Confederazione Generale
Italiana dei Trasporti e della Logistica
00198 Roma - via Panama
62 - tel. 06/8559151 - fax 06/8415576
e-mail: confetra@tin.it
- http://www.confetra.com
|
Roma, 20 febbraio 2004
Circolare n.17/2004
Oggetto: Porti – Assetto contrattuale – Ulteriori
sentenze del TAR Lazio.
A distanza di pochi
mesi il TAR si è nuovamente pronunciato sul CCNL porti del 27.7.2000
confermando che lo stesso deve essere considerato alla stregua di qualsiasi
altro contratto e quindi non vincola indistintamente tutte le imprese operanti
in ambito portuale ma solo quelle aderenti alle associazioni firmatarie.
Dopo la sentenza
dello scorso novembre, che su ricorso del Comitato Nazionale dell’Utenza
Portuale aveva annullato la nota ministeriale del 17.2.2001 tesa ad attribuire
efficacia generale al suddetto CCNL, sono state infatti
emanate altre tre sentenze su ricorsi presentati rispettivamente da Fedespedi, Confitarma e Federagenti. Tali
sentenze annullano con motivazioni analoghe i provvedimenti adottati da alcune
Autorità Portuali (Savona, Piombino e Cagliari) che, sulla base della citata
nota ministeriale, avevano incluso l’applicazione del
CCNL porti tra i requisiti necessari per ottenere l’autorizzazione a svolgere
attività imprenditoriale in ambito portuale.
In particolare il
TAR ha ribadito che l’art.17 della legge n.84/94, nel
prevedere la stipula di un CCNL unico di
riferimento, intendeva riferirsi esclusivamente ai lavoratori temporanei (cioè ai dipendenti o soci delle ex
compagnie affittati per lo svolgimento
delle operazioni portuali). Solo per questi lavoratori infatti,
in quanto privi di idonee garanzie soprattutto per i periodi di non lavoro, può
giustificarsi una disciplina contrattuale che fissi un trattamento omogeneo
minimo. Diverso è il caso per i dipendenti delle altre imprese che operano nei
porti i quali beneficiano già dei trattamenti economici e normativi previsti
dai rispettivi CCNL di categoria.
f.to dr.
Piero M. Luzzati |
Per riferimenti confronta circ.re conf.le n.128/2003 |
|
Allegato uno |
|
M/n |
© CONFETRA – La riproduzione totale o parziale è
consentita esclusivamente alle organizzazioni aderenti alla Confetra. |
SENTENZA N.714
DEL 26 GENNAIO 2004
Repubblica Italiana In nome del popolo italiano
il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter, composto
dai signori Francesco CORSARO,
Presidente, Silvestro Maria RUSSO, Consigliere, relatore, Stefania SANTOLERI,
Consigliere, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 5914/2002, proposto dalla Federazione nazionale delle
Imprese di spedizioni internazionali –
CONTRO
- l’AUTORITÀ PORTUALE DI
- il MINISTERO DELLE
INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI ed il MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE
SOCIALI, in persona dei rispettivi sigg. Ministri pro tempore,
rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura
generale dello Stato, domiciliataria
E NEI
CONFRONTI
- della
ASSOCIAZIONE DEI PORTI ITALIANI – ASSOPORTI, in persona del legale
rappresentante pro tempore, controinteressata,
rappresentata e difesa dall’avv. Gaudenzio PIERANTOZZI ed elettivamente
domiciliata in Roma, alla via degli Scipioni n. 284,
- della FILT-CGIL,
della FIT-CISL e della UIL Trasporti, in persona dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore, controinteressate, rappresentate e difese dal prof. Michele
MISCIONE e dagli avvocati Davide MONTANARI, Antonio PELLEGRINI e Sergio VACIRCA
ed elettivamente domiciliate in Roma, alla via Flaminia
n. 195 e
- della FEDERAZIONE IMPRESE SERVIZI – FISE, in persona del legale
rappresentante pro tempore, controinteressata,
non costituita nel presente giudizio,
PER L’ANNULLAMENTO
A) – dell’ordinanza n. 10 del 19 dicembre 2001, con cui
l’Autorità portuale di Savona ha disciplinato, a’sensi
dell’art. 16 della l. 28 gennaio 1994 n. 84, lo svolgimento delle operazioni e
dei servizi portuali nel porto di Savona e ha approvato il relativo regolamento
d’esercizio; B) – dell’allegato regolamento per l’esercizio delle operazioni e
dei servizi portuali; C) – di tutti gli atti presupposti, connessi o consequenziali
e, in particolare, della nota prot. n. DEM3/382 del 7 febbraio 2001, con cui il
Direttore dell’UG Infrastrutture per la navigazione e demanio marittimo presso
il Ministero dei trasporti e della navigazione ha diramato alle Autorità
portuali e marittime il testo del protocollo d’intesa e del CCL unico,
stipulati tra le OO.SS., l’Assoporti
ed altri soggetti a’sensi dell’art. 17, c. 13 della
l. 84/1994; D) – del contenuto di tale accordo;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti
intimate, esclusa la FISE;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 30 ottobre 2003 il Cons. dott. Silvestro Maria RUSSO e uditi
altresì, per le parti costituite, i proff.
SATTA e PROIA (per delega del prof. PERSIANI) e gli avvocati PIERANTOZZI,
MONTANARI e VACIRCA;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
La
A tal riguardo, la
Ebbene, il 27 luglio 2000, la Assologistica,
l’Assoporti e la FISE-Uniport,
da un lato e le OO.SS. dei
lavoratori portuali, sottoscrissero un
protocollo d’intesa, volto a stipulare detto CCNL unico, con la precisazione
che esso avrebbe regolato i rapporti di lavoro tra le imprese ex artt. 16 e 18 della l. 84/1994, le Autorità portuali, i
soggetti ex art. 17 ed i lavoratori da esse dipendenti,
compresi quelli delle imprese di cui al successivo art. 21. Le parti contraenti
s’impegnarono inoltre a sottoporre al Governo della Repubblica tale protocollo
ed il conseguente CCNL unico, affinché ne prendesse atto ed a riferirsi al
contratto stesso per regolare i rapporti di lavoro tra i soggetti dianzi indicati. Il CCNL unico fu poi stipulato tra le
stesse parti in data 1° febbraio 2001 ed è stato diramato alle Autorità
portuali e marittime dal Direttore dell’UG Infrastrutture per la navigazione e
demanio marittimo presso il Ministero dei trasporti e della navigazione, con la
nota prot. n. DEM3/382 del
successivo giorno 7. Dal canto suo, l’Autorità portuale di Savona, visto il DM
6 febbraio 2001 n. 132 ¾recante i criteri vincolanti per le Autorità portuali in ordine all’emanazione dei regolamenti di disciplina dei
servizi portuali¾, con ordinanza n. 10 del 19 dicembre 2001 dispose, in conformità alla
cita nota prot. n. DEM3/382,
l’obbligo per tutte le imprese colà operanti di dichiarare l’applicazione a
tutti i loro dipendenti di condizioni contrattuali non inferiori a quelle di
cui al predetto CCNL unico, a pena di non emanazione o, se del caso, di revoca
dell’autorizzazione ex art. 16 della l. 84/1994.
