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Roma, 7 agosto 2003
Circolare n. 89/2003
Oggetto: Finanziamenti – Accordo internazionale
“Basilea 2”.
“Basilea 2” è il
nuovo accordo internazionale sui requisiti patrimoniali delle banche elaborato
dal Comitato di Basilea, il comitato composto dai governatori delle banche
centrali dei paesi più industrializzati operante in seno alla Banca dei
Regolamenti Internazionali di Basilea.
Il primo accordo di Basilea, elaborato nel 1988 tra le banche centrali
dei paesi del G10, prevedeva che le banche dovessero accantonare fondi propri
in misura pari almeno all’8% del valore dei rischi delle operazioni poste in
essere.
Il nuovo accordo di Basilea, la cui attuazione è prevista per la fine
del 2006, è più sofisticato: esso prevede che le banche accantonino quote di
capitale proporzionali al rischio derivante dai vari rapporti di credito
assunti. Quindi maggiore sarà il rischio, maggiore dovrà essere
l’accantonamento e quindi i costi che le banche dovranno sostenere.
Il nuovo sistema dovrebbe provocare una minore disponibilità di
finanziamenti con aumento dei tassi per le imprese che presentano maggiori
indici di rischio, come ad esempio le piccole e medie imprese. A quest’ultimo
riguardo, il Comitato di Basilea ha peraltro recentemente annunciato che
l’esposizione delle banche verso le PMI (definite come imprese con un fatturato
inferiore a 50 milioni di euro) comporterà comunque accantonamenti di capitale
inferiori, fino al 20% a seconda delle dimensioni, rispetto alle grandi
imprese.
f.to
dr. Piero M. Luzzati |
Allegato
uno |
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D/d |
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consentita esclusivamente alle organizzazioni aderenti alla Confetra. |
Comitato
di Basilea per la vigilanza bancaria
Documento
a fini di consultazione
Presentazione del Nuovo
Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali
Introduzione
1. Il Comitato di Basilea per la vigilanza
bancaria (il “Comitato”) pubblica questa presentazione in accompagnamento al
terzo documento di consultazione (CP3) sul Nuovo Accordo di Basilea per la
regolamentazione del capitale (conosciuto anche come Basilea 2). La
pubblicazione del CP3 rappresenta una tappa importante nella messa a punto del
nuovo schema di adeguatezza patrimoniale. Obiettivo del Comitato resta quello
di ultimare il Nuovo Accordo entro il quarto trimestre di quest’anno, per la
successiva introduzione da parte dei paesi membri a fine 2006.
2. Il Comitato ritiene che il miglioramento
dello schema di adeguatezza patrimoniale possa recare importanti benefici di
ordine generale lungo due direttrici principali. In primo luogo, elaborando una
regolamentazione del capitale che ricomprende non solo i requisiti patrimoniali
minimi, ma anche il controllo prudenziale e la disciplina di mercato. In secondo
luogo, accrescendo significativamente la sensibilità al rischio dei
coefficienti patrimoniali minimi.
3. Il nuovo schema di adeguatezza
patrimoniale è volto a conferire maggiore rilevanza alla gestione del rischio e
a promuovere il costante potenziamento delle capacità di valutazione del
rischio da parte delle banche. Nell’opinione del Comitato, tale risultato può
essere raggiunto attraverso una stretta correlazione dei requisiti patrimoniali
delle banche con le moderne prassi prevalenti in tema di gestione del rischio,
assicurando altresì che questa accresciuta rilevanza si estenda alle prassi
prudenziali e alla disciplina di mercato tramite un miglioramento
dell’informativa sui profili di rischio e sui livelli di capitalizzazione.
4. Un apporto fondamentale al lavoro del
Comitato in sede di revisione dell’Accordo di Basilea è provenuto dal fattivo
dialogo con gli operatori del settore e gli organi di vigilanza di paesi non
membri. Il Comitato è del parere che il nuovo schema con le sue varie opzioni,
che da quelle consultazioni discendono, sia non solo appropriato all’interno
del G10, ma anche applicabile a banche e sistemi bancari su scala mondiale.
5. Un aspetto ugualmente importante del
lavoro del Comitato è stato il contributo fornito dalle banche che hanno preso
parte ai suoi “studi di impatto”. Tali studi si prefiggevano di raccogliere
informazioni dalle organizzazioni bancarie di tutto il mondo relativamente
all’impatto delle proposte avanzate in materia di adeguatezza patrimoniale sui
loro portafogli esistenti. Il Comitato apprezza in modo particolare i notevoli
sforzi compiuti da oltre 350 banche di varia dimensione e complessità
appartenenti a più di 40 paesi che hanno partecipato all’ultimo studio
quantitativo, noto come QIS 3. Come precisato in altra sede, i risultati del
QIS 3 hanno confermato che lo schema così come è attualmente concepito genera requisiti
patrimoniali ampiamente in linea con gli obiettivi del Comitato.
6. Questa presentazione è suddivisa in due
parti. La prima riporta una sintesi del nuovo schema di adeguatezza patrimoniale,
affrontando altresì alcuni aspetti relativi alla sua applicazione, ed è rivolta
a quanti desiderino acquisire maggiore dimestichezza con le opzioni offerte
alle banche dal Basilea 2. La seconda parte, di taglio più tecnico, delinea gli
specifici emendamenti al Nuovo Accordo rispetto alle proposte contenute nella
“QIS 3 Technical Guidance” pubblicata nell’ottobre 2002.
PARTE I: PRINCIPALI ELEMENTI DEL NUOVO
ACCORDO
7. Il Nuovo Accordo consta di tre pilastri:
1) requisiti patrimoniali minimi; 2) controllo prudenziale dell’adeguatezza patrimoniale;
3) requisiti di trasparenza delle informazioni. Le proposte relative a ciascuno
dei tre pilastri sono riepilogate di seguito.
Primo pilastro: Requisiti patrimoniali
minimi
8. Benché il Nuovo Accordo proposto
differisca da quello vigente sotto diversi aspetti, si reputa opportuno
esordire con una descrizione degli elementi che sono rimasti invariati.
Fondamento dell’attuale Accordo è una definizione di coefficiente patrimoniale
in cui il numeratore rappresenta l’ammontare di capitale a disposizione di una
banca e il denominatore una misura dei rischi cui questa è esposta (e, come
tale, coincide con la definizione di attività ponderate per il rischio). Il
coefficiente patrimoniale che ne risulta non può essere inferiore all’8%.
9. Nella nuova formulazione dell’Accordo,
le regole che definiscono il numeratore del rapporto patrimoniale – o, in altri
termini, il patrimonio a fini di vigilanza – restano invariate. Del pari, non
viene modificato il coefficiente minimo richiesto dell’8%. Di conseguenza, i
cambiamenti intervengono in ciò che attiene alla definizione di attività
ponderate per il rischio, ovvero nelle metodologie impiegate per misurare i
rischi in cui incorrono le banche. I nuovi metodi per il calcolo delle attività
ponderate sono volti a migliorare la valutazione della rischiosità da parte
delle istituzioni bancarie e, pertanto, a rendere più significativi i
coefficienti patrimoniali che da quella derivano.
10. Nella definizione di attività ponderate
l’Accordo attuale copre in maniera esplicita due sole tipologie di rischio: 1)
il rischio di credito e 2) il rischio di mercato. Si presume che le altre
tipologie di rischio siano implicitamente ricomprese nel trattamento di queste
due fattispecie principali. Il trattamento del rischio di mercato derivante
dall’attività di negoziazione aveva formato l’oggetto, nel 1996,
dell’Emendamento dell’Accordo sui requisiti patrimoniali del Comitato di
Basilea, e il Nuovo Accordo prevede di lasciarlo inalterato.
11. Le proposte di modifica alla
definizione di attività ponderate per il rischio contenuta nel primo pilastro
del Nuovo Accordo presentano due elementi di fondamentale importanza: 1)
mutamenti sostanziali al trattamento del rischio di credito previsto
dall’Accordo attuale, e 2) introduzione di un esplicito trattamento del rischio
operativo, da cui origina una misura che andrà ad integrare il denominatore del
requisito patrimoniale della banca. La trattazione che segue è incentrata su
entrambi questi elementi.
12. In ambedue i casi, la principale
innovazione del Nuovo Accordo proposto consiste nell’introduzione di tre
distinte opzioni di calcolo per il rischio di credito e di altre tre opzioni
per il rischio operativo. Il Comitato ritiene che non sia realizzabile né
auspicabile perseverare in un unico approccio per misurare le due tipologie di
rischio. Al contrario, sia per il rischio di credito che per quello operativo
sono previsti tre metodi con crescente sensibilità al rischio proprio per consentire
a banche e autorità di vigilanza di scegliere quello o quelli ritenuti più
appropriati allo stadio di sviluppo dell’operatività bancaria e
dell’infrastruttura di mercato. La tabella seguente riporta i tre metodi
disponibili per tipologia di rischio.
