Confederazione Generale
Italiana dei Trasporti e della Logistica
00198 Roma - via Panama
62 - tel. 06/8559151 - fax 06/8415576
e-mail: confetra@tin.it
- http://www.confetra.com
|
Roma, 4
dicembre 2003
Circolare n.128/2003
Oggetto: Porti – Assetto contrattuale
– Sentenza del TAR Lazio n. 10644 del 25.11.2003
Accogliendo integralmente il ricorso
presentato dal Comitato Nazionale dell’Utenza Portuale, la sentenza in oggetto
ha precisato che il CCNL porti del 27.7.2000 non ha efficacia generale e la sua
applicazione, contrariamente a quanto sostenuto nella nota ministeriale del
17.2.2001, non può essere estesa indistintamente a tutte le imprese operanti in
ambito portuale. Conformemente ai princìpi
generali dell’ordinamento italiano, il contratto in questione vincola solo le
aziende aderenti alle associazioni firmatarie (Assoporti,
Fise e Assologistica), mentre per tutte le altre aziende rimane ferma
l’applicazione del contratto stipulato dalle rispettive associazioni di
riferimento (ad esempio CCNL trasporto merci per le aziende aderenti a
Fedespedi).
Il TAR ha dunque ribaltato la tesi
ministeriale del CCNL unico di riferimento fondata su un’interpretazione
estensiva dell’art. 17 della legge n. 84/94. Secondo il TAR
infatti quella norma si riferisce esclusivamente ai lavoratori
temporanei (cioè ai dipendenti o soci delle ex compagnie affittati
per lo svolgimento di operazioni portuali), i quali non hanno di per sè un trattamento omogeneo e unico a differenza dei
dipendenti delle altre imprese che operano nei porti il cui rapporto di lavoro
subordinato è già disciplinato, impresa per impresa, categoria per categoria,
dai CCNL di comparto.
Inoltre, sempre secondo il TAR, la stessa
procedura seguita per giungere alla stipula del CCNL
porti non ha rispettato i criteri fissati dalla citata legge n. 84. Alla
trattativa, infatti, hanno partecipato solo alcune delle associazioni datoriali interessate alla regolazione del lavoro
temporaneo, non essendo state coinvolte varie categorie dell’utenza portuale
(armatori, spedizionieri e agenti marittimi).
Nelle prossime settimane sullo stesso tema
sono attese altre tre sentenze del TAR del Lazio relative ai
ricorsi presentati rispettivamente da Fedespedi, Federagenti
e Confitarma per chiedere l’annullamento dei provvedimenti
con cui alcune Autorità portuali avevano fatto proprie le indicazioni
ministeriali sull’efficacia del CCNL porti.
Si fa riserva di tornare sull’argomento per ulteriori approfondimenti non appena disponibili le nuove
sentenze.
f.to dr. Piero
M. Luzzati |
Per riferimenti confronta circ.re conf.le n. 67/2001 |
|
Allegato uno |
|
M/t |
© CONFETRA – La riproduzione totale o parziale è
consentita esclusivamente alle organizzazioni aderenti alla Confetra. |
SENTENZA N.10644 DEL 25 NOVEMBRE 2003
Repubblica Italiana
In nome del popolo italiano il Tribunale amministrativo regionale del Lazio,
sede di Roma, sez. 3°-ter, composto dai signori Francesco CORSARO, Presidente,
Silvestro Maria RUSSO, Consigliere, relatore,
Stefania SANTOLERI, Consigliere, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 5308/2001, proposto dalla MARITTIMA SPEDIZIONI s.r.l., dalla ASCHERI & C. s.r.l. e
dal COMITATO NAZIONALE DI COORDINAMENTO DEGLI UTENTI E DEGLI OPERATORI
PORTUALI, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dai proff. Mattia PERSIANI e Filippo
SATTA ed elettivamente domiciliati in Roma, via P.L.
da Palestrina n. 47,
CONTRO
il MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI ed il MINISTERO DEL
LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona dei rispettivi sigg. Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura
generale dello Stato, domiciliataria
E NEI CONFRONTI
- della ASSOCIAZIONE DEI PORTI
ITALIANI – ASSOPORTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, controinteressata,
rappresentata e difesa dall’avv. Gaudenzio PIERANTOZZI ed elettivamente
domiciliata in Roma, alla via degli Scipioni n. 284 e
- della FILT-CGIL, della FIT-CISL e della
UIL Trasporti, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, controinteressate,
rappresentate e difese dal prof. Michele MISCIONE e dagli avvocati Davide MONTANARI,
Antonio PELLEGRINI e Sergio VACIRCA ed elettivamente
domiciliate in Roma, alla via Flaminia n. 195,
PER L’ANNULLAMENTO
della nota prot. n.
DEM3/382 del 7 febbraio 2001, con cui il Direttore dell’UG Infrastrutture per
la navigazione e demanio marittimo presso il Ministero dei trasporti e della
navigazione ha diramato alle Autorità portuali e marittime il testo del
protocollo d’intesa e del CCL unico, stipulati tra le OO.SS.,
l’Assoporti ed altri soggetti a’sensi
dell’art. 17, c. 13 della l. 28 gennaio 1994 n. 84;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti
intimate;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 30 ottobre 2003 il Cons. dott. Silvestro Maria
RUSSO e uditi altresì, per le parti, solo i proff.
SATTA e PROIA (per delega del prof. PERSIANI) e gli avvocati PIERANTOZZI,
MONTANARI e VACIRCA;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
La MARITTIMA SPEDIZIONI s.r.l., la ASCHERI & C. s.r.l. ed il Comitato nazionale di coordinamento degli utenti e
degli operatori portuali assumono d’essere due imprese che svolgono operazioni
portuali ex art. 16 della l. 28 gennaio 1994 n. 84 e, rispettivamente,
l’associazione di categoria delle imprese che usano i servizi portuali od
operano in ambito portuale.
Detta Società e consorti rendono altresì noto che le
imprese portuali de quibus, autorizzate ex art. 16
(c.d. “senza terra”), o concessionarie ex art. 18 (c.d. “con terra”), nonché quelle di cui all’art. 21 della l. 84/1994, possono
avvalersi pure dei servigi di fornitura di lavoro temporaneo, resi loro dai
dipendenti o dai soci delle apposite imprese indicate nell’art. 17.
