Confederazione Generale
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Roma, 29 gennaio
2007
Circolare n. 10/2007
Oggetto: Attività confederale – 60a Assemblea Annuale
– Bilancio della manifestazione.
Alla presenza del Presidente del Consiglio Romano Prodi, il 24 gennaio si
è svolta a Roma con successo la 60a Assemblea Annuale della Confetra
dedicata al tema “Lo sviluppo asiatico e
il business logistico”.
Nell’affollata
platea erano presenti, tra gli altri, il Ministro per l’Attuazione del Programma
di Governo Giulio Santagata, il Presidente della
Commissione Trasporti del Senato Anna Donati, il Vice Ministro ai Trasporti
Cesare De Piccoli, il Sottosegretario ai Trasporti Andrea Annunziata, il
Sottosegretario al Lavoro Rosa Rinaldi e l’ex Ministro
Rocco Buttiglione, oltre a numerosi esponenti del
mondo politico, economico e sindacale.
Dopo Piero Ostellino del Corriere della Sera, che ha moderato i lavori,
ha preso la parola il Ministro per il Commercio Internazionale Emma Bonino che
ha sottolineato il ruolo strategico della logistica
per la crescita dell’Italia, assicurando l’impegno del suo Dicastero per
favorire il processo di internazionalizzazione delle imprese del settore.
Il Presidente della
Confetra Pietro Vavassori, nella sua relazione introduttiva, ha quindi analizzato
le criticità da risolvere affinché l’Italia, pur godendo di
una posizione geografica favorevole ad intercettare i flussi di traffico
proveniente dai mercati asiatici, non sprechi un’occasione irripetibile di
produzione di ricchezza. In particolare il Presidente Vavassori ha sottolineato le necessità sia di riorganizzare il sistema
portuale puntando alla specializzazione e individuando i porti su cui concentrare
le risorse, sia di migliorare il grado di efficienza complessivo del sistema economico,
sia infine di attuare forme di partenariato pubblico privato per sostenere gli investimenti
nella infrastrutturazione logistica.
Sono quindi
intervenuti l’Amministratore Delegato di Banca Intesa Infrastrutture Mario Ciaccia, che ha parlato del ruolo delle banche e del
rinnovamento dei modelli finanziari a sostegno degli investimenti infrastrutturali, la dr.ssa Anna Maria Artoni
di Confindustria, che ha ribadito come per vincere la
sfida cinese non siano sufficienti iniziative isolate ma sia necessario fare sistema e il Ministro dei Trasporti
Alessandro Bianchi, che ha fatto il punto sulle risorse stanziate nella
finanziaria per migliorare il grado di competitività del sistema infrastrutturale.
A conclusione dei
lavori il Presidente Prodi, riconoscendo alla Confetra il ruolo di soggetto
catalizzatore dei vari interessi che ruotano intorno al grande
tema della logistica, ha confermato l’impegno del Governo affinché l’Italia non
rimanga emarginata dalla rivoluzione trasportistica
in atto ma sappia cambiare marcia riconquistando quote di mercato. In
particolare il Presidente Prodi ha condiviso la necessità di modernizzare il
sistema portuale, attualmente frammentato da un numero
eccessivo di Autorità portuali, e ha invitato anche gli operatori a partecipare
con capitale privato agli investimenti pubblici che saranno realizzati.
La chiusura
dell’Assemblea è stata accompagnata da un lungo e caloroso applauso da parte
della qualificata e affollata platea.
Gli interventi dei
relatori sono disponibili nel sito www.confetra.com.
f.to dr. Piero
M. Luzzati |
Per riferimenti confronta circ.re conf.le n. 2/2007 |
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Allegati tre |
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M/n |
© CONFETRA – La riproduzione totale o parziale è
consentita esclusivamente alle organizzazioni aderenti alla Confetra. |
RELAZIONE DEL PRESIDENTE CONFETRA
LO SVILUPPO ASIATICO E IL BUSINESS LOGISTICO
Roma, 24 gennaio 2007
Abstract
Nel 2000
Oggi la fattura logistica italiana è vicina ai 200 miliardi
di euro, ma è ormai chiaro a tutti che quello della
logistica è un mercato globale, come quello dei beni di consumo o dei servizi
finanziari, mercato che si misura non in decine di miliardi, ma in migliaia di
miliardi di euro. Il nostro obiettivo strategico, dunque, non può più essere
tanto la terziarizzazione logistica delle imprese italiane, ma la conquista di
uno spicchio di mercato nel grande business della
logistica mondiale.
In questa competizione planetaria, la conformazione degli
oceani e dei continenti e l’esplosione economica asiatica stanno offrendo al
Mediterraneo e in particolare all’Italia un’opportunità irripetibile
di produzione di ricchezza, di investimenti, di occupazione, di incremento
stabile del PIL nazionale.
Questa opportunità era stata anticipata da tempo dagli
osservatori più attenti ed è stata ora rilanciata con forza dal Governo Prodi
in occasione della missione in Cina dell’autunno scorso e della
imminente parallela missione in India.
A questa grande irripetibile
occasione per l’Italia
La posta in gioco
La merce viaggia su strada, su ferro, in aereo, via mare;
viaggia in cisterne, in cassoni, alla rinfusa, pallettizzata,
in condotte. Il sistema più diffuso di standardizzazione
dei carichi, che facilita lo stoccaggio, la conservazione, la manipolazione,
l’intermodalità, è il container. Nel 1970 ne circolavano nel mondo circa 10
milioni; oggi siamo oltre i 400 milioni di TEU. Il
volume di TEU movimentati, a torto o a ragione, oggi è considerato la misura
dell’andamento del traffico merci di un territorio o
di una realtà geo-economica. Mentre
fino agli anni ’80 il traffico container si presentava dominato dagli Stati
Uniti, oggi il primo porto americano (Los Angeles) è solo decimo in una
classifica che vede ai primi posti sei porti asiatici (Singapore, Hong Kong, Shangai, Shenzen, Kaohsiung, Busan), seguiti da due
porti europei (Rotterdam e Amburgo) e un porto mediorentale
(Dubai).
Nella classifica europea, i primi porti italiani sono
Gioia Tauro, al sesto posto con 1/3 dei TEU movimentati
rispetto a Rotterdam, e Genova all’undicesimo posto con 1/6
dei TEU di Rotterdam.
