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Roma, 20 febbraio 2004

 

Circolare n.17/2004

Oggetto: Porti – Assetto contrattuale – Ulteriori sentenze del TAR Lazio.

 

A distanza di pochi mesi il TAR si è nuovamente pronunciato sul CCNL porti del 27.7.2000 confermando che lo stesso deve essere considerato alla stregua di qualsiasi altro contratto e quindi non vincola indistintamente tutte le imprese operanti in ambito portuale ma solo quelle aderenti alle associazioni firmatarie.

 

Dopo la sentenza dello scorso novembre, che su ricorso del Comitato Nazionale dell’Utenza Portuale aveva annullato la nota ministeriale del 17.2.2001 tesa ad attribuire efficacia generale al suddetto CCNL, sono state infatti emanate altre tre sentenze su ricorsi presentati rispettivamente da Fedespedi, Confitarma e Federagenti. Tali sentenze annullano con motivazioni analoghe i provvedimenti adottati da alcune Autorità Portuali (Savona, Piombino e Cagliari) che, sulla base della citata nota ministeriale, avevano incluso l’applicazione del CCNL porti tra i requisiti necessari per ottenere l’autorizzazione a svolgere attività imprenditoriale in ambito portuale.

 

In particolare il TAR ha ribadito che l’art.17 della legge n.84/94, nel prevedere la stipula di un CCNL unico di riferimento, intendeva riferirsi esclusivamente ai lavoratori temporanei (cioè ai dipendenti o soci delle ex compagnie affittati per lo svolgimento delle operazioni portuali). Solo per questi lavoratori infatti, in quanto privi di idonee garanzie soprattutto per i periodi di non lavoro, può giustificarsi una disciplina contrattuale che fissi un trattamento omogeneo minimo. Diverso è il caso per i dipendenti delle altre imprese che operano nei porti i quali beneficiano già dei trattamenti economici e normativi previsti dai rispettivi CCNL di categoria.

 

f.to dr. Piero M. Luzzati

Per riferimenti confronta circ.re conf.le n.128/2003

 

Allegato uno

 

M/n

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SENTENZA N.714 DEL 26 GENNAIO 2004

Repubblica  Italiana In nome del popolo italiano il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter, composto dai signori  Francesco CORSARO, Presidente, Silvestro Maria RUSSO, Consigliere, relatore, Stefania SANTOLERI, Consigliere, ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

sul ricorso n. 5914/2002, proposto dalla Federazione nazionale delle Imprese di spedizioni internazionali – FEDESPEDI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dai proff. Mattia PERSIANI e Filippo SATTA ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via P.L. da Palestrina n. 47,

CONTRO

- l’AUTORITÀ PORTUALE DI SAVONA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dal prof. Francesco MUNARI e dall’avv. Luca VIANELLO ed elettivamente domiciliata in Roma, al Lungotevere Marzio n. 1 ed

- il MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI ed il MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona dei rispettivi sigg. Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria

E   NEI   CONFRONTI

- della ASSOCIAZIONE DEI PORTI ITALIANI – ASSOPORTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, controinteressata, rappresentata e difesa dall’avv. Gaudenzio PIERANTOZZI ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via degli Scipioni n. 284,

- della FILT-CGIL, della FIT-CISL e della UIL Trasporti, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, controinteressate, rappresentate e difese dal prof. Michele MISCIONE e dagli avvocati Davide MONTANARI, Antonio PELLEGRINI e Sergio VACIRCA ed elettivamente domiciliate in Roma, alla via Flaminia n. 195 e

- della FEDERAZIONE IMPRESE SERVIZI – FISE, in persona del legale rappresentante pro tempore, controinteressata, non costituita nel presente giudizio,

PER   L’ANNULLAMENTO

A) – dell’ordinanza n. 10 del 19 dicembre 2001, con cui l’Autorità portuale di Savona ha disciplinato, a’sensi dell’art. 16 della l. 28 gennaio 1994 n. 84, lo svolgimento delle operazioni e dei servizi portuali nel porto di Savona e ha approvato il relativo regolamento d’esercizio; B) – dell’allegato regolamento per l’esercizio delle operazioni e dei servizi portuali; C) – di tutti gli atti presupposti, connessi o consequenziali e, in particolare, della nota prot. n. DEM3/382 del 7 febbraio 2001, con cui il Direttore dell’UG Infrastrutture per la navigazione e demanio marittimo presso il Ministero dei trasporti e della navigazione ha diramato alle Autorità portuali e marittime il testo del protocollo d’intesa e del CCL unico, stipulati tra le OO.SS., l’Assoporti ed altri soggetti a’sensi dell’art. 17, c. 13 della l. 84/1994; D) – del contenuto di tale accordo; 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti intimate, esclusa la FISE;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 30 ottobre 2003 il Cons. dott. Silvestro Maria RUSSO e uditi altresì, per le parti costituite, i proff. SATTA e PROIA (per delega del prof. PERSIANI) e gli avvocati PIERANTOZZI, MONTANARI e VACIRCA;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

La FEDESPEDI assume d’essere l’associazione di categoria delle imprese che esercitano l’attività di trasporto e/o di spedizione internazionale, compresi quelli marittimi, onde in parte qua usano i servizi portuali od operano in ambito portuale e ne svolgono le relative operazioni ex art. 16 della l. 28 gennaio 1994 n. 84.

A tal riguardo, la FEDESPEDI dichiara, in adempimento delle proprie attività statutarie, di stipulare, insieme ad altre organizzazioni datoriali, il CCNL delle imprese di spedizione e di servizi logistici ed ausiliari del trasporto, nonché delle agenzie aeree e dei pubblici mediatori marittimi che esercitino tali attività promiscuamente a quella di spedizione, anche per i profili professionali relativi all’attività portuale. Detta Associazione rende altresì noto che pure le imprese de quibus possono essere autorizzate ex art. 16 (c.d. “senza terra”), o costituite concessionarie ex art. 18 della l. 84/1994 (c.d. “con terra”) e, come tali possono avvalersi, come d’altronde quelle di cui al successivo art. 21, pure dei servigi di fornitura di lavoro temporaneo, resi loro dai dipendenti o dai soci delle apposite imprese indicate nell’art. 17. Ora, al fine di garantire a costoro un trattamento normativo e retributivo minimo inderogabile, il Ministero dei trasporti e della navigazione (ora, delle infrastrutture e dei trasporti), di concerto con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale (ora, del lavoro e delle politiche sociali), promuove specifici incontri fra le OO.SS. dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello nazionale, le rappresentanze delle imprese dell'utenza portuale e delle imprese ex art. 21 e l'Assoporti, per determinare la stipulazione di un CCL unico di riferimento.