Avverso tali atti insorge allora, con il ricorso in epigrafe, la
Resiste nel presente giudizio l’Autorità portuale
intimata, che eccepisce preliminarmente l'inammissibilità del ricorso in
epigrafe per tardività, per acquiescenza e per carenza d’interesse e, nel merito, l’infondatezza della
pretesa attorea. Resistono in giudizio le
Amministrazioni statali intimate, che concludono per
il rigetto del ricorso in epigrafe. Anche le controinteressate
OO.SS. si
sono costituite nel presente giudizio, eccependo l’inammissibilità del ricorso
in epigrafe per tardività, il difetto di legittimazione
attiva della ricorrente e, nel merito, l’infondatezza della pretesa attorea. S’è costituita in giudizio pure l’Assoporti, che conclude per
l’inammissibilità e l'infondatezza della domanda giudiziale dei ricorrenti. Viceversa,
la FISE, pur se ritualmente
intimata, non s’è costituita nel presente giudizio, né v’ha spiegato difese.
Alla pubblica udienza del 30 ottobre 2003, su conforme richiesta delle
parti costituite, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1. – Come già accennato in epigrafe e, più diffusamente,
nelle premesse in fatto, la presente controversia innanzi a questo Giudice
muove dall’impugnazione che
In particolare, detta impugnazione è svolta nei confronti
dell’ordinanza n. 10 del 19 dicembre 2001, con cui l’Autorità portuale di
Savona ha disciplinato, a’sensi dell’
art. 16 della l. 84/1994, lo svolgimento delle operazioni e dei servizi
portuali nel porto di Savona e ha approvato il relativo regolamento
d’esercizio, nonché l’allegato regolamento per l’esercizio delle operazioni e
dei servizi portuali. È altresì gravata in questa sede, quale atto presupposto,
la nota prot. n. DEM3/382
del 7 febbraio 2001, con cui il Ministero dei trasporti e della navigazione ha
diramato alle Autorità portuali e marittime il testo del CCNL unico dei porti,
stipulato a’sensi dell’art. 17, c. 13 della l.
84/1994 tra le OO.SS. dei
lavoratori portuali, da un lato e la Assologistica, l’ Assoporti
e la FISE-Uniport, dall’altro.
2.1. – Non hanno pregio e vanno disattese le preliminari
eccezioni di tardività dell'impugnazione in
argomento, a vario titolo sollevate dalle parti resistenti.
2.2. – Anzitutto, è materialmente vero che l’impugnato
regolamento dell'Autorità portuale savonese è entrato
in vigore il 1° febbraio 2002, mentre il ricorso in epigrafe risulta
notificato il successivo 20 maggio.
Giova, nondimeno, osservare che tale regolamento, pur se a
contenuto generale ¾e, come tale, non è di per sé sottoposto ad obblighi di diretta
notificazione o comunicazione ai soggetti destinatari¾, non è del pari soggetto a necessaria pubblicazione, né tampoco è stato in
concreto indirizzato all’Associazione ricorrente. In tal caso, il termine ex
art. 21, I c. della l. 6 dicembre 1971 n. 1034 decorre solo
dalla piena conoscenza dell’efficacia lesiva dell’atto impugnato, del cui
momento di formazione le parti resistenti, peraltro, non forniscono
alcuna contezza, né alcun serio principio di prova.
Né può applicarsi nella specie il principio per cui la pubblicazione in albi pretori et
similia, cui va attribuita la connotazione di forma
di pubblicità legale, implica la presunzione di piena conoscenza in capo ai
terzi non direttamente contemplati dall’ atto impugnato o comunque ai quali
questo non sia espressamente riferibile (cfr., da
ultimo, Cons. St., V, 15
ottobre 2003 n. 6331). Invero, siffatta pubblicazione è valida agli effetti di
tale presunzione solo quando sia prescritta da una
disposizione di legge, che tale conseguenza espressamente riconosca, e sia
effettuata nei modi prescritti dalla disposizione stessa (cfr.
Cons. St.,
VI, 6 marzo 2003 n. 1239). Pertanto, il difetto di una norma esplicita sulla
pubblicità delle ordinanze delle Autorità portuali esclude nella specie, anche
a tralasciare la circostanza che la ricorrente
È appena da osservare che, affinché si realizzi
quest’ultima, occorre che gli interessati siano edotti non solo dell’esito del
procedimento, ma soprattutto del discorso giustificativo che lo correda, sì da
poter individuare nella statuizione gli estremi sostanziali della lesione della
loro sfera giuridica (giurisprudenza consolidata: cfr., da ultimo, Cons. St., VI, 30 luglio 2003 n. 4380), specie se, come nel caso
in esame, trattasi dell’impugnazione d’un atto regolamentare, a struttura ed a
statuizioni complesse e solo in parte effettivamente incidenti su detta sfera
(arg. ex Cons. St., V, 14
aprile 2000 n. 2228).
2.3. – Non maggior fondatezza riveste l’eccezione per cui la piena conoscenza dell’impugnato regolamento
sarebbe avvenuta, in capo all’Associazione ricorrente, fin dal momento della
relativa deliberazione, avvenuta il 19 dicembre 2001 in seno al Comitato
portuale di Savona, alla presenza, tra gli altri, pure del rappresentante degli
spedizionieri, a suo tempo designato proprio dalla
In linea di massima, è ben noto che la presenza del
rappresentante di un’impresa, partecipante ad una gara d’appalto, alla riunione
nella quale la Commissione giudicatrice svolge il procedimento di gara e decide
sulla stessa (p.es.,
statuendo l’esclusione dell’impresa stessa) non comporta ex se piena conoscenza
degli atti colà assunti (p. es., di quello
d’esclusione) ai fini della decorrenza del termine d’impugnazione, qualora non
risulti che costui sia munito di un mandato ad hoc, oppure rivesta una specifica
carica sociale, per cui la conoscenza avuta da questi non è riferibile
all'impresa concorrente, a differenza di ciò che accade nel caso in cui,
invece, alla gara presenzi un procuratore speciale, munito di appositi poteri
per acquisire la predetta conoscenza (giurisprudenza prevalente: cfr., da ultimo, Cons. St., V, 25 gennaio 2002 n. 416; id.,
8 maggio 2002 n. 2473).
