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Roma, 21 ottobre 2002

 

Circolare n.126/2002

Oggetto: Lavoro – Contratti a termine – Circolare Min. Lavoro 1.8.2002 n.42, su G.U. n.189 del 13.8.2002.

 

Il Ministero del Lavoro ha fornito le prime indicazioni sulla riforma dei contratti a termine operata dal DLGVO n.368/2001.

 

La circolare ministeriale in particolare ha sottolineato come il decreto 368 abbia ribaltato l’impostazione della precedente disciplina (legge n.230/62). Mentre prima il contratto a termine era concepito come una deroga eccezionale al contratto a tempo indeterminato e quindi ammesso solo in presenza di causali predeterminate, ora si è passati ad un regime aperto basato su una causale generica in virtù della quale è consentita la stipula di contratti a termine ove ricorrano ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo da specificarsi nella lettera di assunzione. Coerentemente con questa impostazione il contratto a termine non deve presupporre contingenze di carattere temporaneo, potendo validamente essere concluso in tutte le circostanze individuate dal datore di lavoro sulla base di criteri di normalità tecnico organizzativa. Inoltre la nuova disciplina non ha fissato una durata massima del contratto tranne che per i dirigenti (5 anni); l’unico limite sta nella ragionevolezza del termine in relazione ai motivi per cui è stata effettuata l’assunzione a tempo determinato.

 

La nuova disciplina dei contratti a termine risulta evidentemente molto più liberale e flessibile di quella risultante dalle leggi, ora abrogate, 230/62 e 56/87, nonché dalle disposizioni generalmente contenute nei principali CCNL dei vari settori. Orbene, in base alla espressa previsione contenuta nel decreto legislativo in esame, le disposizioni dei CCNL che pongono tetti percentuali al numero di assunzioni a termine effettuate nelle ipotesi individuate ai sensi della legge 56/87 permangono in vigore fino alla scadenza degli stessi CCNL. Secondo la circolare ministeriale questa disciplina transitoria semplicemente si affianca alla nuova già pienamente operativa. In altre parole le ipotesi individuate dalla contrattazione collettiva devono ritenersi aggiuntive e non sostitutive della clausola generale prevista dal decreto 368 e l’efficacia dei tetti percentuali deve ritenersi limitata alle sole assunzioni effettuate nelle suddette ipotesi.

 

f.to dr. Piero M. Luzzati

Per riferimenti confronta circ.re conf.le n.154/2001

 

Allegato uno

 

M/n

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(G.U. n.189 del 13.8.2002 (fonte Guritel)

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI

CIRCOLARE 1 agosto 2002, n. 42

Decreto   legislativo   n.  368/2001,  recante  la  nuova  disciplina

giuridica   sul   lavoro   a  tempo  determinato.  Prime  indicazioni

applicative.

1. Premessa.

  Il  decreto  legislativo  6  settembre  2001, n. 368, che recepisce

nell'ordinamento  nazionale  la direttiva del Consiglio del 28 giugno

1999,  n.  99/70/CE  relativa  all'accordo quadro CES (Confederazione

europea  dei  sindacati),  UNICE  (Unione  delle confederazioni delle

industrie della Comunita' europea), CEEP (Centro europeo dell'impresa

a  partecipazione  pubblica)  sul  lavoro  a  tempo  determinato, non

rappresenta semplicemente un atto formale connesso all'adempimento di

obblighi  derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea,

ma  si  configura  quale manifestazione normativa di un piu' generale

processo  di  modernizzazione  dell'organizzazione del lavoro gia' da

tempo avviato.

  Ed  infatti,  la ratio sottesa alla disciplina in commento, oltre a

trovare  riscontro  nella  progressiva previsione di nuove ipotesi di

lavoro  temporaneo  (quali,  il  contratto di formazione e lavoro, la

fornitura  di  prestazioni  di  lavoro  temporaneo, la collaborazione

coordinata  e continuativa, le collaborazioni occasionali, i tirocini

formativi  e di orientamento, ecc...), trova la sua genesi - come tra

l'altro   indicato   espressamente   nel  quinto  Considerando  della

Direttiva  qui  trasposta, nelle conclusioni del Consiglio europeo di

Essen  del  1995, dove si sottolineava la necessita' di provvedimenti

per  "incrementare  l'intensita'  occupazionale  della  crescita,  in

particolare  mediante  un'organizzazione  piu' flessibile del lavoro,

che  risponda  sia ai desideri dei lavoratori che alle esigenze della

competitivita'".

  In  questa prospettiva, la direttiva 99/70/CE cit. si richiama alla

risoluzione  del  Consiglio europeo del 9 febbraio 1999 relativa agli

orientamenti  in materia di occupazione per il 1999, dove si invitano

"le  parti  sociali a tutti i livelli appropriati a negoziare accordi

per  modernizzare  l'organizzazione  del  lavoro,  comprese  le forme

flessibili  di  lavoro,  al  fine  di rendere le imprese produttive e

competitive   e   di  realizzare  il  necessario  equilibrio  tra  la

flessibilita' e la sicurezza" (Cfr.: 6o Considerando).

