Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica 00198 Roma - via Panama 62 - tel. 068559151-3337909556 - fax 06/8415576 e-mail: |
Roma, 6 marzo 2012
Circolare n.64/2012
Oggetto: Lavoro – Contrattazione collettiva applicabile
negli aeroporti – Sentenze del TAR Lazio nn.1295 del
9.2.2012 e 982 del 30.1.2012.
Confermando le
precedenti pronunce del Consiglio di Stato (sentenza n.3489 dell’8.6.2009) e
del TAR Lombardia (sentenza n.1329 del 7.5.2008), anche il TAR Lazio si è
espresso a favore della libertà contrattuale negli aeroporti con due distinte
sentenze emanate a poca distanza l’una dall’altra.
Entrambe le sentenze
hanno disposto l’annullamento dell’art.15 del regolamento Enac del 23.3.2011
sulla “Certificazione dei prestatori di
servizi aeroportuali di assistenza a terra” nella parte in cui impone
l’applicazione del CCNL Assaeroporti ai fini del rilascio o del rinnovo della
suddetta certificazione. Secondo il TAR Lazio l’imposizione dell’osservanza di
uno specifico CCNL, oltre che costituzionalmente illegittima e contraria alla
normativa europea (direttiva 96/97/CE), contrasta con l’art.13 del DLGVO
n.18/1999. Tale decreto infatti ha indicato, tra i requisiti per lo svolgimento
dell’attività di handling, l’applicazione di un
contratto collettivo di lavoro senza peraltro specificare quale, posto che tutti i CCNL costituiscono alla
stregua dell’art.3 della Costituzione un valido parametro di riferimento a
garanzia di un adeguato livello di protezione sociale. Sempre secondo il
TAR Lazio l’eventuale attribuzione al CCNL Assaeroporti di efficacia erga omnes determinerebbe inoltre effetti restrittivi della
concorrenza nel mercato dei servizi di handling.
Si fa osservare
infine che il TAR Lazio, oltre che sulla contrattazione collettiva applicabile
negli aeroporti, è intervenuto anche su altri aspetti del citato regolamento
Enac del 23.3.2011 disponendo l’annullamento dell’art. 1, commi 3 e 4, nella
parte in cui esclude che i prestatori di servizi a terra possano svolgere un
esercizio frazionato delle attività relative alle singole categorie di handling (sentenza n.1295), nonché dell’art.9, comma 1 lett.b, nella parte in cui vieta il ricorso al subappalto
per l’assistenza merci e posta (sentenza 982).
Fabio
Marrocco |
Per riferimenti confronta circ.re conf.le n.98/2008 |
Responsabile di Area |
Allegati due |
|
M/n |
© CONFETRA – La riproduzione totale o parziale è
consentita esclusivamente alle organizzazioni aderenti alla Confetra. |
SENTENZA TAR LAZIO N. 1295 DEL 9.2.2012
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4779 del 2011,
proposto da: Soc. Cismat Srl, in persona del legale
rappresentante p. t., rappresentata e difesa dall'avv. Massimo Giordano, presso
il cui studio è domiciliata elettivamente in Roma, corso Vittorio Emanuele II,
187;
contro
l’Enac - Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, in persona
del legale rappresentante p. t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura
Generale dello Stato, presso cui è domiciliato per legge in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
nei confronti di
Soc. Sea Handling
Spa, in persona del legale rappresentante p. t., Soc. Esercizi Aeroportuali
Spa (Sea), in persona del
legale rappresentante
p. t., Fit - Cisl, Uiltrasporti, in persona del legale rappresentante p. t., Filt - Cgil, in persona del legale rappresentante p. t.,
rappresentata e difesa dagli avv. ti Sergio Vacirca,
Massimo Nappi e Massimo Pallini, con domicilio eletto presso lo studio del
primo in Roma, via Flaminia, 195;
per l'annullamento
del regolamento di “Certificazione dei prestatori di
servizi aeroportuali di assistenza a terra” emanato dal Consiglio di
amministrazione dell’Enac il 23/3/2011, mai comunicato;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Enac -
Ente Nazionale Aviazione Civile e di Filt - Cgil;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2011
il Cons. Donatella Scala e uditi, altresì, l’avv. Giordano per la ricorrente, l’avv.
Vacirca per
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
La società CISMAT s.r.l., impresa di assistenza a terra
certificata dall’Enac, riferisce di operare presso gli aeroporti di Malpensa e
Fiumicino sulla base del Regolamento di settore approvato nel 2006.
Con il ricorso in epigrafe impugna, ora, il Regolamento
approvato con delibera del Cda dell’Enac del 23/03/2011 nella parte in cui,
nell’introdurre nuove disposizioni per la certificazione, stabilirebbe gravi
limitazioni a danno dei medi e piccoli operatori certificati che, come la
ricorrente, assicurano servizi di assistenza a terra ai vettori aerei.
Deduce, pertanto, con il primo motivo la violazione degli
artt. 1, 2, lett. e), 4, 10. 12, 13 del d. lgs.
18/1999 e degli artt. 2, lett. e), 6, 9, 14, 16 della direttiva 96/97/CE; eccesso
di potere, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta.
L’art. 1, commi 3 e 4 del Regolamento impugnato è
illegittimo nella parte in cui esclude un esercizio frazionato delle attività
relative alle singole categorie di handling, in
quanto in contrasto con le norme di rango superiore che non prevedono
limitazioni al numero minimo o massimo di servizi che si possono svolgere se in
possesso dei necessari requisiti.
Con il secondo motivo deduce, altresì, la violazione
dell’art. 2, del d. lgs. n. 250/1997 e degli artt. 10
e 13 del d. lgs. 18/1999 , dell’art. 705 del codice
della navigazione; eccesso di potere, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta.
L’art. 2, comma 4, del regolamento Enac è illegittimo
nella parte in cui prevede che il gestore aeroportuale fornisca ad Enac un
parere motivato e vincolante di conformità delle procedure operative, standard
di qualità e di tutela ambientale contenute nel Manuale delle Operazioni del
prestatore che chiede la certificazione con quelle vigenti all’interno
dell’aeroporto, in quanto si realizzerebbe un non previsto trasferimento di
competenze proprie dell’Enac in capo ad un soggetto, tra l’altro, potenziale
concorrente dell’impresa in fase di rinnovo o rilascio della certificazione.
Con il terzo motivo, denuncia la violazione dell’art. 14,
della direttiva 96/97/CE, la violazione del principio di proporzionalità e
l’eccesso di potere.
L’art. 7 del regolamento, che fissa quale requisito di
capacità finanziaria il possesso di un capitale sociale pari ad un quarto del
presumibile giro d’affari delle attività da svolgere, è illegittimo in quanto
si pone in violazione del principio di libertà dell’iniziativa economica,
stabilendo un vincolo sul capitale dell’impresa ingiustificato ed in contrasto
con la stessa direttiva 96/97/CE.
Infine, censura la società ricorrente l’art. 15, comma 3,
del Regolamento nella parte in cui vincola le imprese del settore ad adottare
il CCNL del personale di terra del trasporto aereo e delle attività
aeroportuali, ossia, il CCNL di ASSAEROPORTI, per violazione dell’art. 2,
d.lgs. 250/1997, incompetenza assoluta ed eccesso di potere, violazione
dell’art. 39 della Costituzione, illogicità ed ingiustizia manifesta e per
violazione della direttiva 96/97/CE, con particolare riguardo all’art. 18, e
sotto il profilo dello sviamento.
Conclude la ricorrente chiedendo l’annullamento, in parte
qua, del Regolamento impugnato.
Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello
Stato per resistere al ricorso di cui ha eccepito l’irricevibilità,
e, nel merito, l’infondatezza.
Si è costituita, altresì,
In vista della discussione della causa nel merito le parti
hanno depositato memorie e repliche.
Alla pubblica udienza del 1° dicembre 2011, uditi i
difensori delle parti che hanno insistito nelle rispettive richieste e
conclusioni la causa è stata trattenuta a sentenza.
DIRITTO
1. Oggetto di controversia é il Regolamento emanato dall’E.n.a.c. – Ente Nazionale per l’Aviazione Civile,
denominato “Certificazione dei prestatori di servizi aeroportuali di assistenza
a terra” – Edizione n. 4, di cui la società ricorrente chiede l’annullamento
limitatamente agli artt. 1, commi 3 e 4, 2, comma 4, 7, commi 3, 4, 5 e 6, e
15, comma 3.
1.1. Deve essere esaminata, in via pregiudiziale,
l’eccezione di tardività del gravame sollevata dalla difesa erariale, essendo
stato pubblicato il regolamento in impugnativa in data 25 marzo 2011, ai sensi
dell’art. 32, d. lgs. n. 69/2009, mentre il ricorso è
stato notificato in data 25 maggio 2011, oltre i sessanta giorni di legge.