Da tale principio reputa il Collegio di poter estrarre una
regola di comportamento, utile anche per la partecipazione ad una seduta di un
corpo amministrativo o di un organo collegiale di un soggetto, ancorché
designato in rappresentanza di interessi di settore (p.es., d’una data categoria di operatori economici), se
siffatta investitura è senza vincolo di mandato e per il coordinamento, secondo
regole d’imparzialità e di buon andamento dell’azione del corpo collegiale, di
tutti gli interessi attribuiti dalla legge alla cura di quest’ultimo. Anche in
questo caso, la partecipazione non implica di per sé sola qualsivoglia piena
conoscenza, in capo a tutti i titolari di tali interessi così rappresentati dal
componente del collegio o in capo all'associazione di
categoria, di quanto accaduto nel corso della seduta stessa, né dell'emanazione
di atti comunque incidenti nella sfera giuridica degli uni e/o dell’altra, se
il designato non sia munito di un mandato ad hoc, o non rivesta pure cariche di
rappresentanza giuridica degli interessi medesimi o dell’associazione. La
ragione risiede nel fatto che il principio democratico di rappresentatività, su
cui si basa la designazione (nella specie, del componente
designato dagli spedizionieri ex art. 9, c. 1, lett. i, n. 4 della l. 84/1994
nel Comitato portuale), implica che il designato sia portatore di interessi
particolari di cui occorre sentir la voce nella cura efficiente ed imparziale
dell'interesse pubblico affidato al corpo amministrativo (nella specie, a detto
Comitato), non già che egli operi in nome e per conto dei designanti. Il
meccanismo di designazione dei componenti in seno al
Comitato portuale si basa appunto sulla rappresentatività degli interessi delle
varie categorie di imprenditori e di prestatori d’opera, non sull’esclusività,
di tipo delegatorio, del rapporto intercorrente tra
designanti e designato. Irrilevante è allora la vischiosità semantica di
«rappresentatività» e di «rappresentanza», in quanto, aldilà delle assonanze,
l’una è solo il metodo di collegamento tra una frazione
di un corpo eligente o designante ed il corpo
amministrativo che deve governare un interesse pubblico complesso, affinché la
cura di questo tenga conto anche di tutti gli interessi settoriali comunque
coinvolti e conformati; l’altra, invece, è lo strumento attraverso cui la cura
giuridica di certi affari da parte del rappresentante sia immediatamente
imputabile ai rappresentati.
Pertanto, i voti espressi dal componente
in seno al Comitato portuale riguardano e sono imputabili solo a quest’ultimo e
non v’è giuridico collegamento diretto con i designanti, tale da determinare,
in capo a costoro, l’immediata conoscenza del contenuto e del dispositivo
d’ogni statuizione da questi assunta in quella sede.
3.1. – Parimenti da respingere è l’assunto di parte resistente
in ordine all'acquiescenza, da parte della ricorrente,
all’impugnata ordinanza, discendente dalla partecipazione del predetto
“rappresentante” alla seduta in cui tale atto fu assunto.
Invero, l’acquiescenza si fonda su atti e/o comportamenti che rivelino, in
modo univoco, la volontà di un soggetto, o di un suo rappresentante munito di
procura speciale, d'accettare il contenuto d’un provvedimento. Ebbene, assodato
che il componente del Comitato portuale di Savona per
gli spedizionieri non è il rappresentante dell'Associazione ricorrente, non
constano atti univoci o concludenti di quest’ultima, intesi ad accettare detta
ordinanza, a nulla rilevando al riguardo il comportamento di tale componente.
L’assenza di un rapporto di delegazione tra la ricorrente e costui e del
vincolo di mandato imperativo nello svolgimento della di
lui attività in seno al Comitato portuale determina la reciproca autonomia
delle scelte rispettive, onde nessun effetto preclusivo può provenire dai voti
espressi dall’uno nei riguardi dell’altra.
Né vale obiettare che, essendo il regolamento impugnato
uno snodo essenziale dell'attuazione dell’art. 17, c. 13 della l. 84/1994,
l’iter della formazione di esso fu seguita con grande
attenzione da parte dei vari operatori economici coinvolti e delle loro associazioni
di categoria. A parte l’insufficienza di detta circostanza a fondare
un’effettiva piena conoscenza di tale atto, l’attenzione così spiegata non implica
accettazione sic et simpliciter
del contenuto di quest’ultimo, se poi esso lede comunque
la sfera giuridica degli operatori destinatari.
3.2. – Manifestamente infondata è poi l’eccezione di
difetto di legittimazione attiva in capo alla ricorrente. La
circostanza che due, tra le imprese associate alla
3.3. – Speciosa è poi l’eccezione di difetto
dell’interesse azionato, derivante, secondo parte resistente, dal fatto che il
regolamento impugnato non precluderebbe alle imprese associate a
Diversamente da ciò che opina l’Autorità resistente, giova
rammentare che la nota ministeriale n. DEM3/382 non è un mero invito, ma è la
diramazione d’un atto-fonte, sì di natura negoziale,
ma specificamente promosso dal Ministero vigilante e cogente per l’espressa
disposizione dell’art. 17, c. 13, I per., laddove
dette Autorità «…inseriscono negli atti di autorizzazione di cui al presente
articolo, nonché in quelli previsti dall'articolo 16 e negli atti di
concessione di cui all'articolo 18, disposizioni volte a garantire ai
lavoratori e ai soci lavoratori di cooperative un trattamento normativo e
retributivo minimo inderogabile…».
Da ciò discende che l’attuazione dell’ art.
17, c. 13 della l. 84/1994 non è rimessa direttamente alle Autorità portuali e
marittime, ma consta di più fasi, spettanti a soggetti diversi e concretantisi in una pluralità di fonti concorrenti alla
definizione dei predetti minimi. In particolare, dapprima v’è l’attività
d’iniziativa degli specifici incontri tra le parti sociali ai fini della
contrattazione collettiva, rimessa ai Ministeri competenti e, poi, la
stipulazione del CCNL unico, cui accede la
deliberazione attuativa ex c. 14 rimessa al Comitato portuale di
ciascun’Autorità e, quindi, l'inserimento, nei provvedimenti ex artt. 16 e 18, delle disposizioni atte a garantire tali
minimi inderogabili. Come si vede, le Autorità non hanno alcuna discrezionalità
in ordine all' introduzione, nei provvedimenti de quibus, di dette disposizioni, tant’è che il CCNL unico di
riferimento è promosso dalle Amministrazioni statali resistenti appunto a tale
precipuo fine. Non a caso, le predette Autorità hanno sì titolo ad un’autonoma
determinazione, a livello locale, dei trattamenti normativi e retributivi di
riferimento per l'individuazione del minimo inderogabile, ma soltanto fino alla
stipula del CCNL stesso, onde, una volta stipulato, da
questo non possono più legittimamente prescindere: tertium
non datur. D’altronde, consta in atti la nota
dell’Autorità portuale di Savona, che, in risposta ad
un’istanza a non dar seguito al CCNL de quo, afferma l’ impossibilità di
«…ignorare, finché vigente, una circolare del proprio Ministero vigilante,
senza incorrere in omissione di atti d’ufficio…».