  Ed  ancora,  la  predetta  direttiva  trova  ispirazione nella piu'

recente  Raccomandazione  del  Consiglio  dell'Unione  europea del 19

gennaio  2001,  riguardante  l'attuazione delle politiche degli Stati

membri  in  materia  di  occupazione  per il 2001, dove, fra l'altro,

viene  ulteriormente  ribadito  l'auspicio  del  metodo  del  dialogo

sociale  per la modernizzazione e la riorganizzazione del mercato del

lavoro  al  fine  dell'incremento  delle  opportunita' di occupazione

regolare   e  di  buona  qualita',  anche  alla  luce  dei  mutamenti

strutturali in campo economico.

    In  questo  quadro,  il decreto legislativo in commento, nel dare

attuazione  in  Italia  alla  direttiva comunitaria sopra richiamata,

riforma   integralmente   la  disciplina  del  contratto  a  termine,

superando  in  via  definitiva  il regime della tipizzazione legale e

restrittiva delle situazioni legittimanti proprio dell'abrogata legge

n. 230/1962 (e successive modifiche).

  E'  di  tutta  evidenza la diversa impostazione del legislatore del

2001  ove  si  legga  l'art.  1  del decreto che consente la generale

instaurazione   di   rapporti  di  lavoro  a  tempo  determinato  ove

sussistano "ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o

sostitutivo" che giustificano l'apposizione del termine medesimo.

  In  questo  senso, la riforma della disciplina del lavoro a termine

risulta  in  linea  con  il  3o Considerando della Direttiva 99/70/CE

nella parte in cui, facendo rinvio alla Carta comunitaria dei diritti

fondamentali  dei  lavoratori  (e,  segnatamente,  al  punto  7 della

medesima),  auspica che la realizzazione del mercato interno porti ad

un  miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori

nella   Comunita'   europea,  mediante  "il  ravvicinamento  di  tali

condizioni,  che  costituisca  un  progresso,  soprattutto per quanto

riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato,

come  il  lavoro  a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale, il

lavoro interinale e il lavoro stagionale".

  Tra  l'altro  gia'  nella  relazione illustrativa al decreto veniva

colto   ed  evidenziato  l'aspetto  innovativo  della  disciplina  in

commento   rispetto   al   regime  previgente,  risultando  l'attuale

impostazione   piu'   semplice  e,  al  tempo  stesso,  meno  esposta

all'aggiramento attraverso comportamenti fraudolenti.

  Ed  infatti,  al  regime  della  generale  negazione del ricorso al

contratto  a termine tranne in alcuni casi tipizzati, si sostituisce,

recependo  ormai  un  progressivo  mutamento della funzione economico

sociale riconosciuta a detta forma contrattuale, il principio in base

al  quale  "il  datore  di  lavoro  puo'  assumere dei dipendenti con

contratti  a  scadenza  fissa,  dovendo  fornire contestualmente e in

forma  scritta  le  (note)  ragioni di carattere tecnico, produttivo,

organizzativo   o   sostitutivo"  (Cfr.:  Relazione  illustrativa  al

provvedimento) che legittimano l'apposizione del limite temporale.

  A  tal  riguardo, giova, comunque, da subito sottolineare che nella

disciplina  delineata  dal  decreto  legislativo  in  commento appare

superato   l'orientamento   volto   a   riconoscere  la  legittimita'

dell'apposizione  del  termine  soltanto in presenza di una attivita'

meramente   temporanea,  cosi'  come,  d'altronde,  sono  superati  i

caratteri     della     "eccezionalita'",    "straordinarieta'"    ed

"imprevedibilita'" propri delle precedenti ragioni giustificatrici.

  Una  corretta interpretazione del disposto di cui all'art. 1, comma

1, decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, impone in effetti di

rigettare letture riduttive della lettera della legge - e dell'avviso

comune  sulle  modalita' e sui contenuti traspositivi della normativa

comunitaria  formulato  dalle  parti  sociali  il  4  maggio 2001 - e

segnatamente  quegli orientamenti volti a riconoscere la legittimita'

della  apposizione  del termine soltanto in presenza di una occasione

meramente  temporanea di lavoro. Questa impostazione, gia' largamente

superata  dalla  legislazione  previgente  (si  pensi alle ipotesi di

assunzione a termine di tipo c.d. soggettivo introdotte con il rinvio

alla contrattazione collettiva di cui all'art. 23, legge n. 56/1987),

non solo non trova alcun appiglio normativo di carattere testuale e/o

sistematico,  ma  risulta  addirittura  smentita dal raffronto con la

disciplina  vigente  in materia di lavoro temporaneo. L'art. 1, comma

1,  della  legge 24 giugno 1997, n. 196, legittima infatti il ricorso

alla  fornitura  di prestazioni di lavoro temporaneo solo in presenza

di "esigenze di carattere temporaneo" cosi' come individuate ai sensi

del successivo comma 2.

  Se,  dunque,  appare plausibile che si ricorra alla stipulazione di

un  contratto  a  termine  per  l'esecuzione  di  prestazioni che non

abbiano di per se' il carattere della "temporaneita'", non per questo

le  ragioni  giustificatrici non si dovranno palesare come oggettive,

verificabili  e, soprattutto, non elusive dell'intento perseguito dal

legislatore  volto  ad  evitare  qualsiasi volonta' discriminatoria o

fraudolenta del datore di lavoro.