Osserva il Collegio che, giusta quanto ora disciplinato
dal combinato disposto degli artt. 29 e 41 del c.p.a.,
il ricorso avverso l’annullamento di atti amministrativi deve essere
notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso
l'atto impugnato e ad almeno uno dei controinteressati
che sia individuato nell'atto stesso, entro il termine di giorni sessanta
decorrente dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per
gli atti di cui non sia richiesta la notifica individuale, dal giorno in cui
sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o
in base alla legge.
Ancora, giova rilevare che l’art. 32, del sopra richiamato
decreto legislativo n. 69/2009 dispone, a far data dal 1° gennaio 2010, che gli
obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto
di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti
informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati.
Ritiene il Collegio, che la pubblicazione sul sito
informativo ai sensi dell’art.
Alla stregua dei rilievi di cui sopra, il Collegio ritiene
che la parte resistente non abbia fornito la prova rigorosa della tardività del
ricorso, che, come noto, è posta a carico della parte che solleva l'eccezione,
non avendo indicato sulla base di quali norme sia prevista la forma di
pubblicità legale invocata, essendosi, invece, limitata a riferire circa
l’avvenuta pubblicazione del regolamento sul proprio sito informatico,
circostanza, questa, di per sé del tutto irrilevante ai fini della irricevibilità del ricorso, in assenza di un evidenziato
obbligo di legge in merito alla pubblicazione dei propri atti regolamentari.
Il Collegio, pertanto, non ritiene certo che, nel caso in
esame, il termine per l'impugnazione abbia iniziato a decorrere dal giorno
della pubblicazione del regolamento, di cui è peraltro solo riferita la data,
senza che nemmeno di questo sia stata fornita alcuna prova, dovendosi dare
prevalenza al principio, anche ribadito dalla Corte di Giustizia della Comunità
Europea, secondo cui il termine di impugnazione non può che decorrere dal
giorno in cui il soggetto che si ritiene leso dal provvedimento sia venuto a
piena conoscenza del contenuto del medesimo.
2. Quanto alla vicenda contenziosa, osserva il Collegio
che il Regolamento impugnato si inserisce nell’ambito del processo di
liberalizzazione del mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti
della Comunità, obiettivo prefissato dalla Comunità Europea con la direttiva
15.10.1996, n. 96/67/CE, con il dichiarato scopo di consentire una progressiva
libera concorrenza nel settore al fine di contribuire alla riduzione dei costi
di gestione delle compagnie aeree e al miglioramento della qualità offerta agli
utenti (considerando n. 5).
In sede di applicazione, dunque, gli Stati membri, ferma
rimanendo la necessità di prevedere a livello normativo il libero accesso al
mercato dei servizi d'assistenza a terra, possono, in sede applicativa, tenere
conto della specificità del settore, anche attraverso una serie di limitazioni
all'accesso al mercato o all'effettuazione dell'autoassistenza,
a condizione che tali limitazioni abbiano un carattere pertinente, obiettivo,
trasparente e non discriminatorio.
La disciplina relativa al riconoscimento di idoneità,
dunque, può costituire la fonte di talune limitazioni, purché queste siano
rispettose dei principi guida dettati dalla direttiva in esame, che all’art.
14, prevede che, ove sia scelto di subordinare l’attività in questione al
riconoscimento di idoneità, questo é rilasciato da un'autorità pubblica
indipendente dall'ente di gestione di tale aeroporto, sulla base di criteri da
riferirsi ad una situazione finanziaria sana e ad una copertura assicurativa
sufficiente, alla sicurezza degli impianti, degli aeromobili, delle
attrezzature e delle persone nonché alla tutela dell'ambiente e all'osservanza
della legislazione sociale pertinente.
Viene, poi, precisato che l’applicazione dei sopra citati
criteri deve avvenire a) in modo non discriminatorio ai diversi prestatori e
utenti; b) essere in rapporto con l'obiettivo perseguito; c) non può comportare
ad una riduzione di fatto dell'accesso al mercato o dell'effettuazione dell'autoassistenza sino ad un livello inferiore a quello
previsto dalla direttiva (se il numero di prestatori è limitato, che almeno uno
di essi sia a termine indipendente tanto dall'ente di gestione dell'aeroporto
che dal vettore dominante); i criteri devono essere resi pubblici e il
prestatore o l'utente che effettua l'autoassistenza
deve essere previamente informato circa la procedura di rilascio.
Sul versante nazionale, con il d. lgs.
13.01.1999, n. 18, si è data attuazione della direttiva 96/67/CE, riconoscendo
il libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra ai prestatori di
servizi sulla base dei requisiti previsti dalla stessa normativa nazionale;
l’art. 13, del d. lgs. n. 18, delinea i requisiti di
idoneità dei prestatori di servizi di assistenza a terra che l’E.n.a.c. deve verificare, subordinatamente al rispetto del
tipo di contratto che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende
di gestione e dei servizi aeroportuali di assistenza a terra ed al possesso dei
seguenti requisiti: a) capitale sociale almeno pari ad un quarto del
presumibile giro di affari derivante dalle attività da svolgere; b) risorse
strumentali e capacità organizzative idonee in relazione alle categorie di
servizio richieste; c) attestato comprovante il rispetto degli obblighi
derivanti dalla legislazione sociale e sulla sicurezza del lavoro; d) copertura
assicurativa adeguata ai rischi connessi all'attività da svolgere.
2.1 Alla stregua del sopra delineato excursus normativo il
Collegio può procedere all’esame delle censure afferenti una parte
dell’articolato in cui è ripartito il Regolamento in impugnativa, attraverso le
quali la società ricorrente lamenta, in sostanza, come attraverso una
illegittima indicazione dei parametri di idoneità, venga di fatto, compromessa
la liberalizzazione dei servizi di assistenza a terra, e, di conseguenza,
compressa la libera concorrenza e generata disparità di trattamento tra i vari
operatori.
Giova, peraltro, premettere, in via generale, che non
appare condivisibile l’eccezione che la difesa erariale muove, in via
pregiudiziale, sotto il profilo della inammissibilità delle censure volte a
contestare parti del Regolamento analoghe a quelle contenute nella precedente
edizione.
Ed invero, a prescindere dal rilievo che il regolamento
ora impugnato ha abrogato e sostituito ogni precedente edizione, assurgendo a
nuova fonte regolamentare in soggetta materia, deve essere pure considerato che
le censure mosse dalla parte ricorrente contestano diverse disposizioni della
nuova edizione, anche se solo talune dotate di natura innovativa rispetto al
passato, ma che, considerate nel loro complesso, tradirebbero i criteri guida
dettati dalla superiore normativa di riferimento, che ammettono, in via generale,
la possibilità di introdurre limitazioni all’accesso al mercato dei servizi di
assistenza a terra, purché in coerenza con i principi di effettività della
libera concorrenza e non discriminazione.
Ne deriva, pertanto, il permanere dell’interesse in capo
agli operatori del settore alla disamina di ogni censura afferente il
Regolamento come risultante dalla nuova edizione.
3. Con il primo motivo viene contestato l’art. 1, commi 3
e 4 del Regolamento impugnato, nella parte in cui esclude che il prestatore da
certificare possa poi praticare un esercizio frazionato delle attività relative
alle singole categorie di handling.
Infatti, la disposizione censurata prevede che l’Enac
rilascia la certificazione di idoneità e consente l’accesso in aeroporto “alle
sole imprese che garantiscono l’espletamento dei servizi per categoria intera,
senza esercizio frazionato”; analogamente non è consentita la parcellizzazione
delle categorie di servizi, salva la possibilità di procedere al subappalto,
secondo le modalità di cui al successivo art. 9.
Il motivo è meritevole di accoglimento per le seguenti
ragioni.
L’art. 2, del d. lgs. 18/1999,
lett. e), definisce l’assistenza a terra “il servizio, tra quelli elencati
nell'allegato A, reso in un aeroporto a un utente”; l’allegato A, a sua volta, elenca
ben undici tipologie di servizi, a loro volta suddivisi in diverse
sottocategorie.
Peraltro, un esame complessivo della Direttiva n. 96/97 e
del d.lgs. n. 18/1999, ivi compreso l’elenco da ultimo richiamato, consente di
individuare una netta suddivisione delle tipologie di servizi di assistenza a
terra in due macro-categorie: i servizi in pista e quelli più propriamente a
terra.
I primi sono i servizi “vicini” all’aeromobile, la cui
liberalizzazione è considerata come suscettibile di maggiori restrizioni
rispetto ai servizi “vicini” ai passeggeri, per i quali, invece, la tendenza è
verso un'effettiva apertura del mercato, salve peraltro la possibilità anche in
tali ipotesi di prevedere deroghe in presenza di determinati presupposti.