3.4. – Ma anche ad accedere alla
tesi dell’Autorità resistente, non per ciò solo vien
meno l’interesse azionato, anzitutto perché la ricorrente ha adempiuto
all’onere d'impugnare l’atto applicativo (il regolamento dell’Autorità portuale
di Savona) in una con quello necessariamente presupposto (la nota ministeriale
citata), onde l'accoglimento della domanda attorea,
circa i denunciati vizi di violazione del significato dell’art. 17, c. 13 della
l. 84/1994 e di sviamento che irretiscono il CCNL unico dei porti, si riverbera
in parte qua pure sul predetto regolamento.
In secondo luogo, l’interesse azionato dalla predetta
Associazione attiene alla sua posizione di parte datoriale, ossia d’entità
rappresentativa, investita della cura e del soddisfacimento degli interessi metaindividuali di tutte le imprese e le associazioni aderenti,
quali utenti e/o operatori portuali. Al riguardo,
l’art. 16,
c. 1 della l. 84/1994 stabilisce
che sono operazioni portuali
il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il
movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale, svolti nell'ambito
portuale, mentre sono servizi portuali quelli riferiti a prestazioni
specialistiche, complementari e accessorie al ciclo delle operazioni portuali,
come individuati dalle Autorità portuali o da quelle marittime, mercé una
specifica regolamentazione in conformità ai criteri vincolanti fissati con
decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. In
relazione all’eterogeneità delle operazioni e dei servizi portuali, non
è chi non veda la legittimazione rappresentativa unitaria in capo
all’Associazione ricorrente, nella sua qualità di soggetto titolare degli
interessi collettivi della parte datoriale sia di tutti gli spedizionieri
marittimi, sia degli operatori terminalisti, ossia di imprese utenti portuali e
di imprese esercenti le operazioni portuali. Del pari, non è possibile
distinguere ontologicamente un’«utenza portuale»
dagli «utenti portuali», perché tale tesi, sì suggestiva,
non è ancorata ad alcun dato testuale o funzionale, tant’è che l’art. 9, c. 1,
lett. i) indica, tra i componenti del Comitato portuale, proprio i rappresentanti
di armatori, industriali, spedizionieri, agenti e raccomandatari marittimi ed
autotrasportatori operanti nell'ambito portuale, in una con quelli degli
imprenditori di cui ai successivi artt. 16 e 18.
Ebbene, alle trattative per il CCNL unico, l’rt. 17, c. 13 chiama a partecipare non solo quelle delle
imprese di cui agli artt. 16 e 18, ma pure le
rappresentanze dell’utenza portuale, ossia delle cinque categorie testé menzionate. In base alla legge, quindi, la
D’altra parte, è ben noto, per un verso, che l’art. 419 c.
nav. definisce il trasporto di cose come il contratto avente ad oggetto un carico
totale o parziale, oppure cose singole e si può effettuare su nave determinata
o su nave indeterminata, norme generali, queste, applicabili pure alla caricazione, ossia ogni qualvolta è assunto l'obbligo di
riconsegnare a destinazione un carico totale o parziale su nave determinata (cfr. l’ art. 439 c. nav.). Per
altro verso, dall’art. 1739 c.c. s’evince che la differenza tra il contratto di
trasporto e quello di spedizione consiste nel fatto che, mentre nel primo il
vettore si obbliga ad eseguire il trasporto con i propri mezzi o anche a mezzo di altri ¾assumendo su di sé i rischi dell'esecuzione¾, nel secondo, che è
una sottospecie del mandato, invece lo spedizioniere s’obbliga soltanto a
concludere con altri, in nome proprio e per conto di colui che gli ha dato
all'uopo l'incarico, il contratto di trasporto (cfr.,
per tutti, Cass., III, 29 marzo 1989 n. 1489; id., 6 marzo 1997 n. 1994). Ebbene, le imprese che svolgono
siffatte attività, con ogni evidenza e quando operano per il trasporto
marittimo, appartengono a quella “categoria dei porti” cui fanno
riferimento le OO.SS. resistenti,
perché svolgono nell'àmbito portuale operazioni di
carico, scarico, trasbordo, deposito e movimento in genere delle merci e d’ogni
altro materiale che hanno incarico di trasportare o spedire via mare.
4. – In ordine, poi, alla nota ministeriale impugnata,
deve il Collegio precisare che essa costituisce l’unica statuizione con cui il
Ministero intimato manifesta la propria volizione di recepire
il protocollo d’intesa, prodromico al CCNL unico e ad
imporne il contenuto, sia pur attraverso la mediazione degli atti autorizzativi
e concessori delle Autorità portuali, a tutte le imprese comunque svolgenti
operazioni portuali nei porti interessati.
Anche ad ammettere che l’atto impugnato svolga pure una
funzione notiziale, non per ciò solo ne vien meno la caratteristica
volitiva e conformativa dell’assetto degli interessi,
tra gli altri, dell’utenza portuale. Essa reca sia l’indicazione di quel
trattamento minimo inderogabile, che le Autorità portuali sono a loro volta tenute ad assicurare a garanzia e tutela dei
lavoratori indicati dalla norma; sia l’obbligo delle imprese d’assicurare a
tutti i prestatori d’opera comunque coinvolti nelle operazioni portuali, non
importa se loro dipendenti o lavoratori temporanei, siffatto trattamento. Il
protocollo d’intesa, diramato dalla nota impugnata, è espressamente assunto
quale esito della procedura dell’art. 17, c. 13, II per. della
l. 84/1994, ossia di quegli specifici incontri che detto Ministero, di concerto
con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è tenuto ad
intraprendere tra le parti sociali per realizzare concretamente gli interessi
di tutela indicati nel precedente I per. La nota impugnata, pur rivolgendosi in
prima battuta alle Autorità portuali, in realtà, proprio per le caratteristiche
d'inderogabilità dei trattamenti stabiliti dal CCNL unico che recepisce e dirama, s'inserisce automaticamente nei rapporti
autorizzativi e concessori in corso, alle predette Autorità spettando d’osservarne
scrupolosamente le regole e di dettare acconce clausole d’esecuzione a
ciascun’impresa autorizzata o concessionaria. Non è vero, quindi, che le
imprese rappresentate dall’Associazione ricorrente possano mantenere le regole
dei rispettivi CCNL di categoria, in quanto, in base al significato dell’art.
17, c. 13 della l. 84/1994 recepito dal CCNL unico,
dalla nota ministeriale e dal regolamento savonese,
il trattamento stabilito da quest’ultimo contratto si sovrappone e prevale su
qualunque altra disciplina del lavoro di tutti questi prestatori d’opera.
