Confederazione Generale
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Roma, 21 ottobre 2002
Circolare n.126/2002
Oggetto: Lavoro – Contratti a termine – Circolare Min. Lavoro 1.8.2002 n.42, su
G.U. n.189 del 13.8.2002.
Il Ministero del
Lavoro ha fornito le prime indicazioni sulla riforma dei contratti a termine
operata dal DLGVO n.368/2001.
La circolare ministeriale
in particolare ha sottolineato come il decreto 368
abbia ribaltato l’impostazione della precedente disciplina (legge n.230/62). Mentre prima il contratto a termine era concepito
come una deroga eccezionale al contratto a tempo indeterminato e quindi ammesso
solo in presenza di causali predeterminate, ora si è
passati ad un regime aperto basato su una causale generica in virtù della quale
è consentita la stipula di contratti a termine ove ricorrano ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo da specificarsi nella lettera di assunzione.
Coerentemente con questa impostazione il contratto a
termine non deve presupporre contingenze di carattere temporaneo, potendo validamente
essere concluso in tutte le circostanze individuate
dal datore di lavoro sulla base di criteri di normalità tecnico organizzativa. Inoltre
la nuova disciplina non ha fissato una durata massima del contratto tranne che
per i dirigenti (5 anni); l’unico limite sta nella ragionevolezza del termine in relazione ai motivi per cui è stata effettuata
l’assunzione a tempo determinato.
La nuova disciplina
dei contratti a termine risulta evidentemente molto
più liberale e flessibile di quella risultante dalle leggi, ora abrogate,
230/62 e 56/87, nonché dalle disposizioni generalmente contenute nei principali
CCNL dei vari settori. Orbene, in base alla espressa
previsione contenuta nel decreto legislativo in esame, le disposizioni dei CCNL
che pongono tetti percentuali al numero di assunzioni a termine effettuate
nelle ipotesi individuate ai sensi della legge 56/87 permangono in vigore fino
alla scadenza degli stessi CCNL. Secondo la circolare ministeriale questa
disciplina transitoria semplicemente si affianca alla nuova già pienamente
operativa. In altre parole le ipotesi individuate dalla contrattazione
collettiva devono ritenersi aggiuntive e non sostitutive della
clausola generale prevista dal decreto 368 e l’efficacia dei tetti
percentuali deve ritenersi limitata alle sole assunzioni effettuate nelle suddette
ipotesi.
f.to dr. Piero M. Luzzati |
Per
riferimenti confronta circ.re conf.le
n.154/2001
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Allegato uno |
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M/n |
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consentita esclusivamente alle organizzazioni aderenti alla Confetra. |
(G.U. n.189 del 13.8.2002 (fonte Guritel)
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE
POLITICHE SOCIALI
CIRCOLARE 1 agosto 2002, n.
42
Decreto legislativo
n. 368/2001, recante
la nuova disciplina
giuridica sul
lavoro a tempo
determinato. Prime indicazioni
applicative.
1. Premessa.
Il decreto
legislativo 6 settembre
2001, n. 368, che recepisce
nell'ordinamento nazionale
la direttiva del Consiglio del 28 giugno
1999, n. 99/70/CE
relativa all'accordo quadro CES
(Confederazione
europea dei
sindacati), UNICE (Unione
delle confederazioni delle
industrie della Comunita' europea), CEEP (Centro europeo dell'impresa
a partecipazione pubblica)
sul lavoro a
tempo determinato, non
rappresenta semplicemente
un atto formale connesso all'adempimento di
obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia
all'Unione europea,
ma si
configura quale manifestazione
normativa di un piu' generale
processo di
modernizzazione
dell'organizzazione del lavoro gia' da
tempo avviato.
Ed infatti, la ratio sottesa alla disciplina in commento,
oltre a
trovare riscontro
nella progressiva previsione di
nuove ipotesi di
lavoro temporaneo
(quali, il contratto di formazione e lavoro, la
fornitura di
prestazioni di lavoro
temporaneo, la collaborazione
coordinata e continuativa, le collaborazioni
occasionali, i tirocini
formativi e di orientamento, ecc...), trova la sua genesi
- come tra
l'altro indicato
espressamente nel quinto
Considerando della
Direttiva qui trasposta, nelle conclusioni del Consiglio
europeo di
Essen del
1995, dove si sottolineava la necessita' di provvedimenti
per "incrementare l'intensita' occupazionale
della crescita, in
particolare mediante
un'organizzazione piu' flessibile del lavoro,
che risponda
sia ai desideri dei lavoratori che alle esigenze della
competitivita'".
In questa prospettiva, la direttiva 99/70/CE
cit. si richiama alla
risoluzione del
Consiglio europeo del 9 febbraio 1999 relativa agli
orientamenti in materia di occupazione per il 1999, dove
si invitano
"le parti sociali a tutti i livelli appropriati a
negoziare accordi
per modernizzare
l'organizzazione del lavoro,
comprese le forme
flessibili di
lavoro, al fine
di rendere le imprese produttive e
competitive e
di realizzare il
necessario equilibrio tra la
flessibilita' e la sicurezza" (Cfr.: 6o
Considerando).
