Venerdì, 29 Marzo 2024

Europa, regole e grandi navi

di Ivano Russo

Oltre l’85% del commercio globale si muove via nave e lo stato di salute delle shipping line è la precondizione degli scambi e della ricchezza globale. Detto ciò, non esiste sistema economico produttivo o industriale al mondo che non viva di equilibri, di pesi e contrappesi, di necessaria sintesi virtuosa tra interessi naturalmente o potenzialmente divergenti.

Ad esempio recentemente, non Confetra, ma il presidente della Hamburg Port Employers Association, Gunther Bonz, ha invocato un intervento regolatorio dell’Europa per porre un freno alla crescita smisurata delle navi. La stessa Amministrazione statunitense ha posto limitazioni dimensionali sugli accosti lungo la East Coast, e la Federal Maritime Commission ha in corso un’indagine sugli extra-costi imposti a caricatori e spedizionieri da parte di compagnie di navigazione in conseguenza proprio del cosiddetto “gigantismo”.

Sarebbe francamente bizzarro sostenere che gli armatori debbano essere totalmente liberi di pianificare le dimensioni e le rotte dei propri vettori – avendo quale unica stella polare il proprio legittimo tornaconto di business – e tutto il mondo attorno debba adeguarsi a ciò. Per tutto il mondo intendo anzitutto lo Stato e l’industria logistica inland. Lo Stato, il regolatore pubblico: chiamato ad investire continuamente in dragaggi, escavi, nuove infrastrutture portuali e retroportuali, ma anche di collegamento terrestre su ferro e gomma, truck parking, per favorire la rapida e massiccia uscita dagli hub logistici di sempre più merce concentrata in sempre meno tempo.

Tra l’altro, senza alcuna garanzia di tutela dell’investimento pubblico, perché sempre legittimamente una Linea può decidere da un giorno all’altro di spostarsi verso lidi più vantaggiosi. E l’intera industry logistica: terminalisti, spedizionieri, autotrasportatori, corrieri, operatori di magazzino, operatori ferroviari, doganalisti, obbligati a stress del ciclo operativo francamente non sostenibili. Tutto ciò al netto di altri risvolti, non meno importanti: penso alla sostenibilità ambientale di tali dinamiche per le città, penso alla garanzia di controlli sulla merce affidabili per la salute pubblica, penso alla qualità del lavoro di donne e uomini che lungo l’intero ciclo logistico prestano la propria opera e professionalità. Oltre a ciò recentemente, un’altra Organizzazione non proprio sovversiva o composta da “parassiti”, l’Ocse, segnala i rischi distorsivi di un regime fiscale agevolato che, nato in mare, consente però l’estensione di fatto di sgravi e vantaggi fiscali alle compagnie marittime anche nelle attività logistiche a terra: terminalistiche e spedizioniere in primis.

Questi sgravi fiscali alimentano il circolo vizioso della sovraccapacità? Rappresentano un elemento di dumping sleale ai danni degli operatori logistici “solo” di terra? Conclude con due domande l’ultimo Rapporto dell’Ocse. Come segnala l’ultimo Outlook di Fedespedi: Armatori, conti in rosso sui noli ma logistica a gonfie vele. In questo contesto, tra pochi mesi, calerà la scelta della Ue sulla proroga della Ber. La posizione di Confetra al riguardo è cristallina, e messa nero su bianco in sede di risposta alla Consultazione pubblica aperta dalla Commissione pochi mesi fa. Nessuna pregiudiziale ideologica alla proroga dell’esenzione Antitrust alle shipping line, consentendo loro anche di fare Alliances e razionalizzare l’offerta di stiva, a patto che si trovi il giusto equilibrio rispetto agli interessi di un mercato articolato quale quello delle imprese logistiche, e nel perseguimento dell’interesse generale dei sistemi economici, produttivi, dei consumi ed industriali che richiede una pluralità di fornitori di servizi logistici che competono in regimi giuridici e fiscali uguali per tutti. Siamo ai cardini del pensiero liberale. In compagnia di tutte le nove sigle di associazioni europee di categoria che rappresentano l’intera supply chain logistica, dei sindacati europei e delle associazioni europee dei servizi tecnico nautici. Per di più in un quadro di alleanze che va potenzialmente dai Paesi mediterranei alla Germania.

Tutti “in guerra contro gli armatori”? Mi pare una lettura un po’ semplicistica. Il paradigma è un altro: la merce non è delle navi, ma è di chi la vende e di chi la compra. Ed a cucire origine e destino di essa, materialmente ed immaterialmente, con i vettori e con il know how delle professioni logistiche, devono esserci una pluralità di soggetti industriali ed imprenditoriali che competono a parità di condizioni. Come in tutte le grandi organizzazioni realmente democratiche, plurali e scalabili, su tutto ciò in Confetra ci si confronta.