  Alla  stregua della nuova disciplina legale, la temporaneita' della

prestazione  e,  semplicemente,  la  dimensione  in  cui  deve essere

misurata  la  ragionevolezza  delle esigenze tecniche, organizzative,

produttive  o  sostitutive  poste a fondamento della stipulazione del

contratto a tempo determinato. Il contratto a termine dovra' pertanto

essere  considerato  lecito  in tutte le circostanze, individuate dal

datore    di   lavoro   sulla   base   di   criteri   di   normalita'

tecnico-organizzativa ovvero per ipotesi sostitutive, nelle quali non

si  puo' esigere necessariamente una assunzione a tempo indeterminato

o,  il  che  e'  lo  stesso,  l'assunzione  a  termine non assuma una

finalita'   chiaramente   fraudolenta   sulla   base  di  criteri  di

ragionevolezza  desumibili dalla combinazione tra durata del rapporto

e attivita' lavorativa dedotta in contratto.

  Premesso quanto sopra, si procedera' a svolgere alcune osservazioni

e considerazioni sui principali aspetti della normativa de qua.

2.   Clausola  generale  di  legittimazione  del  contratto  a  tempo

determinato.

  Si  e'  visto in premessa come l'intervento del decreto legislativo

n.  368  sia incentrato sulla sostituzione delle tassative ipotesi di

apposizione  di  termine  con  un  modello  incentrato sulla clausola

generale   delle   "ragioni   di   carattere   tecnico,   produttivo,

organizzativo o sostitutivo".

  Trattasi  di  una norma cosiddetta aperta, individuativa per grandi

linee   dei   casi   in  cui  la  ricorrenza  di  esigenze  oggettive

dell'organizzazione  d'impresa determina l'ammissibilita' del ricorso

a  rapporti  a  tempo,  con  cio'  operando  una  minore compressione

dell'autonomia  privata,  le  cui  pattuizioni  restano  sottratte al

controllo amministrativo (autorizzazione dei Servizi ispezione lavoro

in  occasione  di  assunzioni  a  termine  per  i  cosiddetti "picchi

stagionali") e a quello sindacale (delega di potere normativo ex art.

23, legge n. 56/1987 per l'individuazione di ulteriori fattispecie di

rapporto  a  termine)  poiche'  viene  abbandonato  il criterio della

flessibilita'  contrattata  per  rafforzare  un regime di pattuizioni

individuali.

  Inoltre,  il provvedimento individua alcune ipotesi di assunzione a

termine (di seguito indicate), in cui non e' richiesta la sussistenza

di  specifiche  ragioni  ne', ovviamente, la relativa indicazione nel

contratto. Esse sono:

    l'assunzione   a  termine  nel  trasporto  aereo  e  nei  servizi

aeroportuali (sul cui merito si rinvia piu' ampiamente al 1/2 3);

    le  assunzioni  a  termine nel settore del turismo e dei pubblici

esercizi,  per  l'esecuzione  di speciali servizi non superiori a tre

giorni ai sensi dell'art. 10, terzo comma;

    le  assunzioni  di  dirigenti,  ammesse  con il limite massimo di

durata  di  cinque  anni  e  senza obbligo di forma scritta in quanto

fattispecie  contrattuali unicamente soggette alle disposizioni degli

articoli 6 e 8 (art. 10, quarto comma);

    la  prosecuzione  del  lavoro  del personale dipendente che abbia

differito  il  pensionamento  di  anzianita'  ai sensi della legge n.

388/2000, art. 75 (art. 10, sesto comma);

    le assunzioni di lavoratori in mobilita';

    le assunzioni dei disabili ex art. 11, legge n. 68/1999.

 

2.a. Ragioni di carattere tecnico, produttivo ed organiz   zativo.

  L'art.  1,  comma 1, del decreto in commento consente l'apposizione

di  un  termine  alla  durata  del  contratto di lavoro subordinato a

fronte   delle   note  "ragioni  di  carattere  tecnico,  produttivo,

organizzativo o sostitutivo".

  Si  tratta,  come  detto, di una clausola generale ed aperta la cui

funzione   e'   quella   di   consentire  l'utilizzazione  flessibile

dell'istituto  in  raccordo  con  le  specifiche e variabili esigenze

concrete di ciascun datore di lavoro.

  Tale  ragioni,  specificate  in via preventiva dal datore di lavoro

nel   contratto  stipulato,  devono  rispondere  ai  requisiti  della

oggettivita'  e, pertanto, debbono essere verificabili al fine di non

dar luogo ad eventuali comportamenti fraudolenti o abusivi.

  A  tal  riguardo,  e'  da  rilevare che la ragione addotta, purche'

concretamente  riscontrabile, e' rimessa all'apprezzamento del datore

di  lavoro e deve sussistere e, quindi, essere verificata, al momento

della  stipulazione  del  contratto. La sopravvenuta stabilita' della

esigenza non puo' incidere sulla legittimita' del contratto di lavoro

e del suo termine.

  Ove, infine, la specifica causale di assunzione in concreto dedotta

dalle   parti   non  dovesse  essere  riconducibile  alla  previsione

dell'art.  1  del decreto, il contratto dovra' considerarsi ex tunc a

tempo indeterminato.

 

2.b. Ragioni sostitutive.

