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Roma, 27 ottobre 2011
Circolare n.213/2011
Oggetto: Ferrovie – Contrattazione collettiva applicabile
– Audizione dell’Autorità Antitrust alla Camera del 26.10.2011.
Il Presidente
dell’Autorità Antitrust Catricalà in un’audizione
alla Camera ha suggerito l’abrogazione della disposizione della manovra di agosto
(art.8, comma 3 bis del D.L. n.138/2011, aggiunto dalla legge di conversione
n.148/2011) che introduce l’obbligo per le imprese ferroviarie (di merci e di
persone) di applicare i contratti collettivi
nazionali di settore.
L’Autorità Antitrust
ha rilevato come la formulazione ambigua della norma potrebbe dar luogo ad
interpretazioni contrastanti anche in sede giudiziaria che finirebbero per
ostacolare la liberalizzazione del mercato ferroviario. In particolare secondo
l’Autorità ciò avverrebbe se l’interpretazione fosse quella di imporre
l’applicazione erga omnes
del contratto FS, con conseguente lesione sia del principio costituzionale di
libertà contrattuale e sia del principio comunitario di libera prestazione dei
servizi in quanto l’obbligo del rispetto del contratto di settore ricadrebbe
anche sulle imprese straniere. Sempre secondo l’Autorità, l’applicazione del
contratto FS avrebbe effetti dirompenti soprattutto sugli operatori ferroviari
privati del settore merci che subirebbero un aggravio di costi difficilmente
sostenibile con inevitabili ricadute negative sul piano occupazionale.
Fabio
Marrocco |
Per riferimenti confronta circ.re conf.le n. 195/2011 |
Responsabile
di Area |
Allegato uno |
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M/cp |
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Camera dei Deputati
Commissione IX Trasporti, Poste e Telecomunicazioni
Segnalazione
dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato del 14 settembre 2011 relativa alla disposizione contenuta nell’art. 8, comma 3-bis del DL 13 agosto 2011,
n.138, aggiunto dalla legge di conversione 14 settembre 2011, n.148, in materia
di contratti collettivi di
lavoro nel settore ferroviario
Audizione del Presidente
dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato
Antonio Catricalà
Roma, 26 ottobre 2011
Onorevole Presidente, Onorevoli Deputati,
sono grato a codesta Commissione di avermi dato l’occasione per
illustrare il punto di vista dell’Autorità in relazione alla disciplina posta
dal comma 3-bis dell’art. 8 del
DL 13 agosto 2011, n.138, aggiunto dalla legge di
conversione 14 settembre 2011, n.148, già oggetto di una nostra recente
segnalazione a Voi nota. Per tale ragione in questa sede mi limiterò a ribadire
i concetti già espressi, esplicitando gli effetti negativi della norma in
questione.
La disposizione in parola integra l’art. 36 del DLgs 8 luglio 2003,
n.188 Attuativo della direttiva 2011/12/CE che dispone ulteriori obblighi in
capo alle imprese ferroviarie che operano sull’infrastruttura ferroviaria
nazionale servizi di trasporto merci o di persone. In particolare a seguito del
richiamato intervento normativo, le imprese ferroviarie hanno l’obbligo, tra
l’altro, di applicare “i contratti collettivi nazionali di settore” anche con
particolare riguardo alle “condizioni di lavoro del personale”.
L’Autorità ha inteso segnalare questo intervento normativo perché
potrebbe determinare un’ingiustificata restrizione al processo concorrenziale.
Ciò accadrebbe se la norma venisse interpretata nel senso di imporre la
convergenza verso il contratto di lavoro stipulato dall’ex-monopolista, tutt’ora impresa dominate, il gruppo FS.
Deve in proposito osservarsi che le regole della corretta ermeneutica
legislativa non sono derogabili e tra queste regole primeggia il principio di
conservazione delle norme di diritto. Secondo il noto principio, applicato
senza eccezioni dalla Corte costituzionale, dalla Cassazione e dai giudici di
merito, nel dubbio tra due possibili interpretazioni della stessa norma, va
privilegiata quella che consente alla disposizione di avere valore normativo e
quindi innovativo dell’ordinamento rispetto a quella secondo la quale non
avrebbe effetto alcuno.
Potrebbe in astratto ritenersi che la norma consenta alle imprese
presenti nel settore di conservare la propria disciplina contrattuale del
rapporto di lavoro con i propri dipendenti. Ove ciò fosse vero la norma non
avrebbe alcun effetto: sarebbe quindi inutiliter data e rispetto a questa eventualità qualsiasi giudice (e soprattutto il
giudice del lavoro) dovrebbe obbedire al principio di conservazione del valore
normativo e applicare alla fattispecie controversa il contratto FS o, tutt’al
più, quello degli autoferrotranviari, anche se l’impresa adotta un diverso
contratto collettivo, con pregiudizio per la concorrenza.