Rischio di credito
|
Rischio operativo |
1) Metodo standard |
1) Metodo dell’indicatore semplice
(“basic indicator approach”) |
2) Metodo IRB di base |
2) Metodo standard |
3) Metodo IRB avanzato |
3) Metodi avanzati di misurazione
(“Advanced Measurement Approaches” – AMA) |
Metodo
standard per il rischio di credito
13. Il metodo standard è simile a quello
dell’Accordo attuale, nel senso che le banche sono tenute a suddividere le loro
esposizioni creditizie in categorie prudenziali basate sulle caratteristiche
evidenti degli impieghi (ad esempio, crediti verso imprese o mutui su immobili
residenziali). Rispetto all’Accordo vigente, il metodo standard stabilisce
ponderazioni fisse di rischio, corrispondenti a ciascuna categoria prudenziale,
e si avvale delle valutazioni esterne del merito di credito al fine di
rafforzare la sensibilità al rischio. Le ponderazioni dei crediti verso
governi, banche e imprese sono differenziate in base ai rating esterni. Per ciò
che concerne in particolare le esposizioni verso soggetti sovrani, i rating
possono includere sia le valutazioni elaborate dalle agenzie OCSE per il
credito all’esportazione sia quelle pubblicate da agenzie private di valutazione.
14. Il metodo standard propone alle
autorità nazionali di vigilanza alcune linee guida per stabilire se una
particolare fonte di valutazione esterna possa essere riconosciuta idonea
all’impiego da parte delle banche. L’uso di rating esterni per la valutazione
delle esposizioni verso imprese è tuttavia ritenuto un elemento accessorio
dello schema. Per le esposizioni prive di rating esterno, il metodo standard
prescrive nella maggior parte dei casi l’applicazione di una ponderazione di
rischio del 100%, che implica un requisito patrimoniale pari all’8% così come
nell’Accordo vigente. In tali eventualità spetta agli organi di vigilanza
assicurarsi che il requisito patrimoniale sia adeguato alla luce delle inadempienze
rilevate in passato per il tipo di esposizione in questione. Una importante
innovazione del metodo standard è la prescrizione secondo cui i prestiti
considerati in mora dovranno essere ponderati al 150%, a meno che la banca non
abbia già iscritto a fronte di tali crediti accantonamenti specifici pari a una
soglia prestabilita.
15. Altro importante passo in avanti è
l’accresciuta gamma di garanzie reali, personali e derivati su crediti
(definiti congiuntamente “strumenti di mitigazione del rischio di credito”),
che le banche facenti uso del metodo standard hanno la facoltà di riconoscere.
Il metodo standard allarga il ventaglio di garanzie reali idonee al di là delle
emissioni dei governi OCSE, fino ad includervi la maggior parte degli strumenti
finanziari, individuando al tempo stesso alcuni sistemi per stimare il grado di
alleggerimento patrimoniale in base al rischio di mercato dello strumento di
garanzia. Analogamente, il metodo standard amplia la gamma di garanti
riconosciuti per ricomprendervi la totalità delle imprese che soddisfino una soglia
minima di valutazione esterna.
16. Il metodo standard prevede altresì un
trattamento specifico per le esposizioni al dettaglio. Le ponderazioni di rischio
per i mutui ipotecari su immobili residenziali verranno ridotte rispetto
all’Accordo attuale, così come quelle applicabili ad altri crediti “retail”
che, con il Nuovo Accordo, riceveranno una ponderazione inferiore a quella
prevista per le esposizioni verso imprese sprovviste di rating. In aggiunta, alcuni
prestiti nei confronti di piccole e medie imprese (PMI) potranno beneficiare
del trattamento riservato ai crediti al dettaglio, a condizione che soddisfino
taluni criteri.
17. Il metodo standard opera
deliberatamente talune distinzioni fra esposizioni e transazioni nell’intento
di migliorare la sensibilità al rischio dei risultanti coefficienti di
capitale. Lo stesso vale per i metodi IRB applicati al rischio di credito e per
i sistemi di valutazione dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio
operativo, in cui questi ultimi sono più strettamente correlati al rischio.
Allo scopo di assistere banche e autorità nazionali di vigilanza nei casi in
cui le circostanze non consentano il ricorso a un’ampia gamma di opzioni, il
Comitato ha elaborato il ‘metodo standard semplificato’, descritto nell’Allegato
9 del CP3. Questa appendice raccoglie in una unica sede le opzioni più semplici
per calcolare le attività ponderate per il rischio. Le banche che desiderino
adottare tali metodi dovranno parimenti conformarsi ai relativi requisiti di
controllo prudenziale e di disciplina di mercato previsti dal Nuovo Accordo.
Metodi
basati sui rating interni (“internal ratings-based approaches” – IRB)
18. Uno degli elementi più innovativi del
Nuovo Accordo è il metodo IRB a fronte del rischio di credito, che comprende due
varianti: una versione di base e una versione avanzata. Il metodo IRB si
discosta in misura sostanziale da quello standard in quanto a fungere da input
primari per il computo del patrimonio sono le valutazioni delle determinanti
chiave del rischio effettuate dalle banche al loro interno. Proprio perché il
metodo si fonda su valutazioni interne delle banche, sussiste un considerevole
potenziale per ottenere requisiti patrimoniali più sensibili al rischio.
Tuttavia, il metodo IRB non consente alle istituzioni di determinare
autonomamente la totalità degli elementi necessari a calcolare i propri
coefficienti patrimoniali. Le ponderazioni di rischio e, di conseguenza, i
requisiti di capitale vengono infatti ricavati dalla combinazione di input
quantitativi forniti dalle banche e di formule indicate dal Comitato.
19. Le formule, o funzioni di ponderazione
del rischio, convertono l’input di una banca in uno specifico requisito patrimoniale.
Esse sono basate su moderne tecniche di gestione del rischio, che implicano una
valutazione statistica – e per ciò stesso quantitativa – della rischiosità. Il
costante dialogo con gli operatori del settore ha confermato come l’uso di tali
metodi rappresenti un importante progresso nell’elaborazione di significative
stime del rischio presso le più grandi e complesse organizzazioni bancarie
operanti attualmente sul mercato.
20. I metodi IRB coprono un’ampia gamma di
portafogli e prevedono modalità di calcolo del patrimonio che variano in certa
misura a seconda della tipologia di esposizione. Ove opportuno, nel prosieguo
di questa sezione verranno evidenziate le divergenze fra i metodi IRB di base e
avanzato nel trattamento dei vari tipi di esposizioni. Crediti verso imprese, banche e governi
21. Il sistema di calcolo IRB delle attività
ponderate per il rischio si avvale del medesimo approccio di base per i crediti
verso governi, banche o entità societarie. Esso si fonda su quattro input
quantitativi: 1) la probabilità di inadempienza (“probability of default” – PD)
misura la probabilità che il mutuatario si renda inadempiente nell’arco di un
dato orizzonte temporale; 2) la perdita in caso di inadempienza (“loss given
default” – LGD) rileva la parte dell’esposizione che andrà perduta
all’eventuale verificarsi dell’inadempienza; 3) l’esposizione in caso di
inadempienza (“exposure at default” – EAD) che, per gli impegni di prestito,
stima l’ammontare della linea creditizia accordata destinato ad essere
utilizzato in caso di inadempienza; 4) la durata (“maturity” – M), che esprime
la scadenza economica residua dell’esposizione.
22. Stabilito un valore per ciascuno di
questi quattro input, la funzione di ponderazione del rischio IRB per i crediti
verso imprese descritta nel CP3 genera uno specifico requisito patrimoniale per
ogni esposizione. Inoltre, per i crediti nei confronti di PMI – le imprese con
fatturato annuo inferiore a _50 milioni – le banche potranno operare un
aggiustamento in funzione della dimensione aziendale nella relativa formula IRB
di ponderazione del rischio.
23. I metodi IRB di base e avanzato
differiscono soprattutto in termini di input forniti dalla banca in base alle
proprie stime e di quelli specificati dall’autorità di vigilanza. Tali
differenze sono riepilogate nella tabella seguente.
Input |
IRB di base |
IRB avanzato |
Probability of default (PD) |
Fornito dalla banca in base alle proprie
stime |
Fornito dalla banca in base alle proprie
stime |
Loss given
default (LGD) |
Valori prudenziali fissati dal Comitato |
Fornito dalla banca in base alle proprie
stime |
Exposure at
default (EAD) |
Valori prudenziali fissati dal Comitato |
Fornito dalla banca in base alle proprie
stime |
Maturity (M) |
Valori prudenziali fissati dal Comitato
ovvero a discrezione delle autorità nazionali di vigilanza, fornito
dalla banca in base alle proprie stime (talune esposizioni potranno
essere portate in detrazione) |
Fornito dalla banca in base alle proprie
stime (talune esposizioni potranno essere portate in detrazione) |
24. Dalla tabella precedente si evince che
tutte le banche facenti uso dei metodi IRB devono fornire stime interne della
PD relativamente ai crediti verso imprese, governi e banche. In aggiunta, le
banche che optino per il metodo avanzato sono tenute a stimare al loro interno
i valori di LDG ed EAD, mentre quelle che applicano il metodo di base ricorreranno
ai valori prudenziali riportati nel CP3, correlati alla natura
dell’esposizione. Nell’ambito del metodo IRB avanzato, le banche forniranno in
genere le proprie stime della durata residua degli impieghi, quantunque siano
previste talune eccezioni nella misura in cui le autorità di vigilanza possono
permettere di impiegare, in luogo di tali stime, una durata fissa presunta. Per
ciò che concerne il metodo IRB di base, gli organi di vigilanza hanno la
facoltà di decidere se tutte le banche che lo utilizzano debbano applicare la
durata fissa presunta di cui al CP3, ovvero fornire proprie stime interne della
durata residua.