Ebbene, il 27 luglio 2000, la Assologistica, l’Assoporti e la FISE-Uniport, da un lato e le OO.SS. dei lavoratori portuali,   sottoscrissero un protocollo d’intesa, volto a stipulare detto CCNL unico, con la precisazione che esso avrebbe regolato i rapporti di lavoro tra le imprese ex artt. 16 e 18 della l. 84/1994, le Autorità portuali, i soggetti ex art. 17 ed i lavoratori da esse dipendenti, compresi quelli delle imprese di cui al successivo art. 21. Le parti contraenti s’impegnarono inoltre a sottoporre al Governo della Repubblica tale protocollo ed il conseguente CCNL unico, affinché ne prendesse atto ed a riferirsi al contratto stesso per regolare i rapporti di lavoro tra i soggetti dianzi indicati. Il CCNL unico fu poi stipulato tra le stesse parti in data 1° febbraio 2001 ed è stato diramato alle Autorità portuali e marittime dal Direttore dell’UG Infrastrutture per la navigazione e demanio marittimo presso il Ministero dei trasporti e della navigazione, con la nota prot. n. DEM3/382 del successivo giorno 7. Dal canto suo, l’Autorità portuale di Savona, visto il DM 6 febbraio 2001 n. 132 ¾recante i criteri vincolanti per le Autorità portuali in ordine all’emanazione dei regolamenti di disciplina dei servizi portuali¾, con ordinanza n. 10 del 19 dicembre 2001 dispose, in conformità alla cita nota prot. n. DEM3/382, l’obbligo per tutte le imprese colà operanti di dichiarare l’applicazione a tutti i loro dipendenti di condizioni contrattuali non inferiori a quelle di cui al predetto CCNL unico, a pena di non emanazione o, se del caso, di revoca dell’autorizzazione ex art. 16 della l. 84/1994.

Avverso tali atti insorge allora, con il ricorso in epigrafe, la FEDESPEDI innanzi a questo Giudice, deducendo in punto di diritto, sotto vari profili, la violazione e falsa applicazione dell’art. 17, c. 13 della l. 84/1994 e lo sviamento di potere.

Resiste nel presente giudizio l’Autorità portuale intimata, che eccepisce preliminarmente l'inammissibilità del ricorso in epigrafe per tardività, per acquiescenza e per carenza d’interesse e, nel merito, l’infondatezza della pretesa attorea. Resistono in giudizio le Amministrazioni statali intimate, che concludono per il rigetto del ricorso in epigrafe. Anche le controinteressate OO.SS. si sono costituite nel presente giudizio, eccependo l’inammissibilità del ricorso in epigrafe per tardività, il difetto di legittimazione attiva della ricorrente e, nel merito, l’infondatezza della pretesa attorea. S’è costituita in giudizio pure l’Assoporti, che conclude per l’inammissibilità e l'infondatezza della domanda giudiziale dei ricorrenti. Viceversa, la FISE, pur se ritualmente intimata, non s’è costituita nel presente giudizio, né v’ha spiegato difese.

Alla pubblica udienza del 30 ottobre 2003, su conforme richiesta delle parti costituite, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. – Come già accennato in epigrafe e, più diffusamente, nelle premesse in fatto, la presente controversia innanzi a questo Giudice muove dall’impugnazione che FEDESPEDI, associazione di categoria delle imprese che esercitano l’attività di trasporto e/o di spedizione internazionale, compresi quelli marittimi ¾le quali in parte qua usano i servizi portuali od operano in ambito portuale e ne svolgono le relative operazioni ex art. 16 della l. 28 gennaio 1994 n. 84¾, rivolge avverso un complesso di provvedimenti regolatori del lavoro portuale di cui al successivo art. 17.

In particolare, detta impugnazione è svolta nei confronti dell’ordinanza n. 10 del 19 dicembre 2001, con cui l’Autorità portuale di Savona ha disciplinato, a’sensi dell’ art. 16 della l. 84/1994, lo svolgimento delle operazioni e dei servizi portuali nel porto di Savona e ha approvato il relativo regolamento d’esercizio, nonché l’allegato regolamento per l’esercizio delle operazioni e dei servizi portuali. È altresì gravata in questa sede, quale atto presupposto, la nota prot. n. DEM3/382 del 7 febbraio 2001, con cui il Ministero dei trasporti e della navigazione ha diramato alle Autorità portuali e marittime il testo del CCNL unico dei porti, stipulato a’sensi dell’art. 17, c. 13 della l. 84/1994 tra le OO.SS. dei lavoratori portuali, da un lato e la Assologistica, l’ Assoporti e la FISE-Uniport, dall’altro.

2.1. – Non hanno pregio e vanno disattese le preliminari eccezioni di tardività dell'impugnazione in argomento, a vario titolo sollevate dalle parti resistenti.

2.2. – Anzitutto, è materialmente vero che l’impugnato regolamento dell'Autorità portuale savonese è entrato in vigore il 1° febbraio 2002, mentre il ricorso in epigrafe risulta notificato il successivo 20 maggio.

Giova, nondimeno, osservare che tale regolamento, pur se a contenuto generale ¾e, come tale, non è di per sé sottoposto ad obblighi di diretta notificazione o comunicazione ai soggetti destinatari¾, non è del pari soggetto a necessaria pubblicazione, né tampoco è stato in concreto indirizzato all’Associazione ricorrente. In tal caso, il termine ex art. 21, I c. della l. 6 dicembre 1971 n. 1034 decorre solo dalla piena conoscenza dell’efficacia lesiva dell’atto impugnato, del cui momento di formazione le parti resistenti, peraltro, non forniscono alcuna contezza, né alcun serio principio di prova.

Né può applicarsi nella specie il principio per cui la pubblicazione in albi pretori et similia, cui va attribuita la connotazione di forma di pubblicità legale, implica la presunzione di piena conoscenza in capo ai terzi non direttamente contemplati dall’ atto impugnato o comunque ai quali questo non sia espressamente riferibile (cfr., da ultimo, Cons. St., V, 15 ottobre 2003 n. 6331). Invero, siffatta pubblicazione è valida agli effetti di tale presunzione solo quando sia prescritta da una disposizione di legge, che tale conseguenza espressamente riconosca, e sia effettuata nei modi prescritti dalla disposizione stessa (cfr. Cons. St., VI, 6 marzo 2003 n. 1239). Pertanto, il difetto di una norma esplicita sulla pubblicità delle ordinanze delle Autorità portuali esclude nella specie, anche a tralasciare la circostanza che la ricorrente FEDESPEDI fosse, o no un terzo non direttamente contemplato o destinatario del regolamento de quo, l’ operatività di detta presunzione. Il difetto di prova seria ed attendibile sulla piena conoscenza, di data anteriore, dell’atto stesso non dimostra, aldilà del lasso di tempo tra la data della sua entrata in vigore e quella della notificazione del ricorso giurisdizionale, la tardività di quest’ultimo ¾tranne nell’ipotesi, che qui non si verifica, di atti generali pacificamente ed a lungo tempo eseguiti mercé provvedimenti attuativi e gravati solo in un momento assai successivo alla loro emanazione (arg. ex Cons. St., V, 27 novembre 2001 n. 5985)¾, onde non può prescindersi dal riferimento alla piena conoscenza.