Ed ancora,
la predetta direttiva
trova ispirazione nella piu'
recente Raccomandazione del
Consiglio dell'Unione europea del 19
gennaio 2001,
riguardante l'attuazione delle
politiche degli Stati
membri in
materia di occupazione
per il 2001, dove, fra l'altro,
viene ulteriormente
ribadito l'auspicio del
metodo del dialogo
sociale per la modernizzazione e la riorganizzazione
del mercato del
lavoro al
fine dell'incremento delle opportunita' di occupazione
regolare e
di buona qualita', anche
alla luce dei
mutamenti
strutturali in campo
economico.
In questo
quadro, il decreto legislativo in
commento, nel dare
attuazione in
Italia alla direttiva comunitaria sopra richiamata,
riforma integralmente la
disciplina del contratto
a termine,
superando in
via definitiva il regime della tipizzazione legale e
restrittiva delle
situazioni legittimanti proprio dell'abrogata legge
n. 230/1962 (e
successive modifiche).
E' di
tutta evidenza la diversa
impostazione del legislatore del
2001 ove si
legga l'art. 1 del
decreto che consente la generale
instaurazione di
rapporti di lavoro
a tempo determinato
ove
sussistano "ragioni
di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo" che
giustificano l'apposizione del termine medesimo.
In questo
senso, la riforma della disciplina del lavoro a termine
risulta in
linea con il 3o
Considerando della Direttiva 99/70/CE
nella parte in cui,
facendo rinvio alla Carta comunitaria dei diritti
fondamentali dei
lavoratori (e, segnatamente,
al punto 7 della
medesima), auspica che la realizzazione del mercato
interno porti ad
un miglioramento delle condizioni di vita e di
lavoro dei lavoratori
nella Comunita' europea,
mediante "il ravvicinamento di
tali
condizioni, che
costituisca un progresso,
soprattutto per quanto
riguarda le forme di
lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato,
come il
lavoro a tempo determinato, il
lavoro a tempo parziale, il
lavoro interinale e
il lavoro stagionale".
Tra l'altro
gia'
nella relazione illustrativa al
decreto veniva
colto ed
evidenziato l'aspetto innovativo
della disciplina in
commento rispetto
al regime previgente, risultando
l'attuale
impostazione piu' semplice
e, al tempo
stesso, meno esposta
all'aggiramento
attraverso comportamenti fraudolenti.
Ed infatti, al
regime della generale
negazione del ricorso al
contratto a termine tranne in alcuni casi tipizzati, si
sostituisce,
recependo ormai
un progressivo mutamento della funzione economico
sociale riconosciuta a
detta forma contrattuale, il principio in base
al quale
"il datore di
lavoro puo' assumere dei dipendenti con
contratti a
scadenza fissa, dovendo
fornire contestualmente e in
forma scritta
le (note) ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o
sostitutivo" (Cfr.: Relazione illustrativa
al
provvedimento) che
legittimano l'apposizione del limite temporale.
A tal
riguardo, giova, comunque, da subito
sottolineare che nella
disciplina delineata
dal decreto legislativo
in commento appare
superato l'orientamento volto
a riconoscere la legittimita'
dell'apposizione del
termine soltanto in presenza di
una attivita'
meramente temporanea,
cosi'
come, d'altronde, sono
superati i
caratteri della
"eccezionalita'", "straordinarieta'" ed
"imprevedibilita'" propri
delle precedenti ragioni giustificatrici.
Una corretta interpretazione del disposto di cui
all'art. 1, comma
1, decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, impone in effetti di
rigettare letture
riduttive della lettera della legge - e dell'avviso
comune sulle modalita' e sui contenuti traspositivi
della normativa
comunitaria formulato
dalle parti sociali
il 4 maggio 2001 - e
segnatamente quegli orientamenti volti a riconoscere la legittimita'
della apposizione
del termine soltanto in presenza di una occasione
meramente temporanea di lavoro. Questa impostazione, gia' largamente
superata dalla
legislazione previgente (si
pensi alle ipotesi di
assunzione a termine di
tipo c.d. soggettivo introdotte con il rinvio
alla contrattazione
collettiva di cui all'art. 23, legge n. 56/1987),
non solo non trova
alcun appiglio normativo di carattere testuale e/o
sistematico, ma
risulta addirittura smentita dal raffronto con la
disciplina vigente
in materia di lavoro temporaneo. L'art. 1, comma
1, della legge 24 giugno 1997, n. 196, legittima infatti il ricorso
alla fornitura
di prestazioni di lavoro temporaneo solo in presenza
di "esigenze
di carattere temporaneo" cosi' come individuate
ai sensi
del successivo
comma 2.