Da ciò discende l’efficacia lesiva della nota impugnata,
sotto il duplice profilo, in base alla domanda attorea,
dell’erronea procedura di contrattazione e dell’illegittimo contenuto del
protocollo d’intesa recepito.
5.1. – Passando al merito della res controversa, reputa
opportuno il Collegio, ai fini d’una miglior comprensione delle vicende di
causa, rammentare che, anche nel settore portuale, soprattutto in conseguenza di importanti arresti della giurisprudenza comunitaria, si son verificati, al contempo, due fenomeni correlati. In
ossequio al principio della libertà d’impresa, affermato nei
Trattati e da svariate fonti comunitarie e ribadito nell’ordinamento
nazionale dalla l. 10 ottobre 1990 n. 287 e dalla l. 14 novembre 1995 n. 481,
si determina la ritrazione della "mano pubblica" dalla gestione
diretta delle attività economiche e la sostituzione con maggiori potestà di verifica
e controllo su queste. Si ha, in linea di massima, la separazione tra le funzioni
strategiche assunte ed esercitate dai pubblici poteri, quali loro fini primari
(funzioni di polizia e di sicurezza, costruzione e manutenzione delle opere,
gestione del demanio portuale, regolazione delle attività portuali)
e le attività commerciali, pur se d'interesse collettivo, svolte esclusivamente
da privati.
In particolare, già ab initio la l. 84/1994 operò siffatta separazione, nonché, con gradi d’approssimazione successiva ¾con riguardo, cioè,
all’evoluzione dell'ordinamento generale sul governo del mercato del lavoro¾, la soppressione del
monopolio del lavoro portuale.
5.2. – Prima di tale riforma, infatti, il regime giuridico
dei porti implicava, a parte la presenza delle apposite
aziende dei mezzi meccanici e dei magazzini generali, che nei porti di maggior
interesse economico l'apposito ente di settore assicurasse all'utenza i servizi
e le operazioni portuali, come diretto gestore o indirettamente, attraverso
concessionari. In ogni caso, l’art. 110, V c., c. nav.
riservava la materiale manipolazione delle merci al monopolio delle compagnie o
dei gruppi portuali, che obbligatoriamente raccoglievano tutte le maestranze
portuali, a’sensi del precedente I c. V’ era, dunque,
il generale obbligo ex lege (art. 111, IV c., c. nav.) in capo ad imprese portuali ed enti, d'impiegare solo
maestranze appartenenti ai gruppi o alle compagnie e da questi ultimi avviate
al lavoro su chiamata.
È ben vero che, già da tempo (cfr., per tutti, Cass., I, 5 novembre
1984 n. 5583), era stato circoscritto il monopolio in favore delle compagnie o
gruppi di lavoro portuale ex artt.
108, 110 e 112 c. nav. (e del connesso regolamento per
la navigazione marittima) alle sole operazioni portuali d'imbarco e sbarco
delle merci, per le quali fosse necessario l'impiego di mano d'opera, con
esclusione, perciò, di quelle effettuate soltanto con mezzi meccanici, oppure
con la sola prestazione personale dell'utente, consistente nella pura e
semplice manovra dei mezzi stessi e con la conseguente esenzione dal pagamento
delle tariffe portuali.
Nondimeno, solo grazie alla giurisprudenza comunitaria (cfr.
C. giust. CEE, 10 dicembre 1991 n. 179, Merci
Convenzionali Porto di Genova), anzitutto stabilì l'illegittimità della
normativa nazionale che conferisse ad un'impresa stabilita nello stesso Stato
membro il diritto esclusivo d'esercizio delle operazioni portuali ¾che rientrano nei servizi
disciplinati dall'art. 60 del Trattato, per i quali il precedente art. 59
sancisce l'obbligo di sopprimere le restrizioni alla loro libera prestazione¾, imponendole di
servirsi, per la relativa esecuzione, di una compagnia portuale composta
esclusivamente di maestranze nazionali. Peraltro e indipendentemente dalla sua
qualificazione d’impresa incaricata della gestione di un servizio d'interesse
economico generale ex art. 90, n. 2) Tratt., i diritti speciali conferiti a quest’ultima e le tariffe
da essa praticate non sono giustificati da alcun’esigenza d’adempimento della
specifica missione in ipotesi affidatale, che possa ostare all'applicazione
delle norme del Trattato stesso e, in particolare delle regole di concorrenza.
A ciò ha fatto poi eco la giurisprudenza nazionale, laddove (cfr. Cass.,
sez. un., 18 novembre 1998 n. 11620) ha constatato
che, alla declaratoria d’illegittimità per contrarietà agli artt.
30, 48, 86 e 90 Tratt. CEE della normativa dei singoli Stati membri
sull’attribuzione di diritti esclusivi d’esercizio delle operazioni portuali ad
imprese nazionali, consegue la sopravvenuta inapplicabilità delle norme di cui
agli artt. 110 e 112 c. nav. (monopolio
delle compagnie portuali sulle operazioni d’imbarco, sbarco, movimentazione e
depositi merci e materiali nei porti, ossia tutto ciò che l’art. 16, c. 1 della
l. 84/1994 considera operazioni portuali) ed all’art. 203 reg. navig. marittima (in tema di
tariffe per il lavoro portuale), incondizionatamente estesa
a tutte le strutture portuali nazionali.
5.3. – In questo contesto,
s’inserisce la legge di riforma, che ha, appunto, completamente rivisto il
sistema, partendo proprio dal superamento del monopolio de quo, il quale,
perciò, non è più nuovamente introducibile, in modo più o meno surrettizio,
nell’ordinamento nazionale.
Non a caso, l'art. 6, c. 6 della l. 84/1994 vieta
espressamente alle Autorità portuali, fuori dalle funzioni
d’indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle
operazioni portuali e delle altre attività commerciali ed industriali
esercitate, l’esercizio, diretto o anche per tramite di partecipazioni in
società, operazioni portuali o attività ad esse strettamente connesse. Al più,
dette Autorità, in virtù della novella recata dall'art. 8-bis del DL 30
dicembre 1997 n. 457 (convertito, con modificazioni, dalla l. 27 febbraio 1998
n. 30), possono costituire società o partecipare a società aventi ad oggetto soltanto
l'esercizio di attività accessorie o strumentali
rispetto ai compiti istituzionali affidati alle autorità medesime, anche ai
fini della promozione e dello sviluppo dell'intermodalità, della logistica e
delle reti trasportistiche. L'accesso alle operazioni
portuali, viceversa, è aperto a qualunque impresa dotata d’apposita
autorizzazione, al fine di realizzare l'effettiva competizione tra le imprese,
giacché l'Autorità portuale determina il numero massimo di autorizzazioni,
assicurando, però, anche il massimo della concorrenza nel settore (art. 16, c.
