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Roma, 24
febbraio 2005
Circolare n. 31/2005
Oggetto: Finanziamenti – Fondi per la formazione
continua – Sentenza della Corte Costituzionale n. 51 del 13.1.2005.
Il federalismo comincia a produrre effetti anche in materia di
formazione professionale.
Accogliendo parzialmente un ricorso presentato dall’Emilia Romagna, la
Corte Costituzionale ha infatti dichiarato illegittimo l’art. 48 della legge n.
289/2002, relativo all’istituzione dei fondi paritetici per la formazione
continua (tra cui FOR.TE. e FONDIR), “nella
parte in cui non prevede strumenti idonei a garantire una leale collaborazione
tra Stato e Regioni”. Non è stato invece accolto il motivo principale del ricorso
teso a riservare alle regioni la competenza in materia di organizzazione e di gestione
della formazione.
La sentenza della Corte non dovrebbe avere ripercussioni negative sui
fondi esistenti, di cui anzi conferma l’assetto (costituzione, funzionamento e
sistema di finanziamento) così come è stato definito a livello nazionale.
La Confetra, unitamente alle altre organizzazioni che hanno costituito
i fondi in questione, è intervenuta sul Ministro del Lavoro affinché
l’adeguamento alla pronuncia della Corte Costituzionale avvenga in maniera
condivisa.
f.to
dr. Piero M. Luzzati |
Per riferimenti confronta circ.re conf.le n.126/2004 |
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Allegato uno |
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M/t |
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SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
N. 51 DEL 13.1.2005
La Corte
Costituzionale ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli
47 e 48 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), promosso
con ricorso della Regione Emilia-Romagna, notificato il 1° marzo 2003,
depositato in cancelleria il 7 marzo 2003 ed iscritto al n. 25 del registro
ricorsi 2003.
Visto l’atto di costituzione del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 26
ottobre 2004 il Giudice relatore Franco Bile;
uditi l’avvocato Giandomenico
Falcon per la Regione Emilia-Romagna e l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 1°
marzo 2003, depositato il successivo 7 marzo, la Regione Emilia-Romagna ha
impugnato alcuni articoli della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2003) e, fra essi, l’art. 47, recante «Finanziamento di interventi
per la formazione professionale».
L’articolo contiene due commi. Il
comma 1 prevede che – nell’ambito delle risorse preordinate sul fondo per
l’occupazione, di cui all’art. 7, comma 1, del decreto-legge 20 maggio 1993, n.
148, convertito, con modificazioni, in legge 19 luglio 1993, n. 236 – il Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro
dell’economia, determina «i criteri e le modalità per la destinazione
dell’importo aggiuntivo di 1 milione di euro, per il finanziamento degli
interventi di cui all’art. 80, comma
4, della legge 23 dicembre 1998, n. 448» (che a sua volta rifinanziava gli
interventi di cui alla legge 14 febbraio 1987, n. 40, «in materia di formazione professionale»). Il comma 2 –
modificando l’art. 118, comma 16, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante
anch’esso «interventi in materia di formazione professionale» – prevede che il
Ministero del lavoro e della previdenza sociale, con proprio decreto, destini
100 milioni di euro, per l’anno 2003, «per le attività di formazione
nell’esercizio dell’apprendistato», secondo le modalità di cui all’art. 16
della legge 24 giugno 1997, n. 196.
Secondo la Regione ricorrente, la
previsione di finanziamenti in materia di formazione professionale (spettante
alla competenza piena delle Regioni) e l’attribuzione al Ministro del potere di
definirne i criteri di destinazione violano la potestà finanziaria, legislativa
e amministrativa regionale, perché lo Stato non può, conferendo fra l’altro poteri
sostanzialmente regolamentari ad un Ministro, trattenere a sé la disciplina e
la gestione di un finanziamento che ricade in materia regionale. In subordine,
la Regione Emilia-Romagna deduce l’illegittimità della norma nella parte in cui
non prevede che i poteri statali ivi previsti siano esercitati previa intesa
con la Conferenza Stato-Regioni, dato che nelle materie regionali il principio
di leale collaborazione impone un coordinamento fra i soggetti interessati.
1.1. – Con lo stesso ricorso la
Regione Emilia-Romagna impugna, in via principale, anche l’art. 48 della stessa
legge n. 289 del 2002, che disciplina i fondi interprofessionali destinati
dalle parti sociali alla formazione continua. Poiché il sistema della formazione
professionale non può avere un livello nazionale di organizzazione e gestione,
la ricorrente ritiene illegittima, per violazione dell’art. 117, quarto comma,
della Costituzione, la previsione che tali fondi siano costituiti al livello
nazionale, come disposto dall’art. 48, comma 1, attraverso la modificazione che
esso opera dei commi 1, 2 e 6 dell’art. 118 della legge n. 388 del 2000.