Ora, al fine di garantire a costoro un trattamento
normativo e retributivo minimo inderogabile, il Ministero dei trasporti e della
navigazione (ora, delle infrastrutture e dei trasporti), di concerto con il
Ministero del lavoro e della previdenza sociale (ora, del lavoro e delle
politiche sociali), promuove specifici incontri fra le OO.SS.
dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello
nazionale, le rappresentanze delle imprese dell'utenza portuale e delle imprese
ex art. 21 e l'Assoporti, per determinare la
stipulazione di un CCNL unico di riferimento. Ebbene, il 27 luglio 2000, la Assologistica, l’Assoporti e la
FISE-Uniport, da un lato e le OO.SS.
dei lavoratori portuali sottoscrissero un protocollo d’intesa, volto
a stipulare detto CCNL unico, con la precisazione che esso avrebbe regolato i
rapporti di lavoro tra le imprese ex artt. 16 e 18
della l. 84/1994, le Autorità portuali, i soggetti ex art. 17 ed i lavoratori
da esse dipendenti, compresi quelli delle imprese di
cui al successivo art. 21. Le parti contraenti s’impegnarono inoltre a
sottoporre al Governo della Repubblica tale protocollo ed il conseguente CCNL
unico, affinché ne prendesse atto ed a riferirsi al contratto stesso per
regolare i rapporti di lavoro tra i soggetti dianzi
indicati. Il CCNL unico fu poi stipulato tra le stesse parti in data 1°
febbraio 2001 ed è stato diramato alle Autorità portuali e marittime dal
Direttore dell’UG Infrastrutture per la navigazione e demanio marittimo presso
il Ministero dei trasporti e della navigazione, con la nota prot.
n. DEM3/382 del successivo giorno 7.
Avverso tale atto insorgono
allora, con il ricorso in epigrafe, detta Società e consorti innanzi a questo
Giudice, deducendo in punto di diritto, sotto vari profili, la violazione e
falsa applicazione dell’art. 17, c. 13 della l. 84/1994 e lo sviamento di
potere. Resistono in giudizio le Amministrazioni statali intimate,
che eccepiscono preliminarmente l’inammissibilità del ricorso in epigrafe per
non impugnabilità dell’atto ministeriale e per carenza di legittimazione
all’azione e, nel merito, l’infondatezza della pretesa attorea.
Anche le controinteressate OO.SS. si sono costituite nel
presente giudizio, eccependo l’inammissibilità del ricorso in epigrafe per
omessa impugnazione dell’ordinanza dell’Autorità portuale di Savona n. 10 del
15 dicembre 2001, la sopravvenuta estinzione dell’interesse azionato per
l’intervento di accordi sindacali applicativi del CCNL unico e, nel merito,
l’infondatezza della pretesa attorea. S’è costituita
in giudizio pure l’Assoporti, che conclude
per l’inammissibilità e l'infondatezza della domanda giudiziale dei ricorrenti.
Alla pubblica udienza del 30 ottobre 2003, su conforme
richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal
Collegio.
DIRITTO
1. – Con il ricorso in esame, due imprese che svolgono
operazioni portuali ex art. 16 della l. 28 gennaio 1994 n. 84 e l’associazione
di categoria delle imprese che usano i servizi portuali od operano in ambito
portuale, impugnano la nota prot. n.
DEM3 /382 del 7 giugno 2001, con cui il Ministero dei trasporti e della
navigazione ha diramato alle Autorità portuali e marittime il testo del CCNL
unico dei porti, stipulato a’sensi dell’art. 17, c.
13 della l. 84/1994 tra le OO.SS. dei
lavoratori portuali, da un lato e la Assologistica, l’Assoporti
e la FISE-Uniport, dall’altro.
2. – Anzitutto, le ricorrenti MARITTIMA
SPEDIZIONI s.r.l. ed ASCHERI & C. s.r.l., con
separati, ma identici atti sottoscritti personalmente, debitamente notificati a
tutte le parti resistenti e depositati il 23 maggio 2003, hanno rinunciato al
ricorso in epigrafe. Essendo state rispettate le formalità ex art. 46, I c.
reg. proc., devesi dar atto
di detta rinuncia, con irripetibilità, tra tutte le parti, delle spese della
procedura.
3.1. – Ciò posto, è manifestamente infondata l’eccezione
di tardività dell'impugnazione in
questione, atteso che le resistenti OO.SS. calcolano il dies a quo del
termine ex art. 21, I c. della l. 6 dicembre 1971 n. 1034 direttamente, ma in
modo erroneo, dalla data in cui l’atto gravato è stato emanato. Nondimeno, tale riferimento già di per sé non ha senso
alcuno ed ancor di più s’appalesa irrilevante,
giacché l’atto impugnato non è soggetto a necessaria pubblicazione, né tampoco
è indirizzato alle ricorrenti. In tal caso, detto termine decorre solo dalla
piena conoscenza, del cui momento di formazioni le parti resistenti, peraltro,
non forniscono alcuna contezza, né alcun serio principio di prova.
Né varrebbe obiettare che, perlomeno per la ricorrente
Associazione, essa avrebbe conosciuto il contenuto del
predetto CCNL unico fin da prima, sol perché di ciò si darebbe notizia nel
notiziario dell’Autorità portuale di Venezia n. 11 del novembre 2000. Non è chi
non veda come tal riferimento, in disparte la sua
genericità, non è di per sé attendibile, in quanto è una mera notizia di stampa,
non suffragata da una rigorosa prova sul punto. Inoltre, anche ad ammetterne la
veridicità, non è seria dimostrazione di piena conoscenza la mera affermazione
che l’Associazione ricorrente avrebbe commentato con
favore la stipulazione del predetto CCNL, posto che parte resistente non
chiarisce su che cosa in effetti sia caduto tale giudizio favorevole.
3.2. – Ancora in via preliminare, parimenti infondato è
l’assunto di parte resistente in ordine alla non
attualità dell'interesse azionato, giacché, a suo dire, le Autorità portuali o
marittime non avrebbero dato seguito all’invito contenuto nell’atto
ministeriale impugnato.
Quest’ultimo non è un mero invito, ma è la diramazione d’un atto-fonte, sì di natura negoziale, ma specificamente
promosso dal Ministero vigilante e cogente per l’ espressa
disposizione dell’art. 17, c. 13, I per. della l.
84/1994, laddove dette Autorità «…inseriscono negli atti di autorizzazione di
cui al presente articolo, nonché in quelli previsti dall'articolo 16 e negli
atti di concessione di cui all'articolo 18, disposizioni volte a garantire ai
lavoratori e ai soci lavoratori di cooperative un trattamento normativo e
retributivo minimo inderogabile…».
Come si vede, le Autorità non hanno alcuna discrezionalità
in ordine all'introduzione, nei provvedimenti di loro
spettanza a’sensi degli artt.
16/18, di siffatte disposizioni atte a garantire il trattamento de quo, tant’è che il CCNL unico di riferimento è promosso dalle
Amministrazioni resistenti appunto a tale precipuo fine. Non a caso, le
predette Autorità hanno sì titolo ad un’autonoma determinazione, a livello
locale, dei trattamenti normativi e retributivi di riferimento per
l'individuazione del minimo inderogabile, ma soltanto fino alla stipula del CCNL stesso, onde, una volta stipulato, da
questo non possono più legittimamente prescindere: tertium
non datur. Sfugge, quindi, al Collegio come tali
Autorità potrebbero mai, in presenza del CCNL unico in
parola, non farne applicazione concreta nei confronti delle imprese autorizzate
o concessionarie, senza con ciò violare la norma di garanzia, presupposto
fondante della capacità negoziale in materia, dei trattamenti minimi, chiamati
appunto inderogabili anzitutto per la P.A. che, grazie alla conformazione dei
poteri di dette imprese, li deve assicurare ai lavoratori da queste utilizzati.