25. Un ulteriore importante elemento dello schema IRB attiene al trattamento
degli strumenti di mitigazione del rischio, ossia garanzie reali, personali e
derivati su crediti. Lo stesso schema IRB, e in particolare il parametro LGD,
conferiscono un ampio grado di flessibilità nel calcolare l’impatto potenziale
delle tecniche di riduzione del rischio di credito. Per le banche che impiegano
il metodo di base, quindi, i diversi valori prudenziali di LGD contenuti nel
CP3 rispecchiano l’esistenza di svariate tipolo-gie di garanzie reali. Nella
valutazione di queste ultime, le banche che optano per il metodo avanzato
dispongono di una flessibilità ancor maggiore. Con riferimento alle transazioni
che implicano il ricorso a garanzie reali finanziarie, il metodo IRB pone
l’accento sull’importanza che le banche adottino un approccio idoneo a misurare
il rischio di possibili deprezzamenti di queste garanzie, e fornisce di
conseguenza un’articolata serie di metodologie al riguardo, analogamente al
metodo standard.
Esposizioni
al dettaglio
26. Per la categoria delle esposizioni al
dettaglio è previsto unicamente il metodo IRB avanzato, senza possibilità di
utilizzare il metodo IRB di base. Gli input chiave per le relative formule di
ponderazione sono PD, LGD ed EAD, e devono tutti essere forniti dalle banche in
base alle loro stime interne. Contrariamente al metodo IRB per le esposizioni
verso imprese, questi valori non saranno calcolati per singole esposizioni, ma
piuttosto per pool di crediti similari.
27. In considerazione del fatto che le
esposizioni al dettaglio riuniscono un’ampia gamma di prodotti ciascuno contraddistinto
da una diversa serie storica di perdite, lo schema ne prevede la suddivisione
in tre categorie principali: 1) esposizioni garantite da ipoteche su immobili
residenziali; 2) esposizioni “retail” rotative qualificate (ERRQ); 3) altre esposizioni
non ipotecarie (‘altri crediti retail’). In linea generale, nella categoria
ERRQ rientrano i crediti rotativi non garantiti che presentano specifiche
caratteristiche di perdita, tra cui figurano molte delle posizioni a fronte di
carte di credito. Tutti gli altri prestiti al consumo non ipotecari, incluse le
esposizioni nei confronti di piccole imprese, confluiscono nella categoria
‘altri crediti retail’. Per ognuna di queste tre classi il CP3 fornisce una
distinta formula di ponderazione del rischio. Esposizioni creditizie specifiche
28. Il Basilea 2 distingue talune
sottoclassi di prestiti all’ingrosso da altre forme di crediti “corporate”. Si
tratta delle esposizioni creditizie specifiche (“specialised lending” – SL). Il
termine “specialised lending” è associato al finanziamento di singoli progetti
il cui rimborso dipende strettamente dalla performance del portafoglio o della
garanzia sottostanti. Per calcolare le ponderazioni di rischio relative alle
sottoclassi di SL le banche potranno, ad eccezione di un caso, utilizzare
semplicemente lo schema IRB per i crediti “corporate”, purché esse soddisfino i
criteri minimi stabiliti riguardo alla stima dei pertinenti input. Tuttavia,
nel prendere atto che l’osservanza di tali standard minimi per questo tipo di
esposizioni potrebbe rivelarsi, nella pratica, più difficile del previsto, il
CP3 contempla anche una opzione aggiuntiva, che richiede unicamente di
suddividere questi crediti in cinque distinti livelli di qualità, fornendo per
ciascuno di essi una specifica ponderazione del rischio.
29. Per una sottoclasse di SL, ossia i
finanziamenti concessi a fronte di immobili commerciali ad alta volatilità
(“high volatility commercial real estate” – HVCRE), le banche in grado di
stimare gli input richiesti in base al metodo IRB potranno impiegare una
specifica formula di ponderazione del rischio che, rispetto a quella generica
prevista per i crediti “corporate”, appare improntata a maggiore prudenza date
le caratteristiche di rischio di questa tipologia di prestiti. Le banche che
non siano in condizione di stimare gli input richiesti classificheranno le loro
esposizioni HVCRE nei cinque livelli di qualità, applicando le corrispondenti
ponderazioni indicate nel CP3.
Esposizioni
azionarie
30. Le banche saranno tenute a trattare
separatamente le loro esposizioni azionarie nell’ambito del metodo IRB. Il CP3
descrive due distinti approcci al riguardo. Il primo, che si rifà alla
metodologia PD/LGD prevista per i crediti verso imprese, richiede alle banche
di fornire le proprie stime di PD per le relative esposizioni azionarie. Questo
approccio, tuttavia, impone l’applicazione di un valore di LGD del 90%, nonché
alcune altre limitazioni, compresa una ponderazione minima del 100% in numerose
circostanze. Il secondo approccio è volto a fornire alle banche l’opportunità
di incorporare nel computo il possibile decremento nel valore di mercato dei
loro portafogli azionari su un periodo di detenzione di tre mesi. È altresì prevista
una versione semplificata di questo approccio, con ponderazioni fisse di
rischio per azioni quotate e non quotate. 6
Presentazione del Nuovo Accordo di Basilea (aprile 2003)
Applicazione
dei metodi IRB
31. Considerato che le funzioni di
ponderazione del rischio nel Basilea 2 poggiano sugli input generati dalle
banche al loro interno, appaiono inevitabili talune asimmetrie nei modi in cui
i metodi IRB verranno applicati. Al fine di assicurare una significativa
comparabilità trasversale all’interno del settore bancario, il Comitato ha
stabilito criteri minimi di idoneità all’utilizzo di tali metodologie, volti ad
accertare – in termini di esaustività e di integrità – le capacità delle banche
nel valutare in maniera endogena il rischio di credito. Se da un lato le
istituzioni che utilizzano il metodo avanzato disporranno di una flessibilità
maggiore rispetto a quelle che impiegano il metodo di base, dall’altro esse
dovranno altresì conformarsi a una serie più rigorosa di criteri minimi.
32. Il Comitato ritiene che i sistemi di
rating interni delle banche debbano operare accurate e coerenti
differenziazioni fra i vari gradi di rischio. La sfida in capo alle banche
consisterà nel definire in modo chiaro e obiettivo i criteri alla base delle
loro categorie di rating, allo scopo di fornire valutazioni significative sia
per le singole esposizioni creditizie sia, in ultima analisi, del profilo
complessivo di rischio. Solidi meccanismi di controllo rappresentano un altro
fattore importante per assicurare il corretto funzionamento di tali sistemi e
l’accuratezza dei relativi risultati. Processo indipendente di valutazione,
revisione interna e trasparenza rappresentano i capisaldi del controllo alla
base dei requisiti minimi IRB.
33. Va da sé che la validità di un sistema
di rating interni è pari a quella degli input impiegati per costruirlo. Di conseguenza,
le banche che si avvalgono dei metodi IRB dovranno essere in grado di misurare
le determinanti statistiche centrali della propria esposizione al rischio di
credito. I requisiti minimi fissati nel Basilea 2 conferiscono alle banche
flessibilità nell’utilizzo sia dei dati tratti dalla loro stessa esperienza,
sia di quelli provenienti da fonte esterna, nella misura in cui esse potranno
dimostrare la significatività di tali informazioni per i portafogli in loro
possesso. In altri termini, è auspicabile che le banche dispongano di processi
che, nel corso del tempo, consentano loro di raccogliere, archiviare e
utilizzare in maniera affidabile i dati di perdita.
Cartolarizzazione
34. Il Basilea 2 prevede un trattamento specifico
per le operazioni di cartolarizzazione, una tecnica di gestione del rischio non
affrontata compiutamente nell’Accordo attuale. Il Comitato riconosce che la cartolarizzazione
comporta, per sua stessa natura, il trasferimento a terzi della proprietà e/o
del rischio associati con le esposizioni creditizie di una banca. A questo
riguardo, l’importanza della cartolarizzazione risiede nel fatto che essa
concorre a conseguire una migliore diversificazione del rischio e a promuovere
la stabilità finanziaria.
35. Il Comitato ha ritenuto essenziale
inserire nel Basilea 2 un articolato trattamento delle cartolarizzazioni, in
assenza del quale il nuovo schema continuerebbe ad essere vulnerabile ad
“arbitraggi prudenziali”. Con l’Accordo vigente, infatti, talune operazioni di
cartolarizzazione hanno consentito alle banche di mantenere una dotazione
patrimoniale inferiore a quella commisurata ai rischi in cui esse incorrono.
Per dare soluzione a questo problema, il Nuovo Accordo richiede alle banche di
considerare la sostanza economica di una operazione di cartolarizzazione nel
determinare i coefficienti di capitale appropriati, e ciò sia nell’approccio
standard che nei metodi IRB.
36. Analogamente a quanto previsto in altre
parti del metodo standard in materia di rischio di credito, le banche devono
assegnare alle esposizioni connesse con cartolarizzazioni di attività
ponderazioni prudenziali di rischio basate su diversi criteri. Un aspetto degno
di nota è il diverso trattamento delle cartolarizzazioni di qualità inferiore
sprovviste di rating rispetto a esposizioni “corporate” comparabili. In una operazione
di cartolarizzazione tali posizioni sono di solito destinate ad assorbire tutte
le perdite sul sottostante portafoglio fino a una certa soglia.