Se, dunque,
appare plausibile che si ricorra alla stipulazione di
un contratto
a termine per
l'esecuzione di prestazioni che non
abbiano di per se' il carattere della "temporaneita'",
non per questo
le ragioni
giustificatrici non si dovranno palesare come oggettive,
verificabili e, soprattutto, non elusive dell'intento
perseguito dal
legislatore volto
ad evitare qualsiasi volonta'
discriminatoria o
fraudolenta del datore di
lavoro.
Alla stregua della nuova disciplina legale, la temporaneita' della
prestazione e,
semplicemente, la dimensione
in cui deve essere
misurata la
ragionevolezza delle esigenze
tecniche, organizzative,
produttive o
sostitutive poste a fondamento
della stipulazione del
contratto a tempo
determinato. Il contratto a termine dovra' pertanto
essere considerato
lecito in tutte le circostanze,
individuate dal
datore di
lavoro sulla base
di criteri di normalita'
tecnico-organizzativa ovvero per ipotesi sostitutive, nelle quali non
si puo' esigere
necessariamente una assunzione a tempo indeterminato
o, il
che e' lo
stesso, l'assunzione a
termine non assuma una
finalita' chiaramente fraudolenta
sulla base di
criteri di
ragionevolezza desumibili dalla combinazione tra durata del
rapporto
e attivita' lavorativa dedotta in contratto.
Premesso quanto sopra,
si procedera' a svolgere alcune osservazioni
e considerazioni
sui principali aspetti della normativa de qua.
2. Clausola generale
di legittimazione del
contratto a tempo
determinato.
Si e'
visto in premessa come l'intervento del decreto legislativo
n. 368
sia incentrato sulla sostituzione delle tassative ipotesi di
apposizione di
termine con un
modello incentrato sulla clausola
generale delle
"ragioni di carattere
tecnico, produttivo,
organizzativo o
sostitutivo".
Trattasi di una
norma cosiddetta aperta, individuativa per grandi
linee dei
casi in cui
la ricorrenza di
esigenze oggettive
dell'organizzazione d'impresa determina l'ammissibilita'
del ricorso
a rapporti
a tempo, con cio' operando una
minore compressione
dell'autonomia privata,
le cui pattuizioni
restano sottratte al
controllo amministrativo
(autorizzazione dei Servizi ispezione lavoro
in occasione
di assunzioni a
termine per i
cosiddetti "picchi
stagionali") e a
quello sindacale (delega di potere normativo ex art.
23, legge n. 56/1987 per l'individuazione di ulteriori
fattispecie di
rapporto a
termine) poiche' viene
abbandonato il criterio della
flessibilita' contrattata per
rafforzare un regime di
pattuizioni
individuali.
Inoltre, il provvedimento individua alcune ipotesi di assunzione a
termine (di seguito
indicate), in cui non e' richiesta la sussistenza
di specifiche
ragioni ne', ovviamente, la
relativa indicazione nel
contratto. Esse sono:
l'assunzione a
termine nel trasporto
aereo e nei
servizi
aeroportuali (sul cui merito
si rinvia piu' ampiamente al 1/2 3);
le assunzioni
a termine nel settore del turismo
e dei pubblici
esercizi, per
l'esecuzione di speciali servizi
non superiori a tre
giorni ai sensi
dell'art. 10, terzo comma;
le assunzioni
di dirigenti, ammesse
con il limite massimo di
durata di
cinque anni e
senza obbligo di forma scritta in quanto
fattispecie contrattuali unicamente soggette alle
disposizioni degli
articoli 6 e 8 (art.
10, quarto comma);
la prosecuzione
del lavoro del personale dipendente che abbia
differito il
pensionamento di anzianita' ai sensi della legge n.
388/2000, art. 75 (art. 10, sesto comma);
le
assunzioni di lavoratori in mobilita';
le
assunzioni dei disabili ex art. 11, legge n. 68/1999.
2.a. Ragioni di carattere tecnico, produttivo
ed organiz zativo.
L'art. 1,
comma 1, del decreto in commento consente l'apposizione
di un
termine alla durata
del contratto di lavoro
subordinato a
fronte delle
note "ragioni di
carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o
sostitutivo".
Si tratta,
come detto, di una clausola
generale ed aperta la cui
funzione e'
quella di consentire
l'utilizzazione flessibile
dell'istituto in
raccordo con le
specifiche e variabili esigenze
concrete di ciascun
datore di lavoro.
Tale ragioni, specificate
in via preventiva dal datore di lavoro
nel contratto
stipulato, devono rispondere
ai requisiti della
oggettivita' e, pertanto, debbono
essere verificabili al fine di non
dar luogo ad
eventuali comportamenti fraudolenti o abusivi.
A tal
riguardo, e' da
rilevare che la ragione addotta, purche'
concretamente riscontrabile, e' rimessa all'apprezzamento
del datore
di lavoro e deve sussistere e, quindi, essere
verificata, al momento
della stipulazione
del contratto. La sopravvenuta stabilita' della
esigenza non puo' incidere sulla legittimita'
del contratto di lavoro
e del suo
termine.
Ove, infine, la
specifica causale di assunzione in concreto dedotta
dalle parti
non dovesse essere
riconducibile alla previsione
dell'art. 1 del
decreto, il contratto dovra' considerarsi ex tunc a
tempo indeterminato.
