffici del Ministero del lavoro e della previdenza
sociale in Roma, si è svolta una riunione, promossa dal Ministero dei trasporti
e della navigazione di concerto con il Ministero del lavoro e della previdenza
sociale ai sensi dell’art. 17, comma 13, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, come
modificato dall’art. 3 della legge 30 giugno 2000, n. 186. Alla riunione,
presieduta in forma congiunta dalla dottoressa Erminia Viggiani, dirigente
della Div. VIII della Direzione Generale dei Rapporti di Lavoro del Ministero
del lavoro e della previdenza sociale, e dal dott. Massimo Rovinciali, Direttore
di questa Unità di gestione, hanno partecipato rappresentanti di Assoporti,
Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uilt-Uil, Fise ed Assologistica.
“Nel corso della
riunione, le parti sociali hanno rappresentato di avere già avviato gli
incontri volti a pervenire alla stipula del contratto collettivo di lavoro
unico nazionale di riferimento. E’ stato nel frattempo sottoscritto, il 27
luglio 2000, un protocollo d’intesa, che si allega, con il quale sono già state
definite le parti del contratto collettivo relative al trattamento economico e
alla classificazione del personale.
“Nei giorni scorsi,
le parti sociali hanno pure comunicato di aver concordato le ulteriori sezioni
del c.c.n.l. del quale è ora in corso la scrittura definitiva, al fine di evitare
ripetizioni ed errori materiali.
“Ciò premesso e
preso atto dell’avvenuta conclusione delle trattative volte a pervenire alla
stipula del c.c.n.l. previsto dall’art. 17, comma 13, della legge n. 84 del
1994, si invitano codeste Autorità portuali e marittime (cui è pure demandata
la diffusione della presente agli uffici dipendenti) ad assumere l’unito
protocollo d’intesa quale riferimento per l’inserimento negli atti di autorizzazione
ex articoli 16, 17 e 18 della legge n. 84 del 1994 delle prescritte
disposizioni volte a garantire ai lavoratori ed ai soci lavoratori di
cooperative un trattamento normativo e retributivo minimo inderogabile”.
10. In applicazione di
tale provvedimento, le Autorità portuali stanno per inserire nelle
autorizzazioni ex art. 16 (di cui sono titolari le imprese ricorrenti) (docc.
nn. 4 e 5), nonché nelle concessioni previste dall’art. 18, la clausola con la
quale i datori di lavoro sono tenuti ad applicare ai propri dipendenti il
trattamento normativo ed economico fissato dal protocollo di intesa 27 luglio
2000 e dal contratto collettivo del 1° febbraio 2001 che, come si è detto, assorbe
o sostituisce il primo (cfr. n. 8 e doc. n. 8).
La gravità della vicenda è percepibile ictu oculi.
Alle imprese, come quelle ricorrenti, che operano nei porti
viene imposto di applicare a tutti i rapporti con i propri dipendenti, e non
anche soltanto a quelli con i lavoratori portuali temporanei, un contratto di lavoro
stipulato da organizzazioni sindacali alle quali non aderiscono e che, in aperta
violazione del principio di libertà sindacale sancito dall’art. 39 Cost., viene
reso efficace erga omnes da un provvedimento della Autorità Amministrativa.
Di
conseguenza, le imprese ricorrenti subiscono una autentica espropriazione della
loro libertà sindacale, in quanto, al fine di continuare ad operare nei porti,
sono costrette ad applicare ai loro dipendenti (che non sono “lavoratori
portuali temporanei”) un contratto collettivo diverso da quello proprio del settore
di appartenenza sinora applicato (cfr. docc. nn. ....) e, soprattutto, stipulato
da rappresentanze sindacali alle quali non aderiscono.
Nella
sostanza, con il provvedimento impugnato, la Autorità Amministrativa impone
alle imprese ricorrenti di applicare un contratto collettivo stipulato con
modalità e per finalità diverse da quelle previste dal legislatore del 2000 e,
quindi, un normale contratto collettivo di diritto comune che, in quanto tale,
non può sostituirsi a quello sinora applicato.
Ne deriva un pregiudizio incalcolabile, non riducibile entro
termini puramente economici: le imprese ricorrenti, infatti, sono costrette a
rimodulare la loro organizzazione interna e la gestione dei rispettivi rapporti
di lavoro, per adeguarle alla nuova disciplina collettiva.
11. Il provvedimento del
7 febbraio 2001 deve pertanto essere impugnato per i seguenti motivi in
I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 17, tredicesimo
comma, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, come modificato dall’art. 3, primo
comma, della legge 30 giugno 2000, n. 186. Eccesso di potere per sviamento.