Conseguentemente, il Comitato reputa che siffatta concentrazione del rischio
legittimi un innalzamento dei requisiti patrimoniali. In particolare, le banche
che usano il metodo standard dovranno portare in detrazione dal capitale le
posizioni a fronte di cartolarizzazioni prive di rating.
37. Un elemento chiave dello schema IRB per
le cartolarizzazioni consiste nel fatto che la banca “originator” dovrà calcolare
la dotazione patrimoniale a fronte del portafoglio sottostante come se le
esposizioni non fossero state cartolarizzate (il cosiddetto KIRB). Se una banca
conserva in una cartolarizzazione una posizione che la obbliga ad assorbire le
perdite fino a un massimo pari o inferiore al KIRB prima che ogni altro
detentore sopporti una perdita (cosiddetta posizione “di prima perdita”), essa
sarà tenuta a dedurre questa posizione dal patrimonio. Il Comitato ritiene che
tale requisito trovi la sua giustificazione nel forte incentivo offerto alla
banca “originator” a cedere il rischio connesso
con posizioni ad alto grado di subordinazione, che incorporano implicitamente i
rischi maggiori. Per le banche che investono in posizioni da cartolarizzazione
con rating elevato è stato previsto un trattamento basato sull’eventuale
esistenza di una valutazione esterna, sul frazionamento del portafoglio
sottostante e sullo spessore (“thickness”) dell’esposizione.
38. In virtù del ruolo svolto dalle
facilitazioni bancarie di liquidità nell’assicurare un ordinato funzionamento
dei mercati della carta commerciale, e della loro importanza per il “corporate
banking” più in generale, lo schema per le operazioni di cartolarizzazione nel
Basilea 2 prevede un esplicito trattamento di queste linee creditizie. Nel
metodo IRB il coefficiente patrimoniale a fronte di linee di liquidità è in funzione
di svariati fattori, fra cui la qualità del portafoglio sottostante e
l’eventuale disponibilità di forme di sostegno al credito (“credit
enhancement”) per assorbire le perdite prima dell’utilizzo della linea. Tali fattori
rappresentano altrettanti input basilari della formula prudenziale
(“supervisory formula” – SF), concepita espressamente per il calcolo da parte
degli “originator” dei requisiti patrimoniali a fronte delle posizioni prive di
rating, come appunto le linee di liquidità. Queste ultime formano altresì
l’oggetto di un’apposita disposizione nel metodo standard, contenente vari
criteri volti a garantire che il trattamento preferenziale venga riservato
unicamente alle facilitazioni caratterizzate da un minor grado di rischio.
39. Molte cartolarizzazioni di esposizioni
rotative “retail” prevedono clausole che consentono la chiusura dell’operazione
nel caso in cui la qualità delle attività cartolarizzate cominci a
deteriorarsi. Fra le proposte del Basilea 2 figura uno specifico trattamento
delle cartolarizzazioni contenenti siffatti meccanismi di ‘rimborso
anticipato’, che possono di fatto offrire agli investitori una parziale
protezione dalle perdite connesse con i flussi sottostanti. L’approccio del
Comitato al riguardo si basa su una misurazione della qualità del relativo
portafoglio. Se questa è elevata, alle esposizioni cartolarizzate viene
applicato un requisito patrimoniale dello 0%. Al deteriorarsi del merito di
credito, tuttavia, la banca dovrà aumentare man mano la sua dotazione
patrimoniale, come se continuassero a gravare sul suo bilancio futuri utilizzi
delle linee creditizie accordate.
Rischio
operativo
40. Il Comitato considera il rischio
operativo un importante fattore di rischiosità per le banche, e reputa pertanto
necessario che queste si cautelino da possibili perdite con una opportuna
dotazione di capitale. Il Nuovo Accordo definisce rischio operativo il rischio
di perdite derivanti da processi, personale e sistemi interni inadeguati o
carenti, oppure dovute ad eventi esogeni. È questo un ulteriore ambito per il
quale il Comitato ha elaborato un nuovo approccio a fini patrimoniali.
Analogamente al rischio di credito, il Comitato ha tenuto presente il rapido
sviluppo delle tecniche interne di valutazione presso le organizzazioni
bancarie, cercando di fornire loro incentivi a migliorare in futuro tali
dispositivi nonché, più in generale, l’intera gestione del rischio operativo.
Ciò assume una particolare rilevanza nel caso degli approcci avanzati di
misurazione (“Advanced Measurement Approaches” – AMA) applicati al rischio
operativo, di seguito illustrati.
41. Gli approcci destinati al rischio
operativo continuano a evolvere speditamente, anche se sembra improbabile che
possano raggiungere nel breve termine i livelli di precisione con cui vengono
quantificati i rischi di mercato e di credito. Questo stato di cose ha posto un
ovvio problema in sede di inclusione di una misura del rischio operativo
nell’ambito del primo pilastro del Nuovo Accordo. Nondimeno, il Comitato
ritiene essenziale tale inclusione, e ciò al duplice scopo di fornire alle
banche forti incentivi a proseguire nell’elaborazione di metodi per la
misurazione del rischio operativo, e di garantire che esse dispongano di
sufficienti margini patrimoniali per farvi fronte. È evidente che la mancata
previsione nel Nuovo Accordo di un coefficiente patrimoniale minimo specifico
per tale tipologia di rischio avrebbe l’effetto di ridurre sia quegli incentivi
sia le risorse che le organizzazioni bancarie dedicano alla gestione del
rischio operativo.
42. Il Comitato è disposto a concedere alle
banche una eccezionale flessibilità nell’elaborazione di una metodologia di
calcolo del patrimonio a fronte del rischio operativo che sia ritenuta coerente
con il profilo della loro operatività e dei connessi rischi. Ai sensi degli
AMA, le banche possono avvalersi di propri approcci per valutare l’esposizione
al rischio operativo, a condizione che questi siano sufficientemente esaurienti
e sistematici. I parametri e i requisiti dettagliati previsti per l’impiego
degli AMA sono appositamente limitati allo scopo di assecondare una rapida
evoluzione nelle prassi di gestione del rischio operativo, che il Comitato
confida di veder realizzata negli anni a venire.
43. Intendimento del Comitato è quello di
seguire costantemente i progressi in materia di approcci al rischio operativo,
a ciò incoraggiato dai notevoli passi avanti compiuti dalle banche che vanno
elaborando metodologie conformi allo spirito degli AMA per la gestione di
questo rischio. Il management di tali banche è giunto alla
conclusione che è possibile sviluppare al loro interno un approccio flessibile
ed esauriente alla misurazione del rischio operativo.
44. È auspicabile che le istituzioni attive
a livello internazionale e quelle che presentano una significativa esposizione
al rischio operativo (ad esempio, le banche a operatività specifica) provvedano
col tempo ad adottare il metodo AMA più sensibile al rischio. Il Basilea 2
prevede due approcci semplificati per il rischio operativo: il metodo
dell’indicatore semplice (“basic indicator approach”) e il metodo standard, entrambi
finalizzati alle banche con esposizioni meno significative a tale tipologia di
rischio. In linea generale, i due approcci correlano il rischio operativo a una
dotazione di capitale espressa come percentuale fissa di una specifica misura
del rischio stesso.
45. Nel metodo dell’indicatore semplice,
tale misura corrisponde alla media del reddito lordo annuo della banca calcolata
sui tre esercizi precedenti. Il coefficiente patrimoniale è dato dal prodotto
di questa media per un fattore fisso stabilito dal Comitato, pari a 0,15. Per
ciò che concerne il calcolo del patrimonio di vigilanza, il Nuovo Accordo non
fissa criteri specifici per l’impiego del metodo dell’indicatore semplice.
Nonostante ciò, le banche che ricorrono a tale approccio sono invitate a
conformarsi alle linee guida in materia di prassi corrette per la gestione e il
controllo del rischio operativo, pubblicate dal Comitato nel febbraio 2003.
46. Anche il metodo standard si avvale del
reddito lordo come indicatore di massima per la scala dimensionale
dell’attività operativa della banca e, quindi, della probabile entità della
connessa esposizione al rischio operativo per una data linea di attività.
Peraltro, anziché calcolare il patrimonio a livello di intera azienda come
previsto dall’approccio dell’indicatore semplice, le banche devono procedere in
questo caso al computo del requisito di capitale per ciascuna linea operativa.
Questo viene determinato moltiplicando il reddito lordo per specifici fattori
prudenziali decisi dal Comitato. Il coefficiente patrimoniale complessivo a
fronte del rischio operativo per una organizzazione bancaria sarà dato dalla
sommatoria dei singoli coefficienti patrimoniali riferiti a ogni singola linea
operativa. Presupposto importante per l’utilizzo del metodo standard è che le
banche si dotino di adeguati sistemi per il trattamento del rischio operativo
in osservanza dei requisiti minimi stabiliti nel CP3.
47. Le banche che utilizzano il metodo
dell’indicatore semplice o quello standard per il trattamento del rischio
operativo non sono in genere autorizzate a riconoscere gli effetti della
mitigazione del rischio rivenienti da contratti di assicurazione. Come si dirà
nella Parte II di questa presentazione, tale riconoscimento è consentito solo a
determinate condizioni alle banche che impiegano gli AMA.