Ritiene inoltre la violazione dell’art. 118 Cost., in quanto, una volta che
tali soggetti privati gestori dei fondi siano stati costituiti, ogni potere
amministrativo in relazione ad essi non può che spettare alla disciplina
regionale, che provvederà ad assegnarne alla stessa Regione o ad altri enti la
titolarità, la disciplina dell’attivazione e, ove occorra, la relativa
autorizzazione, nonché la disciplina e l’esercizio della vigilanza e del
monitoraggio sulla gestione, come pure le funzioni sanzionatorie e la nomina di
membri o del presidente del collegio sindacale.
2. – E’ intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza delle questioni, con riserva di
ulteriori deduzioni, formulate in una memoria depositata nell’imminenza
dell’udienza, nel cui contesto deduce altresì l’inammissibilità della questione
riguardante l’art. 47, poiché la norma si limita a prevedere la determinazione
con decreto dei criteri e modalità per la destinazione del previsto importo in
sede di ripartizione e nell’ambito delle risorse del Fondo per l’occupazione, e
quindi non è tale da poter incidere, sia pure indirettamente, nella sfera
legislativa e/o amministrativa della Regione.
Nel merito, quanto al comma 1
dell’art. 47, la difesa erariale deduce che l’importo aggiuntivo a carico del
Fondo indicato nel comma 1 della norma impugnata è destinato a finanziare non
già l’attività di formazione professionale, ma la contribuzione per spese
generali di amministrazione relative al coordinamento operativo a livello
nazionale a favore degli enti privati che tuttora gestiscono le attività formative,
ove essi abbiano carattere nazionale e operino in più Regioni.
Quanto all’art. 48, essa osserva
che la norma si limita a prevedere una possibile istituzione di fondi per
effetto di un accordo interconfederale stipulato tra le organizzazioni
sindacali datoriali e dei lavoratori; che – data la derivazione “pattizia” di
tali fondi – il legislatore nazionale non può sovrapporsi agli accordi
imponendo una dimensione regionale dei fondi; e infine che il necessario
raccordo con l’attività di programmazione e attuazione della formazione
professionale continua è comunque assicurato dalla prevista trasmissione
obbligatoria dei progetti finanziabili alle Regioni territorialmente interessate.
Considerato in diritto
1. – La Regione
Emilia-Romagna impugna, in via principale, gli artt. 47 e 48 della legge 27 dicembre
2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2003), disciplinanti rispettivamente il
«Finanziamento di interventi per la formazione professionale» ed i «Fondi
interprofessionali per la formazione continua».
2. – Per ragioni di omogeneità
della materia da decidere, tali questioni di legittimità costituzionale –
sollevate con lo stesso ricorso insieme ad altre, concernenti diverse
disposizioni del medesimo testo legislativo, ma prive di collegamento tra loro
– possono essere oggetto di trattazione separata.
3. – L’art. 47
prevede al comma 1 che «Nell’ambito delle risorse preordinate sul fondo per
l’occupazione di cui all’art. 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n.
148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, con
decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il
Ministro dell’economia e delle finanze, sono determinati i criteri e le
modalità per la destinazione dell’importo aggiuntivo di 1 milione di euro, per
il finanziamento degli interventi di cui all’art. 80, comma 4, della legge 23
dicembre 1998, n. 448».
Tale ultima norma
destina 18 miliardi di lire «al finanziamento degli interventi di cui alla
legge 14 febbraio 1987, n, 40, in materia di formazione professionale». A sua
volta questa legge prevede la concessione «agli enti privati che svolgono
attività rientranti nell’ambito delle competenze statali di cui all’art. 18
della legge 21 dicembre 1978, n. 845», legge quadro in materia di formazione
professionale, di contributi «per le spese generali di amministrazione relative
al coordinamento operativo a livello nazionale degli enti medesimi, non coperte
da contributo regionale».
La Regione ricorrente ritiene che
la norma impugnata violi la propria competenza legislativa residuale, e la
relativa potestà amministrativa e finanziaria, in materia di formazione
professionale, nonché, in linea subordinata, il principio di leale
collaborazione tra Stato e Regione.
3.1. – La questione è fondata.