Oggi la metà dei container che girano nel mondo è di
provenienza o destinazione cinese. Nel prossimo decennio
In questo scenario mondiale da capogiro,
Non siamo ancora all’anno zero,
ma quasi.
Secondo la pregevole ricerca del CNEL dell’autunno scorso,
la portualità italiana gestisce realmente solo quello
che è il consumo del sistema economico e demografico del Paese, cioè un volume complessivo import-export stimato attorno ai
4 – 5 milioni di TEU. Tutto il resto, cioè circa
altrettanto, transita senza nemmeno uscire dalla cinta doganale, cioè senza
effettuare stoccaggi o lavorazioni della merce.
Come è ormai noto a tutti, la differenza di ricadute è abissale: l’apertura
del container innesca una catena virtuosa di servizi logistici (che oltre allo sdoganamento, alla disinfestazione, al controllo qualità, al
confezionamento, all’assemblaggio, al deposito, al
trasporto, alla distribuzione nei vari mercati, può estendersi all’assistenza
tecnica, alla garanzia clienti, all’e.commerce, al
marketing, fino alla progettazione, all’insediamento europeo dell’azienda, e
infine alla stessa fabbricazione), catena virtuosa il cui valore può essere
incommensurabilmente superiore a quello del semplice transhipment.
Parlando di milioni di container, l’ordine di grandezza del potenziale valore
aggiunto indotto è di decine di miliardi di euro, cioè
di punti percentuali aggiuntivi di PIL, con conseguente creazione di varie
centinaia di migliaia di nuovi, veri e qualificati posti di lavoro, il tutto
stabile e duraturo nel tempo.
Bisogna convincersi che intorno a questo business la
partita in Europa è ancora apertissima: non solo i
flussi di merce sono sempre meno atlantici e sempre più asiatici attraverso
Suez, ma il Northen Range
arriverà presto ad una saturazione, perlomeno temporanea; non solo le maggiori
potenzialità di crescita sono nell’Europa dell’Est –
Sud Est e nel Nord Africa, ma proprio per questo la tendenza al bilanciamento
dei traffici e alla riduzione dell’operation period renderà il transit-time
degli scali mediterranei ulteriormente vantaggioso rispetto ai porti del Nord.
L’Italia non può perdere questa occasione
che, tra l’altro, le viene riconosciuta da quanto definito da 45 Paesi del
sistema euromediterraneo attraverso il Documento “Wider Europe” prodotto dal Gruppo
ad Alto Livello presieduto dalla compianta Loyola De Palacio. In tale Documento emerge il ruolo chiave che
l’Italia dovrebbe svolgere proprio in questi prossimi cinque anni all’interno
del Mediterraneo.
Le criticità infrastrutturali
Non dobbiamo a questo punto sottovalutare le criticità
delle nostre dotazioni infrastrutturali: dalla scarsa
profondità dei fondali, alla limitatezza di banchine e piattaforme adatte alla
movimentazione dei container, dalla inadeguatezza di
aree retroportuali attrezzate per lo stoccaggio e la
manipolazione delle merci, alla insufficienza dei collegamenti ferroviari e
viari con le grandi reti nazionali e sovranazionali.
Pensando al gigantismo delle navi portacontainer
commissionate alla cantieristica mondiale (dagli 8000 ai 12000 TEU, o
addirittura alle futuristiche MalaccaMax di 18000
TEU), pensando alla collocazione centro-cittadina dei
nostri porti storici, peraltro meravigliosi, pensando alla inadeguatezza del
nostro sistema viario e ferroviario, pensando alle strozzature dei valichi
alpini, pensando infine ai nostri vincoli di bilancio, la strada diventa
oggettivamente in salita.
Ma cerchiamo di fare ordine.
Certamente dovremo tener conto dell’evoluzione dimensionale del Canale di Suez che arriverà presto ai 20
metri di profondità. Il problema degli éscavi dovrà
dunque essere affrontato e risolto, naturalmente nel rispetto delle norme ambientali
come avviene in tutto il mondo civile.
Ma seguendo il ragionamento della citata ricerca del CNEL,
le mega carrier, con
capacità superiore agli 8000 TEU, saranno meno del 10% della flotta mondiale e
saranno in gran parte adibite sulle rotte transpacifiche: la stragrande maggioranza della flotta sarà
costituita da navi inferiori ai 6000 TEU, con pescaggio massimo di
Non sarà dunque il gigantismo l’aspetto
più complesso da indagare, ma piuttosto i nuovi modelli organizzativi dello shipping mondiale indotti dall’introduzione di tanta nuova
capacità di stiva. Come verranno impiegate le unità
oggi di grandi dimensioni (4000 – 6000 TEU) quando entreranno in servizio le
nuove navi? Quelle che prima venivano impiegate come
navi madri saranno ridotte al rango di feederaggio?
Oppure vedremo, come è probabile, un incremento dei
servizi diretti? Alla fine il gigantismo e le risorse abbondanti di capacità
potrebbero risolversi in un vantaggio competitivo proprio per la nostra portualità diffusa.
E qui passiamo al secondo vincolo: la inadeguatezza
delle aree retroportuali e delle connessioni con le
reti viarie e ferroviarie. Qui il problema diventa squisitamente politico.
In Italia abbiamo censito 150 scali. Abbiamo 24 Autorità
Portuali. Con l’ultima legge finanziaria abbiamo dotato ciascuna
Autorità di autonomia finanziaria, che di fatto equivale ad una autonomia
gestionale.
Ma è pensabile che ciascun porto possa decidere liberamente in
concorrenza con tutti gli altri porti di investire proprie risorse per fare
qualsiasi cosa? Dal traffico turistico al transhipment,
dal Ro-Ro alla piattaforma logistica?
Se il male dei porti italiani è l’eccessiva frammentazione delle
strutture che non hanno singolarmente la forza di competere con i principali
porti stranieri, bisogna puntare alla specializzazione e individuare i porti su
cui concentrare le risorse e gli investimenti necessari. E’ fondamentale
riorganizzare il sistema portuale nazionale affinché ciascun porto possa avere
un ruolo e una funzione ben definiti all’interno di un chiaro disegno strategico
che favorisca vocazioni e specializzazioni.
Si deve stabilire quali siano per posizione geografica,
per strategia di mercato, per connessioni con le reti interportuali e
intermodali, i porti capaci di intercettare le nuove quote di traffico mondiale
che sorgono a Est, come il sole.