Secondo pilastro: Controllo prudenziale
48. Il secondo pilastro del Nuovo Accordo
si basa su una serie di principi guida, improntati nella loro totalità alla
duplice esigenza che le banche valutino l’adeguatezza patrimoniale in rapporto
ai loro rischi complessivi, e che le autorità di vigilanza verifichino tali
valutazioni e assumano le opportune azioni correttive, ove del caso. Questi
elementi sono ritenuti sempre più necessari ai fini, rispettivamente, di una
efficace gestione delle organizzazioni bancarie e di una efficace vigilanza
bancaria.
49. I contributi forniti dagli operatori
del settore e il lavoro svolto dal Comitato hanno entrambi posto l’accento
sull’importanza del processo di controllo prudenziale. Le valutazioni del
rischio e dell’adeguatezza patrimoniale devono spingersi oltre la mera verifica
dell’osservanza da parte di una banca dei requisiti patrimoniali minimi.
L’inclusione nel Nuovo Accordo di una componente relativa al controllo
prudenziale apporta quindi notevoli vantaggi, in virtù del rilievo attribuito
alla necessità che sia le banche sia gli organi di vigilanza dispongano di
comprovate capacità di valutazione del rischio. Inoltre, appare inevitabile che
un qualsiasi schema di adeguatezza patrimoniale, finanche quello più lungimirante,
non riuscirà a tenere completamente il passo con i mutamenti nel profilo di
rischio di organizzazioni bancarie complesse, specie allorché queste traggono
profitto da nuove opportunità operative. Tutto ciò accresce quindi l’importanza
del secondo pilastro e l’attenzione che le autorità di vigilanza sono chiamate
a dedicarvi.
50. Il Comitato ha lavorato
all’aggiornamento dei principi del secondo pilastro parallelamente a quello di
altri aspetti del nuovo schema di adeguatezza patrimoniale. Uno di questi aggiornamenti
ha riguardato le prove di stress. Il Comitato ritiene importante che le banche
che utilizzano un metodo IRB mantengano a fronte del rischio di credito un ammontare
di mezzi propri tale da tutelarle contro l’insorgere di avversità o incertezze nel
contesto economico. A queste banche verrà richiesto di approntare ed effettuare
prove di stress significativamente prudenti allo scopo di stimare la misura in cui i requisiti patrimoniali IRB possano aumentare in condizioni di
tensione. Sarà compito di entrambe, banca vigilata e autorità vigilante,
impiegare i risultati di questi test come mezzo per accertare l’effettiva
esistenza di un sufficiente margine patrimoniale aggiuntivo. Qualora venga
appurata una carenza di patrimonio a fini prudenziali le autorità potranno, ad
esempio, richiedere a una banca di ridurre i rischi in modo che le risorse di
capitale esistenti possano far fronte sia agli obblighi patrimoniali minimi sia
a quelli imposti dalle prove di stress sottoposte a revisione.
51. Ulteriori affinamenti sono focalizzati
sul controllo della concentrazione dei rischi da parte delle banche e sul trattamento
dei rischi residuali che derivano dall’uso di garanzie reali, personali e
derivati su crediti. Oltre alle prescrizioni contenute nel primo pilastro in
materia di cartolarizzazioni, è stata elaborata una componente per il controllo
prudenziale, intesa a fornire alle istituzioni una maggiore comprensione delle
attese dell’autorità di vigilanza riguardo a specifiche esposizioni connesse
con cartolarizzazioni. Tra i concetti affrontati figurano il trasferimento
significativo del rischio e considerazioni sull’utilizzo di clausole “call” e
di rimborso anticipato. Sono state inoltre definite le possibili azioni
prudenziali in risposta ai casi in cui venga accertata l’offerta di sostegno
implicito (non contrattuale) a una struttura di cartolarizzazione da parte di
una banca.
Terzo pilastro: Disciplina di mercato
52. Scopo del terzo pilastro è quello di
integrare i requisiti patrimoniali minimi stabiliti nel primo pilastro e il
processo di controllo prudenziale affrontato dal secondo. Il Comitato si è
adoperato per incoraggiare la disciplina di mercato mediante l’elaborazione di
una serie di obblighi di trasparenza che consentano agli operatori di valutare
le informazioni cruciali sul profilo di rischio e sui livelli di
capitalizzazione di una banca. Il Comitato reputa che il processo informativo
assuma una particolare rilevanza con riferimento al Nuovo Accordo, laddove il
ricorso a metodologie interne di valutazione conferirà alle banche una maggiore
discrezionalità nel determinare il proprio fabbisogno di capitale. Spingendo in
direzione di una più rigorosa disciplina di mercato tramite il potenziamento
delle segnalazioni, il terzo pilastro del nuovo schema patrimoniale potrà
arrecare notevoli benefici a banche e autorità di vigilanza nella gestione del
rischio e nel rafforzamento della stabilità.
53. Nel corso dell’anno passato il Comitato
ha coinvolto vari operatori e organi di vigilanza nel dibattito su quali
fossero le segnalazioni bancarie più utili in termini di portata e di
tipologia. Scopo dell’iniziativa era quello di evitare il rischio di riversare
sul mercato una mole di informazioni difficilmente interpretabili o
utilizzabili per la comprensione del profilo di rischio effettivo di una banca.
Dopo aver vagliato attentamente i requisiti di informativa al pubblico proposti
nel suo secondo pacchetto di consultazione sul Nuovo Accordo, il Comitato ha da
allora provveduto a ridimensionare significativamente i parametri in materia,
specie quelli riferiti ai metodi IRB e alla cartolarizzazione.
54. Il Comitato è consapevole del fatto che
le autorità di vigilanza possono disporre di diverse opzioni sul piano normativo
per far sì che le banche rispettino i requisiti di trasparenza loro imposti.
Fra i vari canali rientrano le informazioni ritenute necessarie per ragioni di
sicurezza e di controllo, o quelle da rendere nell’ambito delle periodiche
segnalazioni prudenziali. Il Comitato prende atto che i mezzi con cui le banche
saranno tenute a pubblicizzare le loro informazioni dipenderanno dalle
prerogative legali assegnate alle rispettive autorità di vigilanza.
55. Una ulteriore considerazione di rilievo
è stata l’esigenza di allineare lo schema informativo del Basilea 2 agli standard
contabili nazionali. Considerevoli sforzi sono stati compiuti per assicurare
che i requisiti di trasparenza del Nuovo Accordo si incentrino sull’adeguatezza
patrimoniale delle banche senza porsi in conflitto con i più ampi obblighi di informativa
a fini contabili che le banche sono tenute ad osservare. Ciò è stato conseguito
attraverso un efficace e fattivo dialogo con le autorità di regolamentazione
contabile. In avvenire sarà cura del Comitato intensificare tali relazioni, dato
che l’incessante lavoro di questi organismi può avere implicazioni sui
requisiti di trasparenza contenuti nel Nuovo Accordo. Per ciò che concerne
possibili emendamenti futuri allo stesso schema patrimoniale, il Comitato
intende altresì tener conto del loro impatto sull’insieme di informazioni che
una banca dovrebbe essere tenuta a pubblicizzare.
Applicazione del Nuovo Accordo
Transizione
verso il Nuovo Accordo
56. Il Comitato è dell’opinione che le
proposte contenute nel CP3 siano applicabili a un’ampia gamma di banche in diverse
realtà nazionali. I membri del Comitato interni al G10 hanno concordato
l’adozione di una data comune per l’entrata in vigore del Nuovo Accordo,
fissandola a fine 2006. In questi paesi l’applicazione del nuovo schema è
diretta a ricomprendere le banche attive a livello internazionale e altre
istituzioni maggiori a giudizio dell’autorità nazionale di vigilanza. In alcuni
paesi del G10 il Basilea 2 verrà applicato all’intero sistema bancario. Sarà
cura delle autorità di vigilanza del Gruppo accertare che le banche non
aderenti al Nuovo Accordo in questa fase siano assoggettate a una prudente
regolamentazione ai fini dell’adeguatezza patrimoniale.
57. Sebbene il Nuovo Accordo sia stato
concepito per offrire varie opzioni alle banche e ai sistemi bancari di tutto
il mondo, il Comitato riconosce che – al di fuori del G10 – una transizione
completa nell’immediato futuro possa non rappresentare per tutte le istanze
regolamentari la priorità assoluta fra le azioni necessarie al rafforzamento
del loro sistema di vigilanza. In questo caso, nell’elaborare il calendario e
il programma di attuazione ogni autorità di vigilanza vorrà ponderare
attentamente i vantaggi del nuovo schema nel contesto del sistema bancario
nazionale di propria competenza.
58. Alla luce dei vincoli di risorse e di
altre priorità, ogni eventuale ritardo nell’attuazione del Nuovo Accordo al di
là del 2006 – specie nei paesi esterni al G10 – non sarà considerato inatteso
né tanto meno inopportuno. Ciò detto, le autorità di vigilanza dovrebbero
comunque prevedere l’applicazione degli elementi centrali del processo di
controllo prudenziale e della disciplina di mercato contenuti nel Nuovo Accordo
anche se le prescrizioni relative ai requisiti patrimoniali minimi dovessero essere
recepite dopo il 2006.