S’appalesa, quindi, uno pseudoproblema
quello agitato dalle OO.SS. resistenti
(cfr. pag. 7 della memoria
di costituzione), se dovessero mancare sia il CCNL unico, sia determinazioni a
livello locale, in quanto, aldilà della responsabilità delle Autorità per
l’aperta violazione delle norme speciali sul lavoro portuale temporaneo recate
dalla l. 84/1994, comunque l'ordinamento generale appresta, già di per sé ed in
prima battuta, le idonee tutele, provvedendovi con gli artt.
4 e ss. della l. 24 giugno 1997 n. 196, ossia con l’imposizione ex lege di obblighi a carico
dell’impresa utilizzatrice di lavoratori temporanei ed a garanzia di
costoro.
Come si vede, sussiste attuale l’interesse azionato contro
la procedura di formazione ed il contenuto del cogente ed inderogabile CCNL
unico ¾di cui la nota impugnata prende atto, in
ossequio all’autonomia delle parti sociali, e ha dichiarato vigente ed efficace
in sé¾, indipendentemente da omissioni o interpretazioni più o meno
arbitrarie di dette Autorità dell’art. 17, c. 13 della l. 84/1994. D’altronde,
consta in atti la nota dell’Autorità portuale di Savona, che, in risposta all’istanza del Comitato ricorrente a non dar
seguito al CCNL de quo, afferma l’impossibilità di «…ignorare, finché vigente,
una circolare del proprio Ministero vigilante, senza incorrere in omissione di
atti d’ufficio…».
3.3. – Va poi rigettata l’eccezione di sopravvenuta
estinzione dell’interesse attoreo, per omessa
impugnazione dell’ordinanza dell'Autorità portuale di Savona n. 10 del 15
dicembre 2001, nonché del regolamento portuale, quali
atti applicativi del CCNL unico in parola.
Al più siffatta considerazione avrebbe potuto riguardare quelle, tra tutte le imprese aderenti
all’Associazione ricorrente, effettivamente operanti nell’ambito del porto di
Savona, essendo direttamente coinvolte da atti applicativi di quello impugnato
in questa sede. Del pari, all’Associazione stessa si sarebbe potuto contestare
un gravame rivolto, quale titolare di interessi
collettivi, avverso solo tale ordinanza savonese,
giacché quest’ultima, di per sé, concerne soltanto quell’ambito territoriale.
Viceversa, l’interesse azionato dalla predetta
Associazione attiene alla sua posizione di parte datoriale,
ossia d’entità rappresentativa, investita della cura e del soddisfacimento
degli interessi metaindividuali di tutte le imprese e
le associazioni aderenti, quali utenti e/o operatori portuali. Al riguardo,
l’art. 16,
c. 1 della l. 84/1994
stabilisce che sono operazioni portuali il
carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle
merci e di ogni altro materiale, svolti nell'ambito
portuale, mentre sono servizi portuali quelli riferiti a prestazioni
specialistiche, complementari e accessorie al ciclo delle operazioni portuali,
come individuati dalle autorità portuali o da quelle marittime, mercé una
specifica regolamentazione in conformità ai criteri vincolanti fissati con
decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. In
relazione all’eterogeneità delle operazione e dei servizi portuali,
invece dell'atomizzazione delle rappresentanze sindacali datoriali, ben si
comprende la competenza rappresentativa unitaria in capo al Comitato
ricorrente, nella sua qualità di soggetto titolare degli interessi collettivi
della parte datoriale nella procedura di formazione del CCNL unico. Pertanto,
il Comitato ricorrente agisce per la tutela di queste sue funzioni, per il
corretto svolgimento di tale procedura e per la non pretermissione,
da parte del CCNL unico, delle posizioni contrattuali
generale e particolari, oltreché per la
conformità del CCNL stesso alla l. 84/1994. Invero,
l’impugnazione in esame concerne un atto a contenuto generale per i suoi
(pretesi) vizi inerenti a tale interesse generale, prescindendo dalle vicende
peculiari di ciascun operatore o degli atti applicativi di questa o di quell’Autorità portuale e, in particolare, da ogn’altra questione verificatasi in concreto presso
l’Autorità portuale di Savona.
3.4. – Non maggior pregio ha l’eccezione di carenza di legittimazione attiva, in capo all’Associazione
medesima, in varia guisa sollevata dalle parti intimate che, a seconda dei
casi, affermano o che detta Associazione non è rappresentante della parte
datoriale ¾e, quindi, non ha titolo a sottoscrivere il CCNL ex art. 17, c. 13, II
per. della l. 84/1994¾, oppure che essa è rappresentante non dell’utenza portuale, bensì di
secondo grado, cioè delle organizzazioni che rappresentano gli utenti portuali.
Sul primo aspetto, in virtù del citato art. 17, c. 13 ed
al fine di garantire ai lavoratori e ai soci lavoratori di cooperative portuali
un trattamento normativo e retributivo minimo inderogabile, il Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, di concerto col Ministero del lavoro e delle
politiche sociali, promuove specifici incontri fra le OO. SS.
dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello nazionale, le
rappresentanze delle imprese, dell'utenza portuale e delle imprese di cui al
successivo art. 21, c. 1 (le
ex-compagnie o gruppi portuali), e l'associazione fra le autorità portuali, per
giungere alla stipula di un CCNL unico di riferimento. Tale dato testuale è
inequivocabile e, quindi, in claris non fit interpretatio: tra i soggetti
legittimati alla stipulazione del CCNL unico, con cui le altre parti sociali
indicate dalle norma si devono incontrare ed il cui
specifico incontro va promosso dai Ministeri concertanti, rientra pure la
rappresentanza unitaria di tutta l’utenza portuale. Quest’ultima,
le cui organizzazioni di categoria sono legittimate a trattare e stipulare il
CCNL unico, non è che la denominazione generale dei
soggetti utenti portuali, a loro volta individuabili nelle imprese che svolgono
le operazioni o fruiscono dei servizi portuali ex art. 16, c. 1 della l. 84/
1994 e, come tali, possono avvalersi, a’sensi del
successivo art. 17, c. 1, della fornitura del lavoro portuale temporaneo. Anzi,
proprio coerente alla tesi delle OO.SS. resistenti, per cui non tutti i possibili operatori
economici possono ricoprire la qualifica d’utente portuale, è la legittimazione
del Comitato ricorrente a trattare ed a stipulare unitariamente per tutte
quelle, tra le Associazioni ad esso aderenti, che raggruppano le imprese
autorizzate o concessionarie in àmbito portuale. Del
pari, non è possibile distinguere ontologicamente
un’«utenza portuale» dagli «utenti portuali», perché tale tesi, sì suggestiva, non è ancorata ad alcun dato testuale o
funzionale, tant’è che l’art. 9, c. 1 della l.
84/1994 indica, tra i componenti del Comitato portuale, proprio i
rappresentanti di armatori, industriali, spedizionieri, agenti e raccomandatari
marittimi ed autotrasportatori operanti nell'ambito portuale, in una con quelli
degli imprenditori di cui ai successivi artt. 16 e
18, le cui Associazioni di categoria sono a loro volta
consociate nel Comitato ricorrente.