Una volta tanto, un po’ di sano dirigismo non guasta: del
resto la funzione regolatrice dello Stato è tipica dei più efficienti Paesi liberisti.
Vocazioni e specializzazioni
Così impostato, anche il problema delle criticità infrastrutturali e delle risorse necessarie per superarle può trovare la sua corretta soluzione. Esaltiamo la
vocazione di transhipment di Gioia Tauro, di Taranto, di Cagliari, aiutandoli nella
competizione in questo ruolo con i porti spagnoli, nord africani e greci.
Però non pensiamo che quei porti possano anche svolgere una funzione di
piattaforma logistica in competizione con i porti del Nord Europa. Il nostro
sistema vettoriale, già vicino al collasso nella gestione del traffico
ordinario, non potrebbe sopportare il consistente carico aggiuntivo di merci
che, approdate a Gioia Tauro o a Taranto, dovessero risalire la penisola fino al difficoltoso
attraversamento dei valichi alpini. Ogni giorno circolano sulle nostre strade
circa 200 mila veicoli pesanti e con il progetto delle autostrade del mare
contiamo di trasferirne sull’acqua 2 o 3 mila al
giorno: istradare su camion o per ferrovia qualche milione di container
significherebbe aumentare il traffico autostradale del 10% oppure moltiplicare
per due o per tre l’attuale traffico ferroviario!
E’ evidente che la soluzione va trovata altrove, cercando
di valorizzare ubicazioni territoriali vincenti perchè
portatrici di singolarità imbattibili: se si vuole puntare a servire i
territori logisticamente vergini dei Paesi dell’Est
Europa in fase di forte sviluppo economico bisogna
puntare sul sistema portuale dell’Alto Adriatico, da Ravenna a Trieste.
Soffermiamoci per esempio sulle peculiarità del porto di
Trieste:
·
è l’unico hub portuale del Corridoio 5 nel
Mediterraneo;
·
è l’unico porto franco del Mediterraneo e lo è da 300 anni in base al
diritto internazionale;
·
è raccordato ferroviariamente alla rete
nazionale e comunque dista pochi chilometri dalla rete slovena;
·
ha i fondali naturali tra i più profondi del Mediterraneo e quindi non
teme il gigantismo;
·
oltre al molo settimo, con una capacità di movimentare 5-600 mila TEU, è
già stata progettata e approvata la costruzione di una piattaforma logistica di
247 mila metri quadrati con
·
può contare sulle aree retroportuali di Fernetti e di Cervignano;
·
è la ubicazione geografica che consente sia una riduzione di 6 giorni
per l’accesso al sistema Europa rispetto all’itinerario che utilizza gli hub del Nord, sia la immediata interazione con l’Europa
Centrale e con quella Orientale;
·
è un hub che genera rete, che genera sistema.
In questa logica, se c’è la volontà politica,
i problemi infrastrutturali e organizzativi che pur
esistono potrebbero essere tutti sollecitamente avviati a soluzione
nell’interesse dell’intero sistema economico nazionale.
Liberalizzazioni e semplificazioni
Eletti gli hub portuali
funzionali agli obiettivi che ci siamo dati, e avviate a soluzione le criticità
infrastrutturali, individueremo le tipologie di merci
che verranno scambiate con la Cina e, da esperti di
logistica, studieremo i possibili itinerari delle macro filiere merceologiche
con le relative supply chain.
Ma l’appeal della nostra offerta di servizi logistici dipende
in gran parte dal grado di efficienza che saprà
offrire il sistema-Paese.
E qui di strada da fare ce n’è ancora molta!
Le riforme ordinamentali,
sociali, professionali, amministrative, sono il passaggio obbligato per garantire
un significativo sviluppo del nostro sistema economico.
Sono le riforme che costano di più, non in termini finanziari, ma in termini
politici, poiché vanno a incidere su interessi
consolidati, procedure stratificate, rendite di posizione a vantaggio di pochi,
ma ben organizzati, e a danno della collettività, spesso ignara.
Di chi è la colpa se il Parlamento stanzia nel 2002 cento
milioni di euro per favorire lo sviluppo del trasporto
combinato, il Governo emana il Regolamento nel 2003, il Ministro dei Trasporti
approva le procedure nel 2004, le aziende fanno gli investimenti nel 2005 e
oggi non è stato ancora erogato un euro? Di tutti e di nessuno. Una medicina, prescritta per curare una malattia, potrebbe
addirittura rivelarsi nefasta se somministrata con cinque anni di ritardo.
In linea di massima, la parola d’ordine, cara al Ministro Bersani, è “liberalizzazione”, e
noi la facciamo nostra.
Per non parlare dei massimi sistemi e rimanere nel nostro
settore, segnaliamo al Governo la necessità di intervenire in tema di:
-
sistema ferroviario, per affrancare dal monopolista pubblico tutte quelle attività
che possono proficuamente essere svolte da operatori privati in regime di
concorrenza (non solo la trazione, ma la manovra, la gestione dei terminali, la
manutenzione, la pulizia, ecc.);
-
imprese di spedizione, per liberarle dal regime di controllo introdotto dal
testo unico di P.S. del 1931 per finalità non certo di promozione imprenditoriale;
-
magazzini generali, per disporre una profonda rivisitazione della legge
professionale del 1926;
-
orario di lavoro del personale viaggiante, per attenuare la rigidità della
direttiva 15/2002, secondo i princípi contenuti
nell’Avviso Comune sottoscritto da tempo da tutte le parti sociali;
-
dogane, per semplificare le procedure allineandole ai migliori standard europei;
-
trasporto aereo, per accorpare i documenti di viaggio con quelli doganali e per
introdurre slot cargo distinti da quelli passeggeri;
-
guardia di finanza, per evitare duplicazioni di controlli con gli uffici
doganali;
-
sportello unico ai fini doganali, veterinari, sanitari, ecc., già previsto per
legge e mai attuato;
-
P.R.A., che duplica gli adempimenti e i
costi a carico degli utenti;
-
disciplina fito-sanitaria, per affiancare l’attività
privata all’attuale sistema di controlli da parte di pubblici ufficiali, come
avviene negli altri Paesi europei;
-
security nei porti, che deve essere
disciplinata secondo standard internazionali e non in maniera difforme a seconda
dei porti;
-
lotta alla criminalità, che nei porti trova un terreno particolarmente
fertile.