  Fra  le  causali  che  il  datore  di lavoro puo' addurre, il nuovo

provvedimento comprende anche le ragioni sostitutive.

  L'ampiezza  della  formula utilizzata legittima l'apposizione di un

termine  al  contratto  di  lavoro indipendentemente dal fatto che il

personale  da sostituire si sia assentato per ragioni imprevedibili e

non  programmabili  e  che,  d'altra  parte,  il  sostituito abbia un

diritto  legale, e non convenzionale, alla conservazione del posto di

lavoro.  In proposito, si rileva che il contratto a termine stipulato

per questa motivazione non e' assoggettato ai limiti quantitativi che

verranno  eventualmente  introdotti  dalla autonomia collettiva (art.

10, settimo comma, lettera b).

  Resta   da  segnalare,  infine,  che  nell'assunzione  per  ragioni

sostitutive, l'apposizione del termine puo' risultare direttamente ed

indirettamente, cioe', anche con un mero rinvio al momento del futuro

rientro del lavoratore da sostituire.

2.c. Limiti quantitativi ed esclusioni da tali limiti.

  Un  regime  cautelativo  dell'utilizzo  del  contratto a termine si

rinviene  nella  disposizione  che  affida  ai  contratti  collettivi

nazionali    stipulati    dai    sindacati    comparativamente   piu'

rappresentativi  il  compito  di individuare i limiti quantitativi di

utilizzazione   dell'istituto,   fatte   salve,   ovviamente,  quelle

specifiche  ipotesi  di  assunzione  espressamente  escluse  da  ogni

limitazione percentuale.

  Tali ipotesi sono quelle contemplate all'art. 10, settimo ed ottavo

comma. Si tratta, in generale, di ipotesi di assunzione ascrivibili a

fabbisogni  particolari di flessibilita' degli assetti produttivi e/o

di  servizio o, per altro verso, funzionali all'accesso al lavoro dei

giovani  o degli ultra cinquantenni. In questi ultimi casi, tuttavia,

i  particolari requisiti soggettivi contemplati dalla legge escludono

l'operativita'  dei  limiti  percentuali  ma  non  superano  anche il

principio di causalita' del contratto a termine.

  Da  segnalare,  inoltre, che ai sensi del comma ottavo dell'art. 10

del  decreto,  i limiti percentuali non trovano applicazione nel caso

di contratto a termine di durata complessiva inferiore a sette mesi a

condizione che nei sei mesi precedenti non sia venuto a scadere altro

contratto a termine di durata inferire a sette mesi e, quindi, esente

da  limitazione  percentuale,  avente  ad  oggetto  lo svolgimento di

attivita' identiche.

  Da  ultimo,  e' utile evidenziare che, fermo restando il necessario

rispetto delle ragioni giustificatrici di cui all'art. 1 del decreto,

la  fissazione di tali limitazioni non costituisce un presupposto per

l'instaurazione   di  contratti  a  termine,  ma  solo  una  facolta'

accordata alle parti sociali.

3. Assunzioni a termine nel settore del trasporto aereo e dei servizi

aeroportuali.

  L'art.  2  del  decreto  in  commento disciplina, in via aggiuntiva

rispetto  alla  generale  operativita'  dell'art.  1,  il  ricorso al

contratto a termine di breve durata nel settore del trasporto aereo e

dei servizi aeroportuali, riproducendo senza modificazioni la lettera

f),  art.  1,  legge  n.  230/1962  (aggiunta  con legge n. 84/1986),

sicche'  le imprese di quel settore possono utilizzare tale tipologia

contrattuale  nei  limiti  di  tempo prescritti dalla legge senza pur

tuttavia  essere tenute a specificarne le motivazioni. Cio' si spiega

in  ragione  del  fatto  che  il settore in esame e caratterizzato da

ciclici  e  ricorrenti incrementi di produttivita' che il legislatore

ha inteso codificare. Non e' escluso, peraltro, che le stesse imprese

si  avvalgano  della  norma  generale di cui all'art. 1 per ulteriori

necessita'  di  implementazione  temporanea  dell'organico in periodi

diversi e/o maggiori di quelli stabiliti dalla disposizione in esame,

la  quale - e' opportuno rilevarlo - non opera in via esclusiva ma e'

limitata a sopperire alle sole implementazioni stagionali del settore

che sono ritenute strutturali.

  Ai sensi dell'art. 2 del decreto, dunque, i contratti a termine:

    con   riferimento   alla  legittimazione  delle  assunzioni,  non

necessitano di causale;

    in   ordine  alla  durata,  da  intendersi  come  comprensiva  di

eventuale  proroga,  possono  prevedere periodi di lavoro di sei mesi

complessivi,  tra  aprile  e  ottobre  di  ogni anno, e di quattro in

periodi diversi;

    non  possono  superare  la misura del 15% dell'organico aziendale

addetto,  al gennaio dell'anno di riferimento, ai servizi per i quali

e'  prevista la costituzione di rapporti a termine (servizi operativi

di  terra  e  di  volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci).