Né a diversa conclusione ritiene il Collegio di pervenire
con riguardo alle associazioni di categoria dei servizi portuali, che
raggruppano e curano gli interessi di imprese
anch’esse direttamente coinvolte nell’utenza portuale. Non a caso, infatti, l’ art. 2, c. 4 del DM 6 febbraio 2001 n. 132, nel definire
i servizi portuali ex art. 16 della l. 84/1994, afferma che il carattere
complementare ed accessorio delle prestazioni da ammettere come servizi
portuali è costituito dalla circostanza che, pur trattandosi di attività
distinte da quelle facenti parte del ciclo delle operazioni portuali, sono
funzionali al proficuo svolgimento di esse, contribuiscono a migliorarne la
qualità in termini di produttività, celerità e snellezza e risultano necessarie
per eliminare i residui o le conseguenze indesiderate delle attività del ciclo
3.5. – Tra dette Associazioni rientra pure, oltre a
CONFITARMA, FEDERALINEA e FEDERAGENTI e diversamente da ciò che opinano le OO.SS. stesse, la FEDESPEDI, che riunisce le imprese di trasporto e
di spedizione internazionale, compreso quello marittimo.
Com’è noto, per un verso, l’art. 419 c. nav. definisce il trasporto di cose come il contratto avente ad oggetto un carico
totale o parziale, oppure cose singole e si può effettuare su nave determinata
o su nave indeterminata, norme generali, queste, applicabili pure alla caricazione, ossia ogni qualvolta è assunto l'obbligo di
riconsegnare a destinazione un carico totale o parziale su nave determinata (cfr. l’art. 439 c. nav.). Per
altro verso, dall’art. 1739 c.c. s’evince che la differenza tra il contratto di
trasporto e quello di spedizione consiste nel fatto che, mentre nel primo il
vettore si obbliga ad eseguire il trasporto con i propri mezzi o anche a mezzo di altri ¾assumendo su di sé i rischi dell'esecuzione¾, nel secondo, che è
una sottospecie del mandato, invece lo spedizioniere s’obbliga soltanto a
concludere con altri, in nome proprio e per conto di colui che gli ha dato
all'uopo l'incarico, il contratto di trasporto (cfr.,
per tutti, Cass., III, 29 marzo 1989 n. 1489; id., 6 marzo 1997 n. 1994). Ebbene,
le imprese che svolgono siffatte attività, con ogni evidenza e quando operano
per il trasporto marittimo, appartengono a quella “categoria dei porti” cui fa
riferimento (cfr. pag. 16)
la memoria di costituzione delle OO.SS. resistenti, perché svolgono nell’àmbito
portuale operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e movimento in
genere delle merci e d’ogni altro materiale che hanno incarico di trasportare o
spedire via mare.
3.6. – In ordine, poi, al secondo
aspetto, seppur ad altri fini, già il Consiglio di Stato (cfr.
Cons. St.,
II, par. 31 maggio 2000 n. 696/2000) ha già avuto modo d’osservare, con
considerazioni da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, che il Comitato
ricorrente rientra perfettamente nella previsione dell’art. 17, c. 13, II per. della l. 84/ 1994, essendo sì un’associazione di secondo
grado, costituita dalle Associazioni rappresentanti degli utenti e degli
operatori portuali italiani, secondo le categorie imprenditoriali di cui al
citato art. 9, c. 1, lett. i).
Detto Comitato è, quindi, portatore dell’interesse
collettivo comune a tutti ed a ciascun’Associazione
consociata, a che le operazioni svolte
in ambito portuale non siano sottoposte ad illegittime
imposizioni, limitazioni od obblighi. Né è revocabile
in dubbio che pure tutte le sigle associative, coordinate e riunite nel
Comitato stesso, siano a loro volta portatrici di tale interesse, essendo le
associazioni rappresentative, sul piano nazionale, di quelle stesse categorie
produttive indicate nel ripetuto art. 9, come portatrici di specifiche esigenze
settoriali in seno al Comitato portuale, organo dell’Autorità portuale. In
definitiva, le associazioni consociate rappresentano e curano, a livello
nazionale, bisogni ed esigenze degli imprenditori aderenti e, come tali, han titolo ad assicurare il rispetto delle regole del
lavoro portuale in ciascun porto nazionale.
4. – Le parti resistenti eccepiscono altresì, in vario
modo, l’inammissibilità del ricorso in epigrafe, perché, a loro dire, la nota
impugnata non avrebbe contenuto provvedimentale,
recando un mero invito alle Autorità portuali ad assumere il protocollo
d’intesa, concluso tra le parti sociali il 27 luglio
2000, quale riferimento per l’ inserimento, negli atti autorizzativi o
concessori ex artt. 16/18 della l.
84/1994, delle prescritte disposizioni volte a garantire il trattamento minimo
inderogabile ai lavoratori colà considerati.
L’eccezione è frutto d’un
evidente equivoco e va disattesa.
Ora, la nota impugnata costituisce l’unica statuizione con
cui il Ministero intimato manifesta la propria volizione di recepire
il protocollo d’intesa, prodromico al CCNL unico e ad
imporne il contenuto, sia pur attraverso la mediazione degli atti autorizzativi
e concessori delle Autorità portuali, a tutte le imprese comunque svolgenti
operazioni portuali nei porti interessati. Anche ad ammettere che l’atto
impugnato svolga pure una funzione notiziale, non per
ciò solo ne vien meno la
caratteristica volitiva e conformativa dell’assetto
degli interessi, tra gli altri, dell’utenza portuale, recando l’indicazione di
quel trattamento minimo inderogabile che le Autorità portuali sono a loro volta
tenute ad assicurare a garanzia e tutela dei lavoratori indicati dalla norma. Invero, il protocollo d’intesa, diramato dalla nota
impugnata, è espressamente assunto quale esito della procedura dell’art. 17, c.
13, II per. della l. 84/1994, ossia di quegli
specifici incontri che detto Ministero, di concerto con il Ministero del lavoro
e delle politiche sociali, è tenuto ad intraprendere tra le parti sociali per
realizzare concretamente gli interessi di tutela indicati nel precedente I per.
La nota impugnata, pur rivolgendosi in prima battuta alle Autorità portuali, in
realtà, proprio per le caratteristiche d’inderogabilità dei trattamenti
stabiliti dal CCNL unico che recepisce e dirama,
s’inserisce automaticamente nei rapporti autorizzativi e concessori in corso,
alle predette Autorità spettando d’osservarne scrupolosamente le regole e di
dettare acconce clausole d’esecuzione a ciascun’impresa
autorizzata o concessionaria. Da ciò discende l’immediata efficacia lesiva della
nota impugnata, sotto il duplice profilo, in base alla domanda attorea, dell’erronea procedura di contrattazione e
dell’illegittimo contenuto del protocollo d’intesa recepito.