2.b. Ragioni sostitutive.
Fra le
causali che il
datore di lavoro puo' addurre,
il nuovo
provvedimento comprende
anche le ragioni sostitutive.
L'ampiezza della
formula utilizzata legittima l'apposizione di un
termine al
contratto di lavoro indipendentemente dal fatto che il
personale da sostituire si sia assentato per ragioni
imprevedibili e
non programmabili
e che, d'altra
parte, il sostituito abbia un
diritto legale, e non convenzionale, alla
conservazione del posto di
lavoro. In proposito, si
rileva che il contratto a termine stipulato
per questa
motivazione non e' assoggettato ai limiti quantitativi che
verranno eventualmente
introdotti dalla autonomia
collettiva (art.
10, settimo comma, lettera b).
Resta da
segnalare, infine, che
nell'assunzione per ragioni
sostitutive, l'apposizione
del termine puo' risultare direttamente ed
indirettamente, cioe', anche con un mero rinvio al momento del futuro
rientro del lavoratore
da sostituire.
2.c. Limiti quantitativi ed esclusioni da tali
limiti.
Un regime
cautelativo dell'utilizzo del
contratto a termine si
rinviene nella
disposizione che affida
ai contratti collettivi
nazionali stipulati
dai sindacati comparativamente piu'
rappresentativi il compito
di individuare i limiti quantitativi di
utilizzazione dell'istituto, fatte
salve, ovviamente, quelle
specifiche ipotesi
di assunzione espressamente
escluse da ogni
limitazione percentuale.
Tali ipotesi sono quelle
contemplate all'art. 10, settimo ed ottavo
comma. Si tratta, in generale, di ipotesi
di assunzione ascrivibili a
fabbisogni particolari di flessibilita'
degli assetti produttivi e/o
di servizio o, per altro verso, funzionali
all'accesso al lavoro dei
giovani o degli ultra cinquantenni. In questi ultimi
casi, tuttavia,
i particolari requisiti soggettivi contemplati
dalla legge escludono
l'operativita' dei
limiti percentuali ma non superano
anche il
principio di causalita' del contratto a termine.
Da segnalare,
inoltre, che ai sensi del comma ottavo dell'art. 10
del decreto,
i limiti percentuali non trovano applicazione nel caso
di contratto a
termine di durata complessiva inferiore a sette mesi a
condizione che nei sei
mesi precedenti non sia venuto a scadere altro
contratto a termine di
durata inferire a sette mesi e, quindi, esente
da limitazione
percentuale, avente ad
oggetto lo svolgimento di
attivita' identiche.
Da ultimo,
e' utile evidenziare che, fermo restando il necessario
rispetto delle ragioni
giustificatrici di cui all'art. 1 del decreto,
la fissazione di tali limitazioni non
costituisce un presupposto per
l'instaurazione di
contratti a termine,
ma solo una facolta'
accordata alle parti
sociali.
3. Assunzioni a termine nel settore del trasporto aereo e dei servizi
aeroportuali.
L'art. 2
del decreto in
commento disciplina, in via aggiuntiva
rispetto alla
generale operativita' dell'art.
1, il ricorso al
contratto a termine di
breve durata nel settore del trasporto aereo e
dei servizi
aeroportuali, riproducendo senza modificazioni la lettera
f), art. 1,
legge n. 230/1962
(aggiunta con legge n. 84/1986),
sicche' le imprese di quel
settore possono utilizzare tale tipologia
contrattuale nei
limiti di tempo prescritti dalla legge senza pur
tuttavia essere tenute a specificarne le motivazioni. Cio' si spiega
in ragione
del fatto che il
settore in esame e caratterizzato da
ciclici e
ricorrenti incrementi di produttivita' che il
legislatore
ha inteso
codificare. Non e' escluso, peraltro, che le stesse imprese
si avvalgano
della norma generale di cui all'art. 1 per ulteriori
necessita' di implementazione temporanea
dell'organico in periodi
diversi e/o maggiori
di quelli stabiliti dalla disposizione in esame,
la quale - e' opportuno rilevarlo - non opera in
via esclusiva ma e'
limitata a sopperire
alle sole implementazioni stagionali del settore
che sono ritenute
strutturali.
Ai sensi dell'art. 2 del
decreto, dunque, i contratti a termine:
con riferimento
alla legittimazione delle
assunzioni, non
necessitano di causale;
in ordine
alla durata, da intendersi
come comprensiva di
eventuale proroga,
possono prevedere periodi di
lavoro di sei mesi
complessivi, tra
aprile e ottobre
di ogni anno, e di quattro in
periodi diversi;
non possono
superare la misura del 15%
dell'organico aziendale
addetto, al gennaio dell'anno di riferimento, ai
servizi per i quali
e' prevista la costituzione di rapporti a
termine (servizi operativi
di terra
e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e
merci).