7).
Alle compagnie ed ai gruppi portuali esistenti l’art. 21,
c. 1 impone invece la trasformazione in società, a pena di messa in
liquidazione e consente loro d'operare come imprese portuali ¾sotto tale profilo
assimilate a quelle previste dal precedente art. 16¾, oppure come società
di servizi d’intermediazione di manodopera in espressa deroga all'art. 1 della
l. 23 ottobre 1960 n. 1369, che sancisce il divieto d'appalto di mere prestazioni
di lavoro.
Da ciò discende, in primo luogo, che le operazioni e i
servizi portuali possono essere esercitati esclusivamente da imprese private,
soggette alla sola autorizzazione da parte dell'Autorità portuale, con o senza
la concessione anche di spazi del demanio portuale e di banchine, a’sensi
dell'art. 18 (aziende c.d. terminaliste) e previa
pubblica gara. Discende altresì che le imprese autorizzate si possano servire, per
la movimentazione della merce e per tutte le attività connesse, di personale
proprio, appunto grazie all'abrogazione degli artt.
110 e 111 c. nav. recata dall'art. 27, essendo sparito
l’antico obbligo, per le imprese (antiche concessionarie in àmbito
portuale) d'avvalersi, per l'esecuzione delle operazioni stesse, esclusivamente
delle maestranze costituite nelle compagnie o nei gruppi. Da tanto discende,
infine, la facoltà di tali imprese d’ adoperare anche
lavoro temporaneo altrui, appunto fornito da appositi soggetti monopolisti ex
art. 17, c. 2 (nel testo da ultimo novellato dall’art. 3 della l. 30 giugno
2000 n. 186) ¾che in nessun caso possono esercitare in proprio le operazioni o i
servizi portuali¾, pure in deroga alla l. 1369/1960.
5.4. – In particolare, tale
eccezione fu consentita, fin dalla formulazione originaria dell'art. 17 (cfr. c. 1), per far fronte alle
peculiarità del lavoro portuale, notoriamente soggetto ai c.d. "picchi di
manodopera" collegati all'arrivo delle navi e, comunque, al particolare
andamento del mercato relativo. Ebbene, in origine, la
fornitura di mere prestazioni di lavoro poteva esser richiesta, in deroga
all'art. 1 della l. 1369/1960, alle società o alle cooperative di cui al
successivo art. 21, ossia i soggetti derivanti dalla trasformazione ex lege delle compagnie e dei gruppi portuali, per lo
svolgimento, in regime di concorrenza, delle operazioni portuali. Restava ferma
la possibilità (c. 2) di Autorità portuali o marittime
di promuovere l’istituzione, ove non fossero costituite le società o le
cooperative de quibus, di un’associazione del lavoro
portuale per far fronte alle fluttuazioni del traffico, garantendo una maggiore
efficienza all'attività del porto, con applicazione ai suoi dipendenti del CCNL
vigente per i lavoratori delle imprese di cui all'art. 16, nonché dei relativi
trattamenti previdenziali e assistenziali.
Non per un diverso scopo intervenne la novella introdotta
dall’art. 1, c. 21-ter del DL 21 ottobre 1996 n. 535 (convertito, con
modificazioni, dalla l. 23 dicembre 1996 n. 647), che riformò integralmente
l’art. 17 disciplinando la fornitura del lavoro portuale temporaneo, in attesa dell'entrata in vigore delle norme disciplinatrici
della fornitura di mere prestazioni di mano d'opera e della riforma della l.
1369/1960. All’ uopo si previde che le
Autorità portuali o marittime promuovessero la costituzione di un consorzio
volontario, aperto a tutte le imprese ex artt. 16, 18
e 21, solo per agevolare lo svolgimento delle fasi delle imprese consorziate
caratterizzate da variazioni imprevedibili di domanda di manodopera, se del
caso autorizzando una o più imprese consorziate, anche in deroga all'art. 1
della l. 1369/1960 e purché dotate di adeguato
personale e risorse proprie, alla fornitura di mere prestazioni di mano
d'opera a favore di altre imprese consorziate.
Ove non fosse costituito detto consorzio, oppure non vi
partecipasse la maggioranza delle predette imprese, le Autorità portuali o
marittime, se avessero ravvisato l'esigenza di soddisfare tali variazioni
imprevedibili, avrebbero potuto istituire l'Agenzia
per l'erogazione di mere prestazioni di manodopera, unico soggetto autorizzato
a fornirle in deroga alla l. 1369/1960 nell'ambito portuale in cui fosse istituito.
5.5. – Anche tutto l’attuale art. 17
disciplina, integralmente ed esclusivamente, la fornitura del lavoro portuale
temporaneo, in deroga alla ripetuta legge n. 1369, alle imprese ex artt. 16 e 18.
Al riguardo, già l’inequivoco
dato testuale ex c. 1, per cui «… il presente articolo
disciplina la fornitura di lavoro temporaneo…», implica che è logicamente
difficile ritenerne possibile o giustificabile l’applicazione ad altre
fattispecie di lavoro temporaneo e, a più forte ragione, a quelle di lavoro a
tempo indeterminato. In ogni caso, l’ art. 17 pone un
complesso di regole sì successive, ma alternative alla l. 24 giugno 1997 n.
196, recante la fornitura in generale di lavoro temporaneo ¾in risposta alla
particolarmente avvertita esigenza d’introdurre e regolare forme di lavoro
provvisorio sulla traccia dell'esperienza francese del c.d. travail
interinaire¾, ancorché dense di richiami non solo testuali, ma soprattutto
concettuali a siffatta norma generale, come meglio si vedrà appresso.
Ora, l'erogazione delle prestazioni in parola è effettuata da un’impresa monopolista, appositamente
autorizzata dalle Autorità portuali o marittime e la cui attività è
esclusivamente rivolta alla fornitura di lavoro temporaneo per l'esecuzione
delle operazioni e dei servizi portuali ¾con esclusione, quindi, d’ogni altra attività imprenditoriale in àmbito portuale e della partecipazione in una o più delle
imprese ex artt. 16, 18 e 21 della
l. 84/1994¾,
individuata in base ad una procedura aperta accessibile ad imprese nazionali e
comunitarie. In caso contrario, le fornitura
delle prestazioni in parola è erogata da agenzie promosse dalle Autorità
portuali o marittime, soggette al loro controllo. La relativa gestione è
affidata ad un organo direttivo composto da rappresentanti
delle imprese di cui agli artt. 16, 18 e 21, c. 1,
lett. a) e che assumono i lavoratori di cui alle società o cooperative ex art.