Non giova allora obiettare che non di ordine
si tratta, ma d’invito a dette Autorità, giacché l’uso di tale formalità non
elide il carattere vincolante dell’atto stesso nei loro riguardi. Se è pur vero che esse sono le uniche titolari dei rapporti ex artt. 16/18 della l. 84/1994, ciò non toglie che
tale competenza non è libera nei fini, né tampoco è discrezionale laddove deve
realizzare i profili di tutela dei lavoratori ex art. 17, essendo, piuttosto,
conformata sul punto dalle norme del CCNL unico. Né un argomento decisivo a
favore della tesi di parte resistente può trarsi dalla circostanza che la nota
impugnata sia stata sottoscritta da un dirigente di
ufficio dirigenziale generale e non dal Ministro o da un Sottosegretario, in
quanto, in virtù dell’art. 45, c.
1 del Dlg 31 marzo 1998 n. 80 (ancora vigente al
momento dell’emanazione di tale atto) ed a decorrere dalla data della sua
entrata in vigore, ogni disposizione, che conferisca agli organi di governo
l'adozione, tra gli altri, di atti di gestione, s’intendono nel senso che la
relativa competenza spetta ai dirigenti. Al riguardo, parte resistente confonde
la competenza ministeriale (recte, del Ministro) di
vigilanza sulle Autorità portuali ex art. 12 della l. 84/1994, con quella (recte, del Ministero) di promozione degli
specifici incontri di cui al successivo art. 17, c. 13, per la quale vige
invece l’ordinario criterio di riparto tra Ministro e dirigenti a’sensi dell’art. 4, commi 1 e 2 del Dlg
30 marzo 2001 n. 165.
5.1. – Passando al merito della res controversa, reputa
opportuno il Collegio, ai fini d’una miglior comprensione delle vicende di
causa, rammentare che, anche nel settore portuale, soprattutto in conseguenza di importanti arresti della giurisprudenza comunitaria, si son verificati, al contempo, due fenomeni correlati. In ossequio al principio della libertà d’impresa, affermato nei
Trattati e da svariate fonti comunitarie e ribadito nell’ordinamento nazionale
dalla l. 10 ottobre 1990 n. 287 e dalla l. 14 novembre 1995 n. 481, a fronte
della ritrazione della "mano pubblica" dalla gestione diretta delle
attività economiche e la sostituzione con maggiori potestà di verifica e
controllo su queste. Si ha così, in linea di massima, la separazione tra le
funzioni strategiche assunte ed esercitate dai pubblici poteri, quali loro fini
primari (funzioni di polizia e di sicurezza, costruzione e manutenzione delle
opere, gestione del demanio portuale, regolazione delle attività portuali) e le
attività commerciali, pur se d'interesse collettivo, svolte esclusivamente da
privati.
In particolare, già ab initio la l. 84/1994 operò siffatta separazione, nonché, con gradi d’approssimazione successiva ¾con riguardo, cioè,
all’evoluzione dell'ordinamento generale sul governo del mercato del lavoro¾, la soppressione del
monopolio del lavoro portuale.
5.2. – Prima di tale riforma, infatti, il regime giuridico
dei porti implicava, a parte la presenza delle apposite
aziende dei mezzi meccanici e dei magazzini generali, che nei porti di maggior
interesse economico l'apposito ente di settore assicurasse all'utenza i servizi
e le operazioni portuali, come diretto gestore o indirettamente, attraverso
concessionari. In ogni caso, l’art. 110, V c., c. nav.
riservava la materiale manipolazione delle merci al monopolio delle compagnie o
dei gruppi portuali, che obbligatoriamente raccoglievano tutte le maestranze
portuali, a’sensi del precedente I c. V’ era, dunque,
il generale obbligo ex lege (art. 111, IV c., c. nav.) in capo ad imprese portuali ed enti, d'impiegare solo
maestranze appartenenti ai gruppi o alle compagnie e da questi ultimi avviate
al lavoro su chiamata.
È ben vero che, già da tempo (cfr., per tutti, Cass., I, 5
novembre 1984 n. 5583), era stato circoscritto il monopolio in favore delle
compagnie o gruppi di lavoro portuale ex artt.
108, 110 e 112 c. nav. (e del connesso regolamento per la navigazione
marittima) alle sole operazioni portuali d'imbarco e sbarco delle merci, per le
quali fosse necessario l'impiego di mano d'opera, con
esclusione, perciò, di quelle effettuate soltanto con mezzi meccanici, oppure
con la sola prestazione personale dell'utente, consistente nella pura e
semplice manovra dei mezzi stessi e con la conseguente esenzione dal pagamento
delle tariffe portuali.
Nondimeno, solo grazie alla giurisprudenza comunitaria (cfr. C. giust. CEE, 10 dicembre
1991 n. 179, Merci Convenzionali Porto di Genova), anzitutto s stabilì
l'illegittimità della normativa nazionale che conferisse ad un'impresa
stabilita nello stesso Stato membro il diritto esclusivo d'esercizio delle
operazioni portuali ¾che rientrano nei servizi disciplinati dall'art. 60 del Trattato, per
i quali il precedente art. 59 sancisce l'obbligo di sopprimere le restrizioni
alla loro libera prestazione¾, imponendole di servirsi, per la relativa esecuzione, di una
compagnia portuale composta esclusivamente di maestranze nazionali. Peraltro e
indipendentemente dalla sua qualificazione d’impresa incaricata della gestione
di un servizio d'interesse economico generale ex art. 90, n. 2 Tratt., i diritti speciali
conferiti a quest’ultima e le tariffe da essa
praticate non sono giustificati da alcun’esigenza
d’adempimento della specifica missione in ipotesi affidatale, che possa ostare
all'applicazione delle norme del Trattato stesso e, in particolare delle regole
di concorrenza. A ciò ha fatto poi eco la giurisprudenza nazionale, laddove (cfr. Cass.,
sez. un., 18 novembre 1998 n. 11620) ha constatato
che, alla declaratoria d’illegittimità per contrarietà agli artt.
30, 48, 86 e 90 Tratt.
CEE della normativa dei singoli Stati membri sull’attribuzione di diritti
esclusivi d’esercizio delle operazioni portuali ad imprese nazionali, consegue
la sopravvenuta inapplicabilità delle norme di cui agli artt.
110 e 112 c. nav. (monopolio delle compagnie portuali sulle operazioni
d’imbarco, sbarco, movimentazione e depositi merci e materiali nei porti, ossia
tutto ciò che l’art. 16, c. 1 della l. 84/1994 considera operazioni portuali)
ed all’art. 203 reg. navig. marittima
(in tema di tariffe per il lavoro
portuale), incondizionatamente
estesa a tutte le strutture portuali nazionali.
5.3. – In questo contesto,
s’inserisce la legge di riforma, che ha, appunto, completamente rivisto il
sistema, partendo proprio dal superamento del monopolio de quo, il quale,
perciò, non è più nuovamente introducibile, in modo più o meno surrettizio,
nell’ordinamento nazionale.