12. Secondo l’inequivoco
disposto del primo comma, tutto l’art. 17 della legge n. 84 del 1984 disciplina
esclusivamente la fornitura di lavoro temporaneo alle imprese di cui agli artt. 16 e 18 per l’esecuzione di operazioni
e servizi portuali autorizzati ex art. 16, 3° comma.
Come già riferito, a tutela dei “lavoratori
portuali temporanei” il 13° comma di quella disposizione prevede che negli atti
legittimanti l’esercizio di attività di impresa portuale (vale a dire, le
autorizzazioni dell’art. 16 e le concessioni dell’art. 18) vengano inserite “disposizioni
volte a garantire ai lavoratori e ai soci lavoratori di cooperative un
trattamento normativo e retributivo minimo inderogabile”. Questo trattamento
deve essere determinato attraverso incontri, promossi di concerto dal Ministero
dei trasporti ed il Ministero del lavoro tra le OO.SS. maggiormente
rappresentative a livello nazionale, le rappresentanze delle imprese,
dell’utenza portuale e l’associazione tra le autorità portuali “volti alla
stipula di un contratto collettivo unico nazionale di riferimento”.
La norma è dunque assolutamente
precisa: si deve stipulare un contratto unico nazionale di riferimento per i “lavoratori
portuali temporanei”; quel contratto deve essere stipulato su iniziativa dei
Ministeri dei trasporti e del lavoro, tra le OO.SS. dei lavoratori maggiormente
rappresentative a livello nazionale e le rappresentanze delle imprese,
dell’utenza portuale e l’associazione delle autorità portuali.
Nel recepire gli accordi intervenuti tra le OO.SS. dei lavoratori
FILT-CGIL, FIT-CISL e UILTRASPORTI da un lato, Assoporti, Assologistica e Fise
dall’altro, il provvedimento impugnato viola gravemente la normativa dell’art.
17, sopra richiamata.
Esso dà atto, infatti, che alla
riunione del 21 dicembre 2000 avevano partecipato soltanto le parti stipulanti
il protocollo d’intesa del 27 luglio 2000 e, cioè, la rappresentanza delle
Autorità Portuali (Assoporti), una sola delle rappresentanze delle imprese ex
artt. 16 e 18 della legge n. 84/ 1994 (Assologistica) e la rappresentanza delle
ex compagnie portuali (Fise).
Lo stesso provvedimento dà anche atto che, nel corso di quella
riunione, non si è svolta alcuna trattativa, in quanto le “parti sociali hanno
rappresentato di avere già avviato gli incontri volti a pervenire alla stipula
del contratto collettivo unico nazionale di riferimento (...) e di avere
(n.d.r.) nel frattempo sottoscritto, il 27 luglio 2000, un protocollo di intesa,
che si allega, con il quale sono già state definite le parti del contratto
collettivo relative al trattamento economico e alla classificazione del
personale”.
I gravi vizi, formali e sostanziali,
sono palesi:
a) in violazione del 13° co. dell’art.
17, il Ministero dei trasporti non ha promosso alcun incontro volto alla stipulazione
del contratto collettivo previsto da detta disposizione, in quanto nella
riunione del 21 dicembre 2000 si è limitato a prendere atto ed a ratificare
trattative già avviate e concluse in altra sede da alcune soltanto delle
rappresentanze indicate dalla legge.
b) a quella riunione, poi, sono state
invitate e hanno partecipato soltanto le organizzazioni sindacali che avevano
già stipulato il protocollo d’intesa del 27 luglio 2000;
c) sono state, quindi, escluse le
altre rappresentanze nominate dal 13° comma dell’art. 17 e, in particolare, per
quel che in questa sede interessa, la FEDESPEDI (imprese ex artt. 16 e 18), la
CONFITARMA, la FEDARLINEA, l’UNIONE PETROLIFERA, e la FEDERAGENTI
(rappresentanze dell’utenza portuale:cfr. n. 6).
Il
provvedimento impugnato viola dunque il comma 13 dell’art. 17 in quanto si vale
di questa norma – volta a regolare il lavoro temporaneo – per imporre
d’autorità un unico c.c.n.l. a tutti gli operatori portuali e questo fa
illegittimamente anche in termini formali, in quanto segue una procedura
diversa da quella dettata dal comma 13.
Come
è palese, la violazione di legge si aggrava, assumendo i connotati dell’eccesso
di potere per sviamento, perché l’Autorità amministrativa ha imposto alle
imprese che operano nei porti un contratto collettivo stipulato in una sede
diversa da quella prevista dal comma 13 art. 17 della legge n. 84 del 1994.