21, c. 1, lett. b), ossia quelle costituite da compagnie e gruppi portuali per
la fornitura di servizi a favore di altre imprese
portuali e terminaliste, comprese le mere prestazioni
di lavoro in deroga alla l. 1369/1960. Entrambi i soggetti prestatori, solo in
caso d’insufficienza di proprio personale per far fronte alla fornitura di
lavoro portuale temporaneo, possono rivolgersi, quali imprese utilizzatrici, ai
soggetti abilitati alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo generale
ex l. 196/1997.
Come si vede, il rapporto di lavoro portuale temporaneo,
anche sotto il profilo semantico identico all’omonimo istituto generale
regolato da quest’ultima, si manifesta con una struttura trilaterale, in quanto
in esso l’impresa titolare dell’apposita autorizzazione
dell’Autorità portuale, o l’agenzia ex c. 5 fornisce per un tempo e per
esigenze limitati lavoratori con determinate caratteristiche alle imprese ex artt. 16, 18 e 21, c. 1, lett. a), che ne fanno richiesta.
I lavoratori sono assunti, a tempo indeterminato o a termine dall'impresa o
dall’agenzia, quest’ultima tra i dipendenti delle società o cooperative ex art.
21, c. 1, lett. b), per svolgere appunto le proprie prestazioni a favore delle
imprese utilizzatrici. Anche per le prestazioni ex
art. 17, c. 1, pertanto, il lavoro temporaneo è costituito da due rapporti
contrattuali funzionalmente collegati, ma ontologicamente
distinti, uno d’appalto, ossia d’utilizzazione delle prestazioni lavorative di
soggetti estranei all’appaltante e solo per il tempo ed i compiti espressamente
dedotti in appalto e l'altro di lavoro subordinato tra tali soggetti e
l’impresa o l’agenzia fornitrice. Lo schema fin qui descritto, nondimeno, è
esattamente quello evincibile dal combinato disposto dell’art. 1, c. 1 (contratto
tra l’impresa fornitrice e l’ impresa utilizzatrice)
e, rispettivamente, dell’art. 3, c. 1 (contratto tra l’impresa fornitrice ed i
suoi dipendenti da inviare, volta per volta, alle imprese utilizzatrici) della
l. 196/1997.
Non a caso, l’art. 17, c. 7 fa riferimento ad alcune
disposizioni della l. 196/1997, ma per una vicenda tutt’affatto
diversa da quella, testé evidenziata, del ricorso dei soggetti prestatori di
lavoro portuale temporaneo, a loro volta, ad imprese di lavoro c. d.
“interinale”, qualora ve ne sia bisogno. Il c. 7, invero, regola il contenuto
minimo del CCNL unico di riferimento di cui al
successivo c. 13, all’uopo mutuando dalla l. 196/1997 alcuni istituti di
garanzia colà contenuti e che inderogabilmente le parti sociali individuano in
sede di trattative per la stipula del contratto stesso. La ragione è evidente e
fonda la clausola di garanzia di cui al successivo c. 13, I per.: a differenza dei dipendenti delle imprese ex artt. 16, 18 e 21, c. 1, lett. a) ¾il cui rapporto di
lavoro subordinato è già disciplinato, impresa per
impresa, categoria per categoria, dai CCNL di comparto¾, gli addetti alle
imprese o alle agenzie fornitrici di lavoro portuale temporaneo, ossia i «…
lavoratori (dipendenti delle imprese ex c. 2 e delle società ex art. 21, c. 1,
lett. b assunti nelle agenzie ex c. 5) e … soci lavoratori di cooperative (di
cui all’art. 21, c. 1, lett. b)…» di cui al citato c. 13, non hanno di per sé
un trattamento omogeneo ed unico, onde il loro CCNL unico di riferimento non
può prescindere, nonostante il regime di separatezza
del lavoro portuale, dagli istituti di minima garanzia che l’ordinamento
generale appresta ai lavoratori c.d. “interinali”. Si può, forse, discettare
sulla necessità attuale d’un regime separato per il lavoro portuale, ma al
Collegio non sfugge né la tradizionale peculiarità di tale tipo di prestazione
d’opera, né la necessità di prevedere per i relativi addetti una disciplina che
non dimentichi l’imprevedibilità (e soprattutto le
oscillazioni e le stasi) del fabbisogno di manodopera, né tampoco l’esigenza
d’assicurare ai lavoratori portuali temporanei le garanzie esistenti per tutti
i lavoratori temporanei. Si tratta di situazioni, tutte queste, che
giustificano ancor oggi una disciplina ad hoc per
questi lavoratori, solo ai quali fa riferimento il successivo c. 13, fermo
restando che tali garanzie, come ben evincesi dal dato testuale, non possono
valere né fuori dall’àmbito portuale, né, a più forte
ragione, nei confronti di lavoratori che, pur operando in quell’àmbito,
godono già e di per sé del trattamento giuridico, retributivo e previdenziale
di competenza, in base a fonti legali e negoziali di pari forza formale a
quelle per cui è causa.
In particolare, s’avrà che nel CCNL ex c. 13 le parti
sociali individuino: 1) – i casi in cui il contratto
di fornitura di lavoro temporaneo possa esser concluso a’sensi
dell'art. 1, c. 2, lett. a) della l. 196/1997, ossia nelle ipotesi previste dai
CCNL della categoria d’appartenenza dell'impresa utilizzatrice, stipulati dalle
OO.SS. comparativamente più
rappresentative; 2) – le qualifiche professionali cui s’applica il divieto di
cui al successivo c. 4, lett. a), ossia quelle inerenti alle mansioni indicate
nei CCNL della categoria d’appartenenza dell'impresa utilizzatrice, il cui
svolgimento possa presentare maggior pericolo per la sicurezza del prestatore
di lavoro o di terzi; 3) – la percentuale massima dei prestatori di lavoro
temporaneo in rapporto ai lavoratori occupati nell'impresa utilizzatrice,
giusta quanto indicato nel successivo c. 8; 4) – i casi per i quali può esser
prevista la proroga dei contratti di lavoro a tempo determinato a’ sensi dell'art. 3, c. 4; 5) – le modalità di
retribuzione dei trattamenti aziendali previsti dall'art. 4, c. 2 (retribuzione
non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti di pari livello
dell'impresa utilizzatrice; divieto del trattamento previsto per la categoria
d’inquadramento di livello più basso quando tale inquadramento sia considerato
dal CCNL avente carattere solo esclusivamente transitorio; criteri per la
determinazione e corresponsione della retribuzione di risultato).
Inoltre, la profonda analogia con la disciplina della l.
196/1997 implica, in ordine alla deroga che l’art. 17
della l. 84/1994 fa all’art. 1 della l. 1369/1960, il medesimo rapporto di
coordinamento esistente tra quest’ultima e la legge n. 196. Invero,
come già accade per la norma generale sul lavoro temporaneo, neppure l’art. 17
fa venir del tutto meno il tradizionale divieto d’intermediazione di
manodopera, la disciplina del 1960 continuando a trovare applicazione al di
fuori dei casi consentiti di fornitura di lavoro portuale temporaneo, foss’anche da parte di un’impresa ex artt.