La norma impugnata – come si desume
dalla sua formulazione letterale, nonostante la complessità dei molteplici
richiami a disposizioni precedenti, e dalla stessa rubrica dell’art. 47 –
disciplina interventi destinati alla formazione professionale: questa materia
appartiene, nell’assetto definito dal
nuovo art. 117 della Costituzione, alla competenza residuale delle
Regioni, in quanto non è inclusa nell’elenco delle materie attribuite dal
secondo comma alla legislazione dello Stato ed è nel contempo espressamente esclusa
dall’ambito della potestà concorrente in materia di istruzione, sancita dal
successivo terzo comma (v. sentenza n.
13 del 2004).
Non è, perciò, condivisibile la
tesi dall’Avvocatura, secondo cui – in considerazione di quanto disposto
dall’art. 18 della legge n. 40 del 1987, richiamato dall’art. 80, comma 4,
della legge n. 448 del 1998, a sua volta richiamato dalla norma impugnata –
l’importo aggiuntivo di cui si tratta esulerebbe dalla materia in esame, in
quanto destinato a finanziare la mera contribuzione per spese generali di
amministrazione relative al coordinamento operativo a livello nazionale a
favore degli enti privati che tuttora gestiscono le indicate attività
formative. Infatti – poiché il ricorso della Regione pone una questione di
competenza – per la soluzione di essa è decisiva, quale che sia la destinazione
del finanziamento, l’inerenza della normativa statale impugnata ad una materia
(la formazione professionale) che è invece devoluta alla competenza legislativa
residuale delle Regioni (art. 117, commi 3 e 4).
3.2. – Con riferimento ai
finanziamenti disposti da leggi statali in favore di soggetti pubblici o privati
(mediante la costituzione di appositi fondi o il rifinanziamento di fondi già
esistenti), questa Corte ha più volte affermato che – dopo la riforma
costituzionale del 2001 ed in attesa della sua completa attuazione in tema di
autonomia finanziaria delle Regioni (cfr. sentenze n.
320 e n. 37 del
2004) – l'art. 119 della Costituzione pone, sin d’ora, al
legislatore statale precisi limiti in tema di finanziamento di funzioni
spettanti al sistema delle autonomie (sentenza n. 423 del 2004).
Anzitutto non è consentita
l’erogazione di nuovi finanziamenti a destinazione vincolata in materie
spettanti alla competenza legislativa, esclusiva o concorrente, delle Regioni (sentenze n.
16 del 2004 e n. 370 del
2003). Infatti il ricorso a questo tipo di finanziamento può
divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato
nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di
sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli
legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria
competenza.
In secondo luogo – giacché «le funzioni attribuite alle Regioni
ricomprendono pure la possibilità di erogazione di contributi finanziari a
soggetti privati, dal momento che in numerose materie di competenza regionale
le politiche pubbliche consistono appunto nella determinazione di incentivi
economici ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalità
per la loro erogazione» (sentenza n.
320 del 2004) – questa Corte ha ripetutamente chiarito che il tipo
di ripartizione delle materie fra Stato e Regioni di cui all'art. 117 Cost.,
«vieta comunque che in una materia di competenza legislativa regionale, in
linea generale, si prevedano interventi finanziari statali seppur destinati a
soggetti privati, poiché ciò equivarrebbe a riconoscere allo Stato potestà
legislative e amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto
delle rispettive competenze» (sentenze n.
320, n. 423
e n. 424 del
2004).
3.3. – Sulla base di tali
consolidati principî (ed a maggior ragione, trattandosi di interventi in materia
di competenza regionale residuale) il comma 1 dell’art. 47 deve essere
dichiarato costituzionalmente illegittimo.
4. – Il comma 2 dell’art. 47
aggiunge nell’art. 118, comma 16, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2001), la previsione di una quota di finanziamento di 100 milioni
di euro per il 2003 «per le attività di formazione nell’esercizio
dell’apprendistato anche se svolte oltre il compimento del diciottesimo anno di
età, con le modalità di cui all’art. 16 della legge 24 giugno 1997, n. 196»: si
tratta delle iniziative di formazione esterne all’azienda, previste dai
contratti collettivi nazionali di lavoro, che l’amministrazione pubblica
competente propone all’impresa, ed i cui contenuti formativi sono definiti con
decreto del Ministro del lavoro, sentite le organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative sul piano nazionale, le associazioni di categorie
dei datori di lavoro e le Regioni (comma 2 del citato art. 16).
La Regione ricorrente – come motivo
di impugnazione dell’intero articolo – ritiene che anche questo comma violi la
propria competenza legislativa residuale, e la relativa potestà amministrativa
e finanziaria, in materia di formazione professionale, nonché, in linea
subordinata, il principio di leale collaborazione tra Stato e Regione.