È appena da osservare che, affinché si realizzi quest’ultima, occorre che gli interessati siano edotti non solo dell’esito del procedimento, ma soprattutto del discorso giustificativo che lo correda, sì da poter individuare nella statuizione gli estremi sostanziali della lesione della loro sfera giuridica (giurisprudenza consolidata: cfr., da ultimo, Cons. St., VI, 30 luglio 2003 n. 4380), specie se, come nel caso in esame, trattasi dell’impugnazione d’un atto regolamentare, a struttura ed a statuizioni complesse e solo in parte effettivamente incidenti su detta sfera (arg. ex Cons. St., V, 14 aprile 2000 n. 2228). 

2.3. – Non maggior fondatezza riveste l’eccezione per cui la piena conoscenza dell’impugnato regolamento sarebbe avvenuta, in capo all’Associazione ricorrente, fin dal momento della relativa deliberazione, avvenuta il 19 dicembre 2001 in seno al Comitato portuale di Savona, alla presenza, tra gli altri, pure del rappresentante degli spedizionieri, a suo tempo designato proprio dalla FEDESPEDI.

In linea di massima, è ben noto che la presenza del rappresentante di un’impresa, partecipante ad una gara d’appalto, alla riunione nella quale la Commissione giudicatrice svolge il procedimento di gara e decide sulla stessa (p.es., statuendo l’esclusione dell’impresa stessa) non comporta ex se piena conoscenza degli atti colà assunti (p. es., di quello d’esclusione) ai fini della decorrenza del termine d’impugnazione, qualora non risulti che costui sia munito di un mandato ad hoc, oppure rivesta una specifica carica sociale, per cui la conoscenza avuta da questi non è riferibile all'impresa concorrente, a differenza di ciò che accade nel caso in cui, invece, alla gara presenzi un procuratore speciale, munito di appositi poteri per acquisire la predetta conoscenza (giurisprudenza prevalente: cfr., da ultimo, Cons. St., V, 25 gennaio 2002 n. 416; id., 8 maggio 2002 n. 2473).

Da tale principio reputa il Collegio di poter estrarre una regola di comportamento, utile anche per la partecipazione ad una seduta di un corpo amministrativo o di un organo collegiale di un soggetto, ancorché designato in rappresentanza di interessi di settore (p.es., d’una data categoria di operatori economici), se siffatta investitura è senza vincolo di mandato e per il coordinamento, secondo regole d’imparzialità e di buon andamento dell’azione del corpo collegiale, di tutti gli interessi attribuiti dalla legge alla cura di quest’ultimo. Anche in questo caso, la partecipazione non implica di per sé sola qualsivoglia piena conoscenza, in capo a tutti i titolari di tali interessi così rappresentati dal componente del collegio o in capo all'associazione di categoria, di quanto accaduto nel corso della seduta stessa, né dell'emanazione di atti comunque incidenti nella sfera giuridica degli uni e/o dell’altra, se il designato non sia munito di un mandato ad hoc, o non rivesta pure cariche di rappresentanza giuridica degli interessi medesimi o dell’associazione. La ragione risiede nel fatto che il principio democratico di rappresentatività, su cui si basa la designazione (nella specie, del componente designato dagli spedizionieri ex art. 9, c. 1, lett. i, n. 4 della l. 84/1994 nel Comitato portuale), implica che il designato sia portatore di interessi particolari di cui occorre sentir la voce nella cura efficiente ed imparziale dell'interesse pubblico affidato al corpo amministrativo (nella specie, a detto Comitato), non già che egli operi in nome e per conto dei designanti. Il meccanismo di designazione dei componenti in seno al Comitato portuale si basa appunto sulla rappresentatività degli interessi delle varie categorie di imprenditori e di prestatori d’opera, non sull’esclusività, di tipo delegatorio, del rapporto intercorrente tra designanti e designato. Irrilevante è allora la vischiosità semantica di «rappresentatività» e di «rappresentanza», in quanto, aldilà delle assonanze, l’una è solo il metodo di collegamento tra una frazione di un corpo eligente o designante ed il corpo amministrativo che deve governare un interesse pubblico complesso, affinché la cura di questo tenga conto anche di tutti gli interessi settoriali comunque coinvolti e conformati; l’altra, invece, è lo strumento attraverso cui la cura giuridica di certi affari da parte del rappresentante sia immediatamente imputabile ai rappresentati.

Pertanto, i voti espressi dal componente in seno al Comitato portuale riguardano e sono imputabili solo a quest’ultimo e non v’è giuridico collegamento diretto con i designanti, tale da determinare, in capo a costoro, l’immediata conoscenza del contenuto e del dispositivo d’ogni statuizione da questi assunta in quella sede.

3.1. – Parimenti da respingere è l’assunto di parte resistente in ordine all'acquiescenza, da parte della ricorrente, all’impugnata ordinanza, discendente dalla partecipazione del predetto “rappresentante” alla seduta in cui tale atto fu assunto.

Invero, l’acquiescenza si fonda su atti e/o comportamenti che rivelino, in modo univoco, la volontà di un soggetto, o di un suo rappresentante munito di procura speciale, d'accettare il contenuto d’un provvedimento. Ebbene, assodato che il componente del Comitato portuale di Savona per gli spedizionieri non è il rappresentante dell'Associazione ricorrente, non constano atti univoci o concludenti di quest’ultima, intesi ad accettare detta ordinanza, a nulla rilevando al riguardo il comportamento di tale componente. L’assenza di un rapporto di delegazione tra la ricorrente e costui e del vincolo di mandato imperativo nello svolgimento della di lui attività in seno al Comitato portuale determina la reciproca autonomia delle scelte rispettive, onde nessun effetto preclusivo può provenire dai voti espressi dall’uno nei riguardi dell’altra.

Né vale obiettare che, essendo il regolamento impugnato uno snodo essenziale dell'attuazione dell’art. 17, c. 13 della l. 84/1994, l’iter della formazione di esso fu seguita con grande attenzione da parte dei vari operatori economici coinvolti e delle loro associazioni di categoria. A parte l’insufficienza di detta circostanza a fondare un’effettiva piena conoscenza di tale atto, l’attenzione così spiegata non implica accettazione sic et simpliciter del contenuto di quest’ultimo, se poi esso lede comunque la sfera giuridica degli operatori destinatari. 

3.2. – Manifestamente infondata è poi l’eccezione di difetto di legittimazione attiva in capo alla ricorrente. La circostanza che due, tra le imprese associate alla FEDESPEDI e operanti nel porto di Savona, abbiano rinunciato ad altro e separato ricorso giurisdizionale, nulla toglie o aggiunge alla competenza di tale associazione in ordine alla tutela degli interessi di tutti e di ciascun associato. La ragione è evidente: per un verso, v’è l’autonomia reciproca delle sfere giuridiche di tutti questi soggetti, le relative valutazioni, anche di spicciola convenienza, sull’impugnazione, o meno del regolamento savonese ben potendo divergere; per altro verso, difetta nella specie un serio principio di prova di parte resistente su eventuali conflitti di interesse tra FEDESPEDI ed imprese associate; per altro verso ancora non è seriamente dimostrata l’assenza di altre imprese, diverse dalle due testé menzionate, operanti nel medesimo àmbito territoriale. 