Le condizioni che l’impresa ex-monopolista legale è stata in
grado di concedere storicamente risentono sia della posizione dominante sul
mercato dell’impresa, sia del fatto che la stessa ha beneficiato, e tuttora
beneficia, di sovvenzioni pubbliche, in un quadro nel quale, come più volte
l’Autorità ha evidenziato, non è definito in modo trasparente ciò che pertiene al servizio universale e ciò che è invece
svolgimento di libera attività imprenditoriale in senso pieno. Inoltre, la
circostanza stessa che il gruppo FS è in totale proprietà pubblica contribuisce
a far sì che nella sua gestione possano perseguirsi anche scopi ulteriori rispetto
a quelli tipici di un’azienda sul mercato, potendosi contare su una sorta di
permanente garanzia di ultima istanza.
E’ opportuno mettere in evidenza che gli esiti di quella lettura
sarebbero esiziali per quel poco di concorrenza che si è finora potuta
realizzare nel settore merci. L’imposizione legislativa degli standard economici e normativi dell’ex-monopolista anche ai nuovi
operatori si tradurrebbe in un aggravio difficilmente sostenibile: lo stesso
gruppo FS ha quantificato che il proprio costo del lavoro sarebbe superiore a
quello delle nuove imprese del 30%. Si consideri che tali maggiori costi non
dipendono tanto dal livello delle retribuzioni corrisposte, ma da una serie di
rigidità nell’utilizzo del personale, che sono il portato storico delle vicende
organizzative del Gruppo FS.
L’imposizione per legge di simili oneri economici e rigidità
nell’organizzazione del lavoro anche a tutti gli altri operatori rischia di
mettere in discussione le stesse nuove iniziative imprenditoriali ancora non
consolidate.
Si rifletta, inoltre, che l’effetto negativo sulla concorrenza –
l’eventuale uscita dal mercato di competitori effettivi - avrebbe poi un sicuro
riflesso pregiudizievole sugli stessi livelli occupazionali che queste nuove
iniziative imprenditoriali hanno consentito di raggiungere. Alcuni recenti dati
mostrano che nel settore merci le imprese private, oltre ad aver raggiunto una
quota tra il 24 e il 28% di traffico, hanno anche incrementato l’occupazione
del 20% rispetto all’anno scorso. Si tratta di dati particolarmente significativi
anche perché si pongono in vistosa controtendenza rispetto al depresso
andamento congiunturale. La fissazione per via normativa di livelli di costo
del lavoro elevati avrebbe il sicuro effetto quanto meno di frenare il trend positivo di assunzioni
registrato nell’ultimo anno.
A non diverse conclusioni si deve pervenire per il settore del
trasporto passeggeri. Qui la liberalizzazione è ancora in una fase embrionale e
l’introduzione di un limite quale quello paventato rischierebbe di bloccare sul
nascere il processo stesso.
In altri termini, l’intervento legislativo in questione, peraltro
ambiguo nel suo effettivo significato normativo, rischia di introdurre
pericolose rigidità che non giovano ai delicati equilibri del settore.
L’Autorità è, d’altro canto, pienamente consapevole delle spesso non
proporzionate differenze di trattamento nelle condizioni di lavoro esistenti
nel settore.
Oltre al contratto applicato al Gruppo FS (c.d
Attività Ferroviarie), c’é il contratto nazionale degli Autoferrotranviari
(proprio delle imprese ferroviarie di trasporto pubblico), il contratto
nazionale logistica trasporto merci e spedizioni; ci sono poi contratti individuali
plurimi che sono sottoscritti dalle rappresentanze sindacali territoriali e
aziendali. Per quanto concerne le nuove imprese operanti nel servizio di
trasporto passeggeri, dopo una prima fase di applicazione del contratto
nazionale dei servizi, stanno orientandosi all’adesione al nuovo contratto
collettivo Mobilità, tramite contratti collettivi aziendali.
Il nuovo contratto della Mobilità in corso di definizione, con la
mediazione del Ministero delle infrastrutture, dovrebbe avere la funzione, da
un lato, di porre le basi per evitare eccessive differenziazioni nel
trattamento dei lavoratori e, dall’altro, per consentire le flessibilità
necessarie per rispondere alle sfide che la liberalizzazione impone nei diversi
comparti del settore. Nonostante la partecipazione dei sindacati maggiormente
rappresentativi e della stessa Federtrasporto di
Confindustria, molte imprese private non sembrano allo stato intenzionate a
aderire a questa impostazione. Ciò testimonia inequivocabilmente dell’esistenza
di difficoltà connesse alla sostenibilità di determinati trattamenti
contrattuali.
Non è certo compito dell’Antitrust intervenire nel sistema delle
relazioni industriali, ma non può certo esimersi dal segnalare i pregiudizi al
sistema concorrenziale che una regolazione restrittiva, come quella di recente
approvata, causa al settore.