Non è un cahier des doleances, e non è neanche
completo, ma è un elenco essenziale di cose da fare nell’interesse generale. La
logistica è trasversale e pervasiva: il suo efficientamento ha un effetto moltiplicatore sulla
competitività di tutto il sistema produttivo nazionale.
I vincoli finanziari
Il Ministro Santagata, nel corso
di uno dei diversi incontri su questo tema, ci ha indicato l’obiettivo di far
convogliare sul nostro Paese per lo meno una parte delle centinaia di miliardi di dollari che i cinesi sono pronti ad investire all’estero
a sostegno del loro commercio internazionale. I cinesi stanno dismettendo il ruolo di lavoratori per conto terzi; oggi
hanno la forza per arrivare direttamente con i loro prodotti sui nostri
mercati: è controproducente contrastarli. E’ preferibile trovare forme di
collaborazione e fare business insieme. La logistica può essere un primo
livello di incontro; poi sarà compito della politica
attrarre i loro investimenti specie nel nostro mezzogiorno per completare il
ciclo di loro produzioni tecnologicamente avanzate o addirittura per istallare
loro fabbriche da noi.
Se saremo bravi abbasseremo sulle nostre latitudini il baricentro delle
attività di magazzinamento internazionale per la
distribuzione delle merci nel Sud Europa e nel Mediterraneo. E ciò, oltre a costituire
ulteriore fonte di ricchezza e di occupazione diretta
nel settore della logistica, favorirà di conseguenza le funzioni produttive e
commerciali nazionali legate a quelle filiere merceologiche.
Invero, nella infrastrutturazione
logistica sarebbe preferibile che gli investimenti fossero italiani. Vendere i
nostri porti ai cinesi significherebbe cedere a loro un business logistico che
è naturalmente nostro. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra i nostri
interessi e la loro esigenza di gestire al meglio i traffici asiatici con
questa parte del mondo.
Piuttosto non facciamone nulla: non avremo guadagnato
niente, ma almeno non avremo perso la disponibilità delle nostre risorse
naturali e non sopporteremo gratis le esternalità
negative di un traffico altrui.
Viceversa dovremo trovare all’interno del nostro sistema le risorse necessarie alla grande sfida che ci
attende. Non potendo contare che parzialmente sulle finanze pubbliche (e non
sarebbe neanche corretto pretenderlo) occorrerà pensare a forme di Partenariato
Pubblico Privato, al Project Financing, dove il sistema
creditizio, valutando la bontà dell’iniziativa, fornisce alle imprese
promotrici i capitali necessari, che saranno poi restituiti con i frutti
dell’esercizio dell’opera.
Tra l’altro, la mobilitazione di capitale privato induce a
migliorare e accelerare le fasi della progettazione e della esecuzione
delle infrastrutture, con benefici per tutti. E’ la regola della finanza di
progetto, utilizzata in tutti i Paesi economicamente avanzati, a differenza
della finanza di soggetto che, indipendentemente dalle finalità, finanzia i
soggetti sulla base delle garanzie che questi possono fornire.
La presenza in questa Assemblea
del più importante istituto bancario italiano servirà a meglio illuminarci su
questo aspetto fondamentale.
Il Partenariato
Pubblico Privato
Cosa intendiamo per Partenariato
Pubblico Privato in una operazione così complessa e
difficile come quella che intende canalizzare il flusso di determinate quantità
e tipologie di merci lungo un itinerario logistico e commerciale definito?
Per far capire ai non addetti ai
lavori cosa significa costruire itinerari e cosa significa identificare vere supply chain, riteniamo opportuno
precisare che alla Confetra interessa l’intero ciclo evolutivo delle merci in
ingresso ed in uscita dal Paese, interessa il loro stazionamento nelle piastre
logistiche, interessa la loro manipolazione, la loro trasformazione
e i corridoi plurimodali utilizzati.
Interessa in realtà la intera evoluzione logistica.
Solo in tal modo la crescita per il
nostro Paese, stimata intorno ad una soglia aggiuntiva, nel prossimo
quinquennio, di oltre 8 milioni di TEU produrrà una crescita del PIL di circa 1
punto percentuale.
Un gruppo di imprenditori
e soggetti impegnati nelle varie fasi della logistica italiana potrebbero
quindi concordare con corrispondenti realtà imprenditoriali cinesi forme di
partenariato che prevedano azioni sia di tipo infrastrutturale,
sia di tipo gestionale e organizzativo, sulla base di protocolli sottoscritti
dai rispettivi Governi.
I capitoli di tali strumenti
contrattuali di Partenariato Pubblico Privato possono essere così individuati:
·
le filiere merceologiche
·
gli impianti logistici già disponibili, in corso di realizzazione o da
realizzare
·
le reti infrastrutturali già disponibili, in
corso di realizzazione o da realizzare
·
gli impegni finanziari
·
la governance
La Confetra è disponibile a
diventare il soggetto catalizzatore delle azioni e delle strategie necessarie
per rendere possibile un simile progetto ambizioso.
FINE TESTO
INTERVENTO DEL MINISTRO PER IL COMMERCIO
INTERNAZIONALE E PER LE POLITICHE EUROPEE EMMA BONINO (SPEAKING
NOTES)
Presidente Vavassori,
Signore e Signori,
Rivolgo anzitutto il mio più vivo ringraziamento alla
Confetra per avermi invitato a questo appuntamento, il
60° per la vostra organizzazione. Una età importante,
che dimostra quanto –anche a questa età considerata da pensionamento- si sia
ancora pienamente in possesso delle migliori energie. E per questo vi auguro di
celebrare ancora tanti di questi anniversari !
Il Governo ha più volte ribadito
che il settore della logistica è strategico per la crescita dell’Italia.
La collaborazione fra il Ministero, ICE e gli imprenditori
del settore –che speriamo di consolidare e di rafforzare nei prossimi mesi- è
volta a sostenere questa scelta, favorendo il processo di internazionalizzazione
del settore della logistica e rimuovendo le strozzature che impediscono alle
PMI di cogliere le opportunità offerte dai mercato mondiali.
Se in passato la competitività si giocava singolarmente
fra le aziende, quasi indipendentemente dalla dimensione delle stesse, oggi,
invece, questa è un fattore importante per la competizione globale.
Per questo motivo, una struttura produttiva quale quella italiana, fondata sulle piccole e medie imprese, deve
trovare gli strumenti e le modalità per aggregarsi e deve contare su una
maggiore forza ed efficienza dei sistemi logistici per approvvigionarsi e
distribuire nel mercato globale.