II. Violazione e falsa applicazione,
sotto altro profilo, dell’art. 17, 13° comma, l. n. 84/1994, nuovo testo.
Eccesso di potere per sviamento.
17. Il punto 8 del
protocollo d’intesa 27 luglio 2000, recepito dal provvedimento impugnato,
prevede che le disposizioni in esso contenute, “nonché il c.c.n.l. nella futura
stesura”, sarebbero stati sottoposti al Governo “affinché lo stesso prenda atto
dell’avvenuta sottoscrizione del “contratto unico nazionale di riferimento” per
i lavoratori dei porti (art. 17 della legge 28 gennaio 1994, n. 84) e che a
detto contratto si farà riferimento per la normativa afferente i rapporti di
lavoro di cui al campo di applicazione indicato nel presente protocollo”.
Nel recepire il protocollo di intesa del luglio 2000, il
provvedimento impugnato mostra dunque di accogliere un’interpretazione dell’art.
17, 13° comma, secondo la quale il “contratto collettivo unico di riferimento”
dovrebbe determinare il minimo inderogabile spettante non già ai soli “lavoratori
portuali temporanei”, bensì anche a tutti i lavoratori che operano, a qualsiasi
titolo, in ambito portuale e che dipendono dai datori di lavoro rientranti
nell’ambito di applicazione del protocollo recepito e cioè le Autorità portuali
e le imprese titolari delle autorizzazioni e delle concessioni previste,
rispettivamente, dagli artt. 16 e 18 della legge n. 84 del 1994.
Sennonché questo è esplicitamente contrario alla legge.
18. Con il comma 13
dell’art. 17, il legislatore ha inteso garantire il “minimo inderogabile”
(demandandone la determinazione ad un “contratto collettivo unico nazionale di
riferimento) non già a tutti i lavoratori che operano nei porti, bensì
esclusivamente ai “lavoratori e soci lavoratori di cooperative cosiddetti
«temporanei»”, cioè, a quei lavoratori, dipendenti o soci, delle imprese di cui
al secondo comma dell’art. 17 ed a quelli dipendenti dalle agenzie previste dal
quinto comma. Questo recita chiarissimamente il 13° comma dell’art. 17.
19. A conferma che la legge abbia
inteso garantire un “trattamento normativo e retributivo inderogabile”
esclusivamente per i lavoratori dipendenti dai soggetti abilitati alla
fornitura di lavoro portuale temporaneo, valgano le seguenti ulteriori brevi
osservazioni:
a) con l’espressione “lavoratori e
soci lavoratori” contenuta nell’art. 17, il legislatore ha avuto riguardo alle
diverse forme tradizionalmente assunte dai soggetti che, da sempre, sono
abilitati alla fornitura di mere prestazioni di lavoro nei porti, in deroga
alla legge n. 1369 del 1960;
b) la disposizione di cui trattasi è
inserita nell’ambito dell’art. 17, il quale, come risulta dalla sua rubrica,
detta esclusivamente “la disciplina della fornitura del lavoro portuale
temporaneo”;
c) il primo comma dell’art. 17
espressamente stabilisce che “il presente articolo disciplina la fornitura di lavoro
temporaneo, anche in deroga all’art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, alle imprese di cui gli articoli 16 e 18
per l’esecuzione delle operazioni e dei servizi portuali autorizzati ai sensi
dell’art. 16, comma 3”;
d) tutte le disposizioni contenute nel
nuovo testo dell’art. 17 disciplinano il lavoro portuale temporaneo;
e) in particolare, le disposizioni
dell’art. 17 che fanno riferimento al comma tredicesimo del medesimo art. 17
presuppongono che il “contratto collettivo
unico di riferimento” previsto da quest’ultima disposizione riguardi
esclusivamente i lavoratori e soci impiegati presso i soggetti abilitati alla
fornitura del lavoro portuale temporaneo;
f) ed infatti, il settimo comma
dell’art. 17 individua ben cinque istituti del lavoro portuale temporaneo che devono essere discussi
“nell’ambito delle trattative per la stipula del contratto collettivo nazionale
dei lavoratori portuali previste al comma 13”, laddove per “lavoratori portuali”,
tenuto conto della sedes materiae, devono essere intesi i lavoratori utilizzati
nella fornitura di lavoro portuale temporaneo;
g) il quindicesimo comma dell’art. 17
prevede che “le parti sociali indicate al comma 13 regolano le modalità di
retribuzione delle giornate di mancato avviamento al lavoro dei lavoratori impiegati
presso i soggetti di cui ai commi 2 e 5”, e con ciò assegna a quelle parti
sociali il compito di disciplinare un ulteriore istituto del lavoro portuale
temporaneo che, in
quanto riguarda una materia non connessa al concreto svolgimento di attività
lavorativa (e, cioè, il mancato avviamento al lavoro), non poteva essere disciplinato
nel contratto collettivo unico di riferimento;
h) per una prova in un certo senso a
contrariis merita infine osservare che l’art. 10, 6° comma, della medesima
legge dispone che il rapporto di lavoro del personale delle Autorità portuali è
regolato non già dal “contratto collettivo unico” previsto dal successivo art.