La normativa recante la apertura dei servizi aeroportuali
alla concorrenza, invero, è permeata dalla considerazione delle oggettive difficoltà
nel configurare assetti concorrenziali all'interno di "mercati"
spazialmente chiusi come un aeroporto, soprattutto per taluni servizi rispetto
ai quali è necessario garantire il rispetto di esigenze di sicurezza, la
presenza di economie di scala che determina evidenti vantaggi nell'erogazione
del servizio, e la limitazione del numero degli operatori che consente
l'effettuazione dei servizi in condizioni ottimali sia dal punto di vista
organizzativo che di efficienza dell'aeroporto: basti pensare a servizi quali
lo smistamento dei bagagli o della posta, e a quelli di assistenza in pista,
ove la pluralità di operatori può in effetti intralciare la stessa movimentazione
degli aeromobili a terra, o, addirittura, determinare problemi per la sicurezza.
Non a caso la liberalizzazione dei servizi di assistenza a
terra è stata prevista a livello comunitario negli aeroporti di maggiori
dimensioni, ove è riconosciuto il libero accesso al mercato dei servizi di
assistenza a terra ai prestatori di servizi in possesso dei requisiti previsti
dalla legge (cfr. art. 4, comma 1, d. lgs. 18/1999);
peraltro, una tale liberà di accesso sconta una serie di prescrizioni e
limitazioni, peraltro, adeguatamente delineata dalla stessa normativa di
riferimento.
Il comma 2 dell’art. 4, infatti, ribadisce tale esigenza,
prevedendo il potere di Enac, al ricorrere di motivate ragioni inerenti alla
sicurezza, alla capacità o allo spazio disponibile nell'aeroporto, di
limitazione del numero dei prestatori per le categorie di servizi di assistenza
bagagli, assistenza operazioni in pista, assistenza carburante e olio,
assistenza merci e posta per quanto riguarda il trattamento fisico delle merci
e della posta in arrivo, in partenza e in transito, tra l'aerostazione e
l'aeromobile, ferma rimanendo l’esigenza che, comunque, sia assicurata la
sussistenza, quantomeno, di un duopolio, in luogo dello storico monopolio, per
ciascuna delle categorie di servizi “vicini” all’aeromobile sottoposte a
limitazione, dovendosi, pure, garantire a tutti gli utenti (ossia, i vettori),
indipendentemente dalle parti di aeroporto a loro assegnate, l'effettiva scelta
tra almeno due prestatori di servizi di assistenza a terra.
La valutazione della ricorrenza dei presupposti per una
limitazione ad un duopolio nella erogazione di tali specifici servizi dovrà,
dunque, riguardare il singolo aeroporto e dovrà essere svolta alla stregua di
specifiche esigenze di cui l’Ente preposto darà specifico conto, di volta in
volta, avuto riguardo allo specifico spazio dove i servizi stessi devono essere
svolti.
Ancora, l’art. 12, dedicato specificamente alle
limitazioni all'accesso, dispone che l’E.n.a.c., in
presenza di vincoli specifici di spazio o di capacità disponibile, specialmente
in funzione della congestione e del coefficiente di utilizzazione delle
superfici, previa segnalazione dell'ente di gestione che presenta un piano di
intervento per la rimozione o per la riduzione dei vincoli, autorizza l'ente di
gestione alle limitazioni ivi enumerate, tra cui quella all’accesso dei
prestatori di determinate categorie di servizi non elencate nell'articolo 4,
comma 2, garantendo comunque le condizioni di cui all'articolo 4, commi 2 e 3.
Tali limitazioni, peraltro, complete dei relativi piani di
intervento, sono comunicate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
almeno sei mesi prima della loro entrata in vigore, dovendo l’organo
ministeriale provvedere, a sua volta, alla notificazione delle limitazioni
medesime alla Commissione europea almeno tre mesi prima della loro entrata in
vigore, per l'approvazione e per la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
delle Comunità europee.
Ritiene il Collegio che le disposizioni relative alla
subordinazione dello svolgimento delle attività in questione al riconoscimento
di una specifica idoneità, si pongono su un parallelo, ma diverso, versante,
dovendo questa essere riconosciuta, in astratto, in capo al singolo operatore,
purché in possesso dei requisiti di idoneità tecnica ed economica, alla stregua
dei criteri indicati nell’art. 14, della direttiva 97/96 CE da riferirsi ad una
situazione finanziaria sana e ad una copertura assicurativa sufficiente, alla
sicurezza degli impianti, degli aeromobili, delle attrezzature e delle persone
nonché alla tutela dell'ambiente e all'osservanza della legislazione sociale
pertinente.
La previsione di ulteriori limitazioni, quale quella di
cui si controverte, determina, di fatto, una inevitabile contrazione degli
operatori certificati, e, di conseguenza, di quelli che possono operare negli
aeroporti, senza che però una tale limitazione sia supportata da alcuna
specifica valutazione dello spazio aeroportuale ove le attività devono essere
rese, ovvero, in assenza di alcun piano di gestione che, solo ove approvato
dalla Comunità Europea, può legittimare le limitazioni agli accessi negli
ambiti aeroportuali.
Il generico richiamo a supporto del divieto di
parcellizzazione di tutte indistintamente le categorie dei servizi aeroportuali
alla esigenza di ridurre la “proliferazione di uomini per ragioni legate alla
esigenza di assicurare maggiore safety ed alle
difficoltà di trovare spazi idonei per gli operatori”, come sostiene la difesa
erariale, non è idoneo a giustificare il restringimento dell’accesso al mercato
dell’handling che, invece, la normativa assoggetta a
possibili eccezioni, per ragioni di sicurezza, capacità o carenza di spazi disponibili,
sulla base di quanto prevede l’art. 4, d. lgs. 18/99
con riferimento ai servizi in pista, e per tutti gli altri, sulla base di uno
specifico piano di gestione, come richiesto dall’art. 12, stesso testo
normativo, da sottoporre a preventiva autorizzazione degli organi comunitari.
Le considerazioni svolte inducono a ritenere, pertanto,
fondato il motivo, con conseguente illegittimità della norma con lo stesso
censurata, in parte qua.
4. Con il secondo motivo la ricorrente si duole della
formulazione dell’art. 2, comma 4, che prevede che il gestore aeroportuale
fornisca ad Enac un parere motivato e vincolante di conformità delle procedure
operative, standard di qualità e di tutela ambientale contenute nel Manuale
delle Operazioni del prestatore che chiede la certificazione con quelle vigenti
all’interno dell’aeroporto.
Il motivo non può essere accolto, in quanto l’assunto di
parte ricorrente muove da un erroneo presupposto, e, cioè, che attraverso la
disposizione in esame si dia luogo ad una consultazione vincolante per l’Ente
certificatore, con un improprio trasferimento dei compiti istituzionali ad un
soggetto, potenziale concorrente nella erogazione dei servizi in parola.
La piana lettura della norma dà conto di una prevista
acquisizione preliminare di un parere motivato, ma in nessuna parte è previsto
che tale parere sia anche vincolante, rimanendo, pertanto, in capo all’Ente
certificatore il potere di valutare la conformità del MO con le norme vigenti
all’interno dell’aeroporto ove il prestatore intende operare, attraverso,
magari, una interlocuzione sul punto con il prestatore medesimo, in modo che
sia assicurato l’espletamento delle attività di cui si tratta in piena
sicurezza.
Del resto, come anche sottolineato dalla Avvocatura
Generale, è ragionevole che il parere venga richiesto al gestore aeroportuale
che, a mente dell’art. 705, del codice della navigazione, è il soggetto
responsabile del controllo e coordinamento delle attività dei vari operatori
privati presenti nell’aeroporto o nel sistema aeroportuale.
5. Con il terzo motivo la società ricorrente contesta,
l’art. 7, commi 3, 4, 5 e 6 del regolamento impugnato che prescrive il possesso
in capo all’impresa di un capitale sociale almeno pari ad un quarto del
presumibile giro d’affari delle attività da svolgere.
Il motivo non ha pregio.
Il controllo preliminare al rilascio della certificazione
è finalizzato all’accertamento di una serie di requisiti soggettivi e di
carattere economico-finanziario che devono tutti sussistere in capo all’impresa
che intende svolgere attività di assistenza a terra; ciò si spiega agevolmente,
solo che si consideri la natura della tipologia delle attività riconducibili a
tali servizi, non tanto e non solo, complementari, ma, addirittura
indispensabili per un efficace ed efficiente svolgimento della attività di
trasporto aereo commerciale.