L’Italia confida molto nelle potenzialità che il settore
della logistica presenta al fine di sviluppare il nostro paese. Questo può
avvenire in due modi: da un lato, facilitando lo svilupparsi di più intensi
flussi commerciali di merci e persone; dall’altro, divenendo un fattore
importante per l’attrazione di investimenti asiatici,
sviluppando le infrastrutture ferroviarie, portuali, stradali, intermodali in
Italia.
Considerato che il commercio mondiale si fonda anche sullo
scambio via mare di enormi container, la posizione
geografica privilegiata dell’Italia -al centro del Mediterraneo- le può
consentire di essere la porta naturale per l’Europa e per il Nord Africa
rispetto a tutte le merci che affluiscono dal canale di Suez.
Ciò significa servire i tradizionali mercati dei paesi
asiatici, quali quelli dell’Europa centro-orientale, e i nuovi mercati come il
nord Africa ed il Medio oriente, verso i quali c’è una forte proiezione della Cina e dell’India –i due protagonisti politici e
commerciali dell’Asia-, intenti a perseguire una politica di approvvigionamento
delle materie prime e di strategia geopolitica verso il Terzo mondo. A questi
paesi, peraltro, non possono sfuggire i vantaggi
dell’area di libero scambio nel Mediterraneo che dovrebbe crearsi a partire dal
2010.
Ricordo che oggi, la grande parte
dei flussi commerciali asiatici verso l’Europa passa dai grandi porti del nord
(Amburgo, Rotterdam, Le Havre). La rotta alternativa
che prevede l’utilizzo dell’Italia quale base logistica consente di guadagnare
circa 5 giorni rispetto alle rotte del nord. L’Italia ha quindi un potenziale
di sviluppo enorme.
Tuttavia, questa potenzialità presenta alcune criticità, la più importante
delle quali è costituita dallo stato delle infrastrutture interne, ossia dai
collegamenti intermodali dal porto d’arrivo fino alle destinazioni finali,
siano esse in Italia o in altri paesi del continente europeo.
Ed anche dai processi decisionali per la loro
realizzazione che si configurano come estremamente
lunghi e burocratici (e intanto spagnoli, greci e egiziani si candidano loro ad
essere la piattaforma logistica degli asiatici) !!
Su questi aspetti il Governo sta intervenendo sia sotto
l’aspetto finanziario (finanziamento di opere infrastrutturali utili allo sviluppo) sia per quanto
attiene ai processi decisionali per accelerare la realizzazione delle opere
pubbliche, come dirà il Ministro Bianchi con più dettaglio di me nel suo intervento.
In questo quadro, la missione economica dello scorso
settembre in Cina ha individuato il settore della logistica come area di
cooperazione speciale tra Cina e Italia. Il nostro progetto più importante in
Cina è la costituzione di una piattaforma logistica pilota
a Tianjin, città destinata a diventare, nelle
intenzioni del Governo cinese, il terzo centro propulsore dell’economia del
Paese.
L’obiettivo è duplice: 1. costituire
un polo logistico italo-cinese, attraverso cui
preparare e poi facilitare, la collaborazione industriale e distributiva sui
mercati mondiali per sistemi di imprese cinesi ed italiane, che si integrano
lungo filiere produttive; 2. promuovere una porta
italiana per l’accesso all’Europa dei flussi merceologici in provenienza dalla
Cina.
Vorrei sottolineare che l’Italia
soffre di un significativo disavanzo della nostra bilancia commerciale verso la
Cina. Al momento, i costi di spedizione delle merci dall’Italia superano quelli
dalla Cina verso il nostro paese, dato che le navi non
viaggiano a pieno carico verso l’Asia. Questo problema è risolvibile sia attraverso
un aumento delle nostre esportazioni sia mediante un nostro sviluppo dei
servizi del settore in chiave europea, vendendo cioè
servizi logistici ad altri, in modo che questi utilizzino i nostri porti per
far partire le loro merci.
Questa iniziativa dovrà essere replicata in altri paesi
asiatici, penso all’India dove andremo con una forte
missione economica il prossimo febbraio, oppure anche in paesi che si stanno
ora sviluppando –quali il Vietnam-, e la stessa area dei paesi del Golfo, che
offre opportunità in questa direzione.
In sostanza, si tratta di passare da sistemi locali,
relativamente chiusi, a sistemi aperti al mercato mondiale, facendo leva sull’aggregazione di aziende per realizzare economie di scala.
Alla mancanza di “giganti” industriali si deve supplire
con la capillarità e l’articolazione della rete, intesa come insieme di servizi
e tecniche capaci di migliorare la competitività delle aziende sui mercati
esteri, sviluppandone l’efficienza negli approvvigionamenti e nella
distribuzione dei prodotti.
Il Ministero del Commercio Internazionale è impegnato
pienamente a sostenere il processo di internazionalizzazione
e la promozione all’estero del Sistema Italia. Il settore della logistica non
può sfuggire a questa grande opportunità. Esempi di eccellenza esistono anche da noi.
Per questo auspico che sia sempre più folta la presenza di imprenditori del settore nelle nostre missioni
commerciali e che la partnership tra pubblico e privato possa trovare nuovi
strumenti per potere crescere e contribuire al rafforzamento dell’Italia nel
mercato globale.
FINE TESTO
INTERVENTO DELL’AMMINISTRATORE
DELEGATO DI BANCA INTESA INFRASTRUTTURE E SVILUPPO MARIOCIACCIA
IL RUOLO DELLE GRANDI
BANCHE NELLA CREAZIONE DI UN SISTEMA INFRASTRUTTURALE E LOGISTICO ITALIANO
IN GRADO DI ATTRARRE I NUOVI VOLUMI DI TRAFFICO.
Roma, 24 gennaio 2007
Premessa
Come Amministratore Delegato di Banca Intesa Infrastrutture e Sviluppo e,
da pochi giorni, come Presidente di Banca OPI non posso
che esprimere apprezzamento per chi ha promosso questo incontro che mi consente
alcune riflessioni.I
l tema è:
- il mondo dei trasporti commerciali si muove con la velocità della luce ed
è prevedibile che il movimento di crescita economica a tassi esponenziali, alimentato
dal motore principale “Cina” e in prospettiva in modo rilevante anche dall’India,
proietti enormi volumi di traffico verso i Paesi dell’Est Europa;
- l’obiettivo è per il nostro Paese, che si trova in una situazione geografica
estremamente favorevole, non mancare un’occasione
irripetibile per intercettare i nuovi, grandi volumi di traffico;
- per conseguire tale obiettivo è indispensabile adeguare il sistema portuale
italiano ai nuovi flussi previsti attraverso massicci investimenti che rendono
evidente la necessità di far ricorso a forme di partenariato pubblico-privato.