Giova  sottolineare  al  riguardo  che,  fin  dal  1995, con nota del

19 dicembre,  questo  Ministero si e' espresso nel senso che, essendo

unico  e  complessivo il parametro di riferimento sul quale calcolare

la  percentualizzazione  data, non per questo le assunzioni a termine

devono  riguardare  tutti  i  servizi  indicati  dalla  disposizione,

restando  nella disponibilita' dell'azienda di valutare le necessita'

dei   settori   operativi  maggiormente  esposti  e  conseguentemente

provvedere  al loro rafforzamento, senza che il suddetto rapporto tra

dipendenti  stabili e precari a termine sia osservato in ogni singolo

servizio   operativo.   Eguale   orientamento   interpretativo,  vale

nell'ipotesi  di  superamento  del  15%  a  seguito  di provvedimento

autorizzato  della  direzione  provinciale  del lavoro, su istanza di

aziende operanti negli aeroporti minori.

4. Requisiti di forma del contratto a termine.

  Poiche'  l'indicazione  scritta  del termine e delle ragioni che lo

legittimano  e'  richiesta ad substantiam, la mancanza di detta forma

comporta  la  nullita'  della  clausola  relativa  al termine, con la

conseguenza che il contratto si considera a tempo indeterminato.

  La  legge prevede, poi, che copia del contratto, la cui pattuizione

e  stesura  puo'  essere  anteriore  o  contestuale  all'inizio della

prestazione  lavorativa,  sia  fornita  al lavoratore a termine entro

cinque  giorni  lavorativi dall'assunzione in servizio (art. l, terzo

comma).  Trattasi  di  un  adempimento  estrinseco  ai  requisiti del

contratto e, quindi, inidoneo ad incidere sulla validita'.

  L'atto  scritto  non  e' richiesto per le assunzioni con durata non

superiore  a  dodici  giorni di calendario (art. 1, quarto comma) ne'

ovviamente  per  quelle  dei  dirigenti  e  del  personale addetto ai

settori esclusi dall'ambito applicativo della legge stessa.

  In  ogni  caso,  il  termine  finale  del  contratto puo' risultare

direttamente  o  indirettamente,  con  cio' confermando il prevalente

orientamento giurisprudenziale per il quale e' possibile stabilire un

termine finale certus an sed incertus quando.

5. Divieti di stipulazione del contratto a termine.

  Dalla  previsione  contenuta  nell'art.  3 in materia di divieti si

ricava  a  contrario  la  conferma  dell'ampia  facolta'  di  ricorso

all'istituto,  tenuto  conto  che il divieto e' tassativo nei casi di

cui alle lettere a), c) e d), ma derogabile per quanto previsto nella

lettera b).

  Ed  infatti,  ai sensi dell'art. 3, lettera b), e' fatto divieto di

assumere  lavoratori con contratto a termine presso unita' produttive

nelle   quali   si   sia   proceduto,  nei  sei  mesi  precedenti,  a

licenziamenti  collettivi di personale adibito alle medesime mansioni

cui si riferirebbe il contratto a termine da stipularsi.

  Il principio qui descritto soffre, pur tuttavia, di due eccezioni.

  La prima, di carattere generale, si riferisce all'eventuale diversa

disposizione di accordi collettivi.

  La seconda, sancita espressamente dal medesimo legislatore, precisa

che,  anche  nell'ipotesi  sopra  descritta,  e'  comunque consentito

assumere lavoratori con contratto a termine ove lo stesso:

    sia volto a sostituire lavoratori assenti;

    sia  concluso  per  l'assunzione  di  lavoratori in mobilita' (ed

abbia una durata non superiore a dodici mesi);

    abbia  una  durata  iniziale  non  superiore a tre mesi, comunque

prorogabile nel rispetto delle forme e dei limiti stabiliti dall'art.

4.

6.   Contratti   esclusi   dal  campo  di  applicazione  del  decreto

  legislativo n. 368/2001.

  Il  provvedimento  in  esame  reca inoltre disposizioni concernenti

l'esclusione  dal  proprio ambito applicativo di istituti e tipologie

contrattuali,   sia   in  quanto  soggetti  ad  apposito  regolamento

giuridico  (art.  10,  comma primo, lettere a), b), c), sia in quanto

preordinati  al  conseguimento  della formazione e all'inserimento al

lavoro,  quali stages, piani di inserimento lavorativo, tirocini, che

le  relative  previsioni  legislative non riconducono all'area di cui

all'art. 2094 del codice civile.

  Sono  esclusi  inoltre  i  contratti  a  contenuto formativo, quali

apprendistato e formazione-lavoro nonche' quelli di lavoro temporaneo

o interinale.

  Quanto  ai  contratti  di formazione e lavoro, e' appena il caso di

rammentare che in essi la durata del rapporto e' determinata in primo

luogo  dall'art.  16  della  legge  n.  451/1994  e, nel rispetto del

periodo  massimo  ivi  fissato, dal singolo progetto formativo, senza

alcun  riferimento  quindi ad esigenze aziendali o motivazioni di cui

all'art. 1, decreto legislativo n. 368 cit.

  Analoghe le ragioni dell'esclusione del contratto di apprendistato,

la  cui  durata, non vertendosi di tipologia di lavoro flessibile, e'

rapportabile  non  ad  esigenze  aziendali  da  ricondurre all'art. 1

succitato  ma  al  complesso  contenutistico  della qualificazione da

conseguire.