Queste considerazioni, infatti, hanno indotto
Tanto chiarito, non sussiste il denunciato contrasto tra
la norma regolamentare e l’art. 14 della direttiva 96/67/CE, che indica, tra i
criteri per il rilascio del riconoscimento di idoneità, il riferimento ad una
situazione finanziaria sana, e l’art. 13, del d. lgs.
n. 18/1999, che, ai predetti fini, indica tra i requisiti di idoneità dei
prestatori, il possesso di un capitale sociale almeno pari ad un quarto del
presumibile giro di affari derivante dalle attività da svolgere.
Il requisito previsto dal regolamento, pertanto, collima
esattamente con quanto la stessa normativa nazionale ha indicato a tali fini.
Aggiungasi, poi, che, l’elemento economico di cui sopra, è
stato riferito al patrimonio netto dell’impresa, che ha certamente una portata
più ampia rispetto a quella di capitale sociale, dovendosi in essa comprendere,
oltre al capitale in senso stretto, inteso quale sottoscrizione di quote
sociali, anche le riserve e le voci attive (utili) e passive (perdite),
determinandosi, in pratica, un allargamento della base del calcolo per valutare
il rapporto richiesto dalla legge con il volume di affari nello specifico
settore, e, dunque, ammorbidisce il requisito di legge, consentendo più
agevolmente alle imprese di raggiungerlo, che, diversamente, dovrebbero
procedere ad onerosi aumenti di capitale sociale al fine di soddisfarlo.
Ma, in disparte tali considerazioni, osserva il Collegio
che una lettura complessiva della disposizione censurata induce ad escludere un
irrigidimento del requisito di legge ad opera del regolamento.
Il successivo comma 4, della disposizione in esame,
prevede che, in mancanza del requisito di cui sopra, l’impresa deve dimostrare
comunque di possedere una sana situazione finanziaria, e, in definitiva, di
essere in grado di garantire standards di sicurezza,
regolarità e qualità nell’espletamento dei servizi di cui si tratta, in
coerenza, dunque, con i criteri indicati con la direttiva 96/67/CE, essendo
consentito, comunque, di dimostrare la sussistenza della affidabilità
finanziaria anche attraverso il ricorso ad altri elementi di carattere
economico.
6. Con il quarto ed ultimo motivo di ricorso la società
ricorrente censura l’art. 15 del regolamento, nella parte in cui (comma 3)
ammette in ambito aeroportuale solo prestatori certificati di servizi che
rispettano il tipo di CCNL del personale di terra del trasporto aereo e delle
attività aeroportuali.
Le tesi contrapposte si sostanziano, da un lato, nella
ritenuta illegittima compressione della libertà sindacale e di iniziativa
economica, tutelate nel nostro ordinamento dai principi di matrice
costituzionale, e nella pure ritenuta violazione della stessa normativa
comunitaria di cui il Regolamento dovrebbe costituire una mera articolazione di
natura tecnica, che finirebbe per determinare, invece, un ostacolo alla
finalità di apertura del mercato dell’assistenza a terra; dall’altro, nella
perfetta aderenza della norma censurata con il quadro normativo di riferimento,
cui l’Enac sarebbe tenuta in modo vincolato.
6.1.
In coerenza con tale finalità, l’art. 13, del d.lgs. n.
18/1999, pure sopra richiamato, prevede che Enac, nel verificare l’idoneità dei
prestatori di servizi di assistenza a terra, la subordina all’osservanza di una
serie di requisiti, oltre che al rispetto “del tipo di contratto che regola il
rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende di gestione e dei servizi
aeroportuali di assistenza a terra”.
In buona sostanza, la finalità garantistica del
riconoscimento di un adeguato livello di protezione sociale, di cui alle
premesse della Direttiva 96/67 CE, si concretizza con la pretesa dello Stato
italiano al rispetto di un tipo di contratto che disciplina il rapporto dei
dipendenti delle aziende operanti in detto settore (giusta l’art. 13, sopra
virgolettato), senza specificare a quale, tra questi, debba necessariamente
farsi ricorso, essendo notoria l’esistenza nel nostro ordinamento di molteplici
CCNL, approvati dalla rispettive associazioni di categoria (dei datori di
lavoro e dei lavoratori) al fine di disciplinare nel corso degli anni il
rapporto dei dipendenti dalle aziende di prestatori di servizi aeroportuali a
terra.
Secondo la norma regolamentare censurata, invece, l’Enac,
al momento dell’accesso in ambito aeroportuale, ammette solo i prestatori
certificati di servizi che rispettano il tipo di CCNL del personale di terra
del trasporto aereo e delle attività aeroportuali determinando, di fatto,
l’obbligo per tutte le imprese di applicazione del medesimo contratto collettivo,
che, a prescindere da chi sia stato sottoscritto, ovvero, dalla appartenenza o
meno all'associazione di categoria firmataria del contratto in questione, nella
sostanza assurge a contratto collettivo nazionale di lavoro con efficacia per
tutti gli operatori del settore.
Così, ad esempio, la società ricorrente, che riferisce,
senza che su ciò vi si smentita di sorta, di avere concluso un proprio
contratto collettivo con le organizzazioni cui partecipano i lavoratori dalla
medesima impiegati, dovrebbe, a decorrere dal 1° gennaio 2012, porre nel nulla
il Contratto collettivo di lavoro per il proprio personale, come concordato con
le sigle sindacali cui i medesimi appartengono, ancorché nessuno possa dubitare
che anche attraverso tale regolamentazione del rapporto di lavoro siano pienamente
rispettate le garanzie di protezione sociale cui i lavoratori hanno diritto.
Ed invero, il sistema delineato dalla normativa vigente
prevede che la composizione tra le diverse esigenze del datore di lavoro e del
lavoratore avvenga nell’ambito del libero svolgersi delle relazioni sindacali,
che assume concretezza in sede di contrattazione collettiva, ove viene
stabilito il trattamento economico e giuridico che spetta al lavoratore
nell’ambito del singolo rapporto di lavoro cui può farsi riferimento in ragione
della aderenza alle organizzazioni che siglano gli accordi.
L’Enac è, invece, estraneo ad una tale composizione di
interessi, dovendo limitarsi a verificare, secondo quanto previsto dalle norme
di superiore rango sopra esaminate, che i dipendenti del prestatore da
certificare siano tutelati da un contratto collettivo di lavoro di riferimento,
posto che tutti i CCL costituiscono alla stregua dell’art. 39 della Cost. un
valido parametro di riferimento a garanzia di un adeguato livello di protezione
sociale.
Alla stregua di tali considerazioni, il Collegio ritiene
che l’imposizione dell’osservanza di uno specifico CCNL è in contrasto con la
finalità delle norme cui occorre fare riferimento.
L’impugnata previsione regolamentare, peraltro, è anche
illogica, in quanto determina una distorsione del sistema, certamente non
voluta dalla Comunità europea, che si è, invero, preoccupata di ribadire come
la tutela sociale possa e debba costituire un limite al dispiegarsi della
libera concorrenza, che in tanto è benefica se determina, in definitiva, una
positiva ricaduta nei costi di gestione delle compagnie aeree e nella qualità
del servizio offerto ai clienti, purché tali effetti non costituiscano la
diretta conseguenza del sacrificio dell’anello più debole della catena
produttiva, attraverso la compressione se non addirittura negazione dei diritti
del lavoratore.
L’imposizione, allora, di un solo tipo di contratto
collettivo di lavoro esorbita, all’evidenza, dalle finalità garantiste che la
normativa si propone, e non sembra corrispondere esattamente a quanto la legge
nazionale attuativa della normativa comunitaria ha richiesto, ai fini
dell’accertamento dell’idoneità dei prestatori, facendo riferimento al rispetto
del tipo di contratto che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti delle
aziende di gestione e dei servizi aeroportuali di assistenza a terra.
6.2. In tali termini, del resto, si è già espresso il
giudice di appello con la sentenza n. 3498 del 2009, peraltro richiamata da
tutte le parti, che ha ritenuto una tale imposizione in contrasto con la
normativa sopra richiamata, giacché l’art. 13 del d.lgs. n. 18/1999 si è
limitato a conferire all'Enac la sola capacità di verifica della idoneità dei
prestatori di servizi a terra, senza aggiungere null'altro; né altre
disposizioni hanno attribuito all'ente predetto un potere normativo in materia
di rapporti di lavoro e tutela sociale, mentre, ove fosse ritenuta necessaria
l'integrazione o modificazione della disposizione in esame, occorrerebbe fare
ricorso ad un atto di pari rango nella gerarchia delle fonti normative, ossia,
con efficacia di legge che solo il legislatore nazionale può approvare, (che
non risulta sia stato adottato), mentre una tale vis innovativa non può essere
ottenuta attraverso la normativa di attuazione regolamentare.