Giova sottolineare al
riguardo che, fin
dal 1995, con nota del
19 dicembre, questo Ministero si e' espresso nel senso che,
essendo
unico e
complessivo il parametro di riferimento sul quale calcolare
la percentualizzazione data, non per questo le assunzioni a termine
devono riguardare
tutti i servizi
indicati dalla disposizione,
restando nella disponibilita'
dell'azienda di valutare le necessita'
dei settori
operativi maggiormente esposti
e conseguentemente
provvedere al loro rafforzamento, senza che il suddetto
rapporto tra
dipendenti stabili e precari a termine sia osservato in
ogni singolo
servizio operativo.
Eguale orientamento interpretativo, vale
nell'ipotesi di
superamento del 15% a seguito
di provvedimento
autorizzato della
direzione provinciale del lavoro, su istanza di
aziende operanti negli
aeroporti minori.
4. Requisiti di forma del contratto a termine.
Poiche' l'indicazione
scritta del termine e delle
ragioni che lo
legittimano e'
richiesta ad substantiam, la mancanza di detta
forma
comporta la nullita' della clausola
relativa al termine, con la
conseguenza che il
contratto si considera a tempo indeterminato.
La legge prevede, poi, che copia del contratto,
la cui pattuizione
e stesura
puo'
essere anteriore o
contestuale all'inizio della
prestazione lavorativa,
sia fornita al lavoratore a termine entro
cinque giorni
lavorativi dall'assunzione in servizio (art. l, terzo
comma). Trattasi di
un adempimento estrinseco
ai requisiti del
contratto e, quindi, inidoneo
ad incidere sulla validita'.
L'atto scritto
non e' richiesto per le
assunzioni con durata non
superiore a
dodici giorni di calendario (art.
1, quarto comma) ne'
ovviamente per
quelle dei dirigenti
e del personale addetto ai
settori esclusi
dall'ambito applicativo della legge stessa.
In ogni
caso, il termine
finale del contratto puo' risultare
direttamente o
indirettamente, con cio' confermando il
prevalente
orientamento
giurisprudenziale per il quale e' possibile stabilire un
termine finale certus an sed
incertus quando.
5. Divieti di stipulazione del contratto a termine.
Dalla previsione
contenuta nell'art. 3 in materia di divieti si
ricava a
contrario la conferma
dell'ampia facolta' di
ricorso
all'istituto, tenuto
conto che il divieto e' tassativo
nei casi di
cui alle lettere
a), c) e d), ma derogabile per quanto previsto nella
lettera b).
Ed infatti, ai sensi dell'art. 3, lettera b), e' fatto
divieto di
assumere lavoratori con contratto a termine presso unita' produttive
nelle quali
si sia proceduto,
nei sei mesi
precedenti, a
licenziamenti collettivi di personale adibito alle medesime
mansioni
cui si riferirebbe
il contratto a termine da stipularsi.
Il principio qui
descritto soffre, pur tuttavia, di due eccezioni.
La prima, di carattere
generale, si riferisce all'eventuale diversa
disposizione di accordi
collettivi.
La seconda, sancita
espressamente dal medesimo legislatore, precisa
che, anche
nell'ipotesi sopra descritta,
e' comunque consentito
assumere lavoratori con
contratto a termine ove lo stesso:
sia
volto a sostituire lavoratori assenti;
sia concluso
per l'assunzione di
lavoratori in mobilita' (ed
abbia una durata non
superiore a dodici mesi);
abbia una
durata iniziale non
superiore a tre mesi, comunque
prorogabile nel rispetto
delle forme e dei limiti stabiliti dall'art.
4.
6. Contratti esclusi
dal campo di applicazione del
decreto
legislativo
n. 368/2001.
Il provvedimento
in esame reca inoltre disposizioni concernenti
l'esclusione dal
proprio ambito applicativo di istituti e tipologie
contrattuali, sia
in quanto soggetti
ad apposito regolamento
giuridico (art.
10, comma primo, lettere a), b),
c), sia in quanto
preordinati al
conseguimento della formazione e
all'inserimento al
lavoro, quali stages, piani
di inserimento lavorativo, tirocini, che
le relative
previsioni legislative non
riconducono all'area di cui
all'art. 2094 del
codice civile.
Sono esclusi inoltre
i contratti a
contenuto formativo, quali
apprendistato e
formazione-lavoro nonche' quelli di lavoro temporaneo
o interinale.
Quanto ai
contratti di formazione e lavoro,
e' appena il caso di
rammentare che in essi la
durata del rapporto e' determinata in primo
luogo dall'art.
16 della legge
n. 451/1994 e, nel rispetto del
periodo massimo
ivi fissato, dal singolo progetto
formativo, senza
alcun riferimento
quindi ad esigenze aziendali o motivazioni di cui
all'art. 1, decreto
legislativo n. 368 cit.
Analoghe le ragioni
dell'esclusione del contratto di apprendistato,
la cui
durata, non vertendosi di tipologia di lavoro
flessibile, e'
rapportabile non
ad esigenze aziendali
da ricondurre all'art. 1
succitato ma
al complesso contenutistico della qualificazione da
conseguire.