Non a caso, l'art. 6, c. 6 della l. 84/1994 vieta
espressamente alle Autorità portuali, fuori dalle
funzioni d’indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo
delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali ed industriali
esercitate, l’esercizio, diretto o anche per tramite di partecipazioni in
società, operazioni portuali o attività ad esse strettamente connesse. Al più,
dette Autorità, in virtù della novella recata dall'art. 8-bis del DL 30
dicembre 1997 n. 457 (convertito, con modificazioni, dalla l. 27 febbraio 1998
n. 30), possono costituire società o partecipare a società aventi ad oggetto
soltanto l'esercizio di attività accessorie o
strumentali rispetto ai compiti istituzionali affidati alle autorità medesime,
anche ai fini della promozione e dello sviluppo dell'intermodalità, della
logistica e delle reti trasportistiche. L'accesso
alle operazioni portuali, viceversa, è aperto a qualunque impresa dotata d’apposita autorizzazione, al fine di realizzare l'effettiva
competizione tra le imprese, giacché l'Autorità portuale determina il numero
massimo di autorizzazioni, assicurando, però, anche il massimo della
concorrenza nel settore (art. 16, c. 7).
Alle compagnie ed ai gruppi portuali esistenti l’art. 21,
c. 1 impone invece la trasformazione in società, a pena di messa in
liquidazione e consente loro d'operare come imprese portuali ¾sotto tale profilo
assimilate a quelle previste dal precedente art. 16¾, oppure come società
di servizi d’intermediazione di manodopera in espressa deroga all'art. 1 della
l. 23 ottobre 1960 n. 1369, che sancisce il divieto d'appalto di mere
prestazioni di lavoro.
Da ciò discende, in primo luogo, che le operazioni e i
servizi portuali possono essere esercitati esclusivamente da imprese private,
soggette alla sola autorizzazione da parte dell'Autorità portuale, con o senza
la concessione anche di spazi del demanio portuale e di banchine, a’sensi
dell'art. 18 (aziende c.d. terminaliste) e previa
pubblica gara. Discende altresì che le imprese autorizzate si possano servire, per
la movimentazione della merce e per tutte le attività connesse, di personale
proprio, appunto grazie all'abrogazione degli artt.
110 e 111 c. nav. recata dall'art. 27, essendo sparito
l’antico obbligo, per le imprese (antiche concessionarie in ambito portuale)
d'avvalersi, per l'esecuzione delle operazioni stesse, esclusivamente delle
maestranze costituite nelle compagnie o nei gruppi. Da tanto discende, infine,
la facoltà di tali imprese d’ adoperare anche lavoro
temporaneo altrui, appunto fornito da appositi soggetti monopolisti ex art. 17,
c. 2 (nel testo da ultimo novellato dall’art. 3 della l. 30 giugno 2000 n. 186)
¾che in nessun caso
possono esercitare in proprio le operazioni o i servizi portuali¾, pure in deroga alla
l. 1369/1960.
5.4. – In particolare, tale
eccezione fu consentita, fin dalla formulazione originaria dell'art. 17 (cfr. c. 1), per far fronte alle
peculiarità del lavoro portuale, notoriamente soggetto ai c.d. "picchi di
manodopera" collegati all'arrivo delle navi e, comunque, al particolare
andamento del mercato relativo. Ebbene, in origine, la
fornitura di mere prestazioni di lavoro poteva esser richiesta, in deroga
all'art. 1 della l. 1369/1960, alle società o alle cooperative di cui al successivo
art. 21, ossia i soggetti derivanti dalla trasformazione ex lege
delle compagnie e dei gruppi portuali, per lo svolgimento, in regime di
concorrenza, delle operazioni portuali. Restava ferma la possibilità (c. 2) di Autorità portuali o marittime di promuovere
l’istituzione, ove non fossero costituite le società o le cooperative de quibus, di un’associazione del lavoro portuale per far
fronte alle fluttuazioni del traffico, garantendo una maggiore efficienza
all'attività del porto, con applicazione ai suoi dipendenti del CCNL vigente
per i lavoratori delle imprese di cui all'art. 16, nonché dei relativi
trattamenti previdenziali e assistenziali.
Non per un diverso scopo intervenne la novella introdotta
dall’art. 1, c. 21-ter del DL 21 ottobre 1996 n. 535 (convertito, con
modificazioni, dalla l. 23 dicembre 1996 n. 647), che riformò integralmente
l’art. 17 disciplinando la fornitura del lavoro portuale temporaneo, in attesa dell'entrata in vigore delle norme disciplinatrici
della fornitura di mere prestazioni di mano d'opera e della riforma della l.
1369/1960. All’ uopo prevedendo che le Autorità portuali o marittime
promuovessero la costituzione di un consorzio volontario, aperto a tutte le
imprese ex artt. 16, 18 e 21, solo per agevolare lo
svolgimento delle fasi delle imprese consorziate caratterizzate da variazioni
imprevedibili di domanda di manodopera, se del caso autorizzando una o più
imprese consorziate, anche in deroga all'art. 1 della l. 1369/1960 e purché
dotate di adeguato personale e risorse proprie, alla
fornitura di mere prestazioni di mano d'opera a favore di altre imprese
consorziate.
Ove non fosse costituito detto consorzio, oppure non vi
partecipasse la maggioranza delle predette imprese, le Autorità portuali o
marittime, se avessero ravvisato l'esigenza di soddisfare tali variazioni
imprevedibili, avrebbero potuto istituire l'Agenzia
per l'erogazione di mere prestazioni di manodopera, unico soggetto autorizzato
a fornirle in deroga alla l. 1369/1960 nell'ambito portuale in cui fosse
istituito.
5.5. – Anche tutto l’attuale art. 17
disciplina, integralmente ed esclusivamente, la fornitura del lavoro portuale
temporaneo, in deroga alla ripetuta legge n. 1369, alle imprese ex artt. 16 e 18. Al riguardo, già l’inequivoco
dato testuale ex c. 1, per cui «… il presente articolo
disciplina la fornitura di lavoro temporaneo…», implica che è logicamente
difficile ritenerne possibile o giustificabile l’applicazione ad altre
fattispecie di lavoro temporaneo e, a più forte ragione, a quelle di lavoro a
tempo indeterminato. In ogni caso, l’art. 17 pone un complesso di regole sì
successive, ma alternative alla l. 24 giugno 1997 n.
196, recante la fornitura in generale di lavoro temporaneo ¾in risposta alla
particolarmente avvertita esigenza d’introdurre e regolare forme di lavoro
provvisorio sulla traccia dell'esperienza francese del c.d. travail
interinaire¾, ancorché dense di richiami non solo testuali, ma soprattutto
concettuali a siffatta norma generale, come meglio si vedrà appresso.