Le condizioni per il partenariato
Per affrontare correttamente il tema, valuterei attentamente alcuni profili.
Il primo è di ordine squisitamente economico: la sceltadelle rotte commerciali
non avverrà automaticamente sulla sola scorta della più breve distanza geografica,
ma partirà dalla rigida regola che le merci tendono a seguire gli itinerari
economicamente più efficienti.
Al riguardo,
è da tenere presente che la competizione tra sistemi in termini di servizi
portuali, interportuali, ferroviari e stradali diverrà sempre più viva ed
accesa, anche in relazione al processo di liberalizzazione
ed integrazione delle reti di trasporto all’interno dell’Unione europea.
Non si tratta, quindi, solo di potenziare il sistema portuale dell’Adriatico,
ma di realizzare una forte infrastrutturazione
logistica, con un complesso organico di strutture e servizi
integrati, completando e migliorando le interconnessioni tra porti, interporti,
grande viabilità e rete ferroviaria a supporto alla rete logistica nazionale.
Se ho centrato il tema, un secondo profilo fondamentale di questa tematica riguarda allora nell’immediato
la scelta delle priorità alte per intercettare i nuovi volumi di traffico
marittimo, senza peraltro perdere di vista l’obiettivo di medio-lungo termine, che deve portare il livello del Paese
per infrastrutture e servizi vicino a quello dei Paesi più avanzati dell’Unione
europea.
A questo fine, è condizione imprescindibile che da parte di
tutti i soggetti coinvolti (Stato, Regioni, Province e Comuni) vi sia estrema coerenza e condivisione
nelle scelte delle priorità e nella messa a disposizione delle limitate risorse
disponibili.
Occorrono,
comunque, certezze delle regole specie in ordine ai
programmi, alle competenze ed alle modalità di azione delle Amministrazioni
nazionali (centrali e periferiche), regionali e locali.
Quel che
si aspettano gli operatori economici per contribuire alla realizzazione delle
infrastrutture necessarie al rilancio dell’economia è
la costruzione di un ordine istituzionale che, attraverso una sufficientemente
chiara ripartizione delle funzioni tra Stato ed Autonomie ed una effettiva semplificazione
delle procedure, fornisca un quadro di certezze indispensabile, tra l’altro e
per quel che qui interessa, per bene operare ed utilizzare, senza irragionevoli
rischi e con adeguate garanzie, strumenti innovativi, quali, nell’ambito del
partenariato pubblico-privato, la finanza di
progetto.
Per quel
che concerne poi i servizi, avverto, insieme a CONFETRA, l’esigenza di
procedere rapidamente ad una modernizzazione
dell’organizzazione delle filiere logistiche del nostro paese. Compito questo
che, evidentemente, non passa solo per i grandi interventi infrastrutturali
ma che deve necessariamente svilupparsi anche sulla base delle esigenze
individuate dalle amministrazioni locali e dalle forze imprenditoriali del
settore. Una particolare attenzione va posta per quelle opere di taglia medio-piccola che risultano
indispensabili per saldare funzionalmente le grandi reti di connessione con i
bisogni del territorio.
Dei servizi, invece, che dovrebbero costituire la piattaforma di lancio
per molti settori, manca una visione strategica del loro apporto all’economia. Infatti i
servizi costituiscono ancora un sistema troppo frammentato, dove gli
amministratori di organismi ed aziende pubbliche spesso non riescono a trovare
un progetto industriale comune; si rilevano anzi a volte progetti palesemente
contrastanti nell’ambito dello stesso territorio, come per l’energia e le reti
stradali e ferroviarie. Gli operatori finanziari sono chiamati ad assistere i
diversi soggetti, rischiando però la paralisi progettuale o l’inefficienza del
sistema.
E’ in
tale quadro che vanno affrontate le problematiche della finanza di progetto in
Italia, le cui possibilità di stabile decollo sono condizionate da troppe
variabili, endogene ed esogene, tra loro legate in un circolo vizioso.
E’ noto infatti, che uno dei talloni di Achille del nostro Paese
per la esecuzione di grandi opere è costituito dalla debolezza della progettazione,
spesso troppo generica per garantirne la seria fattibilità. Al fattore endogeno
della qualità dei progetti, si aggiungono poi altri fattori esogeni che
incidono sull’attendibilità delle previsioni progettuali e che spesso dipendono
dalla scarsa capacità programmatoria
dell’amministrazione, a sua volta dovuta all’incertezza del quadro giuridico-amministrativo ed alla difficoltà di coordinare
la realizzazione delle opere sul territorio.
Mancano
così le più importanti pre-condizioni per attirare il
capitale privato e per abbassare il costo del finanziamento. Tanto che spesso
gli istituti finanziatori si tirano indietro, non avendo certezze sull’an, sulla localizzazione e sui tempi di avvio
e di conclusione dell’opera (è appena il caso di accennare a recenti esempi
emblematici, come Brebemi e i rigassificatori).
E tutto ciò senza parlare del noto effetto “nimby”, la sindrome del “non nel mio giardino”.
3. Il ruolo delle grandi banche
In un’economia mondiale globalizzata
che viaggia a velocità impressionante, quasi azzerando i confini geografici,
non è pensabile che il nostro Paese possa restare tanto all’indietro nel campo delle infrastrutture
e della logistica rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea. Non
abbiamo infatti nulla da invidiare quanto a capacità
professionali ed imprenditoriali.
Tutti
però debbono fare la loro parte: la pubblica
amministrazione si deve rapidamente trasformare da proprietario/gestore in
acquirente di servizi, recuperando prioritariamente il ruolo, che le è proprio,
di indirizzo strategico, di programmazione e di controllo, lasciando ai privati
i compiti realizzativi e gestionali.