A tal fine il relativo periodo, normato legislativamente quanto ai
limiti minimi
e massimo, viene
stabilito dalla contrattazione
collettiva di
categoria cui la
legge rinvia in ordine alla
determinazione oltre che del dato retributivo anche della
durata per
le singole
qualifiche sulla base delle ravvicinate valutazioni ed
esperienze delle
parti sociali riguardo ai
percorsi formativi e di
lavoro
professionalizzanti.
Ed infatti, sia il contratto di formazione e lavoro che
quello di
apprendistato si fondano su presupposti del tutto diversi
rispetto a
quelli sottesi al
rapporto a tempo determinato.
Piu'
precisamente, proprio in ragione della loro peculiare funzione
economico sociale,
essi non solo
sono esclusi dal
campo di
applicazione del decreto in
commento ma non soggiacciono nemmeno alla
disciplina della
successione di piu' contratti
ivi disciplinata
all'art. 5.
L'esecuzione del
contratto non e',
infatti, ripetibile per la
stessa qualifica
e la relativa durata non e' prorogabile se non per
esigenze connesse
al completamento dell'iter
formativo. In
particolare, il
rapporto di apprendistato e'
unicamente soggetto a
soluzioni di continuita' - ai sensi di legge - come da art. 8 della
disciplina istitutiva
del 1955, che
dispone la cumulabilita' dei
periodi di servizio omogenei prestati alle dipendenze
di piu' datori
di lavoro al fine
del raggiungimento della qualifica.
Sul punto,
va, poi, rammentato l'art. 21, legge n. 56/1987, nella
parte in cui (comma
quarto) demanda alla contrattazione collettiva di
categoria di
prevedere specifiche modalita' di
svolgimento
dell'apprendistato
nelle imprese con attivita' in cicli stagionali.
La casistica
legislativa in tema di esclusione comprende
oltre al
settore turismo
e pubblici esercizi relativamente alle assunzioni a
giornata della
quali si e' gia' fatto cenno,
anche il settore
dell'agricoltura e
del commercio non
al dettaglio di
prodotti
ortofrutticoli.
Nella prima delle suddette ipotesi, prevista
dall'art. 10, secondo
comma, viene
ribadito il principio
gia' contenuto nella legge n.
230/1962 e incisivamente
riaffermato dalla Cassazione (Sent. Cass.
S.U. n.
265 del 13 gennaio 1997) al cui vaglio si deve il definitivo
chiarimento circa la non assoggettabilita'
dei rapporti a termine in
agricoltura all'area
applicativa della generale disciplina ex legge
n. 230 cit.
In merito
la Corte, interpretando evolutivamente
l'art. 6 della
citata legge
n. 230, ha
ammesso "in generale
e senza alcuna
limitazione il
lavoro stagionale agricolo" oltre
la previsione
dell'abrogato regolamento
di esecuzione di cui al
decreto del
Presidente della Repubblica n. 1525/1963.
La nuova
legge accoglie detto
principio per connessione logica
estendendolo al
settore produttivo nello
stesso art. 10, quinto
comma, nell'ottica di non comprimere le possibilita' occupazionali e
lo sviluppo
del settore stesso,
collegando le une e l'altro alle
vicende produttive
dell'agricoltura con le quali interagiscono.
7. Durata del contratto a tempo determinato.
L'individuazione della
durata del contratto,
come e' ovvio,
rappresenta una
variabile dipendente dal
contesto produttivo nel
quale il
lavoratore deve essere
inserito e, per
questo, il
legislatore non ha
stabilito a priori, tranne che per i dirigenti, un
limite di durata.
L'unico limite di
durata, dunque, e' in generale quello desumibile,
secondo un
criterio di ragionevolezza, in
coerenza con la concreta
causale di
assunzione dedotta in
contratto all'atto della
sua
stipulazione.
Precisato quanto
sopra in via di
principio, le disposizioni di
seguito elencate
recano, tuttavia, predeterminazioni temporali di
alcuni contratti.
Art. 10, comma 3:
lavoro a giornata:
tre giorni.
Art. 1, comma 4:
lavoro occasionale:
dodici giorni non prorogabili
in coerenza con la condizione di
occasionalità.
Art. 3, lett.
b: deroga al divieto di assunzione
temporanea:
tre mesi prorogabili.
Art. 2: settore aero
portuale:
quattro e sei mesi.
Art. 10, comma 8:
contratti di breve durata:
fino a sette mesi, non prorogabili,
o maggior durata stabilita dalla
contrattazione collettiva.
Art. 3, lettera
b: deroga al divieto per assunzioni
di lavoratori in mobilità:
dodici mesi non prorogabili.
Art. 10, comma
6: lavoratori anziani in possesso dei
requisiti di pensionamento:
due anni, ripetibili.
Art. 4, comma 2:
ipotesi di proroga:
tre anni complessivi.
Art. 10, comma 4:
contratti dei dirigenti:
cinque anni.