59. Numerosi organi di vigilanza hanno già
posto mano alla pianificazione del passaggio al Basilea 2. Al fine di fornire
il proprio contributo in questa fase, il Comitato ha richiesto a un gruppo di
autorità di vigilanza di tutto il mondo, con la partecipazione del Fondo
monetario internazionale e della Banca Mondiale, di elaborare un programma per
assistere i paesi esterni al G10 nella transizione ai metodi standard e IRB di
base del Nuovo Accordo. Il Comitato reputa essenziale la costante cooperazione
in questo ambito per assicurare il buon esito del passaggio al nuovo schema.
Aspetti
di lungo periodo
60. Secondo il Comitato, i frequenti scambi
di informazioni fra banche e autorità di vigilanza, nonché quelli fra le autorità
di vigilanza di diverse giurisdizioni rivestono una importanza fondamentale per
l’efficace applicazione del Basilea 2. Al fine di promuovere la massima
coerenza nell’attuazione del Nuovo Accordo fra i vari paesi, il Comitato ha
istituito l’“Accord Implementation Group” (AIG) in seno al quale i vari organi
regolamentari possono scambiare informazioni in merito ai problemi pratici di
attuazione del nuovo schema e alle strategie impiegate per risolverli. Inoltre,
l’AIG collaborerà strettamente con la “Capital Task Force” (CTF) del Comitato,
cui compete la responsabilità di ponderare modifiche e interpretazioni di
rilievo del Nuovo Accordo.
61. Il Comitato è del parere che la
disciplina dell’Accordo continuerà ad evolvere anche dopo l’adozione del
Basilea 2. Tale evoluzione è necessaria per far sì che lo schema tenga il passo
con gli sviluppi nei mercati emergenti e i progressi nelle pratiche di gestione
del rischio. Nondimeno, non è negli intenti del Comitato fare del Nuovo Accordo
un ‘bersaglio mobile’ ancor prima della sua entrata in vigore. Da ora alla fine
del 2006 le priorità consisteranno nel sanare possibili rilevanti incongruenze
involontarie nel trattamento di esposizioni simili tra i vari approcci per
determinare il patrimonio a fronte di un dato rischio. In aggiunta, il Comitato
si adopererà per rimuovere falle o effetti indesiderati eventualmente presenti
nel nuovo schema.
62. Il Comitato riconosce che la necessità
di tali iniziative potrà palesarsi solo dopo che le banche avranno cominciato
ad avvalersi dei precetti stabiliti nel Nuovo Accordo. Le banche che
adotteranno approcci più avanzati per la valutazione del rischio (il metodo IRB
per il rischio di credito e gli AMA per il rischio operativo) saranno tenute ad
applicarli parallelamente all’Accordo esistente per tutto l’anno precedente
l’entrata in vigore del Basilea 2. Il Comitato ritiene che tale applicazione
parallela fornirà alle banche e alle autorità di vigilanza preziosi ragguagli
sul potenziale impatto del Nuovo Accordo, portando alla luce eventuali
problematiche prima che quest’ultimo diventi formalmente operativo.
63. La CTF si assumerà la responsabilità di
analizzare nuovi prodotti bancari e le implicazioni che gli sviluppi nei processi
di gestione del rischio potranno avere sul nuovo schema anche dopo la sua
entrata in vigore a fine 2006. Il Comitato è consapevole del fatto che le
prassi in uso nel settore mutano con l’andar del tempo e che talune aree
evolvono più rapidamente di altre. I metodi IRB e gli AMA intendono in
particolare rispecchiare le prassi corrette prevalenti nel settore. Altri
ambiti del nuovo schema, come ad esempio il trattamento delle
cartolarizzazioni, dovrebbero essere abbastanza flessibili da adattarsi ai
nuovi sviluppi, ove necessario. Il Comitato intende inoltre considerare taluni
aspetti, quali la revisione del trattamento di esposizioni potenziali connesse
con gli strumenti derivati OTC, che non è stato possibile affrontare nel
Basilea 2.
64. Il Comitato ha tratto notevole
beneficio dal costante e fattivo dialogo con gli esperti del settore. Per
continuare a interagire in modo altrettanto proficuo, esso continuerà ad
esplorare nuove e migliori opportunità affinché gli operatori di mercato
possano concorrere allo sviluppo di proposte volte ad allineare i requisiti
patrimoniali prudenziali con le prassi corrette prevalenti. I futuri scambi di
vedute fra banche e autorità di vigilanza sull’evoluzione nella gestione del
rischio saranno di valido ausilio al Comitato nell’assunzione di decisioni
intese ad assicurare la coerenza del nuovo schema negli anni a venire.
Applicazione
su scala internazionale
65. Una efficace vigilanza di grandi
organizzazioni bancarie presuppone inevitabilmente una più stretta
collaborazione fra operatori del settore e autorità di supervisione. Il Nuovo
Accordo è destinato ad annettere alle tematiche internazionali una importanza
ancor maggiore di quella ricevuta attualmente. Il Comitato ritiene che le
esistenti responsabilità a livello internazionale degli organi di vigilanza,
così come stabilite nei documenti sul “Concordato di Basilea” e i “Requisiti
minimi”, continueranno ad essere valide anche durante la transizione al Nuovo
Accordo. Nondimeno, quest’ultimo postula il potenziamento in termini pratici
della cooperazione fra le varie autorità preposte, soprattutto per ciò che
concerne la vigilanza incrociata di gruppi bancari internazionali complessi. In
particolare le autorità di vigilanza dovrebbero, ove possibile, evitare
ridondanze e scoordinamenti nei processi di approvazione e convalida, al duplice
scopo di ridurre gli oneri di attuazione in capo alle banche e di liberare
risorse per la stessa funzione prudenziale. Di conseguenza, nella
implementazione del Nuovo Accordo il Comitato auspica che le autorità
chiariscano nel miglior modo possibile ai gruppi bancari interessati la
demarcazione dei ruoli rispettivi della vigilanza del paese di origine e di
quella del paese ospitante, cosicché non vi siano dubbi circa i dispositivi per
la pratica applicazione dei precetti.
66. L’attuazione su scala mondiale del
Nuovo Accordo non modificherà le responsabilità giuridiche degli organi di vigilanza
in materia di regolamentazione delle organizzazioni bancarie nazionali e di
consolidamento. Ciò premesso, il Comitato riconosce che le autorità del paese
di origine potrebbero non disporre al loro interno delle risorse per reperire
le informazioni necessarie a una efficace applicazione del Nuovo Accordo.
Conseguentemente, l’AIG sta elaborando una serie di principi volti ad agevolare
una più stretta collaborazione sul piano pratico e lo scambio di informazioni
fra le autorità.
67. Il Comitato caldeggia vivamente il
principio del ‘mutuo riconoscimento’ per le banche attive a livello
internazionale in quanto cardine della cooperazione prudenziale internazionale.
Questo principio implica da un lato la necessità di riconoscere i comuni
approcci all’adeguatezza patrimoniale allorché viene presa in esame la rete
periferica di queste banche nelle rispettive giurisdizioni ospitanti, e
dall’altro la desiderabilità di rendere minime le divergenze esistenti fra le
varie regolamentazioni nazionali sull’adeguatezza patrimoniale dei paesi di
origine e di quelli ospitanti, al fine di evitare oneri eccessivi a carico
delle filiazioni bancarie.
Fasi successive
68. Il Comitato pubblica in data odierna il
presente pacchetto di proposte a fini di consultazione. Gli interessati disporranno
di un periodo di tre mesi per l’esame del CP3 e dovranno far pervenire i propri
commenti al riguardo entro il 31 luglio 2003 alle autorità nazionali di
vigilanza e alle banche centrali competenti. I commenti potranno altresì essere
inviati direttamente all’attenzione del Segretariato del Comitato di Basilea
per la vigilanza bancaria presso la Banca dei Regolamenti Internazionali,
CH-4002, Basilea, Svizzera, o all’indirizzo di posta elettronica
BCBS.Capital@bis.org o ancora via fax al numero +41 61 280 9100.
69. Il Comitato intende pubblicare sul
proprio sito web i commenti ricevuti durante il periodo di consultazione, ad esclusione
di quelli riportanti in chiaro la dizione ‘confidenziale’. Sulla base dei
commenti pervenuti, il Comitato valuterà l’esigenza di ulteriori modifiche alle
sue proposte. È prevedibile che, come in passato, questo processo fornisca
validi elementi conoscitivi, concorrendo alla stesura di un Accordo in grado di
promuovere ulteriormente la stabilità del sistema bancario internazionale. Il
Comitato si augura di mettere a punto il Nuovo Accordo nel corso del quarto
trimestre 2003, in modo da consentirne l’introduzione da parte dei paesi membri
secondo il calendario prefissato.
PARTE II: MODIFICHE RISPETTO ALLA “QIS 3
TECHNICAL GUIDANCE”
Introduzione
70. A partire dalla pubblicazione della
“QIS 3 Technical Guidance” il Comitato ha dedicato molto tempo all’affinamento
delle sue proposte per il Nuovo Accordo. Ogni tornata di consultazioni con gli
operatori del settore ha condotto a modifiche volte a rafforzare la sensibilità
al rischio del nuovo schema e a generare requisiti patrimoniali ampiamente in linea
con gli obiettivi stabiliti dal Comitato. Anche i cambiamenti proposti nel CP3
rispecchiano questo intendimento.