Il
sistema aziende, per competere
pariteticamente con le grandi imprese europee, deve intraprendere vie
sicuramente più complesse rispetto al passato, assumere rischi imprenditoriali
maggiori e proporre innovazioni continue e servizi di elevata
qualità per rispondere prontamente alle esigenze del mercato. Credo sia indispensabile per far crescere
le aziende, potenziare la professionalità degli operatori.
Il
sistema bancario, che non è restato indifferente di fronte a questa
prospettiva, deve calarsi sempre di più nella nuova realtà operativa, avviando
con professionalità il rinnovamento dei modelli finanziari a sostegno degli
investimenti.
Non sono
le risorse che mancano: il settore bancario sta dando la massima disponibilità.
In particolare, lo hanno dimostrato Banca Intesa ed il Gruppo San Paolo e lo dimostreranno ancor di più ed a maggior ragione, insieme.
Ritengo,
poi, che un’istituzione bancaria come BIIS che ha nello sviluppo del Paese un
preciso obiettivo statutario, abbia agito con sensibilità e tempestività a
fianco delle istituzioni e delle imprese per alimentare costantemente il
processo di ideazione e realizzazione di sistemi
territoriali efficienti. E’ questa una realtà che è stata creata con l’intento
di servire in modo integrato tutti gli attori della spesa pubblica e di
favorire il partenariato tra pubblico e privato. E’ un sentiero di crescita
destinato ad implementarsi con la prossima integrazione con le attività che
fanno attualmente capo alla Banca del gruppo San Paolo
rivolta al settore pubblico allargato. Avremo dunque ben presto un grande –
lasciatemi dire di gran lunga il più grande - Istituto
di credito italiano con un'offerta specificamente dedicata ai servizi dell’area
della finanza pubblica.
I frutti
di questo impegno non si sono fatti attendere: nel
campo delle grandi infrastrutture di trasporto BIIS è attualmente impegnata
nella realizzazione dei principali interventi che interessano l’Italia: lungo
l’asse del Corridoio 5, oltre al finanziamento del Passante di Mestre, BIIS è
coinvolta nelle attività di consulenza e di strutturazione dei finanziamenti
per il collegamento autostradale della Pedemontana
Lombarda, per la direttissima Milano-Brescia (BrebeMi) e per il progetto di Tangenziale Esterna Est di
Milano; lungo il corridoio dei 2 mari Genova-Rotterdam,
B.I.I.S. ha recentemente contribuito a sviluppare una
proposta volta alla realizzazione della tratta ferroviaria Alta Velocità - Alta
Capacità del Terzo Valico dei Giovi che, se accettata dall’amministrazione aggiudicatrice, potrebbe fornire una soluzione ai vincoli
finanziari che caratterizzano il Progetto e che ne hanno impedito finora la
realizzazione; lungo l’asse Berlino-Palermo, una proposta
analoga alla precedente è stata presentata, con il supporto di BIIS, dai general contractors assegnatari
dei lavori dei 2 maxi-lotti della Salerno-Reggio
Calabria, che intendono in questo modo candidarsi anche alla realizzazione del
terzo maxi-lotto nonchè alla gestione dell’intera
opera.
Il
nostro impegno non si limita alle reti, ma si estende anche ai nodi del sistema
di trasporto: l’Interporto di Fiumicino, ormai giunto alla fase realizzativa, si è avvalso della consulenza prestata dal
nostro Istituto, che ha successivamente fornito una
quota rilevante delle risorse concesse dal pool di banche finanziatrici. BIIS,
inoltre, ha recentemente acquisito i mandati per fornire i servizi di
consulenza finanziaria richiesti dai soggetti imprenditoriali attivi nella realizzazione dell’Inteporto di
Tivoli e del polo logistico di Ghedi.
La Banca sta inoltre collaborando con
imprenditori e amministrazioni pubbliche per mettere a punto
delle soluzioni finanziarie innovative relative alla realizzazione di altri
importanti poli logistici attrezzati in Emilia Romagna e in Lombardia.
Ma stiamo
facendo anche di più: nell’ottica di sostenere gli imprenditori
che intendono investire capitali privati nella realizzazione di progetti infrastrutturali, BIIS proprio ieri ha definito insieme ai
principali soggetti finanziari pubblici e privati attivi nel settore, l’avvio
di un fondo chiuso di private equity finalizzato ad
acquisire quote del capitale di rischio delle società impegnate nella
realizzazione e/o nella gestione delle infrastrutture. E’ il fondo F21 il nuovo
fondo per le infrastrutture italiane che avrà una consistenza di 1,5/2 mldi di euro al quale parteciperà
con una quota di 150 milioni di euro.
Le
grandi infrastrutture di trasporto che BIIS sta
finanziando ammontano a circa 25 miliardi di euro. Siamo tuttavia convinti che
questo non sia che un piccolo passo per rispondere
alle esigenze di un settore che, oltre a rappresentare di per sé una quota pari
al 6%-7% del PIL, si trova al centro di fenomeni cruciali per l’evoluzione dei
nostri cicli di produzione e consumo.
In tema
di sviluppo della portualità, siamo pronti a fare la
nostra parte per verificare le possibilità di strutturare
i finanziamenti necessari per ampliare la dotazione di terminal ferroviari a
servizio dei porti, senza i quali questi ultimi sono destinati a subire un
progressivo deficit di competitività rispetto all’offerta degli altri paesi.
Avverto,
infatti, una forte preoccupazione per l’indebolimento del sistema portuale
italiano proprio nel segmento dei traffici containerizzati,
ossia in quel ramo del trasporto che è chiamato a sostenere le opportunità di
sviluppo dei traffici con il continente asiatico. La preoccupazione
non nasce solo dall’esame del magro tasso di crescita fatto registrare
dai volumi di traffico dei porti italiani confrontati con quelli dei porti
concorrenti (1,3% per l’Italia, 8,8% per la Spagna, 11,6% per il Nord Europa,
11,9% per la Cina), ma soprattutto dall’analisi sulle cause che li hanno
determinati.
Ciò che
emerge dai dati è che il volume complessivo di traffici con l’estero che
transita attraverso i nostri porti è pari, né più né meno, al fabbisogno di interscambio commerciale italiano: non siamo affatto la
piattaforma logistica del Mediterraneo, non attraiamo merci in sovrappiù
sfruttando il posizionamento del nostro Paese lungo le rotte con il continente
asiatico, non le manipoliamo per creare valore attraverso le attività di
smistamento, confezionamento finale, controllo
qualità, tracking and tracing,
fornitura di servizi assicurativi , non facciamo nulla di tutto questo.