17, tredicesimo comma, bensì da appositi “contratti collettivi nazionali di
lavoro” stipulati “sulla
base di criteri generali stabiliti con decreto del Ministro dei trasporti e
della navigazione, che dovranno tener conto anche della compatibilità della
risorse economiche, finanziarie e di bilancio”. La stessa legge n. 84/1994
tiene dunque ben distinte le diverse fattispecie e, con riguardo ai rapporti di lavoro diversi da quelli dei
lavoratori temporanei portuali (come quelli del personale delle Autorità
portuali), ripudia la logica del contratto collettivo unico nazionale e
garantisce il pluralismo sindacale nel rispetto dei principi sanciti dall’art.
39 Cost..
20. Le
considerazioni ora svolte impongono di escludere che il nuovo testo dell’art.
17 preveda una disciplina sindacale (come quella illegittimamente recepita dal
provvedimento impugnato) autoritativamente applicabile ai rapporti di lavoro
intercorrenti con tutti i soggetti che, a qualsiasi titolo, operano nei porti.
Il Direttore dell’Unità gestione
infrastrutture, che ha imposto agli operatori portuali l’applicazione di un
regime contrattuale
unico, concepito e concordato per i lavoratori a tempo pieno, è dunque incorso
in violazione di legge ed eccesso di potere per sviamento.
21. E’ necessario un ultimo rilievo. Ove dovesse venir confermata
l’interpretazione dell’art. 17, 13° comma, nuovo testo, della legge n. 84 del
1984 accolta dal Ministero dei Trasporti nel provvedimento del 7 febbraio 2001,
questa norma sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto, ove riferito a tutti i lavoratori che operano nei porti,
il co. 13 dell’art. 17 violerebbe l’art. 39, primo comma, Cost..
Ciò perché la previsione
di un “contratto collettivo unico nazionale” efficace erga omnes, anche
soltanto al fine di determinare il “minimo inderogabile”, inevitabilmente
presuppone l’individuazione di una “categoria professionale” autoritativamente individuata
dalla legge.
Ed invece, nel settore dei porti, come in ogni altro settore
della produzione, l’individuazione delle categorie professionali è demandata al
libero esercizio dell’autonomia sindacale (art. 39 Cost.), in quanto la
categoria professionale esprime l’ambito soggettivo di applicazione di ciascun
contratto collettivo e, quindi, dei diversi contratti liberamente stipulati per
i differenti settori ai quali appartengono le varie imprese che operano nei
porti.
Ne discende che l’individuazione
autoritativa per legge di una nuova categoria professionale si sovrapporrebbe
alla individuazione delle categorie professionali rimessa alle libere
valutazioni delle parti sindacali.
Una corretta lettura dell’art. 39, primo comma, Cost., esclude, infatti, che il legislatore
possa imporre, anche soltanto per garantire un minimo di trattamento
inderogabile, “la categoria professionale quale strumento coattivo di organizzazione dei datori e dei prestatori
di lavoro” (Cass., Sez. Un., 26 marzo 1997, n. 2665) ed, invece, assegna
rilevanza giuridica “non già a
categorie identificabili secondo astratti concetti classificatori delle
attività produttive e professionali, ma alle categorie quali risultano dalla
spontanea organizzazione sindacale e dalla stipulazione collettiva” (Corte Cost., sentenza 8 maggio 1963, n. 70).
Per contro, la previsione di un “contratto collettivo unico di
riferimento” per i lavoratori portuali temporanei non lede alcun principio
costituzionale, in quanto non soltanto è giustificata dall’esigenza di evitare
forme di concorrenza sleale e di sfruttamento del lavoro, ma anche perché i
rapporti di lavoro temporaneo sono
diversi da quelli di lavoro subordinato.