3.3. – Speciosa è poi l’eccezione di difetto dell’interesse azionato, derivante, secondo parte resistente, dal fatto che il regolamento impugnato non precluderebbe alle imprese associate a FEDESPEDI d’applicare il loro CCNL di categoria, fermo, però, l’obbligo di garantire i minimi inderogabili di cui al CCNL unico dei porti ex art. 17, c. 13 della l. 84/1994 agli operatori portuali.                                                                          

Diversamente da ciò che opina l’Autorità resistente, giova rammentare che la nota ministeriale n. DEM3/382 non è un mero invito, ma è la diramazione d’un atto-fonte, sì di natura negoziale, ma specificamente promosso dal Ministero vigilante e cogente per l’espressa disposizione dell’art. 17, c. 13, I per., laddove dette Autorità «…inseriscono negli atti di autorizzazione di cui al presente articolo, nonché in quelli previsti dall'articolo 16 e negli atti di concessione di cui all'articolo 18, disposizioni volte a garantire ai lavoratori e ai soci lavoratori di cooperative un trattamento normativo e retributivo minimo inderogabile…».

Da ciò discende che l’attuazione dell’ art. 17, c. 13 della l. 84/1994 non è rimessa direttamente alle Autorità portuali e marittime, ma consta di più fasi, spettanti a soggetti diversi e concretantisi in una pluralità di fonti concorrenti alla definizione dei predetti minimi. In particolare, dapprima v’è l’attività d’iniziativa degli specifici incontri tra le parti sociali ai fini della contrattazione collettiva, rimessa ai Ministeri competenti e, poi, la stipulazione del CCNL unico, cui accede la deliberazione attuativa ex c. 14 rimessa al Comitato portuale di ciascun’Autorità e, quindi, l'inserimento, nei provvedimenti ex artt. 16 e 18, delle disposizioni atte a garantire tali minimi inderogabili. Come si vede, le Autorità non hanno alcuna discrezionalità in ordine all' introduzione, nei provvedimenti de quibus, di dette disposizioni, tant’è che il CCNL unico di riferimento è promosso dalle Amministrazioni statali resistenti appunto a tale precipuo fine. Non a caso, le predette Autorità hanno sì titolo ad un’autonoma determinazione, a livello locale, dei trattamenti normativi e retributivi di riferimento per l'individuazione del minimo inderogabile, ma soltanto fino alla stipula del CCNL stesso, onde, una volta stipulato, da questo non possono più legittimamente prescindere: tertium non datur. D’altronde, consta in atti la nota dell’Autorità portuale di Savona, che, in risposta ad un’istanza a non dar seguito al CCNL de quo, afferma l’ impossibilità di «…ignorare, finché vigente, una circolare del proprio Ministero vigilante, senza incorrere in omissione di atti d’ufficio…».

3.4. – Ma anche ad accedere alla tesi dell’Autorità resistente, non per ciò solo vien meno l’interesse azionato, anzitutto perché la ricorrente ha adempiuto all’onere d'impugnare l’atto applicativo (il regolamento dell’Autorità portuale di Savona) in una con quello necessariamente presupposto (la nota ministeriale citata), onde l'accoglimento della domanda attorea, circa i denunciati vizi di violazione del significato dell’art. 17, c. 13 della l. 84/1994 e di sviamento che irretiscono il CCNL unico dei porti, si riverbera in parte qua pure sul predetto regolamento.

In secondo luogo, l’interesse azionato dalla predetta Associazione attiene alla sua posizione di parte datoriale, ossia d’entità rappresentativa, investita della cura e del soddisfacimento degli interessi metaindividuali di tutte le imprese e le associazioni aderenti, quali utenti e/o operatori portuali. Al riguardo, l’art. 16, c. 1 della l. 84/1994 stabilisce che sono operazioni portuali  il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale, svolti nell'ambito portuale, mentre sono servizi portuali quelli riferiti a prestazioni specialistiche, complementari e accessorie al ciclo delle operazioni portuali, come individuati dalle Autorità portuali o da quelle marittime, mercé una specifica regolamentazione in conformità ai criteri vincolanti fissati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. In relazione all’eterogeneità delle operazioni e dei servizi portuali, non è chi non veda la legittimazione rappresentativa unitaria in capo all’Associazione ricorrente, nella sua qualità di soggetto titolare degli interessi collettivi della parte datoriale sia di tutti gli spedizionieri marittimi, sia degli operatori terminalisti, ossia di imprese utenti portuali e di imprese esercenti le operazioni portuali. Del pari, non è possibile distinguere ontologicamente un’«utenza portuale» dagli «utenti portuali», perché tale tesi, sì suggestiva, non è ancorata ad alcun dato testuale o funzionale, tant’è che l’art. 9, c. 1, lett. i) indica, tra i componenti del Comitato portuale, proprio i rappresentanti di armatori, industriali, spedizionieri, agenti e raccomandatari marittimi ed autotrasportatori operanti nell'ambito portuale, in una con quelli degli imprenditori di cui ai successivi artt. 16 e 18. Ebbene, alle trattative per il CCNL unico, l’rt. 17, c. 13 chiama a partecipare non solo quelle delle imprese di cui agli artt. 16 e 18, ma pure le rappresentanze dell’utenza portuale, ossia delle cinque categorie testé menzionate. In base alla legge, quindi, la FEDESPEDI è di per sé legittimata alle trattative del CCNL unico dei porti per entrambe le categorie di imprese, operatrici o dirette utenti dei servizi portuali, onde essa agisce per il corretto svolgimento di tale procedura e per la non pretermissione, da parte del CCNL, delle posizioni contrattuali generale e particolari, oltreché per la conformità del contratto stesso alla l. 84/1994.

D’altra parte, è ben noto, per un verso, che l’art. 419 c. nav. definisce il trasporto di cose come il contratto avente ad oggetto un carico totale o parziale, oppure cose singole e si può effettuare su nave determinata o su nave indeterminata, norme generali, queste, applicabili pure alla caricazione, ossia ogni qualvolta è assunto l'obbligo di riconsegnare a destinazione un carico totale o parziale su nave determinata (cfr. l’ art. 439 c. nav.). Per altro verso, dall’art. 1739 c.c. s’evince che la differenza tra il contratto di trasporto e quello di spedizione consiste nel fatto che, mentre nel primo il vettore si obbliga ad eseguire il trasporto con i propri mezzi o anche a mezzo di altri ¾assumendo su di sé i rischi dell'esecuzione¾, nel secondo, che è una sottospecie del mandato, invece lo spedizioniere s’obbliga soltanto a concludere con altri, in nome proprio e per conto di colui che gli ha dato all'uopo l'incarico, il contratto di trasporto (cfr., per tutti, Cass., III, 29 marzo 1989 n. 1489; id., 6 marzo 1997 n. 1994). Ebbene, le imprese che svolgono siffatte attività, con ogni evidenza e quando operano per il trasporto marittimo, appartengono a quella “categoria dei porti” cui fanno riferimento le OO.SS. resistenti, perché svolgono nell'àmbito portuale operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e movimento in genere delle merci e d’ogni altro materiale che hanno incarico di trasportare o spedire via mare.