Il Collegio condivide una tale impostazione perfettamente
estensibile anche al caso che ne occupa, al contrario di quanto sostenuto dalle
parti resistenti, atteso che il CCNL stipulato nel 2010 tra le associazioni
Assaeroporti, Assohandlers e Assocatering-FIPE
e le sigle sindacali del settore è circostanza, di per sé, inidonea a mutare i
termini giuridici della questione.
Rimangono validi, con riferimento al caso che ne occupa,
anche i principi ribaditi dal giudice di appello a proposito della
impossibilità, alla stregua della libertà sindacale riconosciuta dall'art. 39
Cost. nell’ambito della contrattazione collettiva di diritto comune, più volte
sottolineata anche dalla Corte di Cassazione, di riconoscere, diversamente da
quanto ritenuto dall'Enac, che la funzione del CCNL sia nel nostro ordinamento
quella di indicare i minimi economici e normativi validi per i lavoratori
appartenenti ad un certo settore di attività. Una normativa di tale tipo non è
stata, infatti, mai dettata nel nostro ordinamento, anche se l'art. 39 Cost.
dispone chiaramente che i sindacati, previa registrazione, possono stipulare
"contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli
appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce", essendo
tale norma costituzionale rimasta priva di attuazione; dal che la conseguenza
che l'unico CCNL che le parti collettive sono ad oggi in grado di concludere,
non è altro che un contratto atipico disciplinato in via generale dagli artt.
1321 e1322 cod. civ., con applicazione quindi nei confronti dei soli iscritti
alle associazioni sindacali che abbiano stipulato il contratto (di diritto
comune quindi e non erga omnes); le stesse norme del
contratto collettivo possono trovare applicazione anche per i non iscritti alla
singola associazione, ove recepite per adesione o per relationem.
(cfr. Cons. di Stato. Sez. VI, 8 giugno 2009, n.
3489)
Non è pertanto, ammissibile, che una tale estensione venga
operata, di fatto, da Enac nei confronti di quei prestatori che invece
rispettano il CCL di riferimento, in quanto tale obbligo si pone in violazione,
oltre che con la libertà sindacale, anche, in definitiva, con quanto prevede la
normativa di riferimento, che si limita a richiedere un mero controllo circa il
rispetto da parte dei fornitori di servizi di assistenza a terra di adeguati
livelli di protezione sociale, alla stregua, oltre che delle norme
civilistiche, anche, per l’appunto dei contratti collettivi di lavoro di
riferimento.
6.3. Anche a volere fare il ragionamento inverso, e cioè,
che la possibilità di fare riferimento diversi contratti collettivi di lavoro
determinerebbe una distorsione della concorrenza, in ragione del diversificato
trattamento economico attribuito ai lavoratori di un medesimo settore, induce a
ritenere la illegittimità della norma impugnata.
A prescindere dalla considerazione che il settore in
argomento è di per sé assai variegato, essendovi ricomprese a mente dell’elenco
di cui all’Allegato A, al d. lgs. 18/1999 molteplici
attività affatto omogenee tra loro, occorre invece considerare che
l’introduzione di un elemento di rigidità, al di fuori dei vincoli come
predeterminati dalla normativa, è in grado di determinare effetti restrittivi
della concorrenza, laddove vengono messi sullo stesso piano soggetti che,
invece, pure tutti tecnicamente ed economicamente validi, costituiscono realtà
aziendali assai differenti tra loro, proprio in ragione del diverso ambito in
cui operano.
Pertanto, le conseguenze che vorrebbero fare discendere le
parti resistenti da una lettura forzata dell’art. 13, d. lgs.
n. 18 del 1999, porterebbero ad una applicazione della stessa norma, oltre che
non costituzionalmente orientata, anche in contrasto con la normativa in tema
di concorrenza.
Sul punto non può non essere considerato che la più
recente normativa in tema di liberalizzazioni prevede espressamente che le
disposizioni relative all'introduzione di restrizioni all'accesso e
all'esercizio delle attività economiche devono essere oggetto di interpretazione
restrittiva, posto che l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere
ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli
casi di vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali; di contrasto con i principi fondamentali della Costituzione;
dal danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con
l'utilità sociale; dalle disposizioni indispensabili per la protezione della
salute umana, ecc. (cfr. art. 1, commi 1 e 7, d. l. n. 138/2011, convertito in
legge n. 148/2011).
Ancorché successiva ai fatti di causa, la normativa da
ultimo esaminata conferma, ulteriormente, l’orientamento, non più timido, ma
fortemente liberista del legislatore nazionale, in perfetta sintonia, del resto
con quanto predica da tempo quello comunitario proprio con riferimento allo
specifico settore dell’handling.
7. Conclusivamente, il ricorso è meritevole di
accoglimento nei limiti sopra indicati, con riveniente annullamento, in parte
qua del regolamento impugnato, ed, in specie, per l’effetto, dell’art. 1, commi
3 e 4, e dell’art. 15, comma 3.
La complessità delle questioni trattate, oltre che la
reciproca soccombenza, induce il Collegio a disporre l’integrale compensazione
delle spese di giudizio tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio,
Sezione Terza Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe
proposto, lo accoglie, nei limiti precisati in parte motiva, e, per l’effetto,
annulla il Regolamento, emanato dall’E.n.a.c. – Ente
Nazionale per l’Aviazione Civile, denominato “Certificazione dei prestatori di
servizi aeroportuali di assistenza a terra” – Edizione n.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1
dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Daniele, Presidente
Giampiero Lo Presti, Consigliere
Donatella Scala, Consigliere, Estensore
SENTENZA TAR LAZIO N. 982 DEL 30.1.2012
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4559 del 2011,
proposto da: Soc. Alitalia - Compagnia Aerea Italiana S.p.a.,
in persona del legale rappresentante p. t., rappresentata e difesa dagli avv.
ti Angelo Clarizia e Paolo Ziotti,
con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Principessa
Clotilde, 2;
contro
l’Enac - Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, in persona
del legale rappresentante p. t.,
il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in
persona del Ministro p. t.,
rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello
Stato, presso cui sono domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Soc. Globeground Italia S.r.l.,
in persona del legale rappresentante p. t., rappresentata e difesa dall'avv.
Alessio Costantini, con domicilio eletto presso il
suo studio in Roma, via Ruggero Fauro, 102;
per l'annullamento
del Regolamento Enac del 23.03.11 concernente “Certificazione dei prestatori di servizi
aeroportuali di assistenza a terra”;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Enac - Ente
Nazionale per l’Aviazione Civile e del Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti;
Visto l’atto di intervento ad opponendum
di Globeground Italia S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2011
il Cons. Donatella Scala e uditi, altresì, gli avv. ti Clarizia
e Ziotti, per la società ricorrente, l’avv. Costantini per l’interveniente ad opponendum
e l’avv. dello Stato Aiello per le resistenti
Amministrazioni:
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Premette la società Alitalia – Compagnia Aerea Italiana S.p.a. di operare in autoproduzione i servizi di handling in base ad autorizzazione rilasciata da Enac ai
sensi della circolare APT 02 del 13 gennaio 2009, mentre, con riguardo
all’aeroporto di Roma Fiumicino ha affidato alla società Alha
Airport S.p.a, mediante
contratto di subappalto, lo svolgimento dei servizi di assistenza a terra merci
e posta di cui al punto 4, Allegato A, d. lgs. n.
18/1999.
Con il ricorso in epigrafe impugna, pertanto, il
Regolamento Enac, approvato con deliberazione del Consiglio di Amministrazione
dell’Ente il 23 marzo 2011, concernente “Certificazione dei prestatori di
servizi aeroportuali di assistenza a terra”, nella parte in cui non prevede il
ricorso al subappalto dal parte del prestatore certificato di servizi aeroportuali
di assistenza a terra per le categorie di servizi n. 4, dell’All. A al d. lgs. n. 18/1999 (art. 9, n. 1, lett. b), e nella parte in
cui ammette in ambito aeroportuale solo prestatori certificati di servizi che
rispettano il tipo di CCNL del personale di terra del trasporto aereo e delle
attività aeroportuali (art. 15, n. 3).
Questi i motivi in diritto.
1) Violazione e falsa applicazione di legge; violazione
della Direttiva n, 96/67/CE; eccesso di potere sotto il profilo sintomatico
della irragionevolezza, illogicità e contraddittorietà manifeste; difetto di
motivazione.
L’art. 9 del Regolamento impugnato risulta viziato sotto
due diversi profili, essendo stato emanato in violazione della normativa
comunitaria e di quella attuativa nazionale, e sotto diversi profili
sintomatici dell’eccesso di potere, non rientrando nel potere regolatorio anche quello di introdurre divieti, quale il
divieto di ricorrere al subappalto per alcune categorie di servizi a terra,
che, di fatto, si traducono in una limitazione della libertà di iniziativa
economica, dovendosi l’Enac limitare a verificare l’idoneità dei prestatori di
servizi di assistenza a terra.