71. Durante tutto il processo di revisione
dell’Accordo vigente il Comitato ha adottato varie iniziative per notificare le
decisioni assunte. Ad esempio, le modifiche apportate alle proposte contenute
nel secondo pacchetto di consultazione del Comitato sul Nuovo Accordo sono
state illustrate nel comunicato stampa del 10 luglio 2002; inoltre, una parte significativa
del documento di accompagnamento alla “QIS 3 Technical Guidance” ha analizzato
le motivazioni di fondo di tali cambiamenti. Di conseguenza, questa presentazione
affronta unicamente le modifiche alle proposte relative al primo pilastro
(requisiti patrimoniali minimi) rispetto a quelle contenute nella “QIS 3
Technical Guidance” dell’ottobre 2002. Il presente documento si prefigge
pertanto di consentire ai lettori che hanno seguito gli sviluppi del Basilea 2
di focalizzare l’attenzione sulla sostanza delle modifiche più recenti.
Riconoscimento degli accantonamenti
72. Ai sensi del metodo IRB le banche sono
autorizzate a riconoscere gli accantonamenti nella compensazione delle perdite
attese (“expected loss” – EL) sulle attività ponderate per il rischio. Per la
maggior parte delle esposizioni, la porzione EL di attività ponderate per il
rischio è data dal prodotto 12,5 x PD x LGD x EAD. Il Comitato ha ulteriormente
esaminato il trattamento degli accantonamenti generali delineato nella “QIS 3
Technical Guidance”. Esso propone ora di aggiustare i criteri per il
riconoscimento degli accantonamenti eccedenti l’ammontare che può essere
incluso nel patrimonio supplementare. Gli accantonamenti al disopra di questa
soglia massima possono continuare ad essere utilizzati per la compensazione
‘partita contro partita’ ai fini dei requisiti patrimoniali IRB, ma solo nella
misura in cui anche la porzione EL di tali requisiti supera l’ammontare massimo
degli accantonamenti riconosciuti per l’inclusione nel patrimonio
supplementare.
73. Il Comitato riconosce che l’interazione
fra accantonamenti generali – specie quelli attualmente ricompresi nel patrimonio
supplementare – e perdite attese può essere considerata da diverse angolazioni.
Un trattamento alternativo di tali accantonamenti, tuttavia, si ripercuoterebbe
in maniera diversa sui coefficienti del patrimonio di base e totali. In
pratica, non sarebbe possibile distinguere questo impatto da una ridefinizione
degli elementi che compongono il patrimonio di vigilanza. Il Comitato ha deciso
di non prendere iniziative al riguardo nell’ambito del processo di revisione
del Basilea 2. Esso resta del parere che eventuali modifiche alla definizione
di capitale debbano essere considerate esclusivamente nell’ambito di un più
ampio processo di revisione che includa tutti gli aspetti di questa
definizione.
74. Il Comitato ha inoltre provveduto a
modificare il trattamento dei crediti in mora nel metodo standard al fine di consentire
un riconoscimento parziale dei relativi accantonamenti. Le ponderazioni di
rischio per i prestiti scaduti (al netto degli appositi fondi rettificativi e
di eventuali garanzie reali o personali idonee) variano a seconda dell’entità
degli accantonamenti specifici a fronte del credito in essere. Ad esempio, si
applica una ponderazione del 100% allorché tali accantonamenti raggiungono
almeno il 20% dell’ammontare in essere del prestito. In assenza di
accantonamenti specifici, i crediti scaduti
devono essere ponderati al 150%. Inoltre, ove il credito in mora sia pienamente
coperto da forme di garanzia reale non altrimenti riconosciute nel metodo
standard, si può applicare una ponderazione del 100% solo se gli accantonamenti
toccano almeno il 15% dell’ammontare in essere del prestito.
Cfr.
rispettivamente i paragrafi 342-348 e i paragrafi 48-51
Esposizioni “retail” rotative qualificate
75. L’inclinazione della curva di
ponderazione del rischio per le esposizioni “retail” rotative qualificate
(ERRQ) è stata modificata per tener conto dei risultati dello studio di
impatto. La correlazione massima è stata abbassata dal livello di 0,15 previsto
nella “QIS 3 Technical Guidance” a 0,11. Di fatto, la funzione consente ora di
coprire con i proventi netti futuri il 75% delle perdite attese.
76. Il Comitato riconosce che un livello
particolarmente basso dei requisiti patrimoniali a fronte di ERRQ possa fornire
alle banche un incentivo a modificare le loro politiche di prestito al consumo.
In particolare, questo trattamento potrebbe indurre le istituzioni a
strutturare il credito al dettaglio nella forma di esposizioni rotative, come
quelle connesse con carte di credito, anziché di prestiti personali non
garantiti con vincolo di durata.
77. Nel terzo studio di impatto
quantitativo non era stato richiesto alle banche di prevedere l’impatto potenziale
dell’emissione di carte di credito in luogo della concessione di prestiti
personali privi di garanzia. Un tale mutamento di strategia nel finanziamento
al dettaglio potrebbe perciò abbassare i requisiti patrimoniali al disotto del
livello che il Comitato ha giudicato accettabile in sede di riscontro dei
risultati del QIS 3. Il Comitato prenderà in esame l’impatto di tali mutamenti
nell’ambito della costante opera di revisione del Basilea 2 e della verifica
delle soglie minime transitorie sul livello complessivo di capitale.
78. Più in generale, i paesi membri del
Comitato intendono monitorare attentamente le procedure di classificazione dei
crediti adottate dalle banche, e cercheranno di garantire uniformità di
trattamento in sede ispettiva o in altro modo. In particolare, sarà loro cura
far sì che le banche non procedano a riclassificare i prestiti al precipuo
scopo di minimizzare i requisiti patrimoniali.
Cfr. i
paragrafi 202-203 e i paragrafi 299-300
Crediti garantiti da ipoteca su immobili
residenziali
79. Il Comitato propone inoltre di
applicare, come misura temporanea, una LGD minima del 10% alle esposizioni “retail"
garantite da proprietà immobiliare. Vista la possibilità di cicli assai lunghi
dei prezzi immobiliari che i dati a breve termine potrebbero non cogliere
adeguatamente, durante il triennio di transizione successivo all’adozione dei
metodi IRB le LGD sulle esposizioni al dettaglio garantite da ipoteca su
immobili residenziali non potranno essere fissate al disotto del 10% per alcun
sottosegmento dell’esposizione. Il Comitato intende riesaminare la necessità di
questa soglia minima nel corso del periodo di transizione.
80. Il Comitato ha inoltre assunto alcune
iniziative per uniformare maggiormente l’ammontare di patrimonio richiesto a
fronte di mutui su ipoteche residenziali nei metodi standard e IRB. I prestiti
integralmente garantiti da ipoteca su immobili residenziali che sono o saranno
occupati dal mutuatario oppure che sono concessi in locazione riceveranno una
ponderazione di rischio pari al 35% nell’ambito del metodo standard.
Cfr.
rispettivamente i paragrafi 235 e 45
Esposizioni creditizie specifiche
(“Specialised Lending” – SL)
81. Ai sensi dello schema IRB le
esposizioni SL costituiscono un sottosegmento del portafoglio bancario
“corporate”. Esse si riferiscono generalmente al finanziamento di singoli
progetti il cui rimborso dipende in ampia misura dalla performance del
portafoglio o della garanzia sottostanti. All’interno di questo sottosegmento
il CP3 prevede un trattamento separato per le esposizioni a fronte di ipoteche
su immobili non residenziali che presentino, rispetto ad altre forme di SL, una
più elevata volatilità del tasso di perdita. I finanziamenti di questo tipo sono
definiti esposizioni relative a immobili commerciali ad alta volatilità (“High
Volatility Commercial Real Estate” – HVCRE).
82. Come delineato nella "QIS 3
Technical Guidance”, le banche che non soddisfano i requisiti per la stima
della PD stabiliti nel metodo IRB per i crediti verso imprese sono tenute ad
attribuire i loro rating interni per le SL a cinque categorie prudenziali,
ognuna delle quali associata a una specifica ponderazione del rischio. Le
ponderazioni regolamentari per gli HVCRE sono più elevate di quelle applicate
ad altre esposizioni SL in considerazione del maggiore potenziale di rischio.
Vengono forniti appositi criteri di raccordo per assistere le banche nelle
operazioni di riclassificazione.
83. Il CP3 consente inoltre alle banche – a
discrezione delle autorità nazionali di vigilanza – di utilizzare le categorie
prudenziali per attribuire ponderazioni preferenziali di rischio alle
esposizioni classificate nei livelli ‘alto’ e ‘buono’. Per poter effettuare
siffatta assegnazione devono essere rispettate alcune condizioni, come ad
esempio il fatto che l’esposizione SL abbia una durata residua inferiore a 2,5
anni, o che l’autorità di vigilanza abbia accertato che le caratteristiche di
rischio delle banche siano sostanzialmente migliori di quanto previsto dai
criteri di classificazione per la rispettiva categoria prudenziale.