4. – In ordine, poi, alla nota ministeriale impugnata, deve il Collegio precisare che essa costituisce l’unica statuizione con cui il Ministero intimato manifesta la propria volizione di recepire il protocollo d’intesa, prodromico al CCNL unico e ad imporne il contenuto, sia pur attraverso la mediazione degli atti autorizzativi e concessori delle Autorità portuali, a tutte le imprese comunque svolgenti operazioni portuali nei porti interessati.

Anche ad ammettere che l’atto impugnato svolga pure una funzione notiziale, non per ciò solo ne vien meno la caratteristica volitiva e conformativa dell’assetto degli interessi, tra gli altri, dell’utenza portuale. Essa reca sia l’indicazione di quel trattamento minimo inderogabile, che le Autorità portuali sono a loro volta tenute ad assicurare a garanzia e tutela dei lavoratori indicati dalla norma; sia l’obbligo delle imprese d’assicurare a tutti i prestatori d’opera comunque coinvolti nelle operazioni portuali, non importa se loro dipendenti o lavoratori temporanei, siffatto trattamento. Il protocollo d’intesa, diramato dalla nota impugnata, è espressamente assunto quale esito della procedura dell’art. 17, c. 13, II per. della l. 84/1994, ossia di quegli specifici incontri che detto Ministero, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è tenuto ad intraprendere tra le parti sociali per realizzare concretamente gli interessi di tutela indicati nel precedente I per. La nota impugnata, pur rivolgendosi in prima battuta alle Autorità portuali, in realtà, proprio per le caratteristiche d'inderogabilità dei trattamenti stabiliti dal CCNL unico che recepisce e dirama, s'inserisce automaticamente nei rapporti autorizzativi e concessori in corso, alle predette Autorità spettando d’osservarne scrupolosamente le regole e di dettare acconce clausole d’esecuzione a ciascun’impresa autorizzata o concessionaria. Non è vero, quindi, che le imprese rappresentate dall’Associazione ricorrente possano mantenere le regole dei rispettivi CCNL di categoria, in quanto, in base al significato dell’art. 17, c. 13 della l. 84/1994 recepito dal CCNL unico, dalla nota ministeriale e dal regolamento savonese, il trattamento stabilito da quest’ultimo contratto si sovrappone e prevale su qualunque altra disciplina del lavoro di tutti questi prestatori d’opera.

Da ciò discende l’efficacia lesiva della nota impugnata, sotto il duplice profilo, in base alla domanda attorea, dell’erronea procedura di contrattazione e dell’illegittimo contenuto del protocollo d’intesa recepito.

5.1. – Passando al merito della res controversa, reputa opportuno il Collegio, ai fini d’una miglior comprensione delle vicende di causa, rammentare che, anche nel settore portuale, soprattutto in conseguenza di importanti arresti della giurisprudenza comunitaria, si son verificati, al contempo, due fenomeni correlati. In ossequio al principio della libertà d’impresa, affermato nei Trattati e da svariate fonti comunitarie e ribadito nell’ordinamento nazionale dalla l. 10 ottobre 1990 n. 287 e dalla l. 14 novembre 1995 n. 481, si determina la ritrazione della "mano pubblica" dalla gestione diretta delle attività economiche e la sostituzione con maggiori potestà di verifica e controllo su queste. Si ha, in linea di massima, la separazione tra le funzioni strategiche assunte ed esercitate dai pubblici poteri, quali loro fini primari (funzioni di polizia e di sicurezza, costruzione e manutenzione delle opere, gestione del demanio portuale, regolazione delle attività portuali) e le attività commerciali, pur se d'interesse collettivo, svolte esclusivamente da privati.

In particolare, già ab initio la l. 84/1994 operò siffatta separazione, nonché, con gradi d’approssimazione successiva ¾con riguardo, cioè, all’evoluzione dell'ordinamento generale sul governo del mercato del lavoro¾, la soppressione del monopolio del lavoro portuale.

5.2. – Prima di tale riforma, infatti, il regime giuridico dei porti implicava, a parte la presenza delle apposite aziende dei mezzi meccanici e dei magazzini generali, che nei porti di maggior interesse economico l'apposito ente di settore assicurasse all'utenza i servizi e le operazioni portuali, come diretto gestore o indirettamente, attraverso concessionari. In ogni caso, l’art. 110, V c., c. nav. riservava la materiale manipolazione delle merci al monopolio delle compagnie o dei gruppi portuali, che obbligatoriamente raccoglievano tutte le maestranze portuali, a’sensi del precedente I c. V’ era, dunque, il generale obbligo ex lege (art. 111, IV c., c. nav.) in capo ad imprese portuali ed enti, d'impiegare solo maestranze appartenenti ai gruppi o alle compagnie e da questi ultimi avviate al lavoro su chiamata.

È ben vero che, già da tempo (cfr., per tutti, Cass., I, 5 novembre 1984 n. 5583), era stato circoscritto il monopolio in favore delle compagnie o gruppi di lavoro portuale ex artt. 108, 110 e 112 c. nav. (e del connesso regolamento per la navigazione marittima) alle sole operazioni portuali d'imbarco e sbarco delle merci, per le quali fosse necessario l'impiego di mano d'opera, con esclusione, perciò, di quelle effettuate soltanto con mezzi meccanici, oppure con la sola prestazione personale dell'utente, consistente nella pura e semplice manovra dei mezzi stessi e con la conseguente esenzione dal pagamento delle tariffe portuali.

Nondimeno, solo grazie alla giurisprudenza comunitaria (cfr. C. giust. CEE, 10 dicembre 1991 n. 179, Merci Convenzionali Porto di Genova), anzitutto stabilì l'illegittimità della normativa nazionale che conferisse ad un'impresa stabilita nello stesso Stato membro il diritto esclusivo d'esercizio delle operazioni portuali ¾che rientrano nei servizi disciplinati dall'art. 60 del Trattato, per i quali il precedente art. 59 sancisce l'obbligo di sopprimere le restrizioni alla loro libera prestazione¾, imponendole di servirsi, per la relativa esecuzione, di una compagnia portuale composta esclusivamente di maestranze nazionali. Peraltro e indipendentemente dalla sua qualificazione d’impresa incaricata della gestione di un servizio d'interesse economico generale ex art. 90, n. 2) Tratt., i diritti speciali conferiti a quest’ultima e le tariffe da essa praticate non sono giustificati da alcun’esigenza d’adempimento della specifica missione in ipotesi affidatale, che possa ostare all'applicazione delle norme del Trattato stesso e, in particolare delle regole di concorrenza. A ciò ha fatto poi eco la giurisprudenza nazionale, laddove (cfr. Cass., sez. un., 18 novembre 1998 n. 11620) ha constatato che, alla declaratoria d’illegittimità per contrarietà agli artt. 30, 48, 86 e 90  Tratt. CEE della normativa dei singoli Stati membri sull’attribuzione di diritti esclusivi d’esercizio delle operazioni portuali ad imprese nazionali, consegue la sopravvenuta inapplicabilità delle norme di cui agli artt. 110 e 112 c. nav. (monopolio delle compagnie portuali sulle operazioni d’imbarco, sbarco, movimentazione e depositi merci e materiali nei porti, ossia tutto ciò che l’art. 16, c. 1 della l. 84/1994 considera operazioni portuali) ed all’art. 203 reg. navig. marittima (in tema di tariffe per il lavoro portuale), incondizionatamente estesa a tutte le strutture portuali nazionali.