Occorre fornire un chiarimento relativo
alle attivita' stagionali,
in particolare
a quelle ricomprese nella voce n. 48, decreto del
Presidente della
Repubblica n. 1525/1963, come integrato dal decreto
del Presidente
della Repubblica n. 378/1995, che
vi ha inserito le
aziende turistiche
con periodi minimi
di inattivita' di settanta
giorni continuativi o
centoventi non continuativi.
Ora, quanto
alle causali di legittima apposizione del termine, il
decreto legislativo
n. 368 soprarichiamato, nell'art. 10, settimo
comma, lett. b), rinvia alle suddette attivita' stagionali tabellate
a mero
titolo esemplificativo e non esclusivo
in ordine alla
individuazione delle
relative fattispecie, con la conseguenza che i
presupposti applicativi di
cui alla predetta voce n. 48 non sono piu'
richiesti in
quanto prevale l'allegazione della
motivazione
presentata
dall'imprenditore conformemente alla nuova legge.
Non sembra sussistere,
peraltro, alcuna predeterminazione di durata
di questi
contratti, la quale
rappresenta oggi una
variabile
dipendente dalle
esigenze dell'assetto produttivo di riferimento,
sicche', per l'effetto abrogativo ex art. 11 primo comma, nel settore
turistico - diversamente dalla prassi di applicazione
della legge n.
230 - sono
ora ammesse assunzioni
a termine anche per periodi
superiori a
sei mesi all'anno
se supportate dalle
motivazioni
datoriali addotte
e, comunque, indipendentemente dai presupposti di
applicabilita' di cui alla voce n. 48 cit.
8. Proroga del termine.
Il contratto
di lavoro a termine puo' essere prorogato,
secondo
quanto stabilito
dall'art. 4, anche
per un periodo
largamente
superiore a quello iniziale, ferma restando la durata
complessiva di
tre anni
ed eccezion fatta per i contratti
di breve durata ex art.
10, ottavo comma.
Premesso che l'istituto della proroga come quello del
rinnovo gia'
risultava normato nell'ordinamento in vista di approntare
misure di
prevenzione degli
abusi, si osserva
che l'attualizzazione
della
disciplina, mentre
conferma la possibilita' di un indefinito
numero
di rinnovi
sempreche'
separati dagli intervalli
temporali fissati
dall'art. 5, terzo
comma, e ne sussistano i presupposti, ribadisce il
principio dell'unica
proroga senza tuttavia circoscriverne la durata,
purche' - si ribadisce - nel complesso inferiore a tre anni. Con cio'
stesso, il
legislatore esprime un ulteriore segnale circa l'accezione
elastica dell'istituto
in commento.
Quanto alla giustificazione della proroga vi e'
infine da dire che
le ragioni
oggettive indicate dal
legislatore sono prive
del
carattere della
imprevedibilita' e/o
eccezionalita' e/o
straordinarieta'.
E', dunque,
da ritenersi superata quella previgente disposizione
che subordinava
la legittimita' della proroga alla sussistenza di
esigenze contingenti ed
imprevedibili. In particolare, fermo restando
che la proroga
deve riferirsi alla stessa attivita' lavorativa per
la
quale il
contratto e' stato stipulato a tempo determinato, cio'
implica la possibilita' che le ragioni giustificatrici della proroga,
oltre che
prevedibili sin dal momento della prima assunzione, siano
anche del
tutto diverse da
quelle che hanno
determinato la
stipulazione del contratto a termine purche'
riconducibili a ragioni
di carattere tecnico, produttivo, organizzativo
o sostitutivo di cui
all'art. 1 del
decreto.
Quanto alle modalita' della proroga, il decreto n. 368 richiede
anche il
necessario consenso del
lavoratore, per la validita' ed
efficacia del
quale non necessaria
la forma scritta
(Cass. 23
novembre 1988, n.
6305).
Peraltro, la nuova
disciplina della proroga del contratto a termine
e' destinata
a trovare applicazione gia' con riguardo ai contratti
stipulati nel vigore
della previgente disciplina stante l'abrogazione
della legge n.
230/1962.
9. Prosecuzione del termine.
L'art. 5 del decreto disciplina, poi, l'ipotesi
della prosecuzione
del rapporto
individuando un "periodo di
tolleranza". Piu'
precisamente, si
stabilisce che, ove il rapporto di lavoro continui
dopo la
scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente
prorogato, il datore di lavoro deve corrispondere al
lavoratore, per
ogni giorno di
continuazione, una maggiorazione della retribuzione.
Pur tuttavia,
nel caso in cui
il rapporto prosegua per piu' di
venti o
trenta giorni, rispettivamente, per i contratti di durata
inferiore o
superiore a sei
mesi, il contratto si considerera' a
tempo indeterminato
dalla scadenza dei predetti termini.
10. Limiti alla successione dei contratti a termine.
Quanto alla patologia del contratto, essa e'
contemplata nell'art.