Ma il
quadro diviene ancora più preoccupante se lo esaminiamo in prospettiva,
considerato che buona parte della delocalizzazione
industriale italiana si indirizza verso i paesi
dell’Est europeo, con i quali l’interscambio via mare è solo marginale:
perdonatemi l’allarmismo ma rischiamo oggi il paradosso di voler parlare delle
prospettive di sviluppo del settore logistico italiano mancando di considerare
le minacce che potrebbero determinarne domani la crisi terminale.
Perdere
ulteriormente quote dell’industria logistica significa perdere il controllo
sulla catena di creazione di servizi a valore aggiunto della
merce che è la parte più ricca del pianeta, proprio in virtù della
“intelligenza” logistica che è in grado di esprimere.
Come
rispondere a queste minacce dunque? Le previsioni di un prestigioso
istituto come Ocean Shipping
Consultants
indicano che, per far fronte alla crescita dei flussi commerciali
l’Italia dovrebbe poter disporre nell’arco dei prossimi dieci anni di una
capacità portuale circa doppia rispetto a quella odierna.
Una
prima risposta è già data: sono necessarie più infrastrutture, dunque, e
velocemente! E, tenuto conto che la
richiesta di servizi logistici efficienti aumenterà più che proporzionalmente
rispetto all’aumento dei volumi, col termine infrastrutture bisogna intendere
tutte quelle infrastrutture
che ne determinano l’efficienza nei cicli di inoltro terrestre: aree retroportuali, accessibilità stradale e ferroviaria, inland terminal, in una logica che sappia trovare la
coerenza tra i diversi livelli del territorio locale, regionale ed
internazionale.
La
questione che si pone a questo punto è: come reperire
le risorse necessarie per finanziare lo sviluppo infrastrutturale?
La soluzione potrebbe discendere dalla risposta ad una seconda domanda: quale
potrebbe essere il costo per la collettività derivante dalla mancata realizzazione delle infrastrutture del settore?
Il
problema, in altri termini riguarda, come è stato
detto, “i costi del non fare”.
Applicando l’analisi costi-benefici al previsto incremento del numero dei
container (in termini di milioni) il costo per la mancata realizzazione delle
infrastrutture di settore, secondo le valutazioni di CONFETRA, presenta un ordine
di grandezza, in termini di potenziale valore aggiunto, di diverse decine di miliardi.
Un valore, cioè, in grado di coprire il fabbisogno
necessario per un primo miglioramento, secondo la scala di priorità che sarà
prescelta, del nostro sistema portuale.
Ciò che
più rileva ai nostri fini è analizzare gli elementi che compongono questo ordine di grandezza: si potrebbe scoprire così che
una buona parte del valore del beneficio stimato è rappresentato dalla
disponibilità a pagare da parte dei potenziali utenti delle infrastrutture.
In altre
parole, si tratta di risorse che sono smobilizzabili dal settore privato
dell’economia e che potrebbero essere messe a disposizione dei progetti se solo
questi si realizzassero. Questo perchè i possibili
utenti di queste infrastrutture valutano che i
benefici che potrebbero derivare loro dall’utilizzo di queste infrastrutture
sono superiori.
Le
risorse per realizzare i progetti possono dunque spesso essere generate dal
progetto stesso, una volta che esso è costruito ed entra nella fase di esercizio: si tratta allora di saper adottare strutture
finanziarie che riescano ad anticipare le risorse necessarie per gli
investimenti e che sfruttino le possibilità di rimborso dei debiti attraverso
la captazione, diluita nel tempo, di una parte (spesso una piccola parte) dei
flussi di reddito e di tributi che, in vario modo, il progetto produce.
Questo
principio, che è alla base delle tecniche del project financing non è certo nuovo: si tratta però di
estenderne la portata sviluppando cornici giuridico-amministrative
consone e schemi contrattuali innovativi, capaci di sfruttare la generazione di
valore che si crea col “fare”, ricordandosi, che, al contrario, non fare,
significa perdere questo valore.
4. Conclusioni
La
moneta e soprattutto le idee sono pronte a correre: le punte più avanzate del
sistema bancario sono già in grado di concorrere allo sviluppo dei fattori
innovativi, quali le infrastrutture, grandi, medie e piccole, la logistica, la
ricerca, la formazione.
Si
assiste così ad un paradosso: il sistema finanziario è pronto, mentre il mondo
politico non è ancora in grado di assumere le decisioni necessarie per non
perdere questa irripetibile occasione per il
Paese.
Il partenariato pubblico-privato non ha
ancora trovato i ritmi adeguati per la crescita della nostra economia. Perché, invece, in altri Paesi la finanza di progetto ha
dato buoni risultati? Perché l’adozione di questo strumento, utilizzato per la
realizzazione delle infrastrutture, ha investito a cascata intere aree del
globo, dal Regno Unito al resto di Europa,
dall’Australia al Sudafrica e dal 2002 i Paesi Latino – Americani, con un trend che porta il valore dei contratti ad un
importo nel 2006 non inferiore a 80 - 100 miliardi di euro, con punte avanzatissime
specialmente per il Regno Unito ed il Portogallo?
E’ forse colpa del sistema
finanziario, che risulterebbe in qualche modo
latitante? I risultati conseguiti dai grandi Istituti finanziari nell’ambito
della collaborazione con il pubblico provano ampiamente il contrario.
Anzi, per quel che riguarda le
esperienze maturate in BIIS, il fatto che essa sia dedicata alle esigenze del Paese ha spesso indotto
La realtà è che il sistema bancario è
costretto ad operare in un ambito in cui la parte ordinamentale,
per le ragioni che ho esposto, presenta vistose
lacune, contraddizioni e certo non favorisce la predisposizione di un valido
supporto amministrativo, che risulta alquanto sfilacciato.
E’ così che
Se non si riesce presto a sciogliere almeno parte di tali nodi, vi
è il rischio che le
banche fortemente
strutturate all’estero potrebbero trovare più conveniente destinare i propri
interventi al finanziamento delle imprese dell’Estremo Oriente.
Mi auguro, comunque,
che la sensibilità dimostrata dai politici sulle opportunità che può offrire al
nostro Paese l’esplosione dell’economia asiatica possa portare coerentemente
all’adozione dei provvedimenti governativi che si ritengono prioritari perché
non sfugga all’Italia questa irripetibile occasione.
FINE TESTO