2) Carenza di potere e violazione dell’art. 13 del d. lgs. n. 18/1999; violazione degli artt. 39 e 41 della
Costituzione; violazione della Direttiva 96/67/CE; eccesso di potere per
travisamento dei fatti
L’art. 15, comma 3, del Regolamento Enac, nella parte in
cui subordina l’accesso in ambito aeroportuale dei prestatori certificati di
servizi, ivi compresi i vettori che effettuano autoassistenza,
al rispetto del tipo di CCNL del personale di terra del trasporto aereo e delle
attività aeroportuali, ossia del contratto stipulato in data 8 luglio 2010 con
Assaeroporti, Assohandlers e Assocatering-FIPE,
è illegittimo per difetto di attribuzione, esulando dai poteri di Enac quello
di obbligare tutte le imprese del settore ad applicare un determinato contratto
collettivo di lavoro, in luogo degli altri conclusi o applicati dagli operatori
interessati.
Conclude la parte ricorrente chiedendo, in accoglimento degli
esposti mezzi di censura, l’annullamento, in parte qua, del regolamento Enac,
Ed. n. 4/2011.
Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello
Stato in difesa dell’Enac – Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, chiedendo il
rigetto del ricorso avversario di cui ha predicato l’infondatezza.
Ha spiegato, poi, atto di intervento ad opponendum la società Globeground
Italia S.r.l, che, in qualità di operatore
certificato Enac che applica il CCNL, e autorizzato, ai sensi dell’art. 13, d. lgs. n. 18/1999, a svolgere sull’aeroporto di Roma –
Fiumicino i servizi aeroportuali di assistenza a terra di cui all’Allegato A
allo stesso decreto legislativo del
In vista della discussione della causa nel merito le parti
hanno depositato memorie e repliche.
Alla pubblica udienza del 1° dicembre 2011, uditi i
difensori delle parti che hanno insistito nelle rispettive richieste e
conclusioni la causa è stata trattenuta a sentenza
DIRITTO
1. Come esposto in narrativa, oggetto dell’impugnativa in
esame è il Regolamento, emanato dall’E.n.a.c. – Ente
Nazionale per l’Aviazione Civile, denominato “Certificazione dei prestatori di
servizi aeroportuali di assistenza a terra” – Edizione n. 4.
2. Osserva, preliminarmente, il Collegio che il
Regolamento impugnato si inserisce nell’ambito del processo di liberalizzazione
del mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità,
obiettivo prefissato dalla Comunità Europea con la direttiva 15.10.1996, n.
96/67/CE, con il dichiarato scopo di consentire una progressiva libera
concorrenza nel settore al fine di contribuire alla riduzione dei costi di
gestione delle compagnie aeree e al miglioramento della qualità offerta agli
utenti (considerando n. 5).
In sede di applicazione, dunque, gli Stati membri, ferma
rimanendo la necessità di prevedere a livello normativo il libero accesso al
mercato dei servizi d'assistenza a terra, possono tenere conto della
specificità del settore, anche attraverso una serie di limitazioni all'accesso
al mercato o all'effettuazione dell'autoassistenza, a
condizione che tali limitazioni abbiano un carattere pertinente, obiettivo,
trasparente e non discriminatorio.
La disciplina relativa al riconoscimento di idoneità,
dunque, può costituire la fonte di talune limitazioni, purché queste siano rispettose
dei principi guida dettati dalla direttiva in esame, che all’art. 14, prevede
che, ove sia scelto di subordinare l’attività in questione al riconoscimento di
idoneità, questo é rilasciato da un'autorità pubblica indipendente dall'ente di
gestione di tale aeroporto, sulla base di criteri da riferirsi ad una
situazione finanziaria sana e ad una copertura assicurativa sufficiente, alla
sicurezza degli impianti, degli aeromobili, delle attrezzature e delle persone
nonché alla tutela dell'ambiente e all'osservanza della legislazione sociale
pertinente.
Viene, poi, precisato che l’applicazione dei sopra citati
criteri deve avvenire a) in modo non discriminatorio ai diversi prestatori e
utenti; b) essere in rapporto con l'obiettivo perseguito; c) non può comportare
ad una riduzione di fatto dell'accesso al mercato o dell'effettuazione dell'autoassistenza sino ad un livello inferiore a quello
previsto dalla direttiva (se il numero di prestatori è limitato, che almeno uno
di essi sia a termine indipendente tanto dall'ente di gestione dell'aeroporto
che dal vettore dominante); i criteri devono essere resi pubblici e il
prestatore o l'utente che effettua l'autoassistenza
deve essere previamente informato circa la procedura di rilascio.
Sul versante nazionale, con il d. lgs.
13.01.1999, n. 18, si è data attuazione della direttiva 96/67/CE, riconoscendo
il libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra ai prestatori di
servizi sulla base dei requisiti previsti dalla stessa normativa nazionale;
l’art. 13, del d. lgs. n. 18, delinea i requisiti di
idoneità dei prestatori di servizi di assistenza a terra che l’E.n.a.c. deve verificare, subordinatamente al rispetto del
tipo di contratto che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende
di gestione e dei servizi aeroportuali di assistenza a terra ed al possesso dei
seguenti requisiti: a) capitale sociale almeno pari ad un quarto del
presumibile giro di affari derivante dalle attività da svolgere; b) risorse
strumentali e capacità organizzative idonee in relazione alle categorie di
servizio richieste; c) attestato comprovante il rispetto degli obblighi
derivanti dalla legislazione sociale e sulla sicurezza del lavoro; d) copertura
assicurativa adeguata ai rischi connessi all'attività da svolgere.
3. Alla stregua di tale excursus normativo, la parte
ricorrente, censura, con il primo motivo di ricorso, l’art. 9, nella parte in
cui (comma 1, lett. b) individua quali, tra le attività riconducibili ai
servizi di assistenza a terra, puntualmente indicate nell’allegato A) al d. lgs. 18/1999, può essere subappaltata dal prestatore
certificato, ma non prevede il ricorso al subappalto dal parte del prestatore
certificato di servizi aeroportuali di assistenza a terra per le categorie di
servizi indicati al n. 4 nello stesso Allegato.
Sul punto ritiene il Collegio di sgombrare immediatamente
il campo da una sorta di equivoco generatosi vicendevolmente nelle rispettive
tesi difensive in ordine ad un improprio richiamo alla normativa nazionale
dettata in tema di procedure di aggiudicazione delle pubbliche amministrazioni
di cui al d. lgs. n. 163/2006 (c. d. codice dei
contratti pubblici), essendo indubitabile che costituisce una operazione
illogica, per gli effetti che ne scaturiscono a cascata, la sovrapposizione al
settore che ne occupa, concernente il più limitato e peculiare ambito
dell’accertamento dei requisiti di idoneità soggettivi ed economici dei
soggetti che intendono effettuare l’attività di assistenza a terra negli aeroporti
civili, delle norme che sono dettate per regolamentare il diverso e più ampio ambito
dei contratti pubblici.
Come già sopra ampiamente evidenziato, i principi cui
occorre fare riferimento al fine di giustificare le limitazioni allo
svolgimento libero delle attività di cui si tratta non possono che essere
quelli indicati in via principale nella direttiva 96/67/CE e, in via attuativa
a livello nazionale, nel d. lgs. 18/1999, mentre non
è corretto invocare a supporto di una ritenuta illegittimità nella restrizione
delle modalità di accesso al peculiare mercato dell’handling
la normativa che disciplina l’acquisizione da parte delle pubbliche amministrazioni
e soggetti a queste equiparati di servizi, prodotti, lavori e opere.
In specie, seppure è indubitabile che la limitazione al
ricorso al subappalto di alcune delle attività di cui il servizio di handling si compone può costituire di fatto una restrizione
del mercato di settore, impedendo una libera scelta dell’operatore circa il
ricorso ad una ricorrente e consueta pratica di natura commerciale, non è
corretto invocare i principi che sono dettati a proposito dell’utilizzo del
medesimo strumento in occasione di vicende radicalmente differenti
soggettivamente ed oggettivamente.
Ricondotta, pertanto, la disamina della doglianza alla
stregua della pertinente normativa di settore, deve essere pure chiarito che la
scelta di quali limitazioni siano necessarie nell’espletamento dei servizi di handling a presidio della sicurezza aeroportuale costituisce
senz’altro espressione di attività ampiamente discrezionale, che tuttavia non
si sottrae al sindacato giurisdizionale, quanto meno sotto il profilo della
congruità della motivazione e dell'accertamento del nesso logico di
consequenzialità tra presupposti e conclusioni.