5.3. – In questo contesto, s’inserisce la legge di riforma, che ha, appunto, completamente rivisto il sistema, partendo proprio dal superamento del monopolio de quo, il quale, perciò, non è più nuovamente introducibile, in modo più o meno surrettizio, nell’ordinamento nazionale.

Non a caso, l'art. 6, c. 6 della l. 84/1994 vieta espressamente alle Autorità portuali, fuori dalle funzioni d’indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali ed industriali esercitate, l’esercizio, diretto o anche per tramite di partecipazioni in società, operazioni portuali o attività ad esse strettamente connesse. Al più, dette Autorità, in virtù della novella recata dall'art. 8-bis del DL 30 dicembre 1997 n. 457 (convertito, con modificazioni, dalla l. 27 febbraio 1998 n. 30), possono costituire società o partecipare a società aventi ad oggetto soltanto l'esercizio di attività accessorie o strumentali rispetto ai compiti istituzionali affidati alle autorità medesime, anche ai fini della promozione e dello sviluppo dell'intermodalità, della logistica e delle reti trasportistiche. L'accesso alle operazioni portuali, viceversa, è aperto a qualunque impresa dotata d’apposita autorizzazione, al fine di realizzare l'effettiva competizione tra le imprese, giacché l'Autorità portuale determina il numero massimo di autorizzazioni, assicurando, però, anche il massimo della concorrenza nel settore (art. 16, c. 7).

Alle compagnie ed ai gruppi portuali esistenti l’art. 21, c. 1 impone invece la trasformazione in società, a pena di messa in liquidazione e consente loro d'operare come imprese portuali ¾sotto tale profilo assimilate a quelle previste dal precedente art. 16¾, oppure come società di servizi d’intermediazione di manodopera in espressa deroga all'art. 1 della l. 23 ottobre 1960 n. 1369, che sancisce il divieto d'appalto di mere prestazioni di lavoro.

Da ciò discende, in primo luogo, che le operazioni e i servizi portuali possono essere esercitati esclusivamente da imprese private, soggette alla sola autorizzazione da parte dell'Autorità portuale, con o senza la concessione anche di spazi del demanio portuale e di banchine, a’sensi dell'art. 18 (aziende c.d. terminaliste) e previa pubblica gara. Discende altresì che le imprese autorizzate si possano  servire, per la movimentazione della merce e per tutte le attività connesse, di personale proprio, appunto grazie all'abrogazione degli artt. 110 e 111 c. nav. recata dall'art. 27, essendo sparito l’antico obbligo, per le imprese (antiche concessionarie in àmbito portuale) d'avvalersi, per l'esecuzione delle operazioni stesse, esclusivamente delle maestranze costituite nelle compagnie o nei gruppi. Da tanto discende, infine, la facoltà di tali imprese d’ adoperare anche lavoro temporaneo altrui, appunto fornito da appositi soggetti monopolisti ex art. 17, c. 2 (nel testo da ultimo novellato dall’art. 3 della l. 30 giugno 2000 n. 186) ¾che in nessun caso possono esercitare in proprio le operazioni o i servizi portuali¾, pure in deroga alla l. 1369/1960.

5.4. – In particolare, tale eccezione fu consentita, fin dalla formulazione originaria dell'art. 17 (cfr. c. 1), per far fronte alle peculiarità del lavoro portuale, notoriamente soggetto ai c.d. "picchi di manodopera" collegati all'arrivo delle navi e, comunque, al particolare andamento del mercato relativo. Ebbene, in origine, la fornitura di mere prestazioni di lavoro poteva esser richiesta, in deroga all'art. 1 della l. 1369/1960, alle società o alle cooperative di cui al successivo art. 21, ossia i soggetti derivanti dalla trasformazione ex lege delle compagnie e dei gruppi portuali, per lo svolgimento, in regime di concorrenza, delle operazioni portuali. Restava ferma la possibilità (c. 2) di Autorità portuali o marittime di promuovere l’istituzione, ove non fossero costituite le società o le cooperative de quibus, di un’associazione del lavoro portuale per far fronte alle fluttuazioni del traffico, garantendo una maggiore efficienza all'attività del porto, con applicazione ai suoi dipendenti del CCNL vigente per i lavoratori delle imprese di cui all'art. 16, nonché dei relativi trattamenti previdenziali e assistenziali.

Non per un diverso scopo intervenne la novella introdotta dall’art. 1, c. 21-ter del DL 21 ottobre 1996 n. 535 (convertito, con modificazioni, dalla l. 23 dicembre 1996 n. 647), che riformò integralmente l’art. 17 disciplinando la fornitura del lavoro portuale temporaneo, in attesa dell'entrata in vigore delle norme disciplinatrici della fornitura di mere prestazioni di mano d'opera e della riforma della l. 1369/1960. All’ uopo si previde che le Autorità portuali o marittime promuovessero la costituzione di un consorzio volontario, aperto a tutte le imprese ex artt. 16, 18 e 21, solo per agevolare lo svolgimento delle fasi delle imprese consorziate caratterizzate da variazioni imprevedibili di domanda di manodopera, se del caso autorizzando una o più imprese consorziate, anche in deroga all'art. 1 della l. 1369/1960 e purché dotate di adeguato personale e risorse proprie, alla fornitura di mere prestazioni di mano d'opera a favore di altre imprese consorziate.

Ove non fosse costituito detto consorzio, oppure non vi partecipasse la maggioranza delle predette imprese, le Autorità portuali o marittime, se avessero ravvisato l'esigenza di soddisfare tali variazioni imprevedibili, avrebbero potuto istituire l'Agenzia per l'erogazione di mere prestazioni di manodopera, unico soggetto autorizzato a fornirle in deroga alla l. 1369/1960 nell'ambito portuale in cui fosse istituito.

5.5. – Anche tutto l’attuale art. 17 disciplina, integralmente ed esclusivamente, la fornitura del lavoro portuale temporaneo, in deroga alla ripetuta legge n. 1369, alle imprese ex artt. 16 e 18.

Al riguardo, già l’inequivoco dato testuale ex c. 1, per cui «… il presente articolo disciplina la fornitura di lavoro temporaneo…», implica che è logicamente difficile ritenerne possibile o giustificabile l’applicazione ad altre fattispecie di lavoro temporaneo e, a più forte ragione, a quelle di lavoro a tempo indeterminato. In ogni caso, l’ art. 17 pone un complesso di regole sì successive, ma alternative alla l. 24 giugno 1997 n. 196, recante la fornitura in generale di lavoro temporaneo ¾in risposta alla particolarmente avvertita esigenza d’introdurre e regolare forme di lavoro provvisorio sulla traccia dell'esperienza francese del c.d. travail interinaire¾, ancorché dense di richiami non solo testuali, ma soprattutto concettuali a siffatta norma generale, come meglio si vedrà appresso. 