4.1. – La questione è infondata.
La sentenza n.
50 del 2004 – resa sulla legge 14 febbraio 2003, n. 30, recante
“Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro” – ha
chiarito (al n. 14, in fine, del “Considerato in diritto”) che nell’attuale
assetto del mercato del lavoro la disciplina dell’apprendistato si colloca
all’incrocio di una pluralità di competenze: esclusive dello Stato (ordinamento
civile), residuali delle Regioni (formazione professionale), concorrenti di
Stato e Regioni (tutela del lavoro, istruzione). E dunque – poiché le molteplici
interferenze di materie diverse non consentono la soluzione delle questioni
sulla base di criteri rigidi – la riserva alla competenza legislativa regionale
della materia «formazione professionale» non può escludere la competenza dello
Stato a disciplinare l’apprendistato per i profili inerenti a materie di sua
competenza (cfr. anche, più oltre, n. 5.1.).
Beninteso un tale intervento
legislativo dello Stato – proprio perché incidente su plurime competenze tra
loro inestricabilmente correlate – deve prevedere strumenti idonei a garantire
una leale collaborazione con le Regioni.
Nella specie – poiché la norma
impugnata si limita a finanziare gli interventi statali a sostegno della
formazione nell’apprendistato per l’anno 2003 (come ha fatto, successivamente
alla proposizione del ricorso, l’art. 3, comma 137, della legge 24 dicembre
2003, n. 350, che ha aggiunto altri 100 milioni di euro per l’anno 2004, e che
non è stato impugnato in via principale) – l’esigenza del coinvolgimento delle
Regioni non può che riguardare la ripartizione fra di esse dei fondi da erogare
in tale anno.
Ma questo coinvolgimento delle
Regioni si è di fatto concretamente realizzato (pur se non nella forma più
pregnante costituita dall’intesa), in quanto la ripartizione (come risulta dalle
premesse del decreto direttoriale 23 ottobre 2003) è stata attuata previo
parere favorevole reso in data 13 ottobre 2003 dal «Coordinamento tecnico
regioni per la formazione professionale e il lavoro».
Risultando quindi l’interesse della
Regione ricorrente non insufficientemente tutelato, la censura deve ritenersi
infondata.
5. – La Regione Emilia-Romagna
impugna, altresì, l’art. 48 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, il quale
modifica il già citato art. 118 della legge n. 388 del 2000, che a sua volta
aveva istituito e regolamentato (peraltro in maniera sostanzialmente analoga) i
fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua.
Il ricorso investe specificamente i
commi 1, 2 e 6 dell’art. 118 della legge n. 388 del 2000, quali risultanti
dalle menzionate modifiche.
In particolare: a) il nuovo comma 1
prevede che – al fine di promuovere, in coerenza con la programmazione
regionale e con le funzioni di indirizzo attribuite in materia al Ministero del
lavoro e delle politiche sociali, lo sviluppo della formazione professionale
continua, in un’ottica di competitività delle imprese e di garanzia di
occupabilità dei lavoratori, possono essere istituiti, per ciascuno dei settori
economici dell’industria, dell’agricoltura, del terziario e dell’artigianato,
«fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua»; che
tali fondi, previo accordo tra le parti, si possono articolare regionalmente o
territorialmente; e che ad essi affluiscono i contributi dovuti dai datori di
lavoro aderenti ai fondi, ai sensi della legislazione in materia di assicurazione
obbligatoria contro la disoccupazione; b) il nuovo comma 2 disciplina i poteri
del Ministero del lavoro relativi ai fondi in esame e istituisce
l’«Osservatorio per la formazione continua», c) il nuovo comma 6 prevede che
ciascun fondo è istituito, sulla base di accordi interconfederali stipulati
dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori
maggiormente rappresentative sul piano nazionale, alternativamente come
soggetto giuridico di natura associativa ai sensi dell’art. 36 del codice
civile, ovvero come soggetto dotato di personalità giuridica ai sensi degli
artt. 1 e 9 del regolamento di cui al d.P.R. 10 febbraio 2000, n.361, concessa
con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
La Regione ricorrente censura tali
norme come lesive dell’art. 117, quarto comma, Cost., giacché il sistema della
formazione professionale non può avere un livello nazionale di organizzazione e
gestione; e dell’art. 118 Cost., poiché, una volta che i soggetti privati di
gestione dei fondi siano stati costituiti, ogni potere amministrativo in
relazione ad essi non può che spettare alla disciplina regionale, che provvederà
ad assegnarne alla stessa Regione o ad altri enti la titolarità, la disciplina
dell’attivazione, ed ove occorra la relativa autorizzazione, nonché la
disciplina e l’esercizio della vigilanza e del monitoraggio sulla loro
gestione, come pure le funzioni sanzionatorie e la nomina di membri o del presidente
del collegio sindacale.