Con particolare riguardo al profilo della congruità
motivazionale delle scelte operate, è noto che l'iter motivazionale costituisce
l'unico momento che consente al destinatario dell'atto di saggiare la
estrinseca ragionevolezza e logicità di scelte amministrative effettuate sulla
base di norme tecniche non giuridiche, tanto più in ragione della peculiarità
del settore in cui si inseriscono le valutazioni operate.
Tanto premesso, il Collegio ritiene che é inspiegabile il
motivo per cui, una volta operata la scelta di consentire il ricorso al
subappalto, da intendersi, come sopra chiarito, quale istituto di natura
commerciale con cui il prestatore certificato può decidere di regolare in
concreto lo svolgimento della attività per cui ha ottenuto la certificazione,
lo stesso poi sia limitato solo per talune categorie in cui è scorporabile
l’attività di handling, secondo l’indicazione fornita
in proposito nel sopra richiamato Allegato A) al d. lgs.
18/1999.
Ed invero, a prescindere dalla considerazione che non può
costituire una valida motivazione la giustificazione fornita ex post dalla
difesa dell’E.n.a.c., secondo cui la ragionevolezza
della disposizione censurata andrebbe ricondotta al superiore interesse
pubblico di garanzia dell’incolumità e sicurezza pubblica nel settore del
trasporto aereo, un tale supporto motivazionale non solo manca del tutto, ma si
pone addirittura in inspiegabile contraddizione con altra disposizione del
regolamento, ed in particolare l’art. 3, che invece, nel disciplinare la
specifica di certificazione, (relativamente agli aeroporti ed attività di cui
all’Allegato A), d. lgs. 18/1999) presuppone che la
dimostrazione del possesso dei requisiti relativi alle idonee risorse
finanziarie, umane, strumentali ed organizzative per lo svolgimento dei servizi
di assistenza a terra sia stato dimostrato dal prestatore in proprio o tramite
subappaltatore.
L’applicazione in concreto delle due disposizioni in esame
porta alla paradossale conseguenza che al prestatore certificato sulla base
della dimostrazione dei requisiti sopra indicati anche attraverso un
subappaltatore per tutte le categorie di attività in cui è scorporabile il
servizio di handling, di fatto, poi non può dare
corso ai rapporti commerciali intrapresi con il subappaltatore, essendo inibito
allo stesso prestatore il subappalto ove le attività che intende effettuare, e
per cui, si ribadisce ha ottenuto la certificazione con le modalità di cui
sopra, coincidano con il tassativo elenco di cui all’art. 9, n. 1, lett. b).
Ma anche a volere prescindere da tali rilievi che appaiono
già di per sé sufficienti a rilevare la fondatezza del motivo di ricorso, e
volendo seguire la tesi difensiva dell’E.n.a.c.
secondo cui, in virtù di un forzoso rinvio ai criteri che devono suffragare
l’attività di certificazione come indicati nella direttiva 96/67/CE e nel d. lgs. 18/1999, sarebbero evincibili le ragioni della scelta
operata, ritiene il Collegio che la norma in esame, per come è stata formulata,
non resista, comunque, alla censura per carenza di motivazione.
Ed invero, come sopra ricordato, la possibilità di porre
limitazioni al libero accesso al mercato che ne occupa è già stata accordata a
livello normativo proprio in virtù delle stesse ragioni, che ora invoca
genericamente E.n.a.c. a giustificazione della
disciplina concreta come risultante dal Regolamento in esame, mentre, invece,
manca del tutto ogni esplicitazione circa le ragioni della scelta in concreto
operata.
Non si evince, ad esempio, il motivo per cui la tutela
della sicurezza e salute umana potrebbe essere messa a repentaglio dal
subappalto, ad esempio, dell’assistenza merci e posta (categoria per cui è
espressamente escluso ad opera dell’elenco di cui al n. 1, lett. b), dell’art.
9) e non anche in occasione dell’assistenza passeggeri, categoria per cui è
invece consentito il subappalto.
In definitiva, posto che la previsione di una apposita
certificazione dei prestatori dei servizi di handling
discende proprio dal superiore interesse pubblico ad un utilizzo, non solo
efficiente, ma anche sicuro delle infrastrutture connesse al trasporto aereo,
si rende necessario che l’autorità a ciò preposta dia conto perspicuamente, in
presenza di diverse possibilità, delle scelte operate, in modo che sia
possibile verificarne la logicità in corrispondenza con gli obiettivi
prefissati dalla normativa, e tenendo presente che le limitazioni al libero
esercizio devono essere, come già sopra indicato, pertinenti, obiettive,
trasparenti e non discriminatorie (cfr. direttiva 96/67/CE).
Per le ragioni sin qui esposte, la norma impugnata deve essere,
in parte qua - (n. 1, lett. b) - annullata, rimanendo, peraltro, riservata all’E.n.a.c. la successiva attività provvedimentale
emendata dai rilevati vizi motivazionali, ove l’Ente medesimo ritenga opportuno
di confermare la necessità di escludere il ricorso al subappalto per alcune tipologie
di attività di handling.
4. Con il secondo ed ultimo motivo di ricorso la società
ricorrente censura l’art. 15 del regolamento, nella parte in cui (comma 3)
ammette in ambito aeroportuale solo prestatori certificati di servizi che
rispettano il tipo di CCNL del personale di terra del trasporto aereo e delle
attività aeroportuali.
Le tesi contrapposte si sostanziano, da un lato, nella
ritenuta illegittima compressione della libertà sindacale e di iniziativa
economica, tutelate nel nostro ordinamento dai principi di matrice
costituzionale, e nella pure ritenuta violazione della stessa normativa
comunitaria di cui il Regolamento dovrebbe costituire una mera articolazione di
natura tecnica, che finirebbe per determinare, invece, un ostacolo alla
finalità di apertura del mercato dell’assistenza a terra; dall’altro, nella
perfetta aderenza della norma censurata con il quadro normativo di riferimento,
cui l’Enac sarebbe tenuta in modo vincolato, e nella impossibilità per il
vettore aereo, quando presta a terzi i servizi di assistenza a terra, di
applicare anche in tal caso lo stesso contratto di lavoro stipulato per i
propri dipendenti, onde scongiurare pratiche concorrenziali sleali, atteso che
il contratto siglato per i lavoratori del settore è più favorevole per il
personale (e dunque più oneroso per il prestatore certificato) rispetto al CCL
Alitalia.
4.1.
In coerenza con tale finalità, l’art. 13, del d.lgs. n.
18/1999, pure sopra richiamato, prevede che Enac, nel verificare l’idoneità dei
prestatori di servizi di assistenza a terra, la subordina all’osservanza di una
serie di requisiti, oltre che al rispetto “del tipo di contratto che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti
delle aziende di gestione e dei servizi aeroportuali di assistenza a terra”.
In buona sostanza, la finalità garantistica del
riconoscimento di un adeguato livello di protezione sociale, di cui alle
premesse della Direttiva 96/67 CE, si concretizza con la pretesa dello Stato
italiano al rispetto di un tipo di contratto che disciplina il rapporto dei
dipendenti delle aziende operanti in detto settore (giusta l’art. 13, sopra
virgolettato), senza specificare a quale, tra questi, debba necessariamente
farsi ricorso, essendo notoria l’esistenza nel nostro ordinamento di molteplici
CCNL, approvati dalla rispettive associazioni di categoria (dei datori di
lavoro e dei lavoratori) al fine di disciplinare nel corso degli anni il
rapporto dei dipendenti dalle aziende di prestatori di servizi aeroportuali a
terra, senza, poi, considerare, la peculiarità dei contratti collettivi
relativi al personale dipendente dei vettori aerei, quale è la società ricorrente,
che comunque impiega anche personale di terra, cui è riservata una specifica
disciplina del rapporto di lavoro (cfr. CCL per il personale dipendente della
CAI).
Secondo la norma regolamentare censurata, invece, l’Enac,
al momento dell’accesso in ambito aeroportuale, ammette solo i prestatori
certificati di servizi che rispettano il tipo di CCNL del personale di terra
del trasporto aereo e delle attività aeroportuali determinando, di fatto,
l’obbligo per tutte le imprese di applicazione del medesimo contratto collettivo,
che, a prescindere da chi sia stato sottoscritto, ovvero, dalla appartenenza o
meno all'associazione di categoria firmataria del contratto in questione, nella
sostanza assurge a contratto collettivo nazionale di lavoro con efficacia per tutti
gli operatori del settore.
Così, ad esempio, la società ricorrente, in quanto vettore
aereo che opera in autoproduzione i servizi di handling,
non potendo, all’evidenza, rispettare contemporaneamente due diversi contratti
collettivi di lavoro, dovrebbe, a decorrere dal 1° gennaio 2012, porre nel
nulla il Contratto collettivo di lavoro per il proprio personale, come
concordato con le sigle sindacali cui il medesimo appartiene, ancorché nessuno
possa dubitare che anche attraverso tale regolamentazione del rapporto di
lavoro siano pienamente rispettate le garanzie di protezione sociale cui i
lavoratori hanno diritto.