Ora, l'erogazione delle prestazioni in parola è effettuata da un’impresa monopolista, appositamente autorizzata dalle Autorità portuali o marittime e la cui attività è esclusivamente rivolta alla fornitura di lavoro temporaneo per l'esecuzione delle operazioni e dei servizi portuali ¾con esclusione, quindi, d’ogni altra attività imprenditoriale in àmbito portuale e della partecipazione in una o più delle imprese ex artt. 16, 18 e 21 della l. 84/1994¾, individuata in base ad una procedura aperta accessibile ad imprese nazionali e comunitarie. In caso contrario, le fornitura delle prestazioni in parola è erogata da agenzie promosse dalle Autorità portuali o marittime, soggette al loro controllo. La relativa gestione è affidata ad un organo direttivo composto da rappresentanti delle imprese di cui agli artt. 16, 18 e 21, c. 1, lett. a) e che assumono i lavoratori di cui alle società o cooperative ex art. 21, c. 1, lett. b), ossia quelle costituite da compagnie e gruppi portuali per la fornitura di servizi a favore di altre imprese portuali e terminaliste, comprese le mere prestazioni di lavoro in deroga alla l. 1369/1960. Entrambi i soggetti prestatori, solo in caso d’insufficienza di proprio personale per far fronte alla fornitura di lavoro portuale temporaneo, possono rivolgersi, quali imprese utilizzatrici, ai soggetti abilitati alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo generale ex l. 196/1997.

Come si vede, il rapporto di lavoro portuale temporaneo, anche sotto il profilo semantico identico all’omonimo istituto generale regolato da quest’ultima, si manifesta con una struttura trilaterale, in quanto in esso l’impresa titolare dell’apposita autorizzazione dell’Autorità portuale, o l’agenzia ex c. 5 fornisce per un tempo e per esigenze limitati lavoratori con determinate caratteristiche alle imprese ex artt. 16, 18 e 21, c. 1, lett. a), che ne fanno richiesta. I lavoratori sono assunti, a tempo indeterminato o a termine dall'impresa o dall’agenzia, quest’ultima tra i dipendenti delle società o cooperative ex art. 21, c. 1, lett. b), per svolgere appunto le proprie prestazioni a favore delle imprese utilizzatrici. Anche per le prestazioni ex art. 17, c. 1, pertanto, il lavoro temporaneo è costituito da due rapporti contrattuali funzionalmente collegati, ma ontologicamente distinti, uno d’appalto, ossia d’utilizzazione delle prestazioni lavorative di soggetti estranei all’appaltante e solo per il tempo ed i compiti espressamente dedotti in appalto e l'altro di lavoro subordinato tra tali soggetti e l’impresa o l’agenzia fornitrice. Lo schema fin qui descritto, nondimeno, è esattamente quello evincibile dal combinato disposto dell’art. 1, c. 1 (contratto tra l’impresa fornitrice e l’ impresa utilizzatrice) e, rispettivamente, dell’art. 3, c. 1 (contratto tra l’impresa fornitrice ed i suoi dipendenti da inviare, volta per volta, alle imprese utilizzatrici) della l. 196/1997.

Non a caso, l’art. 17, c. 7 fa riferimento ad alcune disposizioni della l. 196/1997, ma per una vicenda tutt’affatto diversa da quella, testé evidenziata, del ricorso dei soggetti prestatori di lavoro portuale temporaneo, a loro volta, ad imprese di lavoro c. d. “interinale”, qualora ve ne sia bisogno. Il c. 7, invero, regola il contenuto minimo del CCNL unico di riferimento di cui al successivo c. 13, all’uopo mutuando dalla l. 196/1997 alcuni istituti di garanzia colà contenuti e che inderogabilmente le parti sociali individuano in sede di trattative per la stipula del contratto stesso. La ragione è evidente e fonda la clausola di garanzia di cui al successivo c. 13, I per.: a differenza dei dipendenti delle imprese ex artt. 16, 18 e 21, c. 1, lett. a) ¾il cui rapporto di lavoro subordinato è già disciplinato, impresa per impresa, categoria per categoria, dai CCNL di comparto¾, gli addetti alle imprese o alle agenzie fornitrici di lavoro portuale temporaneo, ossia i «… lavoratori (dipendenti delle imprese ex c. 2 e delle società ex art. 21, c. 1, lett. b assunti nelle agenzie ex c. 5) e … soci lavoratori di cooperative (di cui all’art. 21, c. 1, lett. b)…» di cui al citato c. 13, non hanno di per sé un trattamento omogeneo ed unico, onde il loro CCNL unico di riferimento non può prescindere, nonostante il regime di separatezza del lavoro portuale, dagli istituti di minima garanzia che l’ordinamento generale appresta ai lavoratori c.d. “interinali”. Si può, forse, discettare sulla necessità attuale d’un regime separato per il lavoro portuale, ma al Collegio non sfugge né la tradizionale peculiarità di tale tipo di prestazione d’opera, né la necessità di prevedere per i relativi addetti una disciplina che non dimentichi l’imprevedibilità (e soprattutto le oscillazioni e le stasi) del fabbisogno di manodopera, né tampoco l’esigenza d’assicurare ai lavoratori portuali temporanei le garanzie esistenti per tutti i lavoratori temporanei. Si tratta di situazioni, tutte queste, che giustificano ancor oggi una disciplina ad hoc per questi lavoratori, solo ai quali fa riferimento il successivo c. 13, fermo restando che tali garanzie, come ben evincesi dal dato testuale, non possono valere né fuori dall’àmbito portuale, né, a più forte ragione, nei confronti di lavoratori che, pur operando in quell’àmbito, godono già e di per sé del trattamento giuridico, retributivo e previdenziale di competenza, in base a fonti legali e negoziali di pari forza formale a quelle per cui è causa.

In particolare, s’avrà che nel CCNL ex c. 13 le parti sociali individuino: 1) – i casi in cui il contratto di fornitura di lavoro temporaneo possa esser concluso a’sensi dell'art. 1, c. 2, lett. a) della l. 196/1997, ossia nelle ipotesi previste dai CCNL della categoria d’appartenenza dell'impresa utilizzatrice, stipulati dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative; 2) – le qualifiche professionali cui s’applica il divieto di cui al successivo c. 4, lett. a), ossia quelle inerenti alle mansioni indicate nei CCNL della categoria d’appartenenza dell'impresa utilizzatrice, il cui svolgimento possa presentare maggior pericolo per la sicurezza del prestatore di lavoro o di terzi; 3) – la percentuale massima dei prestatori di lavoro temporaneo in rapporto ai lavoratori occupati nell'impresa utilizzatrice, giusta quanto indicato nel successivo c. 8; 4) – i casi per i quali può esser prevista la proroga dei contratti di lavoro a tempo determinato a’ sensi dell'art. 3, c. 4; 5) – le modalità di retribuzione dei trattamenti aziendali previsti dall'art. 4, c. 2 (retribuzione non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell'impresa utilizzatrice; divieto del trattamento previsto per la categoria d’inquadramento di livello più basso quando tale inquadramento sia considerato dal CCNL avente carattere solo esclusivamente transitorio; criteri per la determinazione e corresponsione della retribuzione di risultato).