16, 18 o 21, c. 1, lett. a) nei riguardi di un’agenzia di lavoro interinale,
perché detta impresa non si può rivolgere che SOLO all’impresa ex art. 17, c. 2
o all’agenzia ex c. 5. Pertanto, come l'art. 10, c. 1 della l. 196/1997 non ha
abolito il divieto d’interposizione fittizia di manodopera ex l. 1369/1960 nei
confronti dell'impresa utilizzatrice che ricorra alla
fornitura di prestatori di lavoro dipendente da parte di soggetti diversi da
quelli cui all'art. 2 della stessa legge n. 196, oppure che violi le
disposizioni di cui al precedente art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 (così Cass., sez. lav.,
9 aprile 2001 n. 5232), allo stesso modo va trattata l’impresa portuale che
eluda l’obbligo d’approvvigionarsi di manodopera temporanea dai soggetti monopolisti
ex art. 17 della l. 84/1997. Si tratta, con ogni evidenza, di un’ulteriore forma di garanzia a favore dei lavoratori portuali
temporanei, le cui funzione ed utilità sono nulle per i dipendenti delle
imprese portuali, il cui rapporto, invero, non è conformato da tali norme, ma,
al contrario, le loro regole contrattuali e le altre tutele approntate dalla
legge si comunicano ai lavoratori temporanei e li salvaguardano.
6. – Così chiarito per sommi capi il quadro normativo di
riferimento, il ricorso in epigrafe s’appalesa
fondato e, come tale, è meritevole d’accoglimento nei sensi e
per le considerazioni qui di seguito indicate.
7. – Da condividere è, anzitutto, il primo assunto attoreo, laddove afferma che l’art. 17 regola esclusivamente
il lavoro portuale temporaneo, con conseguente impossibilità di trasmettere a
lavoratori terzi le regole del loro CCNL, come il Collegio ha avuto modo finora
di far presente.
Ma da accogliere è pure tutto il primo mezzo
d’impugnazione, in quanto, in effetti, l’atto impugnato pretermette
illegittimamente le ragioni di tutte le parti sociali, ugualmente legittimate a
trattare ed a stipulare il CCNL unico di riferimento, laddove recepisce il protocollo d’intesa a suo tempo ratificato da alcuni
contraenti a guisa di testo definitivo del contratto stesso.
Ora, non sfugge al Collegio che il Ministero intimato non possa prescindere da un testo siffatto, frutto a sua volta
di intese negoziali di per sé sole non nulle, né illecite, ma solo in attesa di
perfezionamento. Infatti, l’obbligo ex lege di promozione degli incontri con le parti sociali non esclude
che queste ultime possano, aliunde ed in via del
tutto autonoma, raggiungere comunque l’accordo nei sensi ex art. 17, c. 13. La
promozione de qua ben si potrebbe rivelare superflua qualora l’accordo raggiunto
in altra sede soddisfi, sotto i profili della completezza delle parti
stipulanti e della conformità del contenuto ai fini sottesi al c. 13, la norma
sulla contrattazione. Pertanto, per un’evidente ragione d'economia dei mezzi giuridici,
non è invocabile l'inversione o l’astrazione dalla procedura,
una volta legittimamente raggiunto il risultato, nemmeno quando una o
più parti sociali, regolarmente invitate negli incontri promossi dal Ministero
intimato, non v’abbia partecipato, oppure abbia fatto constare in altra sede il
proprio specifico assenso sull’oggetto del CCNL.
Sennonché siffatta astrazione è illegittima quando, come
nella specie, non vi sia completezza di stipulanti
legittimati e correttezza di contenuto, né certezza, secondo gli ordinari
canoni di buona fede nelle trattative e d’interpretazione secondo il contegno
delle parti, di raggiungimento del consenso, se questo è manifestato in forme
atipiche o espresse in sedi diverse dal tavolo di trattativa (p.es., dichiarazioni giornalistiche, ecc.). In tal caso, è
obbligo del Ministero intimato non già recepire
acriticamente il testo così parzialmente concordato, bensì adoperarlo a guisa
di mera piattaforma per la prosecuzione delle trattative e, quindi, promuovere
gli ulteriori incontri necessari alla perfezione dell’accordo.
Parimenti da condividere è il secondo motivo di gravame,
laddove la ricorrente lamenta l’evidente violazione del significato dell’art.
17, c. 13 della l. 84/ 1994, da parte dei contraenti, i quali erroneamente
hanno ritenuto applicabile il contratto colà previsto a tutti indistintamente i
lavoratori di tutte le imprese comunque operanti in
ambito portuale. Già il Collegio ha avuto modo di rilevare l'incongruenza, già
sotto l’aspetto testuale ancor prima che logico, d’una tale dilatazione delle
regole di tutela, pensate dal legislatore a solo vantaggio dei lavoratori
portuali temporanei perché di per sé privi di idonee
garanzie soprattutto per i periodo di stasi delle loro prestazioni, a soggetti
di per sé ben tutelati in altra sede. Qui giova solo osservare che il
trattamento minimo inderogabile, colà previsto, non può concernere altri soggetti
che tali lavoratori, come ben evincesi dal precedente c. 7 e, soprattutto, dal
c. 15, in base al quale le parti sociali di cui al c. 13 regolano le modalità
di retribuzione dei soggetti impiegati dalle imprese e/o dalle agenzie
fornitrici per le giornate di mancato avviamento al lavoro. Né varrebbe
osservare che siffatta mancata “estensione” del CCNL unico anche ai dipendenti
delle imprese portuali potrebbe implicare una disparità di trattamento a
svantaggio di questi ultimi, giacché, a parte l’impossibilità d'individuare ex lege la categoria dei c.d. lavoratori portuali (invero
indefinita nei contorni), anziché lasciarne l’esatta indicazione alla dinamica contrattuale, in base al c. 7 s'evince, non
diversamente da ciò che accade per il lavoro “interinale” ex l. 196/1997, che
sono tali lavoratori a comunicare il proprio trattamento retributivo e
giuridico a quelli temporanei e non mai viceversa.
8. – Il ricorso va
così accolto, ma la novità della questione e giusti motivi suggeriscono
l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese di giudizio.
il Tribunale amministrativo regionale
del Lazio, sede di Roma, sez. 3°-ter, accoglie il ricorso n. 5914/2002 in
epigrafe e per l’effetto annulla, per quanto di ragione e nei sensi di cui in
motivazione, i provvedimenti impugnati e meglio indicati in premessa.
Spese compensate.
Ordina all’Autorità amministrativa d’eseguire la presente sentenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 30
ottobre 2003.
Francesco CORSARO, PRESIDENTE
Silvestro Maria RUSSO, ESTENSORE