Ed invero, il sistema delineato dalla normativa vigente
prevede che la composizione tra le diverse esigenze del datore di lavoro e del
lavoratore avvenga nell’ambito del libero svolgersi delle relazioni sindacali,
che assume concretezza in sede di contrattazione collettiva, ove viene
stabilito il trattamento economico e giuridico che spetta al lavoratore
nell’ambito del singolo rapporto di lavoro cui può farsi riferimento in ragione
della aderenza alle organizzazioni che siglano gli accordi.
L’Enac è, invece, estraneo ad una tale composizione di
interessi, dovendo limitarsi a verificare, secondo quanto previsto dalle norme
di superiore rango sopra esaminate, che i dipendenti del prestatore da
certificare siano tutelati da un contratto collettivo di lavoro di riferimento,
posto che tutti i CCL costituiscono alla stregua dell’art. 39 della Cost. un
valido parametro di riferimento a garanzia di un adeguato livello di protezione
sociale.
Alla stregua di tali considerazioni, il Collegio ritiene
che l’imposizione dell’osservanza di uno specifico CCNL è in contrasto con la
finalità delle norme cui occorre fare riferimento.
L’impugnata previsione regolamentare, peraltro, è anche
illogica, in quanto determina una distorsione del sistema, certamente non
voluta dalla Comunità europea, che si è, invero, preoccupata di ribadire come
la tutela sociale possa e debba costituire un limite al dispiegarsi della libera
concorrenza, che in tanto è benefica se determina, in definitiva, una positiva
ricaduta nei costi di gestione delle compagnie aeree e nella qualità del
servizio offerto ai clienti, purché tali effetti non costituiscano la diretta
conseguenza del sacrificio dell’anello più debole della catena produttiva,
attraverso la compressione se non addirittura negazione dei diritti del
lavoratore.
L’imposizione, allora, di un solo tipo di contratto
collettivo di lavoro esorbita, all’evidenza, dalle finalità garantiste che la
normativa si propone, e non sembra corrispondere esattamente a quanto la legge
nazionale attuativa della normativa comunitaria ha richiesto, ai fini
dell’accertamento dell’idoneità dei prestatori, facendo riferimento al rispetto
del tipo di contratto che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti delle
aziende di gestione e dei servizi aeroportuali di assistenza a terra.
4.2. In tali termini, del resto, si è già espresso il
giudice di appello con la sentenza n. 3498 del 2009, peraltro richiamata da
tutte le parti, che ha ritenuto una tale imposizione in contrasto con la
normativa sopra richiamata, giacché l’art. 13 del d.lgs. n. 18/1999 si è
limitato a conferire all'Enac la sola capacità di verifica della idoneità dei
prestatori di servizi a terra, senza aggiungere null'altro; né altre
disposizioni hanno attribuito all'ente predetto un potere normativo in materia
di rapporti di lavoro e tutela sociale, mentre, ove fosse ritenuta necessaria
l'integrazione o modificazione della disposizione in esame, occorrerebbe fare
ricorso ad un atto di pari rango nella gerarchia delle fonti normative, ossia,
con efficacia di legge che solo il legislatore nazionale può approvare, (che
non risulta sia stato adottato), mentre una tale vis innovativa non può essere
ottenuta attraverso la normativa di attuazione regolamentare.
Il Collegio condivide una tale impostazione perfettamente
estensibile anche al caso che ne occupa, al contrario di quanto sostenuto dalle
parti resistenti, atteso che il CCNL stipulato nel 2010 tra le associazioni
Assaeroporti, Assohandlers e Assocatering-FIPE
e le sigle sindacali del settore è circostanza, di per sé, inidonea a mutare i
termini giuridici della questione.
Rimangono validi, con riferimento al caso che ne occupa,
anche i principi ribaditi dal giudice di appello a proposito della
impossibilità, alla stregua della libertà sindacale riconosciuta dall'art. 39
Cost. nell’ambito della contrattazione collettiva di diritto comune, più volte
sottolineata anche dalla Corte di Cassazione, di riconoscere, diversamente da
quanto ritenuto dall'Enac, che la funzione del CCNL sia nel nostro ordinamento
quella di indicare i minimi economici e normativi validi per i lavoratori
appartenenti ad un certo settore di attività. Una normativa di tale tipo non è
stata, infatti, mai dettata nel nostro ordinamento, anche se l'art. 39 Cost.
dispone chiaramente che i sindacati, previa registrazione, possono stipulare
"contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli
appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce", essendo
tale norma costituzionale rimasta priva di attuazione; dal che la conseguenza
che l'unico CCNL che le parti collettive sono ad oggi in grado di concludere,
non è altro che un contratto atipico disciplinato in via generale dagli artt.
1321 e1322 cod. civ., con applicazione quindi nei confronti dei soli iscritti
alle associazioni sindacali che abbiano stipulato il contratto (di diritto
comune quindi e non erga omnes); le stesse norme del contratto collettivo possono
trovare applicazione anche per i non iscritti alla singola associazione, ove
recepite per adesione o per relationem. (cfr. Cons. di Stato. Sez. VI, 8 giugno 2009, n. 3489)
Non è pertanto, ammissibile, che una tale estensione venga
operata, di fatto, da Enac nei confronti di quei prestatori che invece
rispettano il CCL di riferimento, in quanto tale obbligo si pone in violazione,
oltre che con la libertà sindacale, anche, in definitiva, con quanto prevede la
normativa di riferimento, che si limita a richiedere un mero controllo circa il
rispetto da parte dei fornitori di servizi di assistenza a terra di adeguati
livelli di protezione sociale, alla stregua, oltre che delle norme
civilistiche, anche, per l’appunto dei contratti collettivi di lavoro di riferimento.
4.3. Non convince il Collegio nemmeno la considerazione
che la possibilità di fare riferimento diversi contratti collettivi di lavoro
determinerebbe una distorsione della concorrenza, in ragione del diversificato
trattamento economico attribuito ai lavoratori di un medesimo settore
A prescindere dalla considerazione che il settore in
argomento è di per sé assai variegato, essendovi ricomprese a mente dell’elenco
di cui all’Allegato A, al d. lgs. 18/1999 molteplici
attività affatto omogenee tra loro, occorre invece considerare che
l’introduzione di un elemento di rigidità, al di fuori dei vincoli come
predeterminati dalla normativa, è in grado di determinare effetti restrittivi
della concorrenza, laddove vengono messi sullo stesso piano soggetti che,
invece, pure tutti tecnicamente ed economicamente validi, costituiscono realtà
aziendali assai differenti tra loro, proprio in ragione del diverso ambito in
cui operano.
Pertanto, le conseguenze che vorrebbe fare discendere
controparte da una lettura forzata dell’art. 13, d. lgs.
n. 18 del 1999, porterebbero ad una applicazione della stessa norma, oltre che
non costituzionalmente orientata, anche in contrasto con la normativa in tema
di concorrenza.
Sul punto non può non essere considerato che la più recente
normativa in tema di liberalizzazioni prevede espressamente che le disposizioni
relative all'introduzione di restrizioni all'accesso e all'esercizio delle
attività economiche devono essere oggetto di interpretazione restrittiva, posto
che l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto
ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; di
contrasto con i principi fondamentali della Costituzione; dal danno alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l'utilità sociale;
dalle disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, ecc.
(cfr. art. 1, commi 1 e 7, d. l. n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011)
Ancorché successiva ai fatti di causa, la normativa da
ultimo esaminata conferma, ulteriormente, l’orientamento, non più timido, ma
fortemente liberista del legislatore nazionale, in perfetta sintonia, del resto
con le quanto predica da tempo quello comunitario proprio con riferimento allo
specifico settore dell’handling.
5. Conclusivamente, il ricorso è meritevole di
accoglimento nei sensi sopra indicati, con riveniente annullamento, in parte
qua del regolamento impugnato, ed, in specie, per l’effetto, dell’art. 9, n. 1,
lett. b), fatta salva, peraltro, la successiva attività provvedimentale,
ove ritenuta necessaria da E.n.a.c. e dell’art. 15,
comma 3.
La complessità delle questioni trattate induce il Collegio
a disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti
costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio,
Sezione Terza Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe
proposto, lo accoglie, nei limiti precisati in parte motiva, e, per l’effetto,
annulla il Regolamento, emanato dall’E.n.a.c. – Ente
Nazionale per l’Aviazione Civile, denominato “Certificazione dei prestatori di servizi aeroportuali di assistenza a
terra” – Edizione n.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1
dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Daniele, Presidente
Giampiero Lo Presti, Consigliere
Donatella Scala, Consigliere, Estensore