La pur opportuna razionalizzazione del sistema non dovrebbe essere
imposta autoritativamente dal legislatore, ma
dovrebbe seguire le ordinarie regole della contrattazione collettiva. Solo gli
attori sociali – imprese e sindacati – sono in grado di definire, in base alle
specificità delle singole attività interessate, le discipline contrattuali più
adeguate. E’ in fondo questo il proprium dell’autonomia collettiva costituzionalmente
garantita alle organizzazioni sindacali (art.39 Cost):
definire non solo i contenuti, ma anche gli ambiti di applicazione dei
contratti di lavoro. L’intervento del legislatore in questione rischia di
essere oltre che inefficiente sul piano della concorrenza e depressivo dei livelli
occupazionali anche lesivo delle autonomie garantite al livello più alto del
nostro ordinamento. Soltanto affidando agli stessi attori del sistema,
nell’esercizio delle rispettive autonomie collettive, la definizione della
disciplina e quindi del costo di un fattore della produzione essenziale come il
lavoro, ci si può aspettare il raggiungimento progressivo di equilibri
sostenibili così per le imprese – tutte non solo per l’ex-monopolista – come per gli stessi lavoratori. Equilibri che
per la natura delle cose sono mutevoli nel tempo e che rifuggono pertanto da
cristallizzazioni aprioristiche.
Diversamente, giova ribadire, le imprese private potrebbero essere
costrette ad abbandonare l’attività con evidenti danni per la collettività
intera, specialmente in un momento di grave crisi come l’attuale.
La disposizione in esame potrebbe presentare, inoltre, criticità anche
in rapporto alle libertà fondamentali garantite dai Trattati comunitari. In
particolare, nel momento in cui si stabilisce l’obbligo del rispetto dei
contratti nazionali di settore anche per le imprese straniere e per le
associazioni internazionali di imprese ferroviarie, si impone una restrizione
alla libertà di prestazione dei servizi garantita dall’art.56 del Trattato sul
Funzionamento dell’Unione europea. Questa restrizione per essere giustificata
deve rispettare un rigoroso criterio di proporzionalità(1), soprattutto perché
gli interventi in questione riguardano servizi aperti alla concorrenza da parte
anche di imprese di altri Stati membri.
E’ dubbio che un’imposizione come
quella eventualmente derivante dalla possibile lettura sopra ricordata della
norma in questione possa soddisfare queste condizioni.
In conclusione, l’intervento normativo in esame introduce quanto meno
elementi di ambiguità nella disciplina del settore che di per sé costituiscono
un ostacolo al processo di liberalizzazione. Questo, come ricordato, è agli
inizi e sta cominciando a produrre effetti benefici, ma rischia di essere
stroncato sul nascere.
A tutto voler concedere data la formulazione della norma che si
esprime al plurale (contratti collettivi nazionali di settore) non è dato
individuare con certezza quale siano i contratti cui il legislatore si
riferisce. Per le ragioni dette, il contratto FS è in grado di esercitare una
forte suggestione e assurgere a parametro implicito, ma determinante per gli
assetti contrattuali ancora in corso di definizione nel settore.
Anche qualora l’unico effetto che si traesse dalla disposizione in
parola fosse solo quello di vincolare le imprese ad applicare uno dei contratti
del “settore” di riferimento, l’esito sarebbe comunque pregiudizievole. Per
quanto rilevato, gli equilibri generali ne potrebbero risentire a scapito delle
nuove e benefiche iniziative intraprese. Il testo attuale apre la via a
decisioni giudiziarie che, nell’incertezza, potrebbero estendere tout court l’efficacia del contratto
FS o di quello degli Autoferrotranviari anche a realtà che non sono in grado di
sostenerli.
Ad opinare diversamente, del resto, si sarebbe costretti a ritenere
che la disposizione non ha in realtà alcun reale significato normativo: ma è
difficile che i giudici pervengano ad un simile esito interpretativo, posto che
sono vincolati al generale principio di conservazione della legge e del suo
effetto dispositivo.
L’imposizione per legge di presunte maggiori tutele del lavoro, oltre
a ostacolare la concorrenza, rischia di produrre l’effetto non voluto di far
perdere definitivamente il posto di lavoro a coloro che sono stati assunti
dalle nuove imprese e impedisce di crearne di nuovi.
Alla luce degli inconvenienti che
la disposizione pone si suggerisce quindi la sua abrogazione.
___________________
(1) Si
dovrebbe dimostrare che l’estensione ai lavoratori distaccati di tutele
aggiuntive rispetto a quelle del c.d. “nocciolo
duro” stabilite dalla direttiva 96/71 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 16 dicembre 1996 sia effettivamente necessaria per la protezione
dei diritti dei lavoratori nel settore.