Ora, l'erogazione delle prestazioni in parola è effettuata da un’impresa monopolista, appositamente
autorizzata dalle Autorità portuali o marittime e la cui attività è
esclusivamente rivolta alla fornitura di lavoro temporaneo per l'esecuzione
delle operazioni e dei servizi portuali ¾con esclusione, quindi, d’ogni altra attività imprenditoriale in
ambito portuale e della partecipazione in una o più delle imprese ex artt. 16, 18 e 21 della l. 84/1994¾,
individuata in base ad una procedura aperta accessibile ad imprese nazionali e
comunitarie. In caso contrario, le fornitura
delle prestazioni in parola è erogata da agenzie promosse dalle Autorità
portuali o marittime, soggette al loro controllo. La relativa gestione è
affidata ad un organo direttivo composto da
rappresentanti delle imprese di cui agli artt. 16, 18
e 21, c. 1, lett. a) e che assumono i lavoratori di cui alle società o
cooperative ex art. 21, c. 1, lett. b), ossia quelle costituite da compagnie e
gruppi portuali per la fornitura di servizi a favore di altre
imprese portuali e terminaliste, comprese le mere
prestazioni di lavoro in deroga alla l. 1369/1960. Entrambi i soggetti
prestatori, solo in caso d’insufficienza di proprio personale per far fronte
alla fornitura di lavoro portuale temporaneo, possono rivolgersi, quali imprese
utilizzatrici, ai soggetti abilitati alla fornitura di prestazioni di lavoro
temporaneo generale ex l. 196/1997.
Come si vede, il rapporto di lavoro portuale temporaneo,
anche sotto il profilo semantico identico all’omonimo istituto generale
regolato da quest’ultima, si manifesta con una
struttura trilaterale, in quanto in esso l’impresa
titolare dell’apposita autorizzazione dell’Autorità portuale, o l’agenzia ex c.
5 fornisce per un tempo e per esigenze limitati lavoratori con determinate caratteristiche
alle imprese ex artt. 16, 18 e 21, c. 1, lett. a),
che ne fanno richiesta. I lavoratori sono assunti, a tempo indeterminato o a
termine dall'impresa o dall’agenzia, quest’ultima tra
i dipendenti delle società o cooperative ex art. 21, c. 1, lett. b), per
svolgere appunto le proprie prestazioni a favore delle imprese utilizzatrici. Anche per le prestazioni ex art. 17, c. 1, pertanto, il
lavoro temporaneo è costituito da due rapporti contrattuali funzionalmente
collegati, ma ontologicamente distinti, uno
d’appalto, ossia d’utilizzazione delle prestazioni lavorative di soggetti
estranei all’appaltante e solo per il tempo ed i compiti espressamente dedotti
in appalto e l'altro di lavoro subordinato tra tali soggetti e l’impresa o
l’agenzia fornitrice. Lo schema fin qui descritto, nondimeno, è esattamente
quello evincibile dal combinato disposto dell’art. 1, c. 1 (contratto tra
l’impresa fornitrice e l’ impresa utilizzatrice) e,
rispettivamente, dell’art. 3, c. 1 (contratto tra l’impresa fornitrice ed i
suoi dipendenti da inviare, volta per volta, alle imprese utilizzatrici) della
l. 196/1997.
Non a caso, l’art. 17, c. 7 fa riferimento ad alcune
disposizioni della l. 196/1997, ma per una vicenda tutt’affatto diversa da
quella, testé evidenziata, del ricorso dei soggetti prestatori di lavoro
portuale temporaneo, a loro volta, ad imprese di lavoro c.d. “interinale”,
qualora ve ne sia bisogno. Il c. 7, invero, regola il contenuto minimo del CCNL
unico di riferimento di cui al successivo c. 13, all’uopo mutuando dalla l.
196/1997 alcuni istituti di garanzia colà contenuti e che inderogabilmente le
parti sociali individuano in sede di trattative per la stipula
del contratto stesso. La ragione è evidente e fonda la clausola di garanzia di
cui al successivo c. 13, I per.: a differenza dei dipendenti delle imprese ex artt. 16, 18 e 21, c. 1, lett. a) ¾il cui rapporto di
lavoro subordinato è già disciplinato, impresa per
impresa, categoria per categoria, dai CCNL di comparto¾, gli addetti alle
imprese o alle agenzie fornitrici di lavoro portuale temporaneo, ossia i «…
lavoratori (dipendenti delle imprese ex c. 2 e delle società ex art. 21, c. 1,
lett. b assunti nelle agenzie ex c. 5) e … soci lavoratori di cooperative (di
cui all’art. 21, c. 1, lett. b)…» di cui al citato c. 13, non hanno di per sé
un trattamento omogeneo ed unico, onde il loro CCNL unico di riferimento non
può prescindere, nonostante il regime di separatezza
del lavoro portuale, dagli istituti di minima garanzia che l’ordinamento
generale appresta ai lavoratori c.d. “interinali”. Si può, forse, discettare
sulla necessità attuale d’un regime separato per il lavoro portuale, ma al
Collegio non sfugge né la tradizionale peculiarità di tale tipo di prestazione
d’opera, né la necessità di prevedere per i relativi addetti una disciplina che
non dimentichi l’imprevedibilità (e soprattutto le
oscillazioni e le stasi) del fabbisogno di manodopera, né tampoco l’esigenza
d’assicurare ai lavoratori portuali temporanei le garanzie esistenti per tutti
i lavoratori temporanei. Si tratta di situazioni, tutte queste, che
giustificano ancor oggi una disciplina ad hoc per
questi lavoratori, solo ai quali fa riferimento il successivo c. 13, fermo
restando che tali garanzie, come ben evincesi dal dato testuale, non possono
valere né fuori dall’àmbito portuale, né, a più forte
ragione, nei confronti di lavoratori che, pur operando in quell’ambito,
godono già e di per sé del trattamento giuridico, retributivo e previdenziale
di competenza, in base a fonti legali e negoziali di pari forza formale a
quelle per cui è causa.
In particolare, s’avrà che nel CCNL ex c. 13 le parti
sociali individuino: 1) – i casi in cui il contratto
di fornitura di lavoro temporaneo possa esser concluso a’sensi
dell'art. 1, c. 2, lett. a) della l. 196/1997, ossia nelle ipotesi previste dai
CCNL della categoria d’appartenenza dell'impresa utilizzatrice, stipulati dalle
OO.SS. comparativamente più
rappresentative; 2) – le qualifiche professionali cui s’applica il divieto di
cui al successivo c. 4, lett. a), ossia quelle inerenti alle mansioni indicate
nei CCNL della categoria d’appartenenza dell'impresa utilizzatrice, il cui
svolgimento possa presentare maggior pericolo per la sicurezza del prestatore
di lavoro o di terzi; 3) – la percentuale massima dei prestatori di lavoro
temporaneo in rapporto ai lavoratori occupati nell'impresa utilizzatrice,
giusta quanto indicato nel successivo c. 8; 4) – i casi per i quali può esser
prevista la proroga dei contratti di lavoro a tempo determinato a’ sensi dell'art. 3, c. 4; 5) – le modalità di
retribuzione dei trattamenti aziendali previsti dall'art. 4, c. 2 (retribuzione
non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti di pari livello
dell'impresa utilizzatrice; divieto del trattamento previsto per la categoria
d’inquadramento di livello più basso quando tale inquadramento sia considerato
dal CCNL avente carattere solo esclusivamente transitorio; criteri per la
determinazione e corresponsione della retribuzione di risultato).
Inoltre, la profonda analogia con la disciplina della l.