  A  tal fine il relativo periodo, normato legislativamente quanto ai

limiti   minimi  e  massimo,  viene  stabilito  dalla  contrattazione

collettiva   di   categoria  cui  la  legge  rinvia  in  ordine  alla

determinazione  oltre che del dato retributivo anche della durata per

le  singole  qualifiche  sulla  base delle ravvicinate valutazioni ed

esperienze  delle  parti  sociali riguardo ai percorsi formativi e di

lavoro professionalizzanti.

  Ed  infatti,  sia il contratto di formazione e lavoro che quello di

apprendistato  si fondano su presupposti del tutto diversi rispetto a

quelli sottesi al rapporto a tempo determinato.

  Piu' precisamente, proprio in ragione della loro peculiare funzione

economico   sociale,   essi  non  solo  sono  esclusi  dal  campo  di

applicazione del decreto in commento ma non soggiacciono nemmeno alla

disciplina  della  successione  di  piu'  contratti  ivi disciplinata

all'art. 5.

  L'esecuzione  del  contratto  non  e',  infatti,  ripetibile per la

stessa  qualifica  e la relativa durata non e' prorogabile se non per

esigenze   connesse   al   completamento   dell'iter   formativo.  In

particolare,  il  rapporto  di apprendistato e' unicamente soggetto a

soluzioni  di  continuita' - ai sensi di legge - come da art. 8 della

disciplina  istitutiva  del  1955,  che  dispone la cumulabilita' dei

periodi  di servizio omogenei prestati alle dipendenze di piu' datori

di lavoro al fine del raggiungimento della qualifica.

  Sul  punto,  va, poi, rammentato l'art. 21, legge n. 56/1987, nella

parte in cui (comma quarto) demanda alla contrattazione collettiva di

categoria   di   prevedere   specifiche   modalita'   di  svolgimento

dell'apprendistato nelle imprese con attivita' in cicli stagionali.

  La  casistica  legislativa in tema di esclusione comprende oltre al

settore  turismo  e pubblici esercizi relativamente alle assunzioni a

giornata  della  quali  si  e'  gia'  fatto  cenno,  anche il settore

dell'agricoltura  e  del  commercio  non  al  dettaglio  di  prodotti

ortofrutticoli.

  Nella  prima delle suddette ipotesi, prevista dall'art. 10, secondo

comma,  viene  ribadito  il  principio  gia' contenuto nella legge n.

230/1962  e  incisivamente  riaffermato dalla Cassazione (Sent. Cass.

S.U.  n. 265 del 13 gennaio 1997) al cui vaglio si deve il definitivo

chiarimento  circa la non assoggettabilita' dei rapporti a termine in

agricoltura  all'area  applicativa della generale disciplina ex legge

n. 230 cit.

  In  merito  la  Corte,  interpretando evolutivamente l'art. 6 della

citata  legge  n.  230,  ha  ammesso  "in  generale  e  senza  alcuna

limitazione  il  lavoro  stagionale  agricolo"  oltre  la  previsione

dell'abrogato  regolamento  di  esecuzione  di  cui  al  decreto  del

Presidente della Repubblica n. 1525/1963.

  La  nuova  legge  accoglie  detto  principio per connessione logica

estendendolo  al  settore  produttivo  nello  stesso  art. 10, quinto

comma,  nell'ottica di non comprimere le possibilita' occupazionali e

lo  sviluppo  del  settore  stesso,  collegando le une e l'altro alle

vicende produttive dell'agricoltura con le quali interagiscono.

7. Durata del contratto a tempo determinato.

  L'individuazione   della  durata  del  contratto,  come  e'  ovvio,

rappresenta  una  variabile  dipendente  dal  contesto produttivo nel

quale   il   lavoratore  deve  essere  inserito  e,  per  questo,  il

legislatore non ha stabilito a priori, tranne che per i dirigenti, un

limite di durata.

  L'unico limite di durata, dunque, e' in generale quello desumibile,

secondo  un  criterio  di ragionevolezza, in coerenza con la concreta

causale  di  assunzione  dedotta  in  contratto  all'atto  della  sua

stipulazione.

  Precisato  quanto  sopra  in  via  di principio, le disposizioni di

seguito  elencate  recano,  tuttavia,  predeterminazioni temporali di

alcuni contratti.

Art. 10, comma 3:     lavoro a giornata:

                        tre giorni.

Art. 1, comma 4:      lavoro occasionale:

                        dodici giorni non prorogabili

                      in coerenza con la condizione di

                      occasionalità.

Art. 3, lett. b:      deroga al divieto di assunzione

                       temporanea:

                       tre mesi prorogabili.

Art. 2:               settore aero portuale:

                        quattro e sei mesi.

Art. 10, comma 8:     contratti di breve durata:

                        fino a sette mesi, non prorogabili,

                      o maggior durata stabilita dalla

                      contrattazione collettiva.

Art. 3, lettera b:    deroga al divieto per assunzioni

                       di lavoratori in mobilità:

                      dodici mesi non prorogabili.

Art. 10, comma 6:     lavoratori anziani in possesso dei

                        requisiti di pensionamento:

                       due anni, ripetibili.

Art. 4, comma 2:      ipotesi di proroga:

                        tre anni complessivi.

Art. 10, comma 4:     contratti dei dirigenti:

                        cinque anni.