5.1. – La questione è fondata nei
termini che seguono.
I «fondi interprofessionali per la
formazione continua» disciplinati dalla norma impugnata operano in materia di
formazione professionale, che appartiene alla competenza residuale della
Regione. Tali fondi, peraltro, dal punto di vista strutturale, (a) hanno
carattere nazionale (pur se possono articolarsi regionalmente o
territorialmente) e sono istituiti da soggetti privati attivi sul piano
nazionale; (b) possono essere istituiti e conseguentemente agire,
alternativamente, o come soggetto giuridico di natura associativa ai sensi
dell’art. 36 cod. civ., o come soggetto dotato di personalità giuridica ai sensi
degli artt. 1 e 9 del d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361. Inoltre essi, dal punto
di vista funzionale, (c) gestiscono i contributi dovuti dai datori di lavoro ad
essi aderenti, ai sensi della legislazione in materia di assicurazione obbligatoria
contro la disoccupazione.
Ne discende che, in relazione alla
loro natura ed alle relative forme di costituzione di cui sub (a) e (b), la
disciplina dell’istituzione dei fondi in esame incide sulla materia
dell’«ordinamento civile» spettante alla competenza esclusiva dello Stato (art.
117, secondo comma, lettera l, Cost.). In relazione, poi, all’attività indicata
sub c), la normativa impugnata viene ad incidere anche nella materia della
«previdenza sociale», devoluta anch’essa alla medesima competenza
esclusiva (art. 117, secondo comma, lettera
o, Cost.).
Perciò la riserva alla competenza
legislativa regionale residuale della «formazione professionale» non può
precludere allo Stato la competenza di riconoscere a soggetti privati la
facoltà di istituire, in tale materia, fondi operanti sull’intero territorio
nazionale, di specificare la loro natura giuridica, di affidare ad autorità
amministrative statali poteri di vigilanza su di essi, anche in considerazione
della natura previdenziale dei contributi che vi affluiscono.
E’ evidente, peraltro, che un tale
intervento legislativo dello Stato – a tutela di interessi specificamente
attinenti a materie attribuite alla sua competenza legislativa esclusiva – deve
rispettare la sfera di competenza legislativa spettante alle Regioni in via
residuale (o, eventualmente, concorrente).
5.2. – Nella specie, viceversa, la
normativa impugnata è strutturata come se dovesse disciplinare una materia
integralmente devoluta alla competenza esclusiva dello Stato.
Infatti, il sistema da essa
delineato lascia le Regioni sullo sfondo, prendendo in considerazione la loro
posizione (e le loro rispettive competenze) solo per proclamare un generico
intento di «coerenza con la programmazione regionale» (incipit del comma 1
dell’art. 48: peraltro questo intento viene subito dopo contraddetto
dall’esplicito riferimento alle «funzioni di indirizzo attribuite in materia
[di formazione professionale continua] al Ministero del lavoro e delle
politiche sociali»), ovvero per riservare ad esse una posizione di mere destinatarie
di comunicazioni (seconda parte del medesimo comma 1).
Pertanto il legislatore statale –
qualora ritenga, nella sua discrezionalità, di prevedere che le organizzazioni
sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative
sul piano nazionale possano istituire fondi interprofessionali di formazione
continua, a carattere nazionale – ben potrà regolare la loro natura giuridica,
i poteri su di essi spettanti ad autorità amministrative statali, e i contributi
ad essi affluenti. Ma dovrà articolare siffatta normativa in modo da rispettare
la competenza legislativa delle Regioni a disciplinare il concreto svolgimento
sul loro territorio delle attività di formazione professionale, e in
particolare prevedere strumenti idonei a garantire al riguardo una leale
collaborazione fra Stato e Regioni.
La norma impugnata deve quindi
essere dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui non
prevede strumenti idonei a garantire una leale collaborazione fra Stato e
Regioni.
per
questi motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
riservata
ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale della
legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), sollevate dalla
Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe;
dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 1, della citata legge 27
dicembre 2002, n. 289;
dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 48 della legge n. 289 del 2002, nella
parte in cui non prevede strumenti idonei a garantire una leale collaborazione
fra Stato e Regioni;
dichiara non fondata la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 2, della legge n. 289 del
2002, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117,
118 e 119 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005.
Valerio ONIDA, Presidente
Franco BILE,
Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2005.