5, che ne stabilisce la conversione a tempo indeterminato:
dalla data
di stipula del primo contratto, quindi con efficacia
retroattiva, se le
assunzioni si siano succedute senza soluzione di
continuita' (quinto comma);
dalla data
di assunzione di
un secondo contratto
a tempo
determinato, se la
riassunzione sia intervenuta entro un periodo di
dieci o
venti giorni dalla
data di scadenza
del contratto
(rispettivamente di durata
inferiore o maggiore di sei mesi [terzo
comma]): ritenendo
ovviamente che il termine scadenziale comprenda
anche il
periodo di eventuale
prosecuzione del contratto e/o di
proroga dello stesso;
(come visto) dal
ventunesimo o dal trentunesimo giorno successivo
alla scadenza
contrattuale, nel caso di prosecuzione indennizzata del
rapporto (secondo
comma).
In applicazione del disposto succitato, si
conferma l'orientamento
ministeriale di
cui a circ.
n. 53/97, concernente la
disciplina
sanzionatoria in materia
di contratto a tempo determinato,
con la
puntualizzazione che la
novella legislativa a mente dell'art. 5,
terzo comma,
chiarisce la regola
applicabile ai fini
della
conversione di
contratti con durata fino a sei
mesi, o superiore a
sei mesi,
per i quali la terminologia adottata nell'art. 12
della
legge n. 196/1997
aveva lasciato spazio a qualche dubbio.
11. Abrogazioni e regime transitorio.
Il decreto
legislativo n. 368,
disponendo la regolamentazione
giuridica dell'intera
materia del contratto a termine,
non ammette
intersezioni applicative
con le precedenti disposizioni che nel nuovo
assetto normativo
sono, pertanto, direttamente
(come la legge 18
aprile 1962,
n. 230 e successive
modificazioni, l'art. 8-bis della
legge 25
marzo 1983, n. 79, l'art. 23 della legge 28 febbraio 1987,
n. 56) o
indirettamente abrogate.
In relazione
agli effetti derivanti dalle predette abrogazioni,
l'art. 11, comma
2, del decreto dispone tuttavia che "le clausole dei
contratti collettivi
nazionali di lavoro
stipulate ai sensi del
citato art. 23 e
vigenti all'atto dell'entrata in vigore del presente
provvedimento legislativo,
manterranno, in via transitoria e
salve
diverse intese,
la loro efficacia
fino alla data di scadenza dei
contratti collettivi
nazionali di lavoro stessi".
La previsione de qua ha, quindi, l'effetto di
mantenere, pur se in
via transitoria, l'efficacia delle clausole dei
contratti collettivi
nazionali fino
alla loro naturale
scadenza, in tal modo facendo
salve, anche
nella vigenza della
nuova normativa, le ipotesi di
legittima apposizione
del termine ivi indicate, con la
conseguenza
che il
riferimento alle stesse
esonera il datore di lavoro dal
fornire ulteriori
giustificazioni.
Si ricorda,
infatti, che l'art.
23, comma 1, della legge n.
56/1987 aveva affidato alla contrattazione collettiva il
compito di
individuare, accanto
alle ipotesi tipizzate
dal legislatore,
ulteriori ipotesi in cui
ammettere l'apposizione del termine.
In tal
senso, disponeva, altresi', che nei
contratti collettivi
fosse stabilito
il numero percentuale
dei lavoratori che potesse
essere assunto
con detta forma contrattuale
rispetto ai lavoratori
impegnati a tempo
indeterminato.
Attualmente,
dunque, le clausole dei contratti collettivi nazionali
in vigore (ivi comprese
quelle relative all'individuazione dei limiti
percentuali) continueranno
ad avere efficacia
accanto alle altre
ipotesi che
la disciplina del
decreto n. 368
ricollega alle
richiamate esigenze di carattere "tecnico,
produttivo, organizzativo
e sostitutivo" che,
come piu' volte
detto, legittimano ad oggi
l'apposizione del
termine.
Va in ogni caso precisato, in proposito, come le
ipotesi di lavoro
a tempo
determinato individuate dalla
contrattazione collettiva ai
sensi dell'art. 23,
legge 56/1987, siano aggiuntive e non sostitutive
di quelle indicate dalla legge. Le clausole dei
contratti collettivi
nazionali in
vigore, in altri termini, continueranno ad affiancarsi
(e non a sostituirsi) alle ipotesi di legge, con la
sola differenza
che al numerus clausus di cui all'art. 1 della legge 18 aprile 1962,
n. 230
e successive modifiche
e integrazioni si
viene ora a
sostituire la
clausola generale di cui all'art. 1, comma 1, del
decreto legislativo
9 ottobre 2001, n. 368. Lo stesso dicasi per le
clausole di
contingentamento disposte dai contratti collettivi di cui
all'art. 23,
legge n. 56/1987, che, almeno in linea di principio,
stabiliscono tetti
massimi alle assunzioni a tempo
determinato con
esclusivo riferimento
alle ipotesi tipizzate
dalla autonomia
collettiva e non anche a
quelle gia' legittimate dal legislatore.
Roma, 1 agosto 2002
Il Ministro: Maroni