Cfr. i
paragrafi 244-246 e i paragrafi 249-251
Immobili commerciali ad alta volatilità
84. Come accennato, il trattamento sopra
descritto si applica anche agli HVCRE. Il Nuovo Accordo compie un ulteriore
passo avanti introducendo l’adozione dei metodi IRB di base e avanzato a
discrezione delle autorità nazionali di vigilanza. Tale iniziativa è volta a
conseguire una maggiore sensibilità al rischio in questo ambito. I due approcci
IRB per le esposizioni HVCRE ricalcano sotto ogni aspetto i sistemi IRB
generali per le esposizioni “corporate”, eccettuata una distinta funzione di
ponderazione del rischio. Le banche che non si conformano ai requisiti per le
stime di LGD ed EAD da applicare ai prestiti HVCRE dovranno avvalersi dei
parametri prudenziali previsti per le esposizioni “corporate”. Cfr. i paragrafi 252-253
Derivati su crediti
85. In seguito ad ampie e proficue
consultazioni con gli addetti al settore, il Comitato ha deciso di introdurre
un cambiamento significativo nello schema di mitigazione del rischio di
credito. In futuro le banche potranno riconoscere a fini patrimoniali i
derivati su crediti che non facciano riferimento a ristrutturazioni solo nella
misura in cui esse abbiano il pieno controllo sulla decisione di rinegoziare o
meno l’obbligazione sottostante. Durante il periodo di consultazione per il CP3
il Comitato intende inoltre esplorare trattamenti prudenziali alternativi per i
derivati su crediti le cui clausole non contemplino la ristrutturazione fra gli
eventi creditizi che innescano l’obbligo di pagamento.
Cfr.
paragrafo 162a)
Cartolarizzazione
86. Successivamente alla pubblicazione del
suo secondo documento di lavoro sulle cartolarizzazioni nell’ottobre 2002, il
Comitato ha impegnato il settore in un vasto dibattito incentrato in
particolare sul trattamento IRB di questa tipologia di operazioni. Durante tale
periodo le banche hanno manifestato il loro consenso alle motivazioni di ordine
tecnico alla base della “supervisory formula” (SF), mettendo però in
discussione le deroghe regolamentari applicabili alle posizioni ad alto grado
di subordinazione e quelle relative alla prelazione di primo grado oltreché,
per estensione, ai rating creditizi più alti. Si rammenta che la SF era stata
principalmente concepita per la determinazione da parte delle banche “originator”
dei requisiti patrimoniali a fronte di talune esposizioni derivanti da
cartolarizzazione prive di rating. Anche altre banche possono utilizzare la SF,
purché dispongano di informazioni dettagliate sul pool di attività sottostanti
e siano a ciò autorizzate dall’autorità di vigilanza, dato che la formula
include il requisito patrimoniale IRB fra gli input primari.
87. Nel CP3 il Comitato riafferma la
necessità che le banche portino in deduzione dal capitale le posizioni con
elevato grado di subordinazione. Le “originator” devono detrarre tutte le
posizioni che si situano al disotto della soglia KIRB. Analogamente, le banche
che investono in operazioni di cartolarizzazione allestite da organizzazioni
terze devono dedurre le posizioni sprovviste di rating o aventi un basso merito
di credito. Il Comitato reputa che questa prescrizione sia necessaria per incoraggiare le banche a non conservare né assumere il rischio associato
con queste poste che, per loro stessa natura, risultano le più rischiose
dell’intero processo. Con riferimento alla posizione a più alto grado di prelazione
(“senior”) in una operazione di cartolarizzazione, i modelli per il rischio di
credito utilizzati per la SF indicano un coefficiente patrimoniale dello 0%.
Secondo il Comitato, tutte le posizioni connesse con tali operazioni espongono
in certa misura le banche al rischio creditizio, ed è pertanto opportuno
mantenere la soglia minima di 56 punti base prevista in caso di utilizzo della
SF. Recependo i suggerimenti scaturiti dalle consultazioni con gli addetti del
settore, il Comitato ha provveduto a snellire nel complesso l’applicazione
della “supervisory formula”. 88. Lo schema per le cartolarizzazioni è stato
modificato in ciò che attiene al trattamento delle linee di liquidità e, in particolare,
ai criteri per il loro riconoscimento. Un ulteriore cambiamento è stato
introdotto per le banche che adottano i metodi IRB: ove forniscano
facilitazioni di liquidità, esse sono tenute in via continuativa a calcolare il
KIRB a fronte delle esposizioni nel portafoglio sottostante o, in caso
contrario, portare queste ultime in detrazione dal patrimonio. Le modalità di
calcolo del KIRB dipendono dalla tipologia di esposizione sottostante. Ad
esempio, le banche devono calcolare il KIRB relativamente a ciascuna singola
esposizione “corporate” costituente il pool (approccio “bottom-up”). Del pari,
il coefficiente patrimoniale può essere computato a livello di portafoglio
complessivo (approccio “top-down”) nel caso in cui questo includa esposizioni
al dettaglio o crediti commerciali acquistati (“purchased receivables”) idonei.
89. I rappresentanti del settore hanno
accolto favorevolmente la possibilità di utilizzare l’approccio “top-down” per
determinare i requisiti patrimoniali a fronte delle linee di liquidità mediante
il ricorso alla SF. Tuttavia, essi hanno manifestato perplessità circa la
ristretta applicazione di tale approccio ai soli “receivables” garantiti,
ovvero a quelli non garantiti con durata residua pari o inferiore a 1 anno.
Considerato che le cartolarizzazioni implicano di solito crediti commerciali
non garantiti di più lunga scadenza, la prescrizione relativa alla durata
residua di 1 anno è stata allentata in via del tutto eccezionale. Le banche
potranno avvalersi dell’approccio “top-down” per il calcolo dei requisiti
patrimoniali IRB qualora le autorità di vigilanza abbiano constatato, fra le
altre cose, che l’impiego del “bottom-up” per le linee di liquidità sarebbe
eccessivamente oneroso. La richiamata prescrizione resta valida nei casi in cui
l’approccio “top-down” venga applicato al di fuori dello schema di
cartolarizzazione.
90. Ove una banca non reputi pratico
l’impiego dei due approcci per il calcolo del KIRB (“bottom-up” o “top-down”),
essa potrà temporaneamente utilizzare – in via straordinaria e con il consenso
dell’autorità di vigilanza – una metodologia analoga a quella prevista dal
metodo standard per la determinazione del coefficiente patrimoniale a fronte
delle linee di liquidità ammesse.
Cfr. i
paragrafi 574 e 603
Rischio operativo
91. Allo scopo di agevolare l’adozione
degli AMA (più sensibili al rischio) da parte delle banche attive a livello
internazionale e di quelle con significative esposizioni al rischio operativo,
il Comitato è disposto ad ammettere un’applicazione parziale di tali metodi.
Come proposto nel CP3, le banche possono utilizzare l’approccio dell’indicatore
semplice (“basic indicator approach”) o quello standard a fronte del rischio
operativo per alcune delle loro attività operative, e un approccio AMA per
altre, a condizione che la totalità dei rischi rilevanti all’interno
dell’organizzazione bancaria sia colta su base globale e consolidata. Una banca
non potrà tuttavia tornare ad adottare uno degli approcci semplificati qualora
sia stata facoltizzata a utilizzarne uno più avanzato, a meno che non sia
l’autorità di vigilanza a consigliarla in tal senso.
92. Grazie a una ulteriore modifica
apportata agli AMA, le banche che impiegano questi approcci saranno in grado di
riconoscere le polizze di assicurazione fra gli strumenti di mitigazione del
rischio operativo in sede di calcolo degli obblighi di capitale. Purché vengano
rispettati i criteri minimi stabiliti nel CP3, una istituzione può riconoscere
i contratti assicurativi per un ammontare non eccedente il 20% del suo requisito
patrimoniale totale a fronte del rischio operativo.
93. Dai risultati del terzo studio di
impatto quantitativo del Comitato si evince che gli approcci semplificati
(quello dell’indicatore semplice e lo standard) per il trattamento del rischio
operativo hanno generato, per le banche del G10, coefficienti patrimoniali
generalmente in linea con l’obiettivo del 12% attualmente stabilito per il
relativo patrimonio minimo di vigilanza. I risultati hanno tuttavia mostrato
una significativa variabilità per banche ubicate in paesi diversi che, stando
alle analisi condotte successivamente, deriverebbe dal nesso fra reddito lordo
e rischio di credito per il tramite del livello dei
margini che le banche percepiscono sui prestiti. Per talune istituzioni, un
coefficiente basato sul reddito lordo si tradurrebbe in una duplicazione del
computo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito.
94. Per evitare una siffatta conseguenza,
le autorità nazionali di vigilanza potranno discrezionalmente autorizzare gli
istituti di loro competenza a usare un approccio standard alternativo nella
misura in cui esse accertino i vantaggi derivanti da tale utilizzo (ad esempio,
eliminazione del doppio calcolo del rischio). Il metodo alternativo introduce
un fattore basato sul volume (crediti e altre attività del “banking book” in
luogo del reddito lordo) per il “retail banking” e il “commercial banking”,
fermi restando i fattori relativi alle altre linee di attività. Inoltre,
anziché suddividere il reddito lordo fra le rimanenti sei linee (escluse le due
dianzi menzionate), le banche possono applicare un più prudente fattore beta
(ß) del 18% al corrispondente ammontare aggregato del reddito lordo al fine di
ottenere un requisito patrimoniale anch’esso più prudente.
Cfr. i
paragrafi 610, 611 e 637, nonché la nota 91
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