  Occorre  fornire un chiarimento relativo alle attivita' stagionali,

in  particolare  a  quelle  ricomprese  nella voce n. 48, decreto del

Presidente  della Repubblica n. 1525/1963, come integrato dal decreto

del  Presidente  della  Repubblica n. 378/1995, che vi ha inserito le

aziende  turistiche  con  periodi  minimi  di inattivita' di settanta

giorni continuativi o centoventi non continuativi.

  Ora,  quanto  alle causali di legittima apposizione del termine, il

decreto  legislativo  n.  368  soprarichiamato, nell'art. 10, settimo

comma,  lett. b), rinvia alle suddette attivita' stagionali tabellate

a  mero  titolo  esemplificativo  e  non  esclusivo  in  ordine  alla

individuazione  delle  relative fattispecie, con la conseguenza che i

presupposti applicativi di cui alla predetta voce n. 48 non sono piu'

richiesti   in   quanto   prevale   l'allegazione  della  motivazione

presentata dall'imprenditore conformemente alla nuova legge.

  Non sembra sussistere, peraltro, alcuna predeterminazione di durata

di   questi  contratti,  la  quale  rappresenta  oggi  una  variabile

dipendente  dalle  esigenze  dell'assetto  produttivo di riferimento,

sicche', per l'effetto abrogativo ex art. 11 primo comma, nel settore

turistico  - diversamente dalla prassi di applicazione della legge n.

230  -  sono  ora  ammesse  assunzioni  a  termine  anche per periodi

superiori  a  sei  mesi  all'anno  se  supportate  dalle  motivazioni

datoriali  addotte  e, comunque, indipendentemente dai presupposti di

applicabilita' di cui alla voce n. 48 cit.

8. Proroga del termine.

  Il  contratto  di  lavoro  a termine puo' essere prorogato, secondo

quanto  stabilito  dall'art.  4,  anche  per  un  periodo  largamente

superiore  a quello iniziale, ferma restando la durata complessiva di

tre  anni  ed  eccezion fatta per i contratti di breve durata ex art.

10, ottavo comma.

  Premesso  che l'istituto della proroga come quello del rinnovo gia'

risultava  normato  nell'ordinamento in vista di approntare misure di

prevenzione  degli  abusi,  si  osserva  che  l'attualizzazione della

disciplina,  mentre  conferma la possibilita' di un indefinito numero

di  rinnovi  sempreche'  separati  dagli intervalli temporali fissati

dall'art. 5, terzo comma, e ne sussistano i presupposti, ribadisce il

principio dell'unica proroga senza tuttavia circoscriverne la durata,

purche' - si ribadisce - nel complesso inferiore a tre anni. Con cio'

stesso, il legislatore esprime un ulteriore segnale circa l'accezione

elastica dell'istituto in commento.

  Quanto  alla giustificazione della proroga vi e' infine da dire che

le   ragioni  oggettive  indicate  dal  legislatore  sono  prive  del

carattere    della    imprevedibilita'    e/o    eccezionalita'   e/o

straordinarieta'.

  E',  dunque,  da  ritenersi superata quella previgente disposizione

che  subordinava  la  legittimita'  della proroga alla sussistenza di

esigenze contingenti ed imprevedibili. In particolare, fermo restando

che la proroga deve riferirsi alla stessa attivita' lavorativa per la

quale  il  contratto  e'  stato  stipulato  a tempo determinato, cio'

implica la possibilita' che le ragioni giustificatrici della proroga,

oltre  che  prevedibili sin dal momento della prima assunzione, siano

anche   del   tutto  diverse  da  quelle  che  hanno  determinato  la

stipulazione  del contratto a termine purche' riconducibili a ragioni

di  carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui

all'art. 1 del decreto.

  Quanto  alle  modalita'  della  proroga, il decreto n. 368 richiede

anche  il  necessario  consenso  del  lavoratore, per la validita' ed

efficacia  del  quale  non  necessaria  la  forma  scritta  (Cass. 23

novembre 1988, n. 6305).

  Peraltro, la nuova disciplina della proroga del contratto a termine

e'  destinata  a  trovare applicazione gia' con riguardo ai contratti

stipulati nel vigore della previgente disciplina stante l'abrogazione

della legge n. 230/1962.

9. Prosecuzione del termine.

  L'art.  5 del decreto disciplina, poi, l'ipotesi della prosecuzione

del   rapporto   individuando   un   "periodo  di  tolleranza".  Piu'

precisamente,  si  stabilisce che, ove il rapporto di lavoro continui

dopo  la  scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente

prorogato,  il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore, per

ogni giorno di continuazione, una maggiorazione della retribuzione.

  Pur  tuttavia,  nel  caso  in  cui il rapporto prosegua per piu' di

venti  o  trenta  giorni,  rispettivamente, per i contratti di durata

inferiore  o  superiore  a  sei  mesi, il contratto si considerera' a

tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.

10. Limiti alla successione dei contratti a termine.

  Quanto  alla patologia del contratto, essa e' contemplata nell'art.