Ed infatti, la loro peculiarità è che essi sono destinati ad
avere esecuzione presso datori di lavoro diversi, ciascuno dei quali
appartenente a differenti settori professionali, onde non rientrano in alcuna
delle categorie professionali liberamente determinate dalla contrattazione
collettiva di diritto comune (cfr. n. 3).
Come già riferito, il contratto unico di lavoro, imposto dal
Direttore dell’Unità Gestione Infrastrutture, è stato stipulato senza la
partecipazione di tutte le rappresentanze delle imprese che esercitano
operazioni e servizi portuali. Quel contratto, inoltre, pretende di
disciplinare rapporti di lavoro diversi da quello “portuale temporaneo” al
quale si riferisce la disposizione contenuta nel comma 13 dell’art. 17 della
legge n. 84 del 1994. Questo contratto collettivo viene inserito così, ex
abrupto, nelle imprese, non soltanto violandone la libertà sindacale, ma anche
sconvolgendone l’organizzazione.
Ed infatti, è noto che l’organizzazione di un’impresa è modulata
anche in relazione alla disciplina sindacale applicata ai rapporti di lavoro
con i dipendenti, nei suoi aspetti non soltanto economici, ma, anche e soprattutto,
normativi (si pensi, ad esempio, alla rilevanza delle qualifiche, diverse da
settore a settore, delle gerarchie, della distribuzione dell’orario di lavoro,
del regime del lavoro straordinario, notturno e festivo ecc.).
Pertanto,
l’applicazione autoritativamente imposta dalla Pubblica Amministrazione di un
contratto collettivo diverso da quello sinora applicato, produce danni incalcolabili
per le imprese ricorrenti e per tutte quelle rappresentate dalle organizzazioni
aderenti al Comitato ricorrente, in quanto incide sulla stessa struttura
dell’azienda organizzata per l’esercizio dell’attività imprenditoriale, sconvolgendo
gli assetti dell’organizzazione del lavoro.
Aggiungiamo che la sospensiva appare tanto più necessaria (ed al
tempo stesso “agevole”) in quanto le varie Autorità portuali devono appena dare
esecuzione alla nota del Direttore dell’Unità di gestione infrastrutture.
Peraltro, mentre l’esecuzione del provvedimento impugnato, fino alla decisione
del merito, recherebbe un danno gravissimo ed irreversibile alle imprese
ricorrenti, nessuno ne subirebbero i lavoratori: ai quali continuerebbero ad
essere applicati i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti
collettivi del settore produttivo nel quale operano e stipulati dalle loro
organizzazioni sindacali (nel caso di
specie, quelli previsti dal contratto collettivo allegato al presente atto sub
doc. n. 10).
P.Q.M.
Si confida nell’accoglimento del presente ricorso, e frattanto
della sospensiva. Con ogni conseguenza di legge, anche in ordine a spese,
competenze ed onorari di giudizio. Con riserva di chiedere il risarcimento dei
danni che dovessero derivare dall’esecuzione del provvedimento impugnato.
Si allegano i
seguenti documenti:
1. protocollo d’intesa 27 luglio 2000;
2. dichiarazione FEDESPEDI attestante l’iscrizione della
Marittima Spedizioni S.r.l. per l’anno 2001;
3. dichiarazione FEDESPEDI attestante l’iscrizione della Ascheri
& C. S.r.l. per l’anno 2001;
4. autorizzazione alla Marittima Spedizioni S.r.l. rilasciata
dall’Autorità Portuale di Savona il 21 agosto 2000;
5. autorizzazione alla Ascheri & C. S.r.l. rilasciata
dall’Autorità Portuale di Savona il 19 luglio 2000;
6. dichiarazione del 6 aprile 2001 del Comitato Nazionale di
Coordinamento degli utenti e degli operatori portuali;
7. statuto del Comitato Nazionale di Coordinamento degli utenti
e degli operatori portuali approvato il 24 novembre 1998;
8. copia del contratto collettivo nazionale di lavoro unico di
riferimento dei porti;
9. copia del provvedimento 7 febbraio 2001 del Direttore
dell’Unità di Gestione Infostrutture per la Navigazione ed il Demanio Marittimo
del Ministero dei Trasporti e della Navigazione;
10. c.c.n.l. autotrasporto e spedizioni merci del 12 aprile
1995;
11. nota CONFETRA del 23 giugno 2000 con allegato verbale di
intesa sindacale del 13 giugno 2000;
12. verbale di intesa sindacale del 18 luglio 2000.
Roma, 5 aprile 2001
Prof. Mattia Persiani
Prof. Avv. Filippo Satta