196/1997 implica, in ordine alla deroga che l’art. 17
della l. 84/1994 fa all’art. 1 della l. 1369/1960, il medesimo rapporto di
coordinamento esistente tra quest’ultima e la legge
n. 196. Invero, come già accade per la norma generale sul
lavoro temporaneo, neppure l’art. 17 fa venir del tutto meno il tradizionale
divieto d’intermediazione di manodopera, la disciplina del 1960 continuando a
trovare applicazione al di fuori dei casi consentiti di fornitura di lavoro
portuale temporaneo, foss’anche da parte di
un’impresa ex artt. 16, 18 o 21, c. 1, lett.
a) nei riguardi di un’agenzia di lavoro interinale, perché detta impresa non si
può rivolgere che SOLO all’impresa ex art. 17, c. 2 o all’agenzia ex c. 5.
Pertanto, come l'art. 10, c. 1 della l. 196/1997 non ha abolito il divieto
d’interposizione fittizia di manodopera ex l. 1369/1960 nei confronti
dell'impresa utilizzatrice che ricorra alla fornitura
di prestatori di lavoro dipendente da parte di soggetti diversi da quelli cui
all'art. 2 della stessa legge n. 196, oppure che violi le disposizioni di cui
al precedente art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 (così Cass.,
sez. lav., 9 aprile 2001 n.
5232), allo stesso modo va trattata l’impresa portuale che eluda l’obbligo
d’approvvigionarsi di manodopera temporanea dai soggetti monopolisti ex art. 17
della l. 84/1997. Si tratta, con ogni evidenza, di un’ulteriore
forma di garanzia a favore dei lavoratori portuali temporanei, le cui funzione
ed utilità sono nulle per i dipendenti delle imprese portuali, il cui rapporto,
invero, non è conformato da tali norme, ma, al contrario, le loro regole
contrattuali e le altre tutele approntate dalla legge si comunicano ai
lavoratori temporanei e li salvaguardano.
6. – Così chiarito per sommi capi il quadro normativo di
riferimento, il ricorso in epigrafe s’appalesa
fondato e, come tale, è meritevole d’accoglimento nei sensi e
per le considerazioni qui di seguito indicate.
7. – Da condividere è, anzitutto, il primo assunto attoreo (pag. 10 del gravame introduttivo), laddove afferma
che l’art. 17 regola esclusivamente il lavoro portuale temporaneo, con
conseguente impossibilità di trasmettere a lavoratori terzi le regole del loro
CCNL, come il Collegio ha avuto modo finora di far presente.
Ma da accogliere è pure tutto il primo mezzo
d’impugnazione, in quanto, in effetti, l’atto
impugnato pretermette illegittimamente le ragioni di
tutte le parti sociali, ugualmente legittimate a trattare ed a stipulare il
CCNL unico di riferimento, laddove recepisce il protocollo d’intesa a suo tempo
ratificato da alcuni contraenti a guisa di testo definitivo del contratto
stesso.
Ora, non sfugge al Collegio che il Ministero intimato non possa prescindere da un testo siffatto, frutto a sua volta
di intese negoziali di per sé sole non nulle, né illecite, ma solo in attesa di
perfezionamento. Infatti, l’obbligo ex lege di promozione degli incontri con le parti sociali non esclude
che queste ultime possano, aliunde ed in via del
tutto autonoma, raggiungere comunque l’accordo nei sensi ex art. 17, c. 13. La
promozione de qua ben si potrebbe rivelare superflua qualora l’accordo
raggiunto in altra sede soddisfi, sotto i profili della completezza delle parti
stipulanti e della conformità del contenuto ai fini sottesi al c. 13, la norma
sulla contrattazione. Pertanto, per un’evidente ragione d'economia dei mezzi
giuridici, non è invocabile l'inversione o l’astrazione dalla
procedura, una volta legittimamente raggiunto il risultato, nemmeno
quando una o più parti sociali, regolarmente invitate negli incontri promossi
dal Ministero intimato, non v’abbia partecipato, oppure abbia fatto constare in
altra sede il proprio specifico assenso sull’oggetto del CCNL.
Sennonché siffatta astrazione è illegittima quando, come
nella specie, non vi sia completezza di stipulanti
legittimati e correttezza di contenuto, né certezza, secondo gli ordinari
canoni di buona fede nelle trattative e d’interpretazione secondo il contegno
delle parti, di raggiungimento del consenso, se questo è manifestato in forme
atipiche o espresse in sedi diverse dal tavolo di trattativa (p.es., dichiarazioni giornalistiche, ecc.). In tal caso, è
obbligo del Ministero intimato non già recepire
acriticamente il testo così parzialmente concordato, bensì adoperarlo a guisa
di mera piattaforma per la prosecuzione delle trattative e, quindi, promuovere
gli ulteriori incontri necessari alla perfezione dell’accordo.
Parimenti da condividere è il secondo motivo di gravame,
laddove il Comitato ricorrente lamenta l’evidente violazione del significato
dell’art. 17, c. 13 della l. 84/ 1994, da parte dei contraenti, i quali
erroneamente hanno ritenuto applicabile il contratto colà previsto a tutti
indistintamente i lavoratori di tutte le imprese comunque
operanti in ambito portuale. Già il Collegio ha avuto modo di rilevare
l'incongruenza, già sotto l’aspetto testuale ancor prima che logico, d’una tale
dilatazione delle regole di tutela, pensate dal legislatore a solo vantaggio
dei lavoratori portuali temporanei perché di per sé privi di idonee
garanzie soprattutto per i periodi di stasi delle loro prestazioni, a soggetti
di per sé ben tutelati in altra sede. Qui giova solo osservare che il
trattamento minimo inderogabile, colà previsto, non può concernere altri
soggetti che tali lavoratori, come ben evincesi dal precedente c. 7 e,
soprattutto, dal c. 15, in base al quale le parti sociali di cui al c. 13
regolano le modalità di retribuzione dei soggetti
impiegati dalle imprese e/o dalle agenzie fornitrici per le giornate di mancato
avviamento al lavoro. Né varrebbe osservare che siffatta mancata “estensione”
del CCNL unico anche ai dipendenti delle imprese portuali potrebbe implicare
una disparità di trattamento a svantaggio di questi ultimi, giacché, a parte
l’impossibilità d'individuare ex lege la categoria
dei c.d. lavoratori portuali ¾invero indefinita nei contorni, anziché lasciarne l’esatta indicazione
alla dinamica contrattuale¾, in base al c. 7
s’evince, non diversamente da ciò che accade per il lavoro “interinale” ex l.
196/ 1997, che sono tali lavoratori a comunicare il proprio trattamento
retributivo e giuridico a quelli temporanei e non mai viceversa.
8. – Il ricorso va
così accolto, ma la novità della questione e giusti motivi suggeriscono l’integrale
compensazione, tra tutte le parti, delle spese di giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez.
3°-ter, accoglie il ricorso n. 5308/2001 in epigrafe e per l’effetto annulla,
per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione, l’impugnata nota
direttoriale prot. n.
DEM3/382 del 7 febbraio 2001, meglio indicata in premessa.
Spese compensate.
Ordina all’Autorità amministrativa d’eseguire la presente
sentenza.
Così deciso in Roma, nella Camera
di consiglio del 30 ottobre 2003.
Francesco CORSARO, PRESIDENTE
Silvestro Maria RUSSO, ESTENSORE