Inoltre, la profonda analogia con la disciplina della l. 196/1997 implica, in ordine alla deroga che l’art. 17 della l. 84/1994 fa all’art. 1 della l. 1369/1960, il medesimo rapporto di coordinamento esistente tra quest’ultima e la legge n. 196. Invero, come già accade per la norma generale sul lavoro temporaneo, neppure l’art. 17 fa venir del tutto meno il tradizionale divieto d’intermediazione di manodopera, la disciplina del 1960 continuando a trovare applicazione al di fuori dei casi consentiti di fornitura di lavoro portuale temporaneo, foss’anche da parte di un’impresa ex artt. 16, 18 o 21, c. 1, lett. a) nei riguardi di un’agenzia di lavoro interinale, perché detta impresa non si può rivolgere che SOLO all’impresa ex art. 17, c. 2 o all’agenzia ex c. 5. Pertanto, come l'art. 10, c. 1 della l. 196/1997 non ha abolito il divieto d’interposizione fittizia di manodopera ex l. 1369/1960 nei confronti dell'impresa utilizzatrice che ricorra alla fornitura di prestatori di lavoro dipendente da parte di soggetti diversi da quelli cui all'art. 2 della stessa legge n. 196, oppure che violi le disposizioni di cui al precedente art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 (così Cass., sez. lav., 9 aprile 2001 n. 5232), allo stesso modo va trattata l’impresa portuale che eluda l’obbligo d’approvvigionarsi di manodopera temporanea dai soggetti monopolisti ex art. 17 della l. 84/1997. Si tratta, con ogni evidenza, di un’ulteriore forma di garanzia a favore dei lavoratori portuali temporanei, le cui funzione ed utilità sono nulle per i dipendenti delle imprese portuali, il cui rapporto, invero, non è conformato da tali norme, ma, al contrario, le loro regole contrattuali e le altre tutele approntate dalla legge si comunicano ai lavoratori temporanei e li salvaguardano.

6. – Così chiarito per sommi capi il quadro normativo di riferimento, il ricorso in epigrafe s’appalesa fondato e, come tale, è meritevole d’accoglimento nei sensi e per le considerazioni qui di seguito indicate.

7. – Da condividere è, anzitutto, il primo assunto attoreo, laddove afferma che l’art. 17 regola esclusivamente il lavoro portuale temporaneo, con conseguente impossibilità di trasmettere a lavoratori terzi le regole del loro CCNL, come il Collegio ha avuto modo finora di far presente.

Ma da accogliere è pure tutto il primo mezzo d’impugnazione, in quanto, in effetti, l’atto impugnato pretermette illegittimamente le ragioni di tutte le parti sociali, ugualmente legittimate a trattare ed a stipulare il CCNL unico di riferimento, laddove recepisce il protocollo d’intesa a suo tempo ratificato da alcuni contraenti a guisa di testo definitivo del contratto stesso.

Ora, non sfugge al Collegio che il Ministero intimato non possa prescindere da un testo siffatto, frutto a sua volta di intese negoziali di per sé sole non nulle, né illecite, ma solo in attesa di perfezionamento. Infatti, l’obbligo ex lege di promozione degli incontri con le parti sociali non esclude che queste ultime possano, aliunde ed in via del tutto autonoma, raggiungere comunque l’accordo nei sensi ex art. 17, c. 13. La promozione de qua ben si potrebbe rivelare superflua qualora l’accordo raggiunto in altra sede soddisfi, sotto i profili della completezza delle parti stipulanti e della conformità del contenuto ai fini sottesi al c. 13, la norma sulla contrattazione. Pertanto, per un’evidente ragione d'economia dei mezzi giuridici, non è invocabile l'inversione o l’astrazione dalla procedura, una volta legittimamente raggiunto il risultato, nemmeno quando una o più parti sociali, regolarmente invitate negli incontri promossi dal Ministero intimato, non v’abbia partecipato, oppure abbia fatto constare in altra sede il proprio specifico assenso sull’oggetto del CCNL.

Sennonché siffatta astrazione è illegittima quando, come nella specie, non vi sia completezza di stipulanti legittimati e correttezza di contenuto, né certezza, secondo gli ordinari canoni di buona fede nelle trattative e d’interpretazione secondo il contegno delle parti, di raggiungimento del consenso, se questo è manifestato in forme atipiche o espresse in sedi diverse dal tavolo di trattativa (p.es., dichiarazioni giornalistiche, ecc.). In tal caso, è obbligo del Ministero intimato non già recepire acriticamente il testo così parzialmente concordato, bensì adoperarlo a guisa di mera piattaforma per la prosecuzione delle trattative e, quindi, promuovere gli ulteriori incontri necessari alla perfezione dell’accordo. 

Parimenti da condividere è il secondo motivo di gravame, laddove la ricorrente lamenta l’evidente violazione del significato dell’art. 17, c. 13 della l. 84/ 1994, da parte dei contraenti, i quali erroneamente hanno ritenuto applicabile il contratto colà previsto a tutti indistintamente i lavoratori di tutte le imprese comunque operanti in ambito portuale. Già il Collegio ha avuto modo di rilevare l'incongruenza, già sotto l’aspetto testuale ancor prima che logico, d’una tale dilatazione delle regole di tutela, pensate dal legislatore a solo vantaggio dei lavoratori portuali temporanei perché di per sé privi di idonee garanzie soprattutto per i periodo di stasi delle loro prestazioni, a soggetti di per sé ben tutelati in altra sede. Qui giova solo osservare che il trattamento minimo inderogabile, colà previsto, non può concernere altri soggetti che tali lavoratori, come ben evincesi dal precedente c. 7 e, soprattutto, dal c. 15, in base al quale le parti sociali di cui al c. 13 regolano le modalità di retribuzione dei soggetti impiegati dalle imprese e/o dalle agenzie fornitrici per le giornate di mancato avviamento al lavoro. Né varrebbe osservare che siffatta mancata “estensione” del CCNL unico anche ai dipendenti delle imprese portuali potrebbe implicare una disparità di trattamento a svantaggio di questi ultimi, giacché, a parte l’impossibilità d'individuare ex lege la categoria dei c.d. lavoratori portuali (invero indefinita nei contorni), anziché lasciarne l’esatta indicazione alla dinamica contrattuale, in base al c. 7 s'evince, non diversamente da ciò che accade per il lavoro “interinale” ex l. 196/1997, che sono tali lavoratori a comunicare il proprio trattamento retributivo e giuridico a quelli temporanei e non mai viceversa.

8. – Il ricorso va così accolto, ma la novità della questione e giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese di giudizio.

                                                               P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter, accoglie il ricorso n. 5914/2002 in epigrafe e per l’effetto annulla, per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione, i provvedimenti impugnati e meglio indicati in premessa.

Spese compensate.

Ordina all’Autorità amministrativa d’eseguire la presente sentenza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 30 ottobre 2003.

Francesco CORSARO, PRESIDENTE  

Silvestro Maria RUSSO, ESTENSORE