5, che ne stabilisce la conversione a tempo indeterminato:

    dalla  data  di stipula del primo contratto, quindi con efficacia

retroattiva,  se  le assunzioni si siano succedute senza soluzione di

continuita' (quinto comma);

    dalla  data  di  assunzione  di  un  secondo  contratto  a  tempo

determinato,  se  la riassunzione sia intervenuta entro un periodo di

dieci   o   venti   giorni  dalla  data  di  scadenza  del  contratto

(rispettivamente  di  durata  inferiore o maggiore di sei mesi [terzo

comma]):  ritenendo  ovviamente  che il termine scadenziale comprenda

anche  il  periodo  di  eventuale  prosecuzione  del contratto e/o di

proroga dello stesso;

    (come visto) dal ventunesimo o dal trentunesimo giorno successivo

alla scadenza contrattuale, nel caso di prosecuzione indennizzata del

rapporto (secondo comma).

  In  applicazione del disposto succitato, si conferma l'orientamento

ministeriale  di  cui  a  circ.  n.  53/97, concernente la disciplina

sanzionatoria  in  materia  di  contratto a tempo determinato, con la

puntualizzazione  che  la  novella  legislativa  a mente dell'art. 5,

terzo   comma,   chiarisce   la  regola  applicabile  ai  fini  della

conversione  di  contratti  con durata fino a sei mesi, o superiore a

sei  mesi,  per  i  quali la terminologia adottata nell'art. 12 della

legge n. 196/1997 aveva lasciato spazio a qualche dubbio.

11. Abrogazioni e regime transitorio.

  Il  decreto  legislativo  n.  368,  disponendo  la regolamentazione

giuridica  dell'intera  materia  del contratto a termine, non ammette

intersezioni applicative con le precedenti disposizioni che nel nuovo

assetto  normativo  sono,  pertanto,  direttamente  (come la legge 18

aprile  1962,  n.  230 e successive modificazioni, l'art. 8-bis della

legge  25  marzo 1983, n. 79, l'art. 23 della legge 28 febbraio 1987,

n. 56) o indirettamente abrogate.

  In  relazione  agli  effetti  derivanti dalle predette abrogazioni,

l'art. 11, comma 2, del decreto dispone tuttavia che "le clausole dei

contratti  collettivi  nazionali  di  lavoro  stipulate  ai sensi del

citato art. 23 e vigenti all'atto dell'entrata in vigore del presente

provvedimento  legislativo,  manterranno,  in via transitoria e salve

diverse  intese,  la  loro  efficacia  fino alla data di scadenza dei

contratti collettivi nazionali di lavoro stessi".

  La  previsione de qua ha, quindi, l'effetto di mantenere, pur se in

via  transitoria, l'efficacia delle clausole dei contratti collettivi

nazionali  fino  alla  loro  naturale  scadenza,  in tal modo facendo

salve,  anche  nella  vigenza  della  nuova  normativa, le ipotesi di

legittima  apposizione  del  termine ivi indicate, con la conseguenza

che  il  riferimento  alle  stesse  esonera  il  datore di lavoro dal

fornire ulteriori giustificazioni.

    Si  ricorda,  infatti,  che  l'art.  23,  comma 1, della legge n.

56/1987  aveva  affidato alla contrattazione collettiva il compito di

individuare,   accanto   alle   ipotesi  tipizzate  dal  legislatore,

ulteriori ipotesi in cui ammettere l'apposizione del termine.

  In  tal  senso,  disponeva,  altresi', che nei contratti collettivi

fosse  stabilito  il  numero  percentuale  dei lavoratori che potesse

essere  assunto  con  detta forma contrattuale rispetto ai lavoratori

impegnati a tempo indeterminato.

  Attualmente, dunque, le clausole dei contratti collettivi nazionali

in vigore (ivi comprese quelle relative all'individuazione dei limiti

percentuali)  continueranno  ad  avere  efficacia  accanto alle altre

ipotesi   che  la  disciplina  del  decreto  n.  368  ricollega  alle

richiamate  esigenze di carattere "tecnico, produttivo, organizzativo

e  sostitutivo"  che,  come  piu'  volte  detto,  legittimano ad oggi

l'apposizione del termine.

  Va  in ogni caso precisato, in proposito, come le ipotesi di lavoro

a  tempo  determinato  individuate dalla contrattazione collettiva ai

sensi dell'art. 23, legge 56/1987, siano aggiuntive e non sostitutive

di  quelle indicate dalla legge. Le clausole dei contratti collettivi

nazionali  in  vigore, in altri termini, continueranno ad affiancarsi

(e  non  a sostituirsi) alle ipotesi di legge, con la sola differenza

che  al numerus clausus di cui all'art. 1 della legge 18 aprile 1962,

n.  230  e  successive  modifiche  e  integrazioni  si  viene  ora  a

sostituire  la  clausola  generale  di  cui  all'art. 1, comma 1, del

decreto  legislativo  9 ottobre 2001, n. 368. Lo stesso dicasi per le

clausole di contingentamento disposte dai contratti collettivi di cui

all'art.  23,  legge  n.  56/1987, che, almeno in linea di principio,

stabiliscono  tetti  massimi  alle assunzioni a tempo determinato con

esclusivo   riferimento   alle   ipotesi  tipizzate  dalla  autonomia

collettiva e non anche a quelle gia' legittimate dal legislatore.

    Roma, 1 agosto 2002

                                                  